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Rapporto tra fotografia e realtà


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avatarjunior
inviato il 12 Novembre 2014 ore 17:51

@Bzanna3 ore 16,20

Molto interessante... ma effettivamente stiamo parlando di filosofia e un po' meno di fotografia.
La realtà "percepita", anche ad occhio nudo, già non è più realtà per il semplice fatto che essa cambia ad ogni istante senza soluzione di continuità e qualche frazione di millesimo di secondo serve anche nostro cervello per elaborare l'immagine RAW registrata dalla Rétina.

Tuttavia, proprio perché la fotografia "ferma" un particolare istante della realtà mutevole, si potrebbe dire che il rapporto della fotografia con la realtà è "plausibile" se si tiene in considerazione "la porzione" di realtà di quel preciso istante fotografato. Per non perderci in filosofia, potrebbe essere una "mediazione" onorevole ;-)

avatarsenior
inviato il 12 Novembre 2014 ore 18:04

Seguo. Con interesse.

avatarjunior
inviato il 12 Novembre 2014 ore 22:17

Penso che prima di definire il rapporto tra fotografia e realtà, sia importante definire cosa sia realtà. E' un concetto che mi sono posto spesso e sono giunto alla conclusione che realtà, è ciò che non muta nel tempo e nello spazio, da cui si evince che tutto ciò che ci circonda di materiale è falso, visto che ciò che vediamo ora è diverso da ciò che vediamo un attimo dopo e quindi anche la foto fatta in un momento non ha riscontro con quello che vediamo dopo.
Ritengo che la fotografia abbia valore come testimonianza solo per il fotografo che quel momento lo ha vissuto, mentre per tutti quelli che la guardano sia solo una rappresentazione artistica quindi uno strumento per comunicare sensazioni.
Come ha detto Shambola anche io mi fermo qui e smetto di ammorbarvi con i miei sproloqui.MrGreen

avatarsenior
inviato il 13 Novembre 2014 ore 12:39

escludendo anche i generi per cui la questione si farebbe spinosa (tipo reportage)

Pretendere che il genere reportage sia tenuto ad essere più obbiettivo di altri, ad es. di quello paesaggistico, sarebbe come pretendere che due gionalisti, entrambi sul posto, fornissero dello stesso avvenimento la stessa descrizione imparziale e obbiettiva, meglio di come farebbero due scrittori. Di questo avevo a suo tempo ampiamente discusso QUI:

"Al di la della questione etica (o morale) che questo implica penso che, in questo modo, si dia soprattutto per scontato che il mezzo fotografico possa trasmettere una notizia, un'informazione (la verità!), a prescindere dal fotografo .
Io non credo che questo sia possibile (come d'altronde sarebbe se della medesima notizia si leggesse un articolo, invece che una fotografia).

A questo proposito vorrei citare proprio due fotoreporter, divenuti famosi durante la guerra in Vietnam, Philip Jones Griffiths e Tim Page:

"[] ... Page è famoso per il suo ruolo nella creazione della particolare mitologia del Vietnam, sorpattutto grazie al libro di Michael Herr 'Dispacci' e al personaggio che ha ispirato in 'Apocalypse Now'. Diventò, nelle parole di William Shawcross, un 'groupie di guerra', affascinato dall'insieme di tecnologia, ferocia e incompetenza militare. Molte sue immagini catturano il glamour in stile cowboy-e-indiani dell'equipaggiamento bellico e l'eccitazione dei giovani soldati americani con i loro giocattoli mortali.
L'atteggiamento di Griffiths non avrebbe potuto essere più diverso. Nel suo libro 'Vietnam, Inc.', la rabbia è esplicita e, infatti, dopo la pubblicazione gli fu impedito di tornare al fronte. La copertura di Page è meno coerente, ma mostra anche un altro aspetto del Vietnam e i sentimenti di una buona porzione dei militari americani coinvolti ...[] "
- Michael Freeman - La visione del fotografo

avatarjunior
inviato il 13 Novembre 2014 ore 15:58

Oh che bello, tanti interventi, tutti intelligenti!

avatarjunior
inviato il 13 Novembre 2014 ore 16:16

@Cosmosub
Infatti ho scritto spinosa :P
Che il reporter dia una personale interpretazione e visione è un fatto assodato, interessante anche la storia dei due fotografi del vietnam. Questo però non toglie che per fare un reportage debba esistere un "soggetto" (volendo fare il sofista direi che se ne può anche fare a meno, però a quel punto non parlerei più di reportage), quindi una "realtà" c'è (che non è una verità non si confondano le due cose). Dunque il fotografo nel momento in cui scatta deve porsi in qualche modo rispetto ad essa, che è un po il nocciolo della mia prima domanda, forse male espressa.

Quello che volevo capire è proprio il modo in cui voi vi approcciate al soggetto. Dalle risposte sembra che nessuno si ponga la questione, o forse lo date per scontato e non ho capito, visto che tutti sottolineano soltanto la soggettività del racconto.

Facendo un esempio concreto, se faccio un ritratto ad una ragazza, quello che fotografo è lei soggetto indipendente dalla mia visione, ma l'immagine è invece dipendente da me (medium insieme al mezzo tecnico). A quel punto sta a me decidere come raccontarla: cerco di esprimere un'oggettività, la mia visione di lei , oppure per me lei non è niente se non un soggetto generico attraverso cui esprimere la mia creatività (o quel che è)?

avatarjunior
inviato il 13 Novembre 2014 ore 17:54

In effetti è vero, però comunque posso modulare il mio intervento... o no?

avatarsenior
inviato il 13 Novembre 2014 ore 23:02

Esatta la citazione circa l'equivoco che accompagna la fotografia fin dalla sua nascita; inizialmente venne spesso acclamata come strumento in sè stesso "oggettivo" perché fisico-meccanico, e perciò "infallibile" nella riproduzione della realtà; per questo veniva preferita al disegno in tutti quei campi (giudiziario, archeologico ecc.) in cui ci si doveva avvicinare il più possibile alla realtà stessa.
Non dimentichiamo che la fotografia nasce proprio nel periodo in cui iniziava a prendere piede la visione "materialista" che assieme alla metafisica negava anche la validità della soggettività nell'approcciare la realtà.
Ma ci si dimenticava di due cose importanti: la prima è che anche la matita è uno strumento meccanico e di per sè "infallibile", ma come al solito, qualunque sia lo strumento utilizzato, è chi lo manovra che introduce nell'operazione il proprio metro di giudizio e ne sposta inevitabilmente il risultato. il secondo, più banale rispetto all'argomento di questa discussione, è che persino la fotografia ha dei limiti nell'avvicinarsi alla realtà. Ad esempio, in molti campi delle Scienze Naturali (entomologia, paleontologia ecc.) il disegno è tuttora considerato migliore per la resa dei particolari anatomici; se non lo si incontra ad ogni piè sospinto è per il fatto che un buon disegnatore costerebbe più di un fotografo professionista.

avatarsenior
inviato il 13 Novembre 2014 ore 23:39

Intervengo solo citando un grande fotografo sportivo che con una frase riassume completamente il mio pensiero sul tema: "non si fotografa la realtà, ma l'idea che se ne ha" :)

P.s. in entomologia si preferisce il disegno non perché rappresenta la realtà in maniera migliore, ma perché la variabilità interspecifica dei caratteri da rappresentare è molto varia e il disegno ne consente una "media" che si rivela molto utile per facilitare l'identificazione della specie :)

avatarsenior
inviato il 14 Novembre 2014 ore 0:07

Parafrasando George Rodge "ogni cosa che vedi [nel mirino della tua reflex] è la realtà. La Fotografia è cosa deciderai di farne di tutto ciò"!;-)

avatarsenior
inviato il 14 Novembre 2014 ore 21:34

L'argomento è interessante ma molto ampio, coinvolge la percezione, la psicologia ecc. Tuttavia su queso argomento, che ha aperto un bel dibattito, personalmente mi incuriosisce lo sforzo tecnico enorme per produrre immagini "iperreliste", dove il dettaglio, la nitidezza, il colore, la saturazione, il contrasto vogliono superare le capacità visive dell'occhio nudo di fronte alle cose. E' una vasta tendenza che riempie la scena e condiziona il nostro modo di vedere. Per non parlare poi dei generi fotografici che generano luoghi comuni che ci condizionano spesso irrimediabilmente, con coazione a ripeterli all'ifinito (vedi l'afgana di Maccurry)

avatarsenior
inviato il 14 Novembre 2014 ore 23:59

Leggo da Wikipedia sul gruppo 64: Il gruppo concentrò il proprio operato sugli stimoli forniti dall'attualità e dai risvolti sociali. Si propose di rilanciare l'arte contemporanea sul principio dell'indipendenza ideologica del fotografo e della fotografia, rifiutando i crismi della corrente pittorialista che, seppur propri delle arti grafiche, erano qualcosa di diverso dalla pura fotografia. Una pura fotografia che non doveva avere alcuna velleità qualitativa, tecnica o stilistica, quindi, ma doveva dedicarsi in maniera essenziale, diretta (straight), alla cattura della quotidianità.

avatarjunior
inviato il 15 Novembre 2014 ore 11:19

Uh molto interessante, da ignorante sono contento di scoprire queste cose

avatarjunior
inviato il 15 Novembre 2014 ore 11:23

Aggiungo, finalmente esce il concetto che volevo esprimere (e maldestramente non mi sono fatto capire), cioè che esistono differenti possibili modi di approcciare la fotografia nel senso del suo rapporto con la realtà (nei vari suoi significati), mentre a giudicare da quasi tutti gli interventi (peraltro assai interessanti) pareva che non si potesse uscire dall'assoluto dell'ipersoggettività per cui tutto sta sullo stesso piano [paradosso: univocità assoluta nel sottolineare l'assoluta soggettività... mah]

avatarsenior
inviato il 15 Novembre 2014 ore 12:14

ho letto i primi interventi, non sono riuscito a leggere tutte e 4 le pagineMrGreen
dico quindi la mia.
io credo che sia sbagliato in partenza associare la fotografia alla realtà. fotografia vuol dire "disegnare con la luce". un disegno appunto, qualcosa che creiamo noi, alla stregua di una pittura su tela. cambiano i mezzi con cui si disegna, cambiano le tecniche, ma le basi sono simili se non uguali (composizione, prospettiva, punto di vista, ecc.). Ma entrambe servono al medesimo scopo: la realizzazione di un'immagine, sia essa la rappresentazione più oggettiva possibile di quel che vediamo; un'interpretazione più soggettiva, o artistica; una rappresentazione completamente astratta. Esempio: musica classica e musica metal, due mondi diversi, strumenti diversi, temi diversi, ma stesso scopo, creare della musica, avendo come base le note musicali, in alcuni casi anche le scale e altro.
Ammesso poi che la fotografia debba rappresentare esattamente la realtà: dovrebbe essere in 3D, essere a colori, avere la stessa visuale dell'occhio umano, stessa profondità di campo (quindi al bando bokeh dati da obiettivi come l'85L per esempio), stessa gestione dei contrasti anche in situazioni difficili, e tanto altro... Se adesso come adesso, con un unico scatto, riusciamo a soddisfare questi requisiti, si può parlare di fotografia che rappresenta la realtà, altrimenti siamo fuori strada.

Che cosa ne pensi di questo argomento?


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