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Canti Del Caos
www.juzaphoto.com/p/CantiDelCaos



avatarLa qualità dell'immagine e l'immagine di qualità
in Tecnica, Composizione e altri temi il 03 Gennaio 2024, 12:16


La qualità dell'immagine




Fotografia di Hideki iiiiiiiiiii intitolata MIRAIE, 2023, Nikon Z 8 e NIKKOR Z 24-120mm f/4 S
www.flickr.com/photos/124982286@N08/53430077224/in/pool-14882767@N22/



L'immagine di qualità




Fotografia di Efrem Raimondi, ritratto di Laura De Tomasi, 2013, iPhone
www.efremraimondi.com/portrait/


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avatarIncontrare Luigi Ghirri a Guastalla
in Blog il 02 Dicembre 2023, 15:45


Ho sempre guardato le fotografie di Luigi Ghirri riprodotte nei libri. Non è un modo sbagliato di incontrare il suo lavoro perché quelle fotografie erano intese per entrare in una 'forma-libro', per comporre l'arco di un racconto insieme alle parole (testi critici, citazioni, appunti, ricordi). Ghirri teneva così tanto al libro come esito del lavoro fotografico da fondare la casa editrice "Punto e virgola".

Invece ieri per la prima volta ho guardato le sue fotografie in stampe (d'epoca e contemporane) incorniciate (con l'immancabile passe-partout bianco) affisse nell'elegante Palazzo Ducale di Guastalla abitato in passato anche dalla famiglia Gonzaga. Si entra attraversando un cortile coperto in vetro che lascia cadere la luce naturale all'interno come i passages couverts di Parigi che affascinarono Walter Benjamin e oggi lo studio Neowiz Games sviluppatore del videogioco Lies of P. (scenario chiamato la Galleria Lorenzini Venigni ).





Si salgono le scale che fanno pensare ai sogni architettonici di Piero della Francesca









si osservano nicchie misteriose che sembrano scavate da una combustione di Alberto Burri










e si entra nella prima sala che si apre mostrando alcuni libri di Ghirri: Viaggio in Italia, Il profilo delle nuvole, il volume fotografico sull'Emilia Romagna...

Della mostra riporto soltanto tre fotografie che potrebbero stare nell'album di famiglia:

l'autoritratto nella sala d'aspetto della stazione di Brescello, 1989, che guardo con affetto perché dalla testona di Ghirri esce sbandierato il nome inciso sul muro Andrea che è anche il mio nome, così mi pare stabilirsi una misteriosa connessione col grande fotografo e scrittore e editore:






il ritratto (se non sbaglio) della figlia Ilaria a Manziana, 1980, che quasi vola nella Sala delle Grottesche:





il ritratto di Ghirri insieme alla moglie Paola, a Brescello, 1989:





anche quest'ultima fotografia rivela quanto sia delicato e elegante l'allestimento della mostra, in questo caso disponendo l'immagine come un libro su un leggio a dialogare con le due figure del bassorilievo di sfondo.

Ora non saprei ritrovare un testo dello scrittore Giulio Mozzi in cui parlava della letteratura, dell'arte come di esperienze che 'strutturano lo sguardo' - mi è tornato in mente uscito dalla mostra mentre scendevo le scale e trovavo davanti la stratificazione di piani del reale (e della memoria) che Ghirri ha cercato insistentemente di registrare con la fotografia: l'arco fa da soglia a un paesaggio notturno formato da un edificio illuminato artificialmente, che ha per sfondo un secondo edificio coperto dalla notte e come terzo ultimo fondale c'è un cielo debolmente illuminato da ciò che resta della luce solare.






(La mostra è stata prorogata fino al 31 dicembre 2023.)



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avatarInfinito. L'universo di Luigi Ghirri + Il mondo di Luigi Ghirri
in Tema Libero il 03 Settembre 2023, 17:31


Su Raiplay è disponibile gratuitamente (basta registrarsi) il documentario Infinito. L'universo di Luigi Ghirri di Matteo Parisini, voce narrante di Stefano Accorsi.

E' molto bello, lo consiglio vivamente, dura un'oretta. Sotto il link.



www.raiplay.it/video/2023/04/Art-Night-Puntata-21---Infinito-Luniverso







Mi accorgo ora che è tornato disponibile su YouTube il documentario Il mondo di Luigi Ghirri di Gianni Celati.

Consiglio vivamente anche questo, sotto il link:




4 commenti, 504 visite - Leggi/Rispondi


avatarConsegna senza esitare tutto ciò che può essere utile in qualche modo
in Tecnica, Composizione e altri temi il 01 Agosto 2023, 12:50


La fotografia che segue, scattata da August Sander, mostra la prigionia del figlio Erich. Condannato dai nazisti per essersi affiliato al Sozialistischen Arbeiterpartei Deutschlands, morirà ancora prigioniero il 23 marzo 1944 nell'ospedale di Siegburg. La fotografia fa parte del libro "Menschen des 20. Jahrhunderts".



Sotto riporto l'ultima lettera dal carcere di cui disponiamo del teologo Dietrich Bonhoeffer, incarcerato e giustiziato dai nazisti a Flossenburg il 9 aprile 1945.




Alcune considerazioni sconnesse.

- La fotografia di Erich Sander si può comprendere pienamente soltanto con la didascalia, in generale la documentazione fotografica ha bisogno della parola.

- La camera, il letto, lo scrittoio, la sedia sono un modello di piccolo mondo vissuto da prigionieri e resistenti – pensiamo anche in pittura alla camera di Arles dipinta da van Gogh. Nelle loro piccole camere-celle Erich Sander e Dietrich Bonhoeffer leggono e scrivono: paradossalmente è un gesto di sovranità.





- Dietrich Bonhoeffer nell'ultima lettera scrive "Insomma consegna senza esitare tutto ciò che può essere utile in qualche modo ... nell'ultimo anno ho imparato che non occorrono molte cose a un uomo per cavarsela", e chiede soprattutto libri.

- La fotografia scattata da August Sander permette di immaginare Dietrich Bonhoeffer.

- August Sander decide di includere la fotografia del figlio Erich prigioniero politico nella sua grande opera che vuole rappresentare l'umanità del XX secolo. Attraverso il libro anche August intende consegnare al mondo tutto ciò che in qualche modo può essere utile.



de.wikipedia.org/wiki/Erich_Sander_(Fotograf)
it.wikipedia.org/wiki/August_Sander
it.wikipedia.org/wiki/Dietrich_Bonhoeffer


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avatarScrivere per nessuno, fotografare per nessuno
in Tecnica, Composizione e altri temi il 24 Aprile 2023, 13:16


Riproduco interamente poiché è abbastanza breve un post pubblicato da Enrico De Vivo su Zibaldoni e altre meraviglie. Si tratta, vedrete dall'introduzione, di una lettera di Gianni Celati che ragiona nel 1986, quando ancora non esisteva la cultura del like, sullo scrivere per ottenere il consenso degli altri. Scrivere (o fotografare) 'per nessuno' non dovrebbe far pensare alla solitudine. Non ammiccare con le parole (o fotografie) significa non depotenziare ciò che si fa, questo è un modo di rispettare gli altri perché si offre, o almeno si tenta di offrire, il meglio: top notch.


Un anno fa moriva Gianni Celati. Nel corso di quasi quarant'anni ci siamo scambiati moltissime lettere. Questa qui sotto è dell'8 settembre 1986. La pubblico per ricordare lui e il suo modo di fare e di pensare, che per me sono stati e sono una guida sempre affidabile. All'epoca ci davamo il lei; soltanto dopo circa vent'anni abbiamo cominciato a darci il tu. [EDV]

Caro Enrico,

è necessario scrivere per “nessuno”, in modo da non sentirsi in dovere di convincere un altro a riconoscerci come esistenze umane significative. Tutti gli ammiccamenti delle parole (ormai le parole non dicono più niente, fanno solo ammiccamenti: guardi la Tv e legga i giornali) sono questo rituale per presentare noi stessi agli altri come esistenze umane significative, sperando nel loro consenso; il quale poi è soltanto “ciò che tutti si aspettano”, ciò che viene considerato “realtà oggettiva”, l'unica valida. Andrà bene per combinare delle t*fe tecnologiche, ma non per scrivere; per scrivere è tutto il contrario.

Forse c'è un regalo nello scrivere “per nessuno”. Provare a scrivere per formulare delle domande, la cui risposta davvero cambierebbe qualcosa per noi. Non domande che pretendono una risposta pronta, maneggevole, da usare come un cacciavite o un apparecchio tecnologico. Queste domande non cambiano niente per noi, ammettono e accettano l'esistente, e lo danno per scontato. Io dico domande da cui davvero dipende la nostra vita e il nostro destino, e non domande che spiegano il mondo lasciando tutto com'è. Domande che è difficilissimo formulare (ormai non sappiamo più farlo, perché vogliamo solo risposte maneggevoli) e che ci lasciano sgomenti al solo pensiero di poterle un giorno formulare.

Non credo ci sia altro. La questione è che se si cerca il consenso dell'altro, se si pretende sempre di essere riconosciuti dagli altri come esistenze umane significative, letteralmente non si ha tempo di pensare a domande che sgomentino e che ci portino verso un luogo a cui da sempre eravamo destinati. Perché cercando il consenso, si è per sempre ignari del proprio destino.

Spero che la mia risposta non le sembri troppo seria e troppo pesante. È poco seria, perché pedagogica. La prenda come le pare, suo

Gianni Celati



Qui il link al post originale: www.zibaldoni.it/2023/01/03/scrivere-per-nessuno/




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avatarUna blind-run attraverso 'Il Bacio di Giuda' di Fontcuberta
in Tecnica, Composizione e altri temi il 02 Ottobre 2022, 14:19


Inizio un esperimento, il report di lettura de "Il bacio di Giuda. Fotografia e verità" di Joan Fontcuberta, pubblicandolo quasi in diretta sul forum. Non conosco il libro, è una blind-run come si dice nel mondo videoludico.

Prima puntata: Prefazione (aprile 2011)

Nella prefazione Fontcuberta racconta la gestazione del libro, iniziata nel 1996 come testo per il catalogo del festival Les Rencontres d'Arles, in cui si confronta con tre intellettuali in quel momento in voga: Borges, Flusser, Barthes.

Era il periodo delle correnti postmoderniste "che avevano posto l'accento sulla natura illusoria dell'immagine, proprio mentre era in atto il consolidamento della transizione tecnologica verso la fotografia digitale, con tutte le incertezze del caso rispetto alle trasformazioni che ne sarebbero inevitabilmente conseguite".

Fontcuberta aspira a "proporre una umanistica della fotografia" con l'obiettivo "del raggiungimento di una maggiore consapevolezza e saggezza visuale" approcciando la fotografia "come una particolare cultura della visione determinata da una serie di pilastri concettuali quali verità, memoria, identità".

Poi scrive: "Tale approccio – fenomenologico, direi – ruotava intorno a un concetto che oggi potremmo definire di 'derealtà' (desrealidad), una categoria ad ampiospettro la cui banda larga, però, era occupata dalla finzione".

Infine ci indica il suo vero nemico: "l'idea di fotografia come mera registrazione meccanica – che storicamente ha consolidato la mistica delle pratiche documentarie"
esortandoci a "diffidare dei discorsi autoritari, tra i quali occupano un posto privilegiato quelli di certe derive del realismo fotografico"
e promettendo di neutralizzare quelli che chiama interessi nascosti.

Vedremo nelle prossime puntate se brandendo l'idea di finzione e facendosi aiutare dalle evocazioni
di Borges, Flusser, Barthes, il nostro ingenioso caballero Fontcuberta riuscirà nell'ambizioso progetto di liberare la fotografia contemporanea.







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avatarLa grande traversata di Andrea
in Tema Libero il 25 Settembre 2022, 19:59


Di seguito trovate una recensione di Dario Voltolini all'ultimo libro di Andrea Canobbio. Ho scoperto oggi l'esistenza del libro, so solo quel che ne ha scritto sotto Voltolini. E' anche una recensione molto bella.

Da: www.ilprimoamore.com/la-grande-traversata-di-andrea/

Scrivo questo post per segnalare all'attenzione di tutti coloro che amano leggere libri bellissimi la nuova opera di Andrea Canobbio. Si intitola La traversata notturna.

Canobbio è uno scrittore che da anni produce prosa di trasparente purezza, in ogni suo libro. Qui mi piace ricordare anche per ragioni personali il suo Presentimento. Ma sono tanti i suoi libri e la loro qualità è sempre stata cristallina.

Ora esce questa “Traversata”, un librone. Di cosa parla e come lo fa? Parla in primo luogo della depressione che colse, a un certo punto della vita, suo padre. Lo fa chiamando a raccolta tutte le proprie doti impressionanti di narratore, di allestitore di strutture, di limatore di frasi, di inventore di geometrie ennedimensionali, di consapevolissimo letterato.

E accade che, affrontando il maelström del contenuto con la potenza della forma, Canobbio produca un testo di generosa ricchezza, di perizia sopraffina. Le sue personalissime matrici di calviniana e perechiana derivazione (ma elaborate in modo finissimo e fatte diventare, negli anni, cifra assolutamente propria, inoltre innervate da altre geometricità pescate chissà dove – per Andrea l'arte è soprattutto nascondere l'arte), planando sull'amorfo e dolorosissimo nucleo della malattia paterna producono una sintesi alchemica, una doppia trasmutazione dall'informe verso la forma e della forma che punta dritto al cuore dell'informe.

Libro di straordinaria tenuta e di totale qualità letteraria, La traversata notturna incorpora masse di contenuti (antropologici e letterari, per esempio, in configurazioni di caduta nell'abisso), di descrizioni meravigliose, di movimenti calcolatamente non rettilinei (si veda la scacchiera alla fine del libro e si noti la scelta della mossa non lineare per eccellenza – quella del cavallo – che però è molto canobbianamente anche lei strutturata alla perfezione).

Contrariamente a ciò che si potrebbe ritenere avvicinandosi superficialmente a questo sontuoso lavoro, il mondo delle emozioni, del dolore, della felicità, della memoria e della sua opacità, della scoperta, della sconfitta qui alla fine esplode: non in modo attutito, ma in modo spietatamente cadenzato.

È una storia di amore, di malattia, di affetti e relazioni familiari, di mistero; è una topografia di città e di mondi interni; è una chiamata alle armi e una deposizione delle stesse.

Ho amato questo libro infinitamente fin dalle sue prime apparizioni benedette in veste di PDF sul mio schermo (ringrazio Andrea per avermi permesso di vedere l'opera in corso d'opera durante la pandemia). Ci tengo a dichiararlo così esplicitamente perché la ricezione letteraria è distratta, e va sempre scossa un po' dal suo sonno nemmeno dogmatico, ma semplicemente da ventre sazio di frottole.

È dal suo primo libro (esordimmo praticamente in contemporanea una trentina d'anni orsono) che nutro per Andrea un'ammirazione profonda. Con questo suo lavoro è come se venissero a maturazione per contiguità anche tante potenzialità messe in campo allora, per cui questa pubblicazione è, per me, anche una festa.








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avatarApprofondimento sul commentario al topic "Non una fotografia di paesaggio"
in Tecnica, Composizione e altri temi il 26 Agosto 2022, 11:17


Tento un approfondimento sul commentario al topic "Non una fotografia di paesaggio" per arrivare a uno strumento critico da mettere nella cassetta degli attrezzi (metafora abusata ma funziona sempre).

Qui il topic: www.juzaphoto.com/topic2.php?l=it&t=4310964

Siamo partiti dalla constatazione che esiste una fotografia di paesaggio caratterizzata da interventi piuttosto invasivi che la portano verso la grafica, personalmente suggerivo che sarebbe utile distinguere queste fotografie 'spettacolarizzate' nell'ambito della fotografia di paesaggio.

La discussione si è svolta soprattutto su una disputa tra, chiamiamole così, "vera fotografia" e "fotografia artistica/interpretativa". Gli interventi sono stati tanti, qui riprendo quelli di Istoria e di Andrea Taiana perché mi sembrano rappresentativi.

Istoria è un fotografo professionista, dal suo sito si capisce che è una persona competente. Si è espresso molto criticamente verso la postproduzione spinta che ha praticato per anni e ora non ama più, cercando di farne a meno nei suoi lavori più personali.

Andrea Taiana si è trovato in una posizione quasi contrapposta a Istoria nonostante – è evidente vedendo le sue fotografie – ha un gusto molto lontano dalla spettacolarizzazione digitale. Taiana ha insistito sul fatto che il problema non sono gli strumenti di postproduzione ma soltanto l'uso/abuso che se ne fa. Del resto le tecniche di 'postproduzione' esistevano già in camera oscura. Insomma la fotografia è un medium complesso che non può essere rinchiuso nel manicheismo tra "vera fotografia" versus "fotografia artistica/interpretativa".

Il mio topic iniziale poteva portare proprio a quel manicheismo, e durante la discussione mi sono accorto che avrei escluso dalla fotografia di paesaggio lavori importanti come "La terza Venezia" di Silvia Camporesi soltanto perché fa uso di montaggio tra immagini. Mi sono detto che Silvia Camporesi diceva sul paesaggio più di tante fotografie prodotte secondo i canoni della "vera fotografia". Allo stesso tempo non volevo rinunciare a distinguere un tipo di fotografia spettacolarizzata in postproduzione, perché è una distinzione critica utile.

Per correggere il tiro, nel commentario avevo scritto che occorre riflettere sulla relazione tra fotografo/a e mondo esterno, perché ogni fotografia è proprio l'esito di quella relazione.

Non è un'idea mia, l'ho trovata in "Lezioni di fotografia" di Luigi Ghirri (da pag. 20).
Prima Ghirri riflette sull'idea di "autorialità":

Era una ricerca combinata, in quel periodo molto diffusa, che molti definivano «fotografia d'autore». Il termine può essere significativo, sottolinea il fatto che il fotografo agisce come persona portatrice di una sua competenza, di una sua professionalità e di un bagaglio culturale abbastanza ricco, per poter dare le risposte necessarie, in termini di immagine, riguardo al mondo esterno. Però significava anche un'altra cosa, e questo era un aspetto estremamente negativo e pericoloso; «fotografia d'autore» significava che nei confronti del mondo, della realtà - ritratto, natura morta, qualsiasi oggetto o paesaggio gli si presentasse sotto gli occhi - il fotografo si poneva in una maniera pesantemente codificata. Aveva una specie di marchio personale, un modo di vedere che imprimeva sul mondo esterno trasformandolo e riconducendolo all'interno delle sue coordinate estetiche.

poi introduce l'idea di fotografia come relazione tra individuo e mondo esterno:

Io invece credevo - e credo ancora - in una differente intenzionalità, che vorrei appunto proporre all'interno di questo corso: consiste nel guardare alla fotografia come a un modo di relazionarsi col mondo, nel quale il segno di chi fa fotografia, quindi la sua storia personale, il suo rapporto con l'esistente, è sì molto forte, ma deve orientarsi, attraverso un lavoro sottile, quasi alchemico, all'individuazione di un punto di equilibrio tra la nostra interiorità - il mio interno di fotografo-persona - e ciò che sta all'esterno, che vive al di fuori di noi, che continua a esistere senza di noi e continuerà a esistere anche quando avremo finito di fare fotografia. È quello che ho sempre cercato, secondo me è anche ciò che può definire la professionalità o quantomeno qualificare la figura del fotografo attuale, ed è ciò che mi interessa fare; parlare e lavorare con voi in questa direzione, alla ricerca di quello strano e misterioso equilibrio tra il nostro interno e il mondo esterno.

per arrivare a una relazione col mondo esterno non prevaricante o già codificata:

Credo che, con una serie di aggiustamenti successivi, arriveremo a porci di fronte a un determinato paesaggio-ambiente e a metterei qualcosa in più di quello che è il nostro vissuto, la nostra cultura, il nostro modo di vedere il mondo: arriveremo a dimenticarci un po' di noi stessi. Dimenticare se stessi non significa affatto porsi come semplici riproduttori, ma relazionarsi col mondo in una maniera più elastica, non schematica, partendo senza regole fisse, piattaforme precise e preordinate. Credo che questa forma di elasticità sia necessaria per avere accesso alle immagini e rapportarvisi in maniera innovativa.
Tutti hanno sempre cercato definizioni per la fotografia: Roland Barthes l'ha descritta come un linguaggio senza codice, altri hanno detto che la fotografia è semplice riproduzione della realtà, qualcuno, come Baudelaire, ha sostenuto che non era neanche una forma d'arte ma soltanto una tecnica al servizio dell'arte . . . Sono sorte enormi diatribe sul fatto che la fotografia fosse o non fosse arte. Che cos'è? Un prodotto di consumo, un prodotto d'uso, un prodotto di comunicazione? È una querelle che continua ancora oggi, inevitabile, inarrestabile.
Ritengo invece che la fotografia non abbia bisogno di alcuna definizione.


Quindi ecco l'attrezzo critico: chiederci, davanti all'immagine, quale relazione ci restituisce tra fotografa/o e mondo esterno, e se risolve quella dialettica in modo convincente.

L'occasione per il topic "Non una fotografia di paesaggio" è stata un testo di Barbara Silbe. Curiosamente ho scoperto che la pensiamo allo stesso modo, con le stesse parole. Infatti in un suo articolo del 2020 intitolato "Paesaggio ingenuo" cita le stesse parole di Ghirri che mi stanno così a cuore. Qui il link:

www.nocsensei.com/professione/barbarasilbe/il-paesaggio-ingenuo/


Fotografia di Silvia Camporesi da La terza Venezia (2011):





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avatarNon una fotografia di paesaggio
in Tecnica, Composizione e altri temi il 18 Agosto 2022, 10:34


Barbara Silbe è una persona molto competente sulla fotografia, ha anche un ottimo gusto come testimoniano i portfolio che pubblica qui: eyesopen.it/tag/barbara-silbe/
E' stata editore della splendida rivista EyesOpen!, si occupa di fotografia come giornalista, è gallerista, curatrice eccetera. Insomma ha un sacco di titoli e talenti.

Ho premesso questo altrimenti la critica che segue sarebbe ingenerosa. Su Nocsensei cura la rubrica Best photo of the week, nell'ultimo numero ha premiato questa fotografia:

www.nocsensei.com/lente/barbarasilbe/best-photo-of-the-week-mattia-zeb

L'autore si chiama Mattia Zebi, ha vent'anni e sono sicuro che diventerà un bravissimo fotografo. Il problema è solo questo, Barbara Silbe la presenta come fotografia di paesaggio, mentre è grafica fatta con fotocamera e postproduzione: del mondo esterno (quello che ci consegna la fotografia come sua peculiarità) resta poco o nulla. E' il frame pittorico di una natura fantastica, non una fotografia di paesaggio. Cancella la ripresa per sostituirla con la proiezione. La fotocamera diventa il proiettore delle proprie immaginazioni.

Capisco che c'è una convenzione linguistica per cui anche questo tipo di fotografie sono chiamate 'paesaggio', ma nella sostanza sono altro. Non voglio dire che queste manipolazioni grafiche siano un male, assolutamente non è così. Amo grafica disegno pittura forse più della fotografia, ma sono cose diverse dalla fotografia, cioè raccontano il mondo - in questo caso il paesaggio - in modo diverso. Non migliore, non peggiore: diverso.




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avatarIl taglio non determina i confini del fotogramma
in Tecnica, Composizione e altri temi il 20 Luglio 2022, 10:21


Questo topic è solo un pensiero breve. La doppia immagine affissa mostra quanto sia complessa la questione del taglio del fotogramma. A sinistra un'inquadratura diciamo 'anagrafica' perché il soggetto è mostrato quasi come su una carta di identità; invece a destra il soggetto è violentemente tagliato, Thorimbert usciva continuamente dall'inquadratura. Eppure è proprio il soggetto tagliato - e in quanto tagliato - a mostrare in profondità il cuore identitario. Ma il taglio è davvero il limite, il bordo, il confine del visibile? Avevamo visto nel precedente topic L'orizzonte e oltre che il confine non esiste perché la fotografia è anche contenuto narrativo e la narrazione buca il confine immaginando passato e futuro.







L'immagine è un fotogramma dalle bellissime interviste di Bertolasi a Thorimbert visibili sul suo canale YouTube:




Le due interviste fanno parte del progetto di dialogo con fotografe e fotografi (e operatrici e operatori del settore) che Bertolasi ha intitolato 'Convivium'.

Link a L'orizzonte e oltre:
www.juzaphoto.com/topic2.php?l=it&t=4270825


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avatarL'orizzonte e oltre
in Tecnica, Composizione e altri temi il 19 Giugno 2022, 17:58


L'orizzonte nel vocabolario De Mauro è la linea apparente, circolare, che segna i confini della visibilità a partire da un luogo d'osservazione e che corrisponde ai punti in cui il cielo sembra toccare la terra.





Questa immagine di un orizzonte sulla copertina di The nature of photographs di Stephen Shore mostra la complessità della fotografia.
La fotografia ha il potere di sostituire la realtà essendo un calco del mondo esterno; ma Shore ci suggerisce un aspetto ancora più misterioso: c'è una dimensione in cui realtà e fotografia possono interferire (l'orizzonte reale e la nave fotografata), una dimensione però che non è più quella della realtà (la nave evidentemente è altrove), bensì della narrazione (immagina una nave percorrere l'orizzonte). Questo è il mistero: ogni immagine del mondo esterno (percepito o ripreso) non è separabile dalla nostra risposta narrativa, anche minima come una semplice domanda (dove navigherà quella nave?).


Il 4 luglio del 1960 Piero Manzoni nella tipografia del quotidiano Herning Avis tracciava una linea di 7200 metri su un unico foglio di carta in bobina; l'opera sarebbe stata sigillata dentro un contenitore cilindrico di zinco e piombo. Manzoni progettava di produrre una serie di linee inscatolate come prodotti da supermercato e poi sepolte, linee che sommate eguagliassero la circonferenza terrestre. La linea è un oggetto della geometria, ci serve per spiegare scientificamente il mondo esterno e dominarlo. Invece la linea di Manzoni è trasformata in pura narrazione. È il processo quasi alchemico dell'arte concettuale.




(photo Eva Sørensen)


L'orizzonte pur non essendo un vero e proprio ostacolo ha lo stesso effetto di arrestare lo slancio dello sguardo: è il limite del paesaggio. I fisici chiamano orizzonte degli eventi il baratro gravitazionale in cui cade la luce. Eppure possiamo superare il limite e arrivare addirittura all'infinito con l'immaginazione, come davanti alla siepe leopardiana: io nel pensier mi fingo...

L'ultima fotografia che Luigi imprime sulla pellicola della macchina che porta sempre con sé (come scrive Vanni Codeluppi in Vita di Luigi Ghirri ) mette insieme gli elementi di questo breve percorso: orizzonte limite linea narrazione infinito.
L'evento naturale della nebbia ha cancellato l'orizzonte, il limite del paesaggio della campagna di Roncocesi. Il biancore è considerato un errore fotografico perché è una pienezza abnorme, incommensurabile di informazione, ma l'immagine è anche narrazione e narrativamente l'informazione abnorme è un infinito: l'evento naturale della nebbia mostra l'infinito. Il torrente Modolena che percorre verticalmente l'immagine non è un elemento geometrico, è una linea puramente narrativa come quella di Piero Manzoni, racconta un'immaginazione in cammino oltre la soglia dell'infinito.




(Luigi Ghirri, Roncocesi gennaio 1992. Eredi di Luigi Ghirri.)


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avatarParlando di fotografia in compagnia di una fotografia
in Tecnica, Composizione e altri temi il 07 Novembre 2021, 9:21


Durante il lockdown il sito di Magnum ha pubblicato una pagina di fotografie dalla quarantena. Era un muro di anteprime come su Instagram. Ne ho notata una e ho pensato che l'autore poteva essere Jim Goldberg: la didascalia ha confermato che era lui. È un'esperienza banale eppure nasconde un piccolo mistero. Quella fotografia rappresentava un paesaggio di campagna con alcune persone ma non Jim Goldberg che era dietro la fotocamera a scattare. Allora in che modo Goldberg faceva parte della sua fotografia senza essere raffigurato? Si può dire che ho riconosciuto lo stile di Goldberg. Di solito lo stile è inteso come una maniera di fare le cose (le operazioni da seguire per ottenere un risultato). Per esempio potrei guardare una fotografia in bianco e nero contrastata, mossa, sgranata di una città e pensare che è la maniera di Daido Moriyama. Quindi impostare la fotocamera allo stesso modo e ottenere una foto alla Moriyama (questo è il manierismo).

Ma nel caso della fotografia di Goldberg non avevo visto una maniera. Piuttosto avevo visto una relazione col mondo, un modo di conoscerlo, sentirlo, viverlo. In effetti fotografare è l'atto di separare, incorniciandola, una parte del mondo esterno. Compiamo una scelta nel definire il frame fotografico, quella scelta stabilisce una relazione tra noi e il mondo. Così si entra nella fotografia senza esserci materialmente. Pubblicando una fotografia esibiamo la nostra relazione, e altri potranno conoscerla e riconoscerla.

Recentemente mi ha colpito una fotografia, l'autore usa il nickname Acheo sul Forum Foveon dove l'ha postata col titolo 'Foto 4'. Col permesso di Acheo la ripropongo qui:







Lo strumento ricerca immagini di Google informa che fa parte di un potenziale gruppo di fotografie etichettate come 'horizon', eppure vedendola non mi è arrivato l'orizzonte come soggetto, invece ho pensato a una condizione di felicità forse un po' malinconica, la spensieratezza e il tempo che passa e ci sopravvive. Quella di Acheo è un'immagine dolce e bella che avvicino ai lavori di Claude Nori.

Ho usato Google perché è un immenso vocabolario dell'uso (lo pensa anche l'Accademia della Crusca), infatti non ha sbagliato: la fotografia di Acheo è stata accolta dal commento ironico di un fotografo che sottolineava l'orizzonte pendente, forse un suggerimento a correggerla per renderla accettabile, cioè normalizzarla. Tornando a Nori, nel suo libro "l'amico infinito" c'è una fotografia "Anna e Luigi Cesenatico, 1965" (pagina 44) in cui l'orizzonte marino pende, così in una delle più famose fotografie di Ghirri, quella dell'ombrellone chiuso colpito dal vento "Marina di Ravenna, 1972". In realtà la rappresentazione dell'orizzonte come parallelo al bordo del fotogramma è puramente convenzionale, cioè si assume che l'orizzonte sia sempre osservato con la testa perfettamente verticale, benché la testa sia sempre in movimento. Se cerco 'orizzonte' su Wikipedia, trovo un orizzonte verticale visto da una navicella spaziale.

Il punto è che la rappresentazione fotografica del mondo è carica di convenzioni, l'orizzonte è solo un esempio, non fermatevi qui, pensate a come etnia genere censo scolarizzazione salute eccetera determinano drasticamente il nostro modo di vedere, quindi la nostra scelta su cosa includere nel frame.

Allora per entrare davvero nella fotografia dobbiamo riflettere sulle convenzioni e liberarcene. Fotografare come processo di cognizione e liberazione, è un bell'approdo no?



Jim Goldberg: www.magnumphotos.com/photographer/jim-goldberg/

Claude Nori: it.wikipedia.org/wiki/Claude_Nori

Dizionario dell'uso: it.wikipedia.org/wiki/Grande_dizionario_italiano_dell%27uso

'l'amico infinito': www.postcart.com/libri-dettaglio.php?id=195

'Marina di Ravenna, 1972': www.artribune.com/wp-content/uploads/2020/02/Luigi-Ghirri-Marina-di-Ra




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Attrezzatura: Panasonic GX9, Sigma SD Quattro H, Panasonic Leica DG Nocticron 42.5mm f/1.2 ASPH OIS, Voigtlander MFT 25 mm f/0.95 Nokton, Panasonic Leica DG Summilux 12mm f/1.4 ASPH, Sigma 16mm f/1.4 DC DN C (Per vedere le statistiche di fotocamere, obiettivi e ISO più utilizzati da Canti Del Caos, clicca qui)

Interessi: La letteratura, infatti 'Canti del caos' è il titolo di un libro di Antonio Moresco. Poi il fumetto che in fondo è letteratura con la peculiarità di essere disegnata. Per la fotografia ho curiosità.

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