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La diffrazione, cdc e disco di Airy II


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avatarsenior
inviato il 23 Aprile 2014 ore 14:54

Ci riprovo... convinto che alla fine conti di più una sola persona che legge e pensa, piuttosto che dieci che urlano per aver ragione.

Prima di ripartire però esorto calorosamente le persone che hanno ucciso il precedente topic di non intervenire, grazie.


Ricominciamo quindi :

Punto primo il disco di Airy e implicazioni sulla risolvenza di una lente ideale :

Per disco di Airy si intende il modello di diffrazione generato dal passaggio di una fonte luminosa in una apertura circolare (nel nostro caso il diaframma).
Il diametro di questo disco dipende della lunghezza d'onda della luce illuminante e del diametro del diaframma.

il modello risultante è questo :





Il criterio di Rayleigh dice che, per riuscire a risolvere due oggetti, il centro del disco di Airy per il primo oggetto deve essere nel primo minimo del disco di Airy per il secondo. Questo significa che la risoluzione angolare di un sistema limitato dalla diffrazione è data dalla stessa formula. La separazione angolare più piccola ottenibile in una lente ideale limitata alla diffrazione è data da:





dove lambda è la lunghezza d'onda della luce e d è il diametro dell'apertura.

per valori di theta piccoli possiamo approssimare a :





dove x è la separazione dei due picchi nel piano focale ed f è la distanza dalle lenti alla pellicola. Per una distanza delle lenti dal piano focale pari alla lunghezza focale dell'obiettivo :





dove f/d è appunto il rapporto focale.

Prendendo in esame la lunghezza d'onda di 450 nanometri (luce blu) e un diaframma f/5.6 possiamo calcolare la massima definizione spaziale della nostra lente ideale = 0,0031 mm (circa). Questo per un diaframma che nelle lenti ordinarie corrisponde solitamente al migliore rapporto tra diffrazione (che è sempre presente) e la correzione dei difetti come coma astigmatismo acc... che un diaframma più chiuso consente.

Punto secondo il circolo di confusione :

Il circolo di confusione è il più piccolo cerchio che l'occhio umano riesce a distinguere ad una data distanza. Essendo un valore correlato alla percezione esso non può essere assoluto, ma solo avere valori empirici medi.
Il circolo di confusione è il fattore primo per la definizione della profondità di campo; infatti il piano di fuoco è sempre adimensionale, solo la nostra percezione espande tale campo assumendo come nitide parti della foto che sono distanti dal piano di fuoco.

Mamma Zeiss usa una formula empirica per la determinazione del cdc :

diagonale sensore/1730

Per una 35mm FF si ottiene un valore di 0.025 mm

Essendo il cdc un valore relativo alla percezione umana, come abbiamo detto, esso è calcolato partendo dai seguenti assunti :

Osservatore medio
Dimensione della stampa 35cm lato lungo
Distanza di osservazione 25cm

Il valore che abbiamo ottenuto con la formula Zeiss si riferisce a queste condizioni. Variando dimensione e distanza il cdc varia.

Punto terzo il criterio di Rayleigh per la determinazione del punto di diffrazione :

Il raggio a cui l'intensità del punto centrale vale 0, cioè il primo anello scuro della figura esposta all'inizio, serve a determinare la dimensione del punto di diffrazione. Secondo la legge di Rayleigh, quindi, il diametro del punto di diffrazione sul sensore vale:

2.44 x lambda x N dove lambda è la lunghezza d'onda della luce incidente e N è la chiusura del diaframma.

Siccome il cdc è il valore usato per definire la regione dove la messa a fuoco è inclusa nella profondità di campo, si evince che la dimensione del punto di diffrazione deve deve essere inferiore o pari al cdc.

Si ottiene :

2.44 x lambda x N = cdc

Possiamo adesso calcolare il valore massimo di diaframma per un certo sensore.
Per il calcolo scegliamo 550 nm per la lunghezza d'onda :

2,44 x 550 x 10-6 x N = diagonale sensore /1730

N = 0,0250096/0,001342 = 18,63

Quindi.... per un sensore FF (in condizioni ideali) il massimo diaframma utile prima di una evidente perdita di dettaglio per diffrazione è f18 relativo a una stampa lato 35cm osservata da 25cm di distanza.
In realtà le cose vanno un poco peggio e alcuni obiettivi possono tenere meglio di altri, ma nessun obiettivo potrà mai superare questi valori ideali.

Tuttavia, si evince con sufficiente chiarezza che a determinare il diaframma massimo non concorre il pixel pitch. Solo la dimensione del sensore è determinante; ed è per questo che le medio formato possono chiudere di più, e che si trovano foto fatte dai grandi formati con diaframmi f/64....

E nel caso la dimensione di stampa o la distanza di visualizzazione siano diverse?

Per fare tutto più facilmente Cambridge in Colour mette a disposizione un ottimo tool per il calcolo :

www.cambridgeincolour.com/tutorials/diffraction-photography.htm

In modalità advanced il tool chiede dimensione della stampa, distanza di visualizzazione, tipo di sensore.
Va fatta attenzione alla casella "Set circle of confusion* based on pixels?" e essere sicuri che sia DESELEZIONATA, altrimenti il programmino calcolerà il tutto NON sulla stampa, ma sulla visione a 100% a monitor, falsando il tutto.

Perché non va bene calcolare il tutto sulla visione al 100% su schermo?

Per due ottimi motivi : il primo è che vedere al 100% uno scatto di una D700 o per esempio di una D800 equivale a vedere due zoom diversi, è palese che il 100% a schermo di una foto a 36Mp è più grande. Il secondo motivo è che il monitor non è una periferica assoluta, ne esistono di molteplici tipi, per esempio un monitor da 30" fullHD e un 22" fullHD hanno la stessa risoluzione, ma dimensioni fisiche diverse e densità pixel diversa; ancor peggio se confrontiamo un monitor Retina con uno tradizionale. Il cdc della visione a schermo 100% quindi è aleatoria, variabile da utente a utente.
Per questo si fa riferimento a una stampa standard.


That's all folks! gente..... spero di essere stato utile.

user10190
avatar
inviato il 23 Aprile 2014 ore 15:39

Salve Raamiel

Agli inizi del mio fotoamatoriato ('70) non mi interessai se non superficialmente delle aberrazioni ottiche o anomalie che arrecano danni al trasferimento d'immagine. Prima di approfondire la questione nei forum, avvenuto in questi anni, credevo che la diffrazione venisse generata dalla riflessione irregolare sulle coste estreme delle lamelle del diaframma.
Cerco di spiegare meglio. Considerando la lamella come e all'estremità tagliente di un coltello, avremmo un profilo tondo dove la luce impatta e viene riflessa angolarmente in base al punto di impatto e quindi dispersa. Se la lamella ha la peculiarità di assoluta opacità, i raggi verrebbero semplicemente arrestati, ma questo non può essere e talune lamelle come le russe o ex tedesche dell'est sono palesemente lucide (peraltro implementano le riflessioni interne). Ovviamente più il diaframma è chiuso più è grande la percentuale dei raggi soggetti a riflessione anomala, restando nell'ambito della mia questione. Non mi sembra di aver visto questa problematica argomentata, ma un effetto benché marginale dovrebbe starvi. Cosa ne pensi?

user3834
avatar
inviato il 23 Aprile 2014 ore 15:45

Raamiel secondo me il modo migliore per vedere se la densità del sensore non implica differenze è quella di fotografare la stessa scena con la stessa lente a vari diaframmi con una D700 e una D800, la differenza del 300% di densità dovrebbe far uscire fuori le differenze sul campo... fermo restando che i calcoli sono belli... ma i risultati mi piacciono di più ;)

avatarsenior
inviato il 23 Aprile 2014 ore 15:48

Sì.. certo hai ragione. I calcoli precedenti si riferiscono a un modello ideale, per esempio il foro del diaframma è perfettamente tondo, concentrico e il bordo è netto di un materiale ideale.
Il diaframma f/18 come valore massimo per una FF riferito a una stampa 35cm di lato maggiore e osservata da 25cm di distanza è il valore massimo possibile di una lente ideale limitata alla diffrazione.

Nella pratica poi si sommano tutte le imperfezioni e questo limite si sposta inesorabilmente verso il basso; certe lenti di ottima fattura posso avvicinarsi un poco di più al limite ideale, ma nessuna lo raggiunge mai.

avatarsenior
inviato il 23 Aprile 2014 ore 15:52

Dal confronto che proponi Blackdiamond i risultati confermerebbero la teoria.

Stessa foto con stesso obiettivo tra D700 e D800, stesso diaframma avrebbero la stessa diffrazione. Stampando le due foto alla stessa dimensione non avvertiresti nessuna differenza imputabile alla diffrazione; al limite la foto della D800 si avvantaggia di un maggior dettaglio.
Quindi il sensore più denso può essere migliore o al limite uguale a quello meno denso.

avatarjunior
inviato il 23 Aprile 2014 ore 16:09

Ringrazio Raamiel per aver riproposto la discussione, che trovo molto interessante. Ritengo che il discorso di fondo riguardi i limiti posti dalla diffrazione alla qualità di un'immagine osservata in diverse situazioni, tenuto conto delle caratteristiche del nostro apparato visivo: una condizione standard è esemplificata nella visione di una stampa di 35 cm da una distanza di 25 cm (come citato nell'apertura del thread). Altri casi potrebbero essere comunque di interesse, per esempio la visione di un cartellone pubblicitario di 10 m di lato da 2 m: qui i limiti sarebbero ben diversi.

Temo che spostare la discussione sulla relazione tra diffrazione e caratteristiche dei diversi sensori (in particolare densità - pixel pitch...) possa nuovamente far deviare la discussione verso il dialogo tra sordi del thread precedente... secondo me questo è un altro tema, per certi versi più semplice (non è necessario tenere conto dei limiti del nostro apparato visivo) e e va affrontato in modo diverso.

avatarjunior
inviato il 23 Aprile 2014 ore 16:10

Raamiel, non avevo letto i tuoi interventi prima di scrivere il mio di un istante fa: concordo in pieno.

avatarsenior
inviato il 23 Aprile 2014 ore 16:32

;)

avatarsenior
inviato il 23 Aprile 2014 ore 23:55

Sono ritornato a leggere dopo un'assenza. Dispiaciuto che l'argomento sia degenerato.

Nel rispetto di tutti, mi sento fin qui di concordare con Raamiel.

Il motivo è semplice. Per me ognuno dei forumisti è degno di attenzione ed è potenzialmente credibile.
L'opinione finale, però, me la faccio in base a come è stato formulato il ragionamento. Quindi è stato formulato meglio se attraverso una formalizzazione matematica. Naturalmente posso avere dei limiti - come del resto ciascun'altro di noi. Ma nell'ambito in cui posso impegnarmi per capire, il metodo è la sola bussola.

Marinaio ha fatto riferimento ad un filmato, ed ha parlato di una "diffrazione generata dal sensore" (posso sbagliare i termini dell'espressione, ma credo che il senso sia questo).
Ora, io non escludo che un sensore (organo complesso) possa essere caratterizzato - a qualche livello - da qualche fenomeno di tipo diffrattivo, ma non vedo come questo eventuale particolare fenomeno diffrattivo (peraltro non descritto circostanziatamente) possa essere in relazione con il diaframma dell'obiettivo, tema del topic. Io non lo vedo ma, sopratutto, lui non lo ha spiegato, né tentato di dimostrare. Per questo per adottare la sua opinione si tratterebbe di proferire un atto di fede.

Io sono pronto a ricredermi ed a cambiare la mia opinione, ma lo farò nel momento in cui mi verrà opposto un ragionamento coerente e sopratutto scientifico. Cos'è un ragionamento scientifico? Ad oggi è definito dal paradigma di Popper: è scientifico qualunque enunciato che possa essere falsificabile. In passato mi sono scontrato con altri forumisti perché a mio modo di vedere la verifica della coerenza di un pensiero che viene proposto si può fare solo se il pensiero è chiaro ed inequivoco.

Anche l'ultimo intervento di Alessandro è per me ingiudicabile: comprendo la difficoltà della materia e giudico seria la posizione di chi non voglia impegnarsi in un campo che non è il proprio. Ma poi non si può pretendere di usare come argomento il "sentito dire dai tecnici specilistici" per pretendere di persuadere gli altri. (Né tantomeno si può pretendere di implicare: "se non mi ci metto io, lasciate perdere tutti"). Ovvero: ci credo - che lo ha sentito dire, o letto - ma non può costituire fondamento per una valutazione. Anzi, per la verità, non mi sarei aspettato da lui un argomento del genere. Non me ne voglia, lo dico con tutto il rispetto, ma ho visto proporre spesso quest'argomento da persone che ricoprivano un ruolo di potere quando avevano avuto una preparazione da scuola tecnica o professionale, cioè in cui costitutivamente erano esclusi i mezzi per una comprensione e gestione totale. Non il suo caso, certamente. Di qui la meraviglia. Di solito, invece, chi ha gli strumenti per comprendere e spiegare un fenomeno, li usa; se non li ha, di solito fa a meno di esprimersi, o lo fa in maniera cauta e possibilista. Mai si mostra in atteggiamento di soggezione, lasciando spazio alla sfiducia che alcune cose, molto difficili, possano in realtà essere comprese. Mai si mostra paternalista, sottintendendo: "e se non posso capirlo io...".

Se sei sicuro (tu generico) di qualcosa devi poterlo spiegare semplicemente (come Alessandro è stato in grado di fare moltissime volte in tanti argomenti). Se non ti ritieni in grado di farlo, puoi proporre ciò che a te sembra ragionevole, ma non dovresti tentare di persuadere gli altri, tanto meno con veemenza, di quello che, in difetto di formalizzazione rigorosa, è un tuo semplice credo.

Sarei tuttavia lieto anche di essere smentito, purché naturalmente questo avvenga attraverso un ragionamento rigoroso e senza voler sopperire ad una mancanza di "autorità della ragione" con un eccesso di "ragione dell'autorità".

Paolo





avatarsenior
inviato il 24 Aprile 2014 ore 0:47

Cerco di fugare ogni dubbio in merito al sensore...

Nessun sensore crea il fenomeno della diffrazione, mai; per il semplice motivo che la diffrazione è definita come :

"In fisica la diffrazione è un fenomeno associato alla deviazione della traiettoria di propagazione delle onde quando queste incontrano un ostacolo sul loro cammino."

Il sensore non è un ostacolo, è il punto finale di raccolta del segnale.
I diversi strati che compongono fisicamente un sensore nella sua complessità non generano diffrazione.
Il filtro IRcut non genera diffrazione, le microlenti non generano diffrazione e nemmeno il filtro AA (quando presente) genera diffrazione. Quest'ultimo è un cristallo biassiale con tre indici di rifrazione, quindi è un fenomeno rifrattivo; magari se ne potrebbe approfondire la natura in seguito.

Il sensore quindi si limita a campionare il segnale in ingresso, diffrazione compresa.

In integrazione e aggiunta possiamo vedere un caso specifico per chiarire un concetto importante:

Nikon D3x con obiettivo Nikkor 85 1.4G

La D3x ha pixel pitch di 5,9 micron

e questo è il grafico MTF con la suddetta lente :





Si nota che il grafico inizia flettere a f/8 perché? perché il disco di Airy per una apertura f/8 inizia a porre il primo minimo oltre i limiti del pixel size.
Come... allora direte voi è vero che il sensore genera diffrazione!!
Invece no.. questa non è la diffrazione che poi vediamo nella foto, si tratta della DCF "diffraction cutoff frequency".
In tanti fanno confusione su questo punto e sbagliano; infatti il sensore della D3x non sta generando diffrazione oltre quella che è presente nell'ottica, semplicemente non riesce a registrare maggiore dettaglio oltre quel punto.
Un sensore meno denso quindi incontra il limite DCF dopo? Sì... ma le curve MTF registrabili con il sensore meno denso sarebbero sempre inferiori per poi riunirsi asintoticamente verso i diaframmi più chiusi.
In sostanza quindi un sensore più denso sfrutta meglio l'ottica potendo registrare maggiore dettaglio fin dove possibile, ma non è MAI peggiorativo.

Infine.. per quanto riguarda la diffrazione ottica che a noi interessa la D3x per una stampa 35cm vista da 25cm ha il limite a f/18, come tutte le FF.

user10190
avatar
inviato il 24 Aprile 2014 ore 8:16

Sarei tuttavia lieto anche di essere smentito, purché naturalmente questo avvenga attraverso un ragionamento rigoroso e senza voler sopperire ad una mancanza di "autorità della ragione" con un eccesso di "ragione dell'autorità".


Pdeninis: una reprimenda doverosa e debitamente formulata, ma spero che l'invito ad "essere smentito" non venga accolto dai presunti destinatari altrimenti pure qui si andrà in vacca, come qualcuno ha brillantemente definito.MrGreen

Raamiel: grazie per avermi costretto alle 7.30 di mattina a decodificare il vocabolo "asintoticamente" che conoscevo circa la tecnica del linguaggio ma non sapevo che avesse a che fare con la matematica.Sorriso
Se i neuroni non si sono surriscaldati continuerò a seguire la tua lodevole esposizione. Peraltro mi ha confermato quello che avevo accennato nel topic precedente. Chi non sa esporre in modo comprensibile un concetto complesso, non lo ha capito neppure lui...
Buona giornata a tutti


avatarsenior
inviato il 24 Aprile 2014 ore 9:45

Il sensore non è un ostacolo, è il punto finale di raccolta del segnale.
I diversi strati che compongono fisicamente un sensore nella sua complessità non generano diffrazione.
Il filtro IRcut non genera diffrazione, le microlenti non generano diffrazione e nemmeno il filtro AA (quando presente) genera diffrazione. Quest'ultimo è un cristallo biassiale con tre indici di rifrazione, quindi è un fenomeno rifrattivo; magari se ne potrebbe approfondire la natura in seguito.

Il sensore quindi si limita a campionare il segnale in ingresso, diffrazione compresa.


Apprezzo la tua disamina, come pure quella che hai presentato nella prima parte, in cui consideravi la sostanziale adimensionalità del fotosito ai fini del fenomeno diffrattivo.

Ho detto che tendenzialmente non escludo l'esistenza di diffrazione che riguarda il sensore nel senso che - intuitivamente - trattandosi di elementi costruttivi di dimensioni molto piccole, potrebbero esistere, a seconda di come è strutturato il sensore, delle strettoie per il passaggio della luce verso i fotodiodi. Il punto però, secondo me, è altro, e molteplice:

1 si deve dimostrare che la deviazione dei raggi comporti un degrado dell'immagine. In realtà se i raggi deviati vanno perduti o comunque non raggiungono altri fotositi, sempre di diffrazione si tratterà, ma produrrà non un degrado dell'immagine bensì una diminuzione dell'efficienza/sensibilità del sensore.

2 atteso che la deviazione è prodotta dal restringimento dovuto a qualche parte strutturale del fotosito, bisognerebbe vedere se ha una, e quale, relazione con la diffrazione dovuta al diaframma. Altrimenti si tratterebbe comunque di una caratteristica intrinseca del sensore, presente in tutti i sensori di analoga costruzione, ma non in relazione con l'uso del diaframma ai fini di ottenere una diversa resa dell'ottica. In sostanza, sarebbe a mio giudizio fuori tema in questo topic.

3 In ogni caso tenere presente che la riflessione proposta da Raamiel conclude l'esistenza di un valore teorico massimo per un fenomeno. Quindi risulta compatibile con una diminuzione di tale valore dovuta a ulteriori cause di degrado a valle della superficie del sensore. Eventuali tesi che considerano molto rilevante il degrado dovuto a cause ulteriori dovrebbero partire con la frase: fin qui è giusto, ma io non trascurerei...

Paolo

avatarsenior
inviato il 24 Aprile 2014 ore 10:13

una reprimenda doverosa e debitamente formulata, ma spero che l'invito ad "essere smentito" non venga accolto dai presunti destinatari altrimenti pure qui si andrà in vacca, come qualcuno ha brillantemente definito.


Non è assolutamente una reprimenda: almeno non delle persone. Volevo solo dire che un confronto su una materia sulla quale non si può avere facilmente una esperienza "diretta" - bisogna molto spesso accontentarsi di come ci viene presentata da altri - può essere condotto soltanto sulla base di un controllo di congruenza di tale presentazione con i concetti generali della fisica. Se non si è messi in condizione di effettuarlo...

Il mio auspicio è che tale confronto sia mantenuto il più ascutto possibile e nei termini stretti dell'argomento. Cioè che non ci si lasci prendere, nella foga, dal desiderio di incrementare il valore della propria tesi (autorità della ragione) aggiungendovi il peso della propria preparazione, o esperienza, come argomento estraneo al tema, agitato come conseguenza del proprio status (ragione dell'autorità) e magari associandolo al tentativo di diminuire quello del sostenitore della tesi contraria, denigrandolo.

Una tesi che si considera errata può essere definita come "infondata" piuttosto che come "una ca**ata"...;-) In fondo siamo tutti dalla stessa parte, siamo animati dalle stesse curiosità: ci piacerebbe capire più a fondo l'oggetto dei nostri interessi, ed il confronto con gli altri è un'opportunità eccellente per migliorare. Si tratta solo (Eeeek!!! Sorriso!) di controllare che una discussione conservi questa finalità e che non venga invece usata in modo strumentale per supporto ad un ego un po' invadente.

Definitivamente: se dico qualche sciocchezza, non esiterò a riconoscerlo, magari usando anche qualche termine colorito! Non ne va della mia reputazione o, meglio, se non lo riconoscessi la mia reputazione potrebbe solo peggiorare agli occhi di uno che sa vedere.

Conservare un'idea che si è palesata come errata solo per non ammettere di aver sbagliato è un danno di gran lunga più grave di quello che si vuole evitare.

user10190
avatar
inviato il 24 Aprile 2014 ore 10:42

Pdeninis apprezzo la tua diplomazia e l'innegabile buona volontà che traspare dal tuo scritto. Sono certo che chiunque non motivato da secondi fini, non possa che convenirne. Sorriso

avatarsenior
inviato il 24 Aprile 2014 ore 11:16

Ti ringrazio. Me lo auguro. E ceretamente è così in astratto. Poi magari nella discussione concreta...

Che cosa ne pensi di questo argomento?


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