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La giraffa innamorata


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La giraffa innamorata, testo e foto by Marro. Pubblicato il 10 Aprile 2018; 6 risposte, 2256 visite.


Nel 2015 con il solito gruppo facciamo un viaggio di 20 giorni in Tanzania. Quelli che seguiranno saranno racconti sparsi scritti al ritorno. buona lettura.

Sono dodici anni che viaggio sempre con la stessa compagnia. A qualcuno le modalità con cui noi decidiamo di viaggiare piacciono, ad altri meno. Qualcuno prova invidia, qualcun altro quasi tenerezza. Non tutti i viaggi hanno avuto lo stesso indice di gradimento, ma mai nessun viaggio si è rivelato brutto o inutile. Tra le tante particolarità di questo tipo di viaggi ce ne è una che mi piace parecchio: in tre settimane abbiamo l'opportunità di legare cose improbabili. Mi piace il fatto che all'interno dello stesso viaggio ci sia spazio per fare e vedere tante cose, magari diversissime tra loro. Nel nostro primo viaggio, per capirci, visitammo il famoso Prater di Vienna (un luna Park), il quartieri a luci di rosse di Amsterdam, il muro di Berlino e i campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau. Ecco. Questa cosa mi piace perché io credo di essere come un dado con molte facce, anche se spesso mi rendo conto che le persone si concentrano solo su alcuni aspetti. Chi scava invece, per fortuna, vede anche altro. Accanto ad una vena malinconica e riflessiva c'è anche tanta voglia di leggerezza e amore per la vita. Quest'anno meta del nostro viaggio è stata la Tanzania.Il 20 Luglio appena atterrati nella capitale Dar es Salam, ci dirigiamo alla stazione dei bus, direzione Arusha, dove cominceremo il nostro viaggio tra parchi nazionali. Continueremo con Masai (autentici e ballerini), trekking, montagne e mare, proprio alla ricerca della diversità e varietà di cui sopra. Questa è una delle prime foto fatte dal bus. Il primo giorno sarà solo di viaggio. Buona strada.



Jallalah è il grande burattinaio. Chiba e Cracco, invece, sono le marionette che ci accompagneranno in una settimana tra safari e villaggi. Dopo aver visitato il Lake Manyara National Park il 22 luglio partiamo alla volta di Gilai Bomba. C'è molta curiosità per questo posto dimenticato da internet e dalla Lonely planet. Avevamo chiesto di poter fare un'esperienza con i Masai che fosse diversa dalle solite inserite nei percorsi turistici e che qualcuno di noi aveva già fatto in Kenya. Non volevamo che ci proponessero braccialetti, balli e lezioni su come accendere un fuoco. Che ci aspetti un'esperienza diversa lo intuiamo durante il viaggio. La Jeep sobbalza in terre aride in cui i Masai portano le mucche a pascolare mentre noi proviamo a fare foto dal finestrino. Mangiamo per strada, polvere e cibo, prima di arrivare ai piedi di una montagna sacra.


Una volta a Gilai Bomba, Chiba suona il clacson davanti alla cosa più simile ad una casa. Dopo qualche minuto, appena svegliatosi dal suo sonnellino pomeridiano, arriva Ciao Core (quest'anno andrò forte con i soprannomi) che ospiterà per una notte noi e le nostre tende nel proprio “giardino”. Prima che anche il sole si dimentichi di Gilai Bomba abbiamo il tempo per scalare una montagna, sventare una truffa e conoscere giovani pastori.
Insospettabilmente sarà proprio qui, dove non ci sono macchine, strade, case e pc che ci faremo la nostra prima doccia calda del viaggio: Ciao Core spacca la legna e la mette ad ardere nel più strano ma efficace scaldabagno che io abbia mai visto…



Cala la notte al Serengeti e mi diverto a fare il verso della iena. Ci allontaniamo un poco dalle tende e con le torce illuminiamo qua e là. Vediamo piccoli occhi che brillano e orecchie grandi. Pensiamo sia uno sciacallo, ma in realtà è un coniglio, che non ci aspettavamo di vedere in questa porzione di mondo. Continuiamo a camminare e illuminare. Ricordiamo i discorsi di Mike e quelli di Chiba: è importante vedere quanto gli occhi che brillano nella notte siano distanti tra loro e a che altezza si ergono da terra. Solo così possiamo capire chi abbiamo davanti e come regolarci. Se mai dovessimo vedere un leone, per esempio, le regole sono piuttosto semplici: non avere paura, continuare a illuminargli il viso, indietreggiare senza dargli le spalle. Mi viene in mente anche il Borneo, dove Adi ci invitava a trovare vicino la barca in cui dormivamo gli occhi dei coccodrilli, quasi potessero conciliare il sonno. Ad un certo punto, però, vediamo due occhi abbastanza distanti tra loro. E poi altri due. Forse sono due iene, ma non ne siamo convinti. Ci avviciniamo. Quegli occhi continuano a guardarci, noi continuiamo a non capire cosa siano. Sono dannatamente troppo grandi e distanti. Forse è più comune di quanto si pensi sbagliarsi nel leggere gli occhi di qualcuno. Forse è sempre e comunque meglio non dare le spalle a niente e affrontare tutto di petto. Sta di fatto che, dimentichi di tutto, corriamo all'impazzata verso il bagno. Roba che Bolt non avrebbe fatto di meglio.



Il mal d'Africa di solito arriva come un pugno nello stomaco quando meno te lo aspetti. Non so perché succede e se per tutti funziona così. Fai le solite cose nella solita vita e, prima di dormire, raffiorano i ricordi.
Si accendono nella testa ad intermittenza e in ordine sparso frasi, visi, azioni. E sei lì a interrogarti sul senso di parte di ciò che ti circonda, che a volte ti attraversa e altre ti sfiora.
Il mal d'Africa arriva quando ti riconosci in una foto a parlare con un bambino. Succede perchè a centinaia di chilometri dal tuo ufficio c'è un altro ufficio in smobilitazione e una scheda casualmente rivela il suo contenuto mentre la macchinetta sbuffa per un ultimo caffè.
Il mal d'Africa arriva in una fredda serata d'autunno. La pioggia bagna la strada, i clacson delle auto provano ad essere di intralcio ai pensieri.
Il giovane vecchio, quando arriva il male, esce sul balcone, guarda distrattamente quella parte della città eterna e si accende una sigaretta. Per te è diverso: a te le sigarette non sono mai piaciute. Scrivere allora è la tua risposta al male: il timido tentativo di delineare qualcosa che non si può descrivere.
Il mal d'Africa arriva quando sale un po' di intolleranza. Quando ti accorgi che non sono la tua tazza da the le persone che non rispondono al telefono, quelle che non pagano, quelle che cercano scuse, quelle che ti parlano di loro quando gli parli di te e che ti parlano di te quando gli parli di loro, quelle che si preoccupano dei mostrini ma non della sostanza, quelle che non sanno ridere e quelle che non sanno piangere, quelle con le spalle coperte e quelle con le scuse buone.
Parallelamente il mal d'Africa arriva anche quando i livelli di consapevolezza sono altissimi. Stai bene, sei lucido nel valutare comportamenti propri ed altrui. Hai quel necessario distacco da persone e cose che sei un porcospino che non muore di freddo ne si ferisce. Sì, anche con un livello di consapevolezza del genere arriva il male. E ti ritrovi a rivedere un tramonto, a sentire un ruggito, a perderti in uno sguardo, in un sorriso non inquinato e in qualche domanda banale che poi banale non è. “Che significato ha questa canzone?” vi dicono i bambini della scuola dopo che avete canticchiato Azzurro. E vi guardate, abbozzate una spiegazione e siete anche bravi in fondo, ma tralasciate quel treno dei desideri che all'incontrario va. Il mal d'Africa arriva quando viaggi comodo in macchina, ti chiamano al telefono e non devi neanche toccare il cellulare. Pensi allora a Chiba che ci parlava dentro neanche fosse stato un microfono.


Pensi al suo sguardo stanco di quella terra e ne rivedi tanti simili. Li rivedi nel viaggio della speranza da Pemba a Zanzibar. Nove ore di nave per fare un centinaio di chilometri. Tutti stretti e ciondolanti, con una gallina e qualche sogno attaccati ad una corda.


Il mal d'Africa arriva quando al bar ti servono il caffè. Chi non sa quanto può ti ricorda un libro e il suo autore. E ti viene in mente una citazione di quell'autore che alle Usambara non avevi riconosciuto. Forse perché era cambiata e spezzata (“beata la giraffa che ha il cuore lontano dai pensieri”), o forse perché eri concentrato su altro e, specchiandoti negli altri, avevi riflettuto sul passato e pensato che, in certe situazioni, te stesso e non qualcun altro è il più grande nemico da cui guardarsi.
Il mal d'Africa arriva quando ci si sveglia al mattino. Rimbalza la frase del giovane vecchio che accompagna tutte le vostre partenze: “Non rubate tutto al sonno”. E allora ti viene da pensare se sei stato abbastanza bravo a dormire. Ti viene da pensare alle notti in tenda. Ai dieci gradi di Ngoro Ngoro. A “ciao core” che rideva, a “tutto bene” che voleva sposartie si toccava il seno, a “Cracco” che chiedeva come era il cibo, e al “Merda” che voleva diventare ciò che non era. Ti viene da pensare se hai rubato tutto al sonno. Ti viene da pensare se hai rubato tutto alle tue forze. Forse nella partita sulla spiaggia con i bambini potevi correre di più, certo, ma a che pro? Era bello vederli felici. Correre dietro una palla, levarsi la maglia per stare nella vostra squadra, abbracciarsi ed abbracciarvi per un goal in quel campo che il mare avrebbe portato via con sé.


Ti viene da pensare se hai rubato tutto alla fame, ma realizzi subito che hai mangiato il giusto. Ti viene da pensare se hai rubato tutto alla sicurezza. Ma di paura non ne hai avuta. Come nella vita sei passato per strade tortuose e impolverate. Forse non erano le strade giuste, ma di sicuro erano le più adatte. Allora intanto sei andato in bagno, ti sei lavato, sei andato in cucina e metti su il caffè. Ti viene da pensare se hai rubato tutto alla memoria. E pensi che no, tutto sicuramente non lo hai rubato. Ma qualcosa ti manca. Hai provato a fermarlo, con una macchina fotografica, ma ti sei reso conto che è un qualcosa che non può essere né pellicola né pixel. Poi arriva il caffè e capisci che è giusto così. Non si può sapere, avere, capire tutto. Non si può credere che un viaggio, che sia verso un mondo lontano o verso la felicità finisca troppo presto. Non si può neanche ricordare tutto. Però una cosa, quando bevi il caffè, te la ricordi. È quella citazione. Che in fondo sta bene con tutti quei pensieri che, come marmo da scolpire, sono indefiniti ma belli. La giraffa ha il cuore lontano dai pensieri, si è innamorata ieri e ancora non lo sa. Jambo.




Risposte e commenti


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avatarjunior
inviato il 19 Aprile 2018 ore 21:07

Che dire, senza parole. Reportage bellissimo, testo poetico e introspettivo che sposa benissimo il contenuto. Bravo, bravo, bravo!

avatarjunior
inviato il 25 Aprile 2018 ore 19:26

Ciao David,
E sempre un piacere leggerti e tuffarsi per un attimo nei tuoi pensieri e nelle tue esperienze di viaggio.

Il mal d'Africa l'ho conosciuto anch'io, La metà delle mie ferie le ho passate in quel continente, che di nero ha solo il nome e che tutte le volte ti riempie la mente di ricordi colorati.

Un saluto da Castif

avatarsenior
inviato il 25 Aprile 2018 ore 20:56

Bellissimo!!

avatarjunior
inviato il 26 Aprile 2018 ore 7:49

Al di là delle foto che si fanno apprezzare molto, questo racconto (come pochi altri qui sul forum) mi ha davvero toccato il cuore. Che nel mio caso è forse anche troppo vicino ai pensieri.
altMatt

avatarsenior
inviato il 09 Agosto 2018 ore 14:31

Eeeek!!!

avatarsenior
inviato il 18 Settembre 2019 ore 12:47

Straordinario...

Bravo!!!





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