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Innamorata della realtà


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user204233
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inviato il 10 Settembre 2023 ore 14:16

Han dice che il cellulare è un "giochino"...

Chi è che non ha un cellulare?

Qualche zingaro?

Ti ringrazio per il link.




































avatarjunior
inviato il 10 Settembre 2023 ore 15:23

@Rfguvh_144

Provo a spiegarmi in questi termini, anche se ci allontaniamo dalla fotografia e mi dispiace.
Ti riporto in breve un fatto di vita vissuta di recente, accaduto dove lavoro.

Mi arriva un ragazzo dicendomi che il suo approccio con le ragazze non funziona e mi spiega che lui, per non risultare invadente, non chiede mai a loro il numero di telefono ma preferisce dare il suo. Così, mi dice il ragazzo, s'aspetterebbe di essere contattato, magari una volta su dieci, ed invece questa cosa non gli accade proprio mai.
Specifico: il ragazzo in questione non è un adone ma non è neppure mostro, è un ragazzo normalissimo, come tanti altri. Sempre lui poi mi racconta che invece un suo amico-coetaneo con il pretesto di condividere la pagina-profilo Instagram riesce a mettersi in contatto facilmente con molte ragazze. Insomma by-passa la questione “numero di telefono” e s'approccia direttamente via social.

Uno dice: un fatto da nulla, semplicemente l'amico ci sa fare di più, oppure è più moderno.
E invece non è solo una questione di saperci fare ma anche di percezione del reale, proprio come la intende Han in un certo senso, perché il numero di telefono (offerto o richiesto) è molto più “cosale” (vedi Heidegger) del connettersi via Instagram.

Dare/ricevere un numero di telefono è rischioso in una certa misura, anche da un punto di vista psicologico perché sottintende l'accettazione dell'esistenza sia del Mezzo sia dell'Altro. E naturalmente puoi essere importunato (ma anche positivamente stupito) concretamente. Mentre l'aggancio tra due profili “social” - a livello di percezione - è molto meno “compromettente” e più immateriale.

Oggi lo strumento usato è lo stesso: il cellulare.
Però scambiandosi il numero di telefono esso rappresenta ancora “il telefono”. Qualcosa di antico oramai, dove ci si scambiava sia la voce che il silenzio, momenti felici ma anche incavolature. Un'arma (IL MARTELLO di Heidegger).
Mentre scambiandosi uno dei tanti profili social esso rappresenta totalmente l'infoma. Qualcosa indubbiamente di più pratico e performante ma che, a livello percettivo, ha tutta un'altra “sostanzialità” per non dire nessuna.

Io ricordo ancora che agli inizi della telefonia mobile si considerava come "serio" unicamente il numero di telefono di casa, del quale si era anche un poco gelosi, mentre si offriva con una certa disinvoltura quello "mobile" almeno fintantoché ha rappresentato anche uno status-symbol.
Una volta democraticizzata la mobilità, e agganciato internet alla tefonia, ecco l'ulteriore scarto in avanti verso il "contatto" come non-cosa.
Han stesso, sicuramente, nel suo quotidiano usa uno smartphone.
Non è uno che conclude invitando gli altri a vivere come gli eremiti, ma a ragionarci sopra.


user204233
avatar
inviato il 10 Settembre 2023 ore 15:43

Non dare per scontato nulla che significa?

Significa, semplicemente, che non ci si deve mai fidare di nessuno, che non ci si può mai fidare di nessuno.

Se ognuno agisce solo ed esclusivamente per il proprio tornaconto personale, o comunque secondo la propria soggettività, quale diviene il senso dell'agire?

Della Teoria?

Sia "individualmente" che "collettivamente"?

La società non esiste, in quanto somma di individualità parziali.

Fisher sosteneva che: "tenersi a debita distanza dallo Stato, non significasse abbandonare lo Stato".

Ma se lo Stato nulla può, se l'Architettura di Rete nulla può, significa che non c'è possibilità alcuna di Controllo.

L'invito a non sottovalutare alcuno/a vale per tutti.











user204233
avatar
inviato il 10 Settembre 2023 ore 16:18

@Nocram

Allora, tanto per essere chiari, come è già stato scritto da altri utenti, se apri un topic intitolandolo in questo modo, il 99% dell'utenza, me incluso, darà per scontato che tu appartenga al genere femminile.

Questo significa poco, nel senso che essendo questo un forum di fotografia, a me personalmente non interessa stare a tramutarlo in Tinder, anche perché nessuno sa chi tu sia, o chi tu possa essere e, per quel che mi riguarda, prevenire è sempre meglio che curare.

Detto ciò, io non sono un moderatore, ma direi che certe tue esternazioni siano più consone ad altri luoghi, anche virtuali, dove potrai trovare altri utenti, o persone, con cui "chiacchierare" di queste robe.




avatarjunior
inviato il 10 Settembre 2023 ore 20:44

@Rfguvh_144

Grazie per il tuo chiarimento da non moderatore.
Io non sono interessato ad acquistare materassi e quindi non vado a commentare nella discussione aperta sui materassi in questa stessa sezione Blog del forum.
Neppure voglio costringere quell'utente a parlare di ciò che non vuole, tipo i frigoriferi.
Trovo ottimo limitarsi ad intervenire solo dove si trova l'argomento proposto interessante.
Certo bisogna comprendere il soggetto della discussione , prima di tutto, anziché scaldarsi per l'eventuale "materassabilità" del/della proponente.
Se per qualcuno la coniugazione in terza persona singolare è già un problema, spiace, ma praticarla ti assicuro che è ancora legale in Italia.

avatarsenior
inviato il 11 Settembre 2023 ore 7:43

Il fatto è che stiamo andando verso la standardizzazione dei molteplici aspetti dell'umano vivere, misurare e trasformare le cose reali in numeri, per poi riproporle in modo virtuale e credibile, fa parte della strategia. Il passo successivo sarà la creazione di protocolli numerici standard da applicare all'occorrenza per avere il massimo profitto con la minima spesa. IMHO.

avatarsenior
inviato il 11 Settembre 2023 ore 9:40

In relazione a
www.juzaphoto.com/topic2.php?l=it&t=4616126
discussione dalla quale sono escluso:

@MotoFoto
Personalmente considero errato parlare di realtà in relazione alla fotografia.
La fotografia è troppo povera per andare oltre la cattura di qualche brandello della realtà.
Neanche gli strumenti di misura come fotometri, spettrografi e simili hanno la pretesa di descrivere la realtà, se non per qualche particolare aspetto.
Sarebbe più corretto introdurre il concetto di singola osservazione della realtà.
Tra una osservazione della realtà e la realtà c'è una enorme differenza (si potrebbero fare delle analogia con la fisica, ma lasciamo perdere). Alcune differenze:
- un'osservazione è fissata nel tempo e nello spazio ed è relativa ad uno stato della realtà. La realtà non ha questi vincoli;
- un'osservazione può essere ripetibile (quindi verificabile a posteriori) oppure no, mentre la realtà esiste a prescindere dall'osservazione;
- un'osservazione può essere caratterizzata da livello di accuratezza. Parlare di accuratezza per la realtà, non ha senso.
-un'osservazione della realtà può essere vera o falsa. Non ha senso dire che la realtà è vera o falsa.
E tante altre differenze si potrebbero aggiungere.

La fotografia entra in gioco come registrazione di una singola osservazione. Il suo scopo è di rendere l'osservazione condivisibile tra più osservatori e differibile nel tempo. E' questa caratteristica che ammanta la fotografia di un'aura di verità.
Se però si riflette su quanto scritto sopra, per quanto possa essere perfetta e accurata la rappresentazione dell'osservazione, questa NON è la realtà.
Cito il caso di quel tipo che ha chiamato la polizia per segnalare una strage in quanto osservava molti cadaveri a terra in un parco, quando poi si è capito che era una semplice lezione di yoga.

Una fotografia, da sola, non ha mai documentato nulla.
Da sola può evocare ricordi, concetti, sensazioni personali legate ad esperienze e a convenzioni visive, ma non dice nulla di certo sulla realtà originaria.
Sono le didascalie che hanno il compito di dare un contesto riposizionando la registrazione dell'osservazione nello spazio e nel tempo. Senza didascalia, invece, una immagine potrebbe essere interpretata in modo diverso da ogni osservatore. Un caso già discusso in passato sul forum è quello delle foto dell'autovelox, che senza verbale non sono sufficienti per attribuire una sanzione.

Non c'è nessuna crisi tra fotografia e realtà proprio perché non c'è una relazione diretta tra loro. La fotografia non è mai stata innamorata della realtà come qualcuno sosteneva nell'altro thread. Chi lo crede, ha solo deciso di trascinarsi dietro il sacco di mattoni del neorealismo che, come altre zavorre intoccabili del dopoguerra, è una comfort zone che ancora frena la fantasia di noi italiani (a differenza degli spagnoli).

Se proprio una crisi la si vuole trovare c'è, ma tra fotografi e osservazioni, come c'è tra giornalisti e fatti e tra scienziati e scienza.
In altre parole, la crisi è nell'uso che per persone fanno dei mezzi, non nei mezzi.
Questa però è tutt'altra storia.


Pillola rossa o pillola blu?
Il momento di scegliere è alle porte.

avatarjunior
inviato il 11 Settembre 2023 ore 10:28

@Perazzetta Ettore
Commento il tuo post in cui sollevi il tema del profitto.

La chimera del “massimo profitto” [in chiave neo-liberale] , metaforicamente parlando, non è altro che la mano nascosta dietro la schiena. Qui ho indagato il sasso della s-materializzazione come fenomeno a se stante ed in relazione alla sola fotografia ma sicuramente, se volessimo implementare ulteriormente il discorso, le connessioni socio-economiche spunterebbero necessariamente fuori perché, in qualche misura, tutto si lega a tutto. Quindi condivido quanto tu hai scritto.

Io ne ho dato brevi cenni parlando di Google-scienza ed anche in relazione alla Sontag distinguendo quel [suo] mondo nel quale ancora esisteva una netta separazione dei ruoli tra artista e critico rispetto al nostro oggi [fusione dei ruoli, "conta solo il risultato"] . La digitalizzazione si sposa meravigliosamente bene con la “coazione” sia a produrre che a consumare. Il fenomeno è talmente logorante da condurre al “binge watching” traducibile come “guardare fino a cadere in coma”. Basta cercare su internet per leggere del dilagare di questo fenomeno.

Il fatto è che alla percezione simbolica, tipica del "vedere analogico" che si misurava per intensità, si è sostituita la percezione seriale del digitale che si misura per estensività [deformazione] e la stessa attenzione che viene costantemente sollecitata diventa però nello stesso tempo piatta. Non per nulla sono insorte nuove patologie come il “deficit da attenzione” in quanto la digitalizzazione rafforza l'attitudine al seriale sia in entrata che in uscita: produzione e consumo.

Pensiamo poi solamente al fatto che, alla luce dei crescenti problemi di concentrazione negli studenti, a livello pedagogico si sta studiando l'introduzione di una nuova materia che in italiano si potrebbe chiamare “Studi Rituali” per praticare nuovamente la ripetitività dei riti in forma culturale [vedi Turcke in “La società eccitata”] . E rendiamoci anche conto che, ora come ora, negli USA stanno curando questo diffuso deficit a suon di pastiglie e pillole….

Io vedrei benissimo, in questo ipotetico contesto pedagogico, l'inserimento della fotografia analogica come “esercizio pratico” [processo] proprio perché ci sarebbe la possibilità di conoscerla [accasamento] e praticarla [ripetitività] in maniera totalmente avulsa da qualsiasi connessione alla produttività oppure al risultato. Quello poi, casomai, sarebbe uno step di molto successivo e da lasciare sviluppare nella massima autonomia ai soli soggetti interessati, fuori dalle strutture didattiche.

p.s.
Per tutto il resto (il tuo link ad un'altra discussione) io eviterei di far rientrare dalla finestra ciò che è stato cortesemente accompagnato alla porta. Ribadisco soltanto che sono due argomenti distinti e se qualcuno non lo capisce oppure ha l'attitudine a mescolare senza criterio fisiologia, epistemologia e metafisica una volta che ne ho preso atto per me amici come prima.

avatarjunior
inviato il 11 Settembre 2023 ore 15:51

[Appunti… legali]

In questo topic sulla fotografia ho voluto, per deliberata scelta, omettere di trattare del tutto le questioni moralistiche (bigotte o meno che siano) e quindi mi sono tenuto distante anni luce anche da tutto ciò che, in fotografia, possa essere considerato mistificatorio rispetto alla realtà stessa. Cionondimeno ho insistito sulla profonda connessione-innamoramento della fotografia, come processo, per la realtà.

Un ulteriore spunto di riflessione, sempre speculativo, può esserci dato dalla distinzione tra REGOLE e LEGGI. La tesi è la seguente: la fotografia [analogica] era piena di regole che l'approdo al digitale ha trasformato in leggi. A prima vista la cosa può risultare anti-deduttiva ma provo a spiegarmi.

La fotografia analogica era un processo integrato e rituale, a suo modo MOLTO ingessato da alcune regole formali e, queste regole, erano seguite con una “passione” per le stesse anche quando le si trasgrediva per metterne alla prova l'efficacia. Per offrire una per quanto vaga analogia si pensi al rito del té giapponese dove il formalismo annesso alla cerimonia stessa non viene mai “interiorizzato” psicologicamente ma semplicemente scrupolosamente seguito. Siamo all'interno dell'impero dei SEGNI, del REALE SENZA ELUCUBRAZIONI SUL REALE, senza significato trascendente (soprattuto morale).

Le regole si tramutano in leggi, invece, quando ad esse viene attribuita un'istanza trascendente [dio, Stato, società, giustizia, esistenza, comunicazione] capace di imporre costrizioni o emanare divieti. Il piacere che deriva dall'osservazione della regola durante "un rito" è sostituito dall'obbedienza cieca per un qualcosa che, se viene trasgredito, allora implica l'espulsione tout-court dal “sistema” o comunque una punizione redentoria. Le regole si seguono, alle leggi si obbedisce, detto in estrema sintesi.

La connessione di questo tema alla fotografia digitale è contro-intuitiva perché, lo sganciamento dai vincoli dell'analogico [così ingessato] , in teoria avrebbe dovuto accrescere il senso di libertà offerto dal mezzo se non fosse che, questa maggiore esuberanza [in potenziale] del digitale ha anche MESSO A NUDO la futilità della “cosa” contenuta nel “rito” [come involucro] e cioè dell'immagine in sé per sé. Ma, d'altra parte, cosa rimarrebbe del complicatissimo rito del té giapponese se lo ponessimo al di fuori del rito stesso?

La privazione della “struttura formale” intrinseca alla fotografia analogica ha liberato, è verissimo, la fotografia [processo] dalle sue regole ma soltanto per catapultarla in un mondo di leggi che sono le leggi del digitale e della s-materializzazione e NON PIÙ le regole della fotografia. Si può fare esperienza di ciò ogni giorno, in proprio, misurando su se stessi quanto siano più “costringenti” le leggi del digitale, sempre ammesso che in quel mondo si voglia aver diritto di cittadinanza.


avatarsenior
inviato il 11 Settembre 2023 ore 16:00

Sulla cerimonia del tè formale (perché ne esistono 3 versioni) e l'assenza di interiorizzazione morale, non hai incluso l'essenza del Vuoto.
Senza questa specifica, e senza i precetti, 4 , della cerimonia, che sia anfitrione che ospiti dovrebbero seguire, il rituale manca di profondità.
Ovviamente cito la tradizione Nipponica, esistono anche in altri paesi, es. Cina.

avatarjunior
inviato il 11 Settembre 2023 ore 17:02

@Juan Luca

Si, hai ragione. Diciamo che per brevità, visto che era solo un'analogia, ho dato per scontato 2 cose: la prima è che chi conosce il rito del tè nel dettaglio avrebbe capito ugualmente, la seconda è che per tutti gli altri sarebbe stato ancora piu complesso afferrare il senso del paragone se avessi aggiunto anche il Vuoto oppure i diversi gradi di formalismo.

avatarsenior
inviato il 11 Settembre 2023 ore 17:16

Il vuoto è per lo Zen quello che è lo zero per la matematica. Direi che l'esercizio giusto per comprendere la non-mente e anche la fotografia che credo tu vuoi usare siano gli Enso.

avatarjunior
inviato il 11 Settembre 2023 ore 17:46

Per ragioni geografiche, avendo io una forma-mentis occidentale, rimango più legato all'Uruboro, archetipo junghiano già presente in alchimia. Sul piano concettuale sarebbe l'equivalente degli Enso ad Oriente.
Purtroppo entrare maggiormente nel dettaglio ci porterebbe troppo lontano. Perché il nostro vuoto è davvero vuoto mentre il loro è pieno, perché il nostro vuoto è nero mentre il loro è bianco, ...
Adoro il pensiero orientale, quello classico/tradizionale s'intende, ma come Hermann Hesse diceva, penso che "indossarlo" sia per noi praticamente impossibile.


avatarjunior
inviato il 12 Settembre 2023 ore 8:27

[appunti... storico-digitali]


avatarsupporter
inviato il 12 Settembre 2023 ore 9:17

Un po' come dire: una volta che si andava a piedi col fagottino sulla schiena e le povere cose dentro, godendo dei tramonti, della guazza mattutina, delle bacche e dei frutti di bosco gustati durante il cammino: quello si che era vero "viaggiare".

Oggi in autostrada, col SUV pluriaccessoriato e la meta raggiunta in due minuti, si potrà mica chiamare "viaggiare"??

È una posizione che ha ovviamente il suo fascino, ma i due modi di viaggiare possono coesistere ed avere entrambi dignità.
Dipende dai fini del viaggiare.

Esistono poi molti modi di "viaggiare": in bici, in treno, in barca a vela .... io credo che quello che dovrebbe essere importante è non decidere a priori cosa sia o non sia "viaggiare" perché a prescindere dal mezzo, è ciò che abbiamo dentro che definisce il "viaggiare". È la nostra personale ricchezza interiore che rende il "viaggiare" una esperienza che arricchisce o meno, a prescindere dal mezzo.

Che cosa ne pensi di questo argomento?


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