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Made in Turkey, parte II


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Made in Turkey, parte II, testo e foto by Taranis. Pubblicato il 22 Giugno 2015; 33 risposte, 5305 visite.


La prima parte finisce quando lasciamo la Cappadocia; ora nostra avventura in Turchia continua! (potete trovare qui la prima parte: Made in Turkey')

La strada ci ha condotto verso sud, lontano dai colori vividi della cappadocia, svaniti definitivamente ai nostri occhi quando abbiamo deciso di calarci nelle tenebre delle profondità recondite di Derinkuyu, una delle misteriose città sotterranee dell'Anatolia centrale. Terminata l'escursione, quando riemergiamo all'aria aperta, sotto un cielo incerto, riprendiamo la strada verso la valle di Ilhara.
Attraversiamo il vasto altopiano Anatolico che si perde fino all'orizzonte e scopriamo che cela un antico segreto, non si tratta, infatti, di una semplice pianura ma, ci rendiamo conto che, stiamo osservando quello che fu un antico campo vulcanico. Piccoli coni estinti spezzano la piatta linea d'orizzonte, emergendo un pò ovunque dalla noiosa monotonia dell'altopiano.
Decidiamo di rubare qualche minuto al viaggio per fare una breve passeggiata, sotto la pioggia, ed osservare la distesa lavica ancora oggi piuttosto brulla e coperta da una sporadica vegetazione. Improvvisamente un agricoltore a bordo di trattore ci viene incontro con fare poco amichevole eppoi ci insegue fino alla macchina, urlandoci contro qualcosa di incomprensibile. Meglio soprassedere e non cercare di chiarire l'equivoco, preferiamo tagliare la corda, dal suo aspetto e dal tono della voce, non sembrerebbe avere intenzioni troppo amichevoli.
Frettolosamente riguadagniamo la statale e ci allontaniamo.

I PRECARI EQUILIBRI DI IHLARA

Dopo questo incontro un pò sopra le righe raggiungiamo la valle di Ilhara, un profondo canyon scavato dalla forza dell'acqua nel tavolato tufaceo.
Anche qui, come a Zelve, trovò rifugio una comunità di monaci protocristiani che si prodigarono nello scavare numerosi luoghi di culto, almeno così si legge su alcuni pannelli illustrativi che sono piazzati proprio all'ingresso della valle.
Ad accoglierci troviamo una lunga scalinata conduce fino sul fondo dove scorre il torrente Melendiz, l'artefice di questa ferita sull'altopiano.




La valle si estende per circa 20 chilometri e lungo tutto il sentiero che l'attraversa, dall'inizio alla fine, si possono ammirare strutture scavate dall'uomo. Ad essere segnalate, però, sono solo le chiese più importanti, quelle con rappresentazioni pittoriche di santi ed apostoli ma si possono ammirare ed esplorare ovunque le abitazioni e le costruzioni scavate nei fianchi, in verità piuttosto cedevoli, della valle. Pur trovandoci a circa cinquanta chilometri dalla zona di Goreme, osserviamo che in gioco ci sono le stesse forze. Si tratta sempre dello stesso tufo vulcanico, leggero, poroso e poco incline alla verticalità. Segni di crolli e grossi massi giacciono in ogni angolo della valle ed è come se la terra stesse cambiando pelle, sfogliandosi, si frattura e si lascia cadere. Ilhara è grande una cicatrice che non si rimarginerà mai. Camminiamo tra pietre rosse, sono gli ossidi che trionfano, che tingono le rocce del colore del sangue, il sangue della terra.
Il ferro, eruttato dagli antichi vulcani, appena entra in contatto con l'ossigeno atmosferico si ossida. Così la pietra diviene polvere e si sgretola. E' la normalità, è la freccia del tempo che punta sempre nella stessa direzione e non lascia scampo.
Il sentiero si snoda su entrambe le sponde del fiume Melendiz e permette la scoperta delle mille abitazioni scavate nei fianchi della gola, come in un labirinto, giochiamo ad esplorare le tante stanze scoprendo dipinti e numerose fosse che contenevano i resti dei defunti, seppelliti sotto i pavimenti.
Incontriamo degli operai che lavorano sulla scala in ferro che consentiva l'accesso ad una delle chiese più importanti di tutto il sito. Ormai quella scala non esiste più, stritolata dalla madre terra che reclama il suo regno. Una grossa porzione della parete sovrastante, infatti, si è staccata travolgendo qualsiasi cosa avesse incontrato nel suo precipitare verso il fondo valle.




Ad una simile vista veniamo colti da un senso di precarietà mai provato prima, nemmeno durante la visita nelle profondità oscure di Derinkuyu. Improvvisamente ci rendiamo conto di quanto, tutto in questo luogo, sia in precario equilibrio. Ci fermiamo ad osservare con maggiore attenzione l'ambiente in cui ci troviamo e cominciamo a notare tutte le ferite aperte dai crolli recenti e come per magia compaiono alla vista alberi spezzati e fratture di colore vivido, segno di un'esposizione all'aria molto recente. Quando finalmente risaliamo i quasi ottocento gradini ci sentiamo inconsciamente più sollevati.
E' stato tutto bellissimo ma la consapevolezza di non avere dei grossi massi in equilibrio precario sulle nostre teste ci restuituisce un pizzico di quella tranquillità perduta.

PUNTO D'INCONTRO

Ci rimettiamo in viaggio e sfiliamo attraverso Ihlara, Belisama ed infine Selime dove, complice una improvviso arcobaleno, ci fermiamo per fare qualche scatto. Un fuoco scoppietta allegramente e mentre curiosiamo un pò veniamo invitati ed ospitati da una famiglia intenta nel preparare il pekmez, la melassa d'uva che in Turchia è usato come dolcificante naturale. Troviamo gli uomini di casa che stanno attizzando e ravvivando il fuoco, alimentandolo con le potature delle viti. Un bel fuoco vivace brucia sotto un grande pentolone di rame inserito in un buco nel terreno. Inizialmente sembrano tutti un pò timidi ma sono comunque amichevoli, lo si può intuire dai loro sguardi curiosi. Uno di loro, in particolare, sembra più loquace e desideroso di mostrarci la sua casa e il frutto del loro duro lavoro. Mi muovo con molta cautela, in fondo sono io ad essere l'intruso che, con il pretesto di una foto, si è introdotto in casa loro ma sono comunque troppo curioso per tirarmi indietro. Un pò più titubante è la mia ragazza che resta qualche passo indietro ma è una situazione in rapido divenire. Serve qualche scatto per rompere il ghiaccio ed ecco che partono le prime offerte di doni e di amicizia. Orgogliosamente ci fanno assaggiare il prodotto delle loro fatiche, il pekmez è di un bel colore ambrato, simile al miele ed è buonissimo. Il linguaggio del cibo è universale e il buon gusto unisce ciò che gli idiomi tendono a separare. Cerchiamo di spiegarci tra italiano, turco ed inglese ma sono tutti tentativi che non portano assolutamente a nulla. Più potente sembra essere il linguaggio, ancestrale, dei gesti, così ci ritroviamo a vivere una scena surreale ma poi pian piano tutti sembrano sciogliersi un pò di più. Ci mostriamo i documenti di identità vicendevolmente per presentarci, una scena buffissima e quando leggono la mia data di nascita si mostrano increduli, mi giudicano un ragazzo e posso capirli, alcuni di loro hanno solo qualche anno più di me ma il duro lavoro nei campi con il sole, il vento, il sudore e la fatica ha lasciato testimonianze profonde sui loro volti. Passano i minuti e pian piano il piccolo spiazzo infangato si anima. Dalle abitazioni circostanti si fanno avanti anche gli altri componenti di quella che intuiamo essere un'unica grande famiglia.






Alla fine arrivano anche le donne di casa e sono proprio loro le addette alla preparazione della melassa in fase di cottura.
Sono tutte sorelle, non servono documenti, per capirlo ci basta osservare il loro aspetto infatti si somigliano tutte! Anzi somigliano tutte alla matriarca che, orgogliosamente, arriva in compagnia del marito, in apparenza un burbero omone di, un ormai festoso, clan. Dopo alcuni minuti è tutto uno scambio di abbracci e di regali. Generosamente insistono per offrirci quello che hanno, mele, uva e un barattolo di melassa e confessiamo che sono tutti regali ben accetti. A questo punto vogliamo regalare qualcosa anche noi, abbiamo delle caramelle e ci sembra un pò poco, non vorremo fare fare la figura degli italiani spilorci, poi mi ricordo di avere in macchina la torcia frontale che abbiamo usato nei cunicoli della Cappadocia. La porgo ma tutti sembrano considerarlo troppo per un pò di frutta e un barattolo di dolcificante e dopo un pò insistenza una donna, la più vispa, la prende, la indossa e la porta via contenta.
E' il sabato del villaggio e ci rendiamo conto di essere l'anomalia che spezza la monotonia di un pomeriggio qualsiasi e in breve tutto il vicinato si riunisce nell'aia cercando un modo di fare conversazione con gli "stranieri".
Alla fine si fà avanti una donna che parla un pò d'inglese e finalmente riusciamo a raccontarci un pò di cose, delle nostre vite, di noi.
Dopo la ritrosia iniziale sembra che tutti vogliano una foto ricordo, che abbiano voglia di raccontarci di loro e delle loro vite. Tutti si mettono in posa, i fratelli tra loro, poi i cognati, le sorelle eppoi le generazioni a confronto per giungere al gran finale con una bella foto di gruppo.




Avevamo in programma di raggiungere Konya per l'ora di cena e invece due ore dopo siamo ancora a Selime a girare la melassa prima di metterla nei vasi di vetro. Francamente ci eravamo anche dimenticati di Konya. Ormai non siamo più cristiani, musulmani, occidentali o turchi. Queste sono tutte definizioni che hanno perso di significato, siamo semplicemente persone che cercano di comunicare per conoscersi senza definizioni preconcette. Quando comincia a scendere la sera ci scambiamo gli indirizzi e i contatti facebook e ripartiamo. Ogni incontro si spera possa essere un arrivederci.

L'ALTRA TURCHIA

Risaliamo in macchina molto contenti, convinti di aver passato un pomeriggio diverso, di aver vissuto momenti un pò più veri, quelli che il turismo da torpedone non potrà mai concedere. Purtroppo la pausa imprevista ci costringe a rivedere il nostro percorso verso Pamukkale. Saltiamo Konya e ci addentriamo in una Turchia che non è segnata nemmeno sulle guide, ci fermiamo a dormire in un motel trovato insperatamente lungo la strada. Purtroppo, vista l'ora, non è che avessimo molte possibilità di scelta e quindi non siamo potuti andare troppo per il sottile. Diciamo solo che al sorgere del sole siamo già pronti con i nostri bagagli per ripartire e dimenticare in fretta la "precaria" parentesi notturna.
Nella fretta della rocambolesca partenza ci dimentichiamo di fare colazione così dopo qualche chilometro ci fermiamo ad Ilgin. Trovato un bancomat ci mettiamo alla ricerca di qualcosa da mangiare e finalmente troviamo un forno dove ci regalano il pane e una focaccia mentre curiosando nel negozio di caramelle adiacente i proprietari ci permettono di assistere alla preparazione dei lokum turkish delight, loro specialità, dalla cottura fino al confezionamento.
Continuiamo a scoprire un mondo al rovescio abitato da gente fiera a cui l'orgoglio per la loro terra non gli permette di accettare denaro.
La Turchia non smette mai sorprenderci.




Con il pane caldo ed una scatola di caramelle ci rimettiamo in movimento e scavalchiamo le montagne raggiungendo la regione dei laghi ma il brutto tempo rende il grande specchio d'acqua poco attraente e grigio come il cemento.
Maciniamo chilometri attraverso la parte occidentale dell'Anatolia cimentandoci in una lunga tappa di trasferimento. Sfiliamo sulle sponde dell'Egirdir Golu mentre centinaia di persone sono impegnate nella raccolta delle mele eppoi raggiungiamo la piana di Isparta, la città delle rose per poi giungere nel tardo pomeriggio a Pamukkale.

PAMUKKALE: MOLTO RUMORE PER NULLA

Una larga superstrada conduce ad una delle meraviglie naturali dell'Anatolia.
In lontananza il candore abbacinante del monte di cotone ci indica la direzione giusta come un faro. Un portale un pò kitsch ci dà il benvenuto al sito e la strada ci conduce fin dove il travertino sfiora l'asfalto.
Parlando di Pamukkale da dove vogliamo iniziare? Visto la grande passione che nutrivano i Romani per le acque e per le terme non ci stupisce il fatto che abbiano deciso di fondare una città proprio dove le sorgenti termali sgorgavano e, pilotando in maniera attenta le acque, contribuirono a creare quella meraviglia della natura che è il monte di cotone, perchè pamukkale significa proprio questo, una gigantesca cascata bianca formata da onde di travertino o carbonato di calcio che dir si voglia. Frotte di turisti si affollano sulla lunga strada che è stata scavata sul fianco della montagna per raggiungene la sommità. Vorremmo andare anche noi ma siamo quasi al termine della giornata preferiamo gustarci il tramonto e rimandare la visita al mattino successivo.




Quando scende la sera, la grande folla, rumorosamente, sparisce risucchiata sui bus che li riconducono chissà dove. Ci aggiriamo tra i pochi negozi aperti in una desolazione che ha tanto il sapore della fine della festa, quando tutti vanno via lasciando la tavola in disordine. La giornata finisce prima dell'imbrunire e la città costruita di fronte al "luna park" rimane desolatamente vuota. Siamo rimasti veramente in pochi e possiamo finalmente osservare, con calma, tutto il panorama che si stende davanti ai nostri occhi.
I romani costruirono la città, Hierapolis, proprio dove le sorgenti sgorgano dal sottosuolo e ne convogliarono le acque nelle terme che nel tempo divennero famose in tutto il mondo antico. La acque scorrrendo via nella scarpata depositarono il loro contenuto di carbonato di calcio generando l'imponente bancata di travertino bianco che possiamo ammirare ancora oggi. Con il trascorrere dei millenni si sono formate innumerevoli pozze a causa della lenta decantazione delle acque sature di minerali, formando un gioco infinito di cascatelle e piscine.
Purtroppo, come molte meraviglie naturali, il delicato equilibrio che ha permesso la nascita e la formazione di una simile struttura geologica, ha mal sopportato la dirompente onda d'urto del turismo di massa. Per mitigare l'impatto dell'esercito di visitatori che accorre a Pummukale da tutto il mondo durante tutto l'anno, si è provveduto alla costruzione di vasche in cemento che surrogassero le originali.
Tutto giusto, tutto bello ma tutto finto ed è questo, per noi, una grande delusione.





Quando al mattino accediamo al sito ci troviamo immersi in una folla rumorosa alla cerca del proprio attimo di gloria. Ci dirigiamo verso la sommità del monte confusi nella variopinta multitudine umana, tra cinesi che si arrampicano per scattare la foto della vita inseguiti dalle guardie turche ed improbabili russe che, si improvvisano modelle in pose plastiche, per farsi ritrarre, come star, sulla croisette di Cannes.
Assistiamo a scene al limite del trash e non è per snobbismo ideologico ma in alcuni frangenti ci troviamo in imbarazzo per loro.
Viste le premesse, purtroppo, non tardiamo a scoprire che le terme sono una delusione. Ormai non rimane nulla dell'antico fascino descritto nelle guide, quello che troviamo sono solo centinaia di persone che si crogiolano come balene spiaggiate scattando selfie a testimonianza del loro passaggio su questa terra.




Il resto delle vasche, quelle naturali, sono per la maggior parte desolatamente a secco. L'unica acqua che scorre è quella convogliata forzatamente nelle nuove strutture di cemento, pochi altri piccoli rivoli scivolano via e perdendosi verso il basso. Siamo un pò delusi, anzi parecchio, perchè da questa visita ci aspettavamo qualcosa di diverso, qualcosa di meglio.




Numerose foto descrivevano un luogo unico, con acqua turchese e vasche in cui immergersi. La realtà, invece, si è dimostrata diversa e ben più triste. L'acqua è si turchese ma è veramente poca, troppo poca. Inoltre, scopriamo che per immergersi nei bagni di Afrodite e nuotare tra i resti delle colonne ed architravi romani bisogna pagare un altro biglietto supplementare con tanto di tornello prima dell'ingresso in acqua ed inoltre sono talmente affollate da far perdere ogni minima traccia di romanticismo.
Saremo eccessivi ma ci rendiamo conto di aver visto abbastanza così decidiamo di abbandonare la piscina termale per recarci a visitare il sito archeologico con il suo teatro ottimamente conservato.




La città di Hierapolis, se paragonata alle piscine, è praticamenete deserta e così possiamo scorrazzare in lungo e in largo a nostro piacimento. Nel girovagare fra gli antichi resti scopriamo due grosse tubazioni che, da qui, convogliano le acque verso gli alberghi e le spa che, più a valle, circondano il sito. Capiamo così che l'acqua non è scomparsa anzi sgorga ancora dalle diciassette sorgenti che alimentavano le antiche terme, semplicemente ora finisce altrove. Ecco finalmente trovata la spiegazione del mistero. Scoprire questa amara verità mi fà pensare, con rammarico, che per spingerci fin qui abbiamo cancellato la tappa al Nemrut Dagi ed osservare i primi raggi di sole insinuarsi tra le gigantesche statue del mausoleo di Antioco I. Meglio non pensarci. La delusione cocente ci ha tolto entusiamo e quindi, terminata la visita agli antichi resti della città romana, scendiamo, verso l'albergo per radunare i nostri bagagli ed andare via.

AFYONKARAHISAR ED ALTRE STORIE

Circumnavighiamo su una strada sterrata l'Acigol, un lago alcalino che ospita una colonia di fenicotteri che riusciamo ad intravvedere solo in lontananza ed iniziamo a virare verso nord. Dobbiamo puntare verso Instanbul, il nostro peregrinare attraverso l'Anatolia sta volgendo rapidamente al termine. Decidiamo di fare una tappa a Afyonkonisar, la capitale mondiale del papavero da oppio.
Nella piana che circonda la città, infatti, viene coltivata quasi la metà della produzione mondiale legale di papavero da oppio utilizzato dall'industria farmaceutica. La città è, come tutta la Turchia, in rapida crescita, ancorchè il nucleo storico sia ancora aggrappato intorno al grande sperone roccioso che domina la città vecchia. Decidiamo di raggiungere la sommità, dove una volta era ospitata un'antica fortezza oggi in rovina. E' un luogo simbolico per tutta la turchia, qui fece tappa Kemal Ataturk, il padre della patria, che viene ricordato quasi ad ogni angolo di strada. Per arrivare in cima ci sono circa 700 gradini e la rocca domina la città dai i suoi oltre duecento metri. Non incontriamo molti turisti e quando giungiamo in cima saremo circa una decina in tutto. Arrivare sulla sommità, a dispetto dei numerosi gradini, non è una gran fatica, anche se, tuttora, la mia ragazza non è pienamente d'accordo con me anche se concorda che la vista dall'alto ripaga tutti gli sforzi fatti. Dalle possenti mura è possibile dominare la città e con lo sguardo si può spaziare tutto intono per molti chilometri. Guardando giù si intuisce immediatamente quanto potesse essere complicato espugnare una simile fortezza aggrappata su questo poderoso sperone vulcanico. Come sempre, su tutto, sventola l'onnipresente bandiera turca che, dal punto più alto, domina e sorveglia la città vecchia. Alcuni ragazzi si scattano foto e in breve facciamo conoscenza. Ci dicono di essere profughi Yaazidi, in fuga dal nord dell'Iraq, in fuga da una guerra assurda e da una barbarie che viene da lontano.




Giusto il tempo di qualche foto, poi ci raccontano della loro fuga dalle loro case e dal massacro che si sta consumando a casa loro, in Iraq. Stride il contrasto tra i nostri destini, noi siamo qui per turismo, loro in fuga. Le nostre strade partite da punti molto lontani si sono incontrate solo per un attimo per poi riprendere ad allontanarsi. Noi torneremo a casa nostra mentre qualcuno di loro raggiungerà la Germania mentre altri resteranno in attesa del visto che garantirà loro l'accesso negli Stati Uniti.


Quando il sole comincia ad allungare l'ombra della rocca sulla città cominciamo a ridiscendere i gradini. Nel frattempo, con il sopraggiungere della sera, la città si è animata di un caotico trambusto, piccoli negozi si sono illuminati e le strade sono diventate improvvisamente piene di gente indaffarata nei propri affari. Decidiamo di lasciare la macchina per fare un breve giro, conosciamo Huseyin, un commerciante turco, appassionato fotografo e orgogliosamente fiero della propria città.




Come ogni fotografo è curioso, mi chiede della mia attrezzatura e gliela faccio provare volentieri. Si vede che è ben contento di parlare di macchine ed obiettivi, così tra una chiacchiera e l'altra gentilmente ci offre un tè e qualche dolcetto, ci parla del suo sito e delle bellezze della città e così, senza accorgercene, il pomeriggio si fà sera e dopo esserci salutati ci rechiamo al nostro albergo.
Per la notte ci siamo fatti un regalo, un piccolo strappo alle nostre regole di viaggio. Abbiamo prenotato un albergo a svariate stelle, dalla hall chilometrica e dalla sontuosa facciata in vetro. Non ci vuole molto a capire che siamo leggermente fuori tema con l'ambiente e a bordo della nostra piccola ed impolverata utilitaria disordinatamente carica di bagagli facciamo il nostro ingresso tra le occhiate un pò distratte degli addetti dell'hotel. Abbiamo come l'impressione di essere dei marziani appena atterrati sulla terra ma è una sensazione che dura poco. Ad abituarsi al bello ed alle comodità si fà presto e la stanza è quanto di più moderno abbiamo finora incontrato durante, non solo questo viaggio, ma in tutti quelli che abbiamo fatto negli ultimi anni. Inutile negare che in un letto comodo si dorme decisamente meglio ma niente ci può preparare a quello che ci accoglie quando decidiamo di recarci a fare colazione l'indomani. Veniamo accolti in una grande sala dove troviamo tavole imbandite con ogni ben di dio, anzi forse c'è anche di più. Un pianista, con le sua musica in sottofondo, accompagna ed allieta la nostra colazione ed è il giusto finale per una permanenza che ci ha fatto assaporare uno stile di vacanza che non ci appartiene ma che non possiamo non ricordare come un piacevole e riposante intermezzo in uno dei nostri soliti, faticosi, viaggi. A malincuore abbandoniamo l'albergo e ci rimettiamo in marcia verso nord e, nel caldo sole di una mattina di ottobre, puntiamo verso ad Istanbul.

SI CHIUDE IL CERCHIO

Non ci rimane molto tempo, l'asfalto sfila veloce sotto le ruote della nostra macchina che ben si è comportata in ogni situazione. Ormai ci attende solo un lungo nastro grigio che ci condurrà alla nostra metà finale, fino all'aereoporto.
Tornando verso nord il panorama muta, pian piano abbandoniamo le aride steppe degli altopiani centrali per tornare a vedere la vegetazione mediterranea, dimentichiamo quota mille e ci riavviciniamo al livello del mare dopo diversi giorni. Il traffico si fà più intenso e le lunghe strade deserte sono ormai solo un ricordo. Tutti i cartelli ci indicano la direzione per Istanbul anche se, a noi, sembra non arrivare mai. Palazzi disordinati annunciano che ci stiamo avvicinando alle caotiche periferie della città. Passiamo Izmit, sul mar di Marmara e, nei ricordi, affiorano le immagini del terribile terremoto che distrusse tutta la regione. Ormai di quelle macerie non esiste traccia ed anche le cicatrici sono state sepolte sotto altro cemento che ha cancellato i segni della devastazione ma non la memoria. Vediamo numerose navi che, ordinatamente, attendono al largo prima di attraccare in porto. Il ferro dei tralicci ha sostituito la sinuosa bellezza della natura. Ormai possiamo dimenticare i pinnacoli di cenere vulcanica della Cappadocia, ed alla nostra vista si stagliano, contro l'orizzonte, le ciminiere delle centrali elettriche e dalle torri di raffinazione di un impianto petrolchimico. Anche questa è Turchia.
Passiamo la nostra ultima notte a Korfez, niente di storico ed interessante ma negozi aperti fino a sera, tanti ragazzi e giovani coppie con bambini, segno di un paese proiettato verso il futuro. Avere della Turchia l'idea di una nazione rurale è fuorviante perchè esistono tanti paesi in uno, una pluralità di genti. Una parte della nazione marcia a grande velocità verso la modernità mentre le zone rurali inseguono procedendo a scartamento ridotto, è come se facessero, in un certo senso, attrito.
E' questo lo spaccato di un paese diviso tra la frenesia delle zone turistiche e il profondo attaccamento alle tradizioni delle campagne. I grandi spazi resistono al cambiamento, gli altopiani circondati dai monti del Tauro a Sud e del Ponto a Nord, respingono la ventata di modernità che spira dal mare. E' anche questo il fascino di questa grande nazione in perenne bilico tra gli estremismi di qualsiasi tipo, un paese che spregiudicatamente gioca su molti tavoli, ergendosi a potenza regionale ed arbitro in molte partite che coinvolgono l'Europa e il Medio Oriente e che spregiudicamente strizza l'occhio al potente ed ingombrante vicino Russo.
Quel che ci resta della Turchia sono il cuore millenario di Istanbul, la bellezza arcana ed affascianante della Cappadocia, le suggestioni del lago salato, le claustrofobiche profondità di Derinkuyu ma soprattutto la cordialità e la gentilezza della gente.

Al mattino giunge l'ora di tornare a casa così ci affrettiamo per raggiungere l'aereoporto, riconsegnamo la macchina dopo quasi duemilacinquecento chilometri e tanti momenti magici, nelle valigie piene di disordine portiamo vestiti, sabbia qualche souvenir e tante emozioni
Purtroppo entrando nella zona internazionale dell'aereoporto, poco a poco, svaniscono
anche i sapori e gli odori di questa Turchia, sostituiti dal chiacchiericcio cacofonico di una moltitudine di passeggeri sbadati. Una voce proveniente dagli altoparlanti continua a ripetere, come una litania, i prossimi decolli verso mille destinazioni diverse confondendosi con il rumore di sottofondo della moltitudine di ruote dei trolley che si inseguono, disordinatamente, un pò ovunque.
Stanchi ma felici cerchiamo un angolo dove sederci ed attendere l'annuncio del nostro volo.
Arriviamo così alla fine anche di quest'avventura mentre aspettiamo in nostro aereo, fantisticando fin da oggi, sulla nostra prossima partenza.

APPUNTI DI VIAGGIO

La Turchia è stata una scoperta continua con spunti fotografici praticamente tutti i giorni. Visitare Istanbul oltre che un piacere è anche un obbligo. Non cedere al suo fascino millenario è praticamente impossibile ma se avete qualche giorno in più da spendere cercate di resistere alla tentazione di fare troppi acquisti.




La moderna Costantinopoli è una città costosa, non in termini assoluti ma rispetto al resto della turchia ha costi quasi doppi, cosiccome come il gran bazar dove è possibile trovare una grande quantità di merci ma è altresì vero che nelle strade più commerciali le possibilità di incappare nell'affare sono praticamente nulle e in una vacanza che è relativamente a buon mercato trovo sciocco lasciarsi attrarre da occasioni che tali non sono.
Per chi ne avesse l'opportunità di visitare la Cappadocia si rendera conto che si tratta di un'esperienza unica, quasi mistica. Gli alberghi sono tantissimi e se andate fuori dai periodi di punta non sono nemmeno troppo cari per i nostri standard. Portate con voi scarpe comode ed abbigliamento da trekking e preparatevi a percorrere a piedi tutti i sentieri cercando di fare più chilomentri possibile perchè dietro ogni angolo troverete panorami mozzafiato.




Se prenotate il volo in mongolfiera direttamente dall'Italia o da Istanbul mettete in conto di spendere una cifra introno ai 150 euro a persona per un'ora di volo (in cesti da 18/24 persone). Mi rendo conto che questa non è un'attrazione a basso costo ma considerate che è anche un'occasione unica di vedere un luogo di incomparabile bellezza da una prospettiva unica. Personalmente posso dire che noi siamo stati fortunati perchè tramite il gentilissimo proprietario del nostro albergo siamo riusciti ad effettuare il volo a "soli" 120 euro.




Derinkuyu è la città sotteranea più famosa, la più profonda e la prima ad essere stata scoperta quando una pecora fini in uno dei pozzi di ventilazione ed un pastore decise di dare un'occhiata per scoprire che fine avesse fatto l'animale. In realtà ne esistono molte ed altre vengono ancora oggi scoperte. In alternativa ci sono Kaymakli, Özkonak, Mazi village e Tatlarin, quindi non si ha che l'imbarazzo della scelta.
Non lasciatevi sfuggire la visita all'antica Zelve e se potete fate un'escursione a cavallo che vi condurra al tramonto fino al monte sovrastante le valli della cappadocia, non averla fatta per mancanza di tempo è uno dei rammarichi più grandi di tutto il viaggio.
Se siete affascinati dai luoghi alieni non potrete non apprezzare il Tuz Golu facilmente raggiungibile dalla superstrada che da Ankara conduce ad Antalya





Se avete avuto la pazienza di arrivare fin qui avrete sicuramente capito che Pamukkale non ci ha entusiasmato. Forse eravamo noi a nutrire troppe aspettative e quando, ancora oggi, mi trovo a raccontare del viaggio in Turchia parlo più volentieri di altri luoghi. Questione di gusti personali altri avranno apprezzato e ne parleranno in termini entusiastici e a volte mi sorge il dubbio che, alla fine, quelli fuori posto fossimo noi.
Se dovessi dare suggerimenti indirizzerei il turista curioso verso Hattusha, l'antica capitale degli Hittiti, il Nemrut Dagi e Catalhoyuk, un sito archeologico dove potrete visitare uno dei primi villaggi conosciuti dell'età neolitica ma è una lista estremamente parziale vista la bellezza di questo paese.
Mi sono dilungato fin troppo e non voglio abusare troppo della pazienza di chi legge ma un ultimo suggerimento che mi sento di dare è quello di essere creativi, abbandonate le strade principali e lanciatevi alla scoperta dei piccoli villaggi, di fronte ad un bivio osate scegliere la via più lunga, stretta e tortuosa, magari vi riserverà incontri inaspettati e panorami sorprendenti.
La Turchia è un paese ospitale, uscite fuori dagli schemi.



Stefano Chiorri scrive di sè: "Sono nato a Roma, cresciuto in Abruzzo ma da diversi anni vivo a Bologna dove, con l'avvento del digitale, mi sono riavvicinato alla fotografia, una vecchia passione di famiglia. Ritrovare la fotografia è stato come riscoprire un vecchio amore che ha avuto il merito di trasformare il modo che avevo di osservare il mondo, quasi mi avesse dato occhi nuovi. Sono curioso da sempre, appassionato di scienze naturali, storia, viaggi e montagne, con la fotografia ho cercato di unire tutte queste passioni per "affinare" la mia visione del mondo. Camminando, viaggiando ed osservando il mondo cerco sempre di catturare l'essenza dei luoghi che visito, provando a trasmettere la mia personale visione del mondo. Riuscirci è tutto un altro discorso. Per altri scatti vi invito sul mio sito, ancora in fase di sviluppo per critiche e consigli: www.stefanochiorri.com/wordpress/ "



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avatarsenior
inviato il 22 Giugno 2015 ore 16:44

Fantastico Stefano, sicuramente generi voglia di andarci...
Belle immagini, le grandangolari dei paesaggi ottime.

avatarsenior
inviato il 22 Giugno 2015 ore 16:56

:-P:-P:-P

avatarjunior
inviato il 22 Giugno 2015 ore 17:26

Stefano ti piace vincere facile eh MrGreenMrGreen

diciamo che ve le siete "sudate" le foto e non solo quelle ;-)

avatarsenior
inviato il 22 Giugno 2015 ore 18:00

tutto molto bello, complimenti sinceri.
Queste immagini, ed anche il racconto, mi fanno rivivere di quando passai io da quelle zone nel remotissimo 1982 all'epoca dei mondiali di calcio vinti dalla nazionale di Enzo Bearzot.
Non ebbi la strada dei Tauri asfaltata, ma tutto sommato mi pare non si sia stravolto tutto nei pur 33 anni passati.
Gran bei ricordi Sorriso

avatarsenior
inviato il 22 Giugno 2015 ore 21:24

Foto spettacolari e racconto entusiasmante. Complimenti.

avatarsenior
inviato il 22 Giugno 2015 ore 22:28

Complimenti Taranis, con le tue foto e parole sei riuscito a riportarmi in Turchia!!!SorrisoSorrisoSorriso

avatarjunior
inviato il 23 Giugno 2015 ore 10:44

Complimenti, un viaggio interessante, una narrazione avvincente e delle ottime foto.
Per il tuo e per il nostro piacere, rimaniamo in attesa del racconto e delle foto del tuo prossimo viaggio.
Emanuele

avatarjunior
inviato il 23 Giugno 2015 ore 10:53

Relazione di viaggio stupenda, che ho apprezzato maggiormente avendo effettuato anch'io nell'agosto 2014 un trekking lungo tutte le valli della Cappadocia.
Bella la tua ricerca dei luoghi insoliti e non "affollati" dai...soliti turisti inquadrati come soldatini.
Grazie e bravo.
Giorgio.

avatarsenior
inviato il 23 Giugno 2015 ore 15:18

Scusate il rirado della risposta ma sono impegnato in faticosi lavori di ristrutturazione. Premesso questo...

@ billo purtroppo non nascondo che la prima parte del viaggio è stata più ricca di spunti...che hanno anche esaltato le prospettive grandangolari.

avatarsenior
inviato il 23 Giugno 2015 ore 15:19

@ copie
La Turchia mi ha sorpreso. Non che avessi dubbi ma è andata anche oltre. Il merito delle foto va specialmente a questa terra.
Steano

avatarsenior
inviato il 24 Giugno 2015 ore 6:49

@ marmor...posso dirti che probabilmente dall'82 la Turchia di strada ne ha fatta parecchia. Oggi è a tutti gli effetti un paese moderno. Strade comode,ampie ed asfaltate, palazzi che spuntano come funghi, centri commerciali ed industria. Meglio o peggio? È il progresso....poi all'interno c'è ancora qualche strada bianca e i villaggi sono realmente rurali ed spartani. Probabilmente l'est del paese e le zone del confine sud est sono ancora indietro ma la cota ed istanbul sono al passo con i tempi.
Stefano

avatarsenior
inviato il 25 Giugno 2015 ore 17:43

Bellissimo reportage!

avatarsenior
inviato il 25 Giugno 2015 ore 18:36

Semplicemente stupende complimenti

avatarsenior
inviato il 25 Giugno 2015 ore 21:37

Grazie Raffaele del l'apprezzamento.
Stefano

avatarsenior
inviato il 25 Giugno 2015 ore 21:38

@ baribal....sono contento ti sia piaciuto, il senso del racconto è proprio quello di far viaggiare chi legge. O almeno provarci.
Stefano





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