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Appunti sul Marocco


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Appunti sul Marocco, testo e foto by Juza. Pubblicato il 31 Agosto 2025; 29 risposte, 4280 visite.


Quindici anni fa mi imbarcavo a Genova per raggiungere il Marocco: ora, non più in nave ma in aereo, vi sono tornato per conoscere più a fondo questo paese. Rispetto al mio primo viaggio, è cambiato molto anche quello che cerco: nel 2010 mi ero dedicato perlopiù ai paesaggi e alle zone sperdute; questa volta invece visiterò le città e cercherò la gente. Una nuova esplorazione che vi racconto attraverso questi appunti, scritti durante i trasferimenti in bus, nelle piccole stanze dei riad, o ovunque trovassi ispirazione per mettere su carta i ricordi e le impressioni di questo viaggio.



Tra i mille volti incrociati durante il mio vagabondaggio in Marocco, questo mercante di Essaouira è uno di quelli che mi sono rimasti più impressi.



Marrakech

Alloggio in un riad, classica abitazione marocchina costituita da una grande casa con un giardino (o perlomeno un piccolo cortile) al centro. Sui due o più piani che compongono l'abitazione troviamo tante stanze dove vivono i membri della famiglia; tutte le stanze si affacciano sullo spazio aperto al centro, mentre la struttura è chiusa all'esterno, senza finestre. Una sorta di attenzione alla "privacy", abbinata a un forte senso di famiglia, che vedo riflettersi anche nel modo d'essere della popolazione, ben meno accondiscendente a farsi fotografare rispetto ai paesi asiatici visitati negli ultimi anni, ma al tempo stesso con forti legami tra generazioni e parenti: chiusa verso l'esterno ma calda e accogliente all'interno della propria cerchia.

Al giorno d'oggi, molti riad sono diventati hotel o ostelli, e in uno di questi ho trovato la piccola stanza dove passerò le prime quattro notti: semplice ma ragionevolmente pulita. Le temperature di agosto sono inevitabilmente alte, con picchi oltre i 40 gradi, ma c'è un'ampia escursione termica tra il giorno e la notte: a tarda sera le temperature precipitano sui 20 gradi, e le mattinate in genere sono fresche, per poi andare verso caldissimi pomeriggi. Tutto sommato, però, è una cosa sopportabile, un caldo non peggiore rispetto alle settimane più calde delle nostre estati (e, come vedremo nei giorni seguenti, le città sulla costa hanno temperature molto più fresche, con massime di poco superiori ai 25 gradi).

Uscire dalla porta del mio riad e ritrovarmi tra le antiche strade della medina (il centro storico delle città arabe) di Marrakech ha qualcosa di surreale; sembra di entrare in un'altra realtà o un'altra epoca. La zona dove mi trovo, nel nord della medina, è frequentata principalmente dai locali ed è tranquilla; scendendo verso la famosa piazza El Fna invece ci si trova nel caos dei mercatini, ben più affollati e frequentati anche da occidentali.




Un fenomeno che è dilagato assieme al turismo è quello dei tanti truffatori che cercano di spillarvi qualche soldo. La tattica è sempre la stessa: vi si avvicina uno per avvisarvi che la strada dove vi siete infilati è chiusa. La medina di Marrakech è un vero labirinto, e sbagliare strada o infilarsi in qualche vicolo cieco è facile: così il vostro salvatore vi proporrà di accompagnarvi lui a destinazione. Con buone probabilità la strada era aperta, e magari eravate anche sulla strada giusta: ci penserà lui a farvi perdere, per poi arrivare a destinazione dopo un bel po' di giri dell'oca, e a questo punto vi chiederà un compenso per tutto il tempo che vi ha dedicato, alternando tattiche dall'implorante al minaccioso.

Tra i classici in cui vi imbatterete, tanti che vi diranno di aver vissuto in Italia e parlano un po' di italiano, vi rassicurano che "qui non siamo in Colombia, è un posto sicuro", e mentre vi fanno zigzagare tra i vicoli vi proporranno un po' di hashish o erba, ovviamente illegali ma ampiamente diffusi in Marocco. Cercare di staccarsi di dosso il proprio accompagnatore è impresa non da poco: anche di fronte a mille no continuano a seguirvi; voi magari gli ripetete che sapete benissimo la strada e ignorate le loro indicazioni, magari poi finendo davvero in una strada chiusa (perchè in realtà non avete idea di dove state andando), così che il vostro amico potrà anche farvi notare, in tono un po' stizzito, che la strada era proprio chiusa come vi aveva detto.

Tra i tanti, uno di quelli che ho incrociato si è distinto per teatralità: mi è venuto incontro guardandomi negli occhi, mi ha baciato sulla spalla e poi mi ha proposto hashish (bacio di Giuda? magari subito dopo era appostata la polizia, pronta a cogliere sul fatto l'incauto acquirente). Un altro, con cui scambio due chiacchiere, mi propone di portarmi a fotografare delle concerie (simili a quelle di Fes): ben sapendo che la sua promessa di farmi da guida gratuita era falsa, accetto, disposto a pagare una piccola cifra per una buona opportunità fotografica.




In realtà, le concerie a cui mi porta - dopo venti minuti di giri dell'oca in motorino, infilandosi in vicoli assurdi e rischiando trenta incidenti - sono perlopiù inattive, e mi affida a un collega che svogliatamente mi fà fare un giro di due minuti, finalizzato solo a farmi entrare in un negozio in cui l'entrata è libera... ma l'uscita è a pagamento: non si può andare via senza aver comprato qualcosa. Non accetto il ricatto e giro i tacchi, ma appena uscito dal negozio l'insistenza del venditore viene sostituita dai modi vagamente minacciosi di tre ragazzoni messi a guardia del vicolo, che mi dicono: "ora devi pagare quell'uomo". Non sto tanto a discutere: gli dico semplicemente di no e proseguo per la mia strada; come prevedibile, non fanno nulla. Suppliche e minacce sono parte della recita, ma penso che anche loro sappiano bene che non conviene far casini gravi con gli stranieri: se ci va di mezzo la polizia saranno guai anche per loro, un rischio che non vale la pena di correre, tanto per uno che dice no ci saranno poi altri dieci che ci cascano.

Non bisogna però generalizzare o pensare che questi elementi rappresentino la popolazione marocchina. Sono particolarmente evidenti perchè si attaccano ai turisti con grande insistenza e determinazione, ma alla fine sono una minuscola percentuale di persone: la maggior parte dei marocchini vive onestamente portando avanti una miriade di piccole attività; ho passato intere giornate a camminare per le vie di Marrakech (che è abbastanza piccola, perlomeno se consideriamo la medina che è la parte più interessante), e ho potuto vedere un'infinità di attività artigianali.

Se da noi buona parte dei prodotti - la quasi totalità - è un "made in China" assolutamente industriale, qui in Marocco sopravvive invece un grande artigianato locale, dagli abiti alla pelletteria e oggetti di tutti i tipi, di cui talvolta si può assistere alla produzione nelle stesse botteghe che li vendono. Particolarmente belle sono le ceramiche marocchine, riccamente decorate con disegni geometrici; anche gli abbinamenti di colori, spesso con tonalità blu e dorate, sono fatti con un eccezionale buon gusto, creando meravigliose opere d'arte, acquistabili a prezzi molto ragionevoli (dopo un po' di contrattazione, cosa quasi obbligatoria nei mercatini e bazar d'oriente).



Uno spettacolare tramonto a Casablanca, alla moschea Hassan II.



Atlante

Non avendo un'auto, mi unisco a un tour guidato per visitare i villaggi di montagna. Questa scelta, che inizialmente mi lasciava qualche perplessità, si rivela essere una grande opportunità: Mustafa, la guida, parla perfettamente inglese e attraverso le sue parole mi immergo nelle storie dell'Atlante e delle popolazioni che hanno fatto di questo posto arido e inospitale la loro casa.

Gli sconfinati orizzonti della secca pianura lasciano gradualmente il posto a colline e quindi montagne, versanti su cui sono arroccati infiniti villaggi o agglomerati di case senza nome. Le abitazioni hanno lo stesso colore della terra - una tonalità rosa/rossiccio, che altro non è che il colore naturale del materiale di costruzione. Quelle più moderne, in mattoni e cemento, vengono pitturate della stessa tonalità per seguire l'architettura tradizionale. La maggior parte sono state costruite dalle stesse persone che vi abitano e alcune sembrano stare in piedi per miracolo: uno dei villaggi che attraversiamo, colpito da un terremoto alcuni anni fa, è quasi completamente diroccato.

La società ruota attorno agricoltura e allevamento; il mercato settimanale non è solo un'occasione di commercio (a volte in denaro, a volte con baratto) ma anche un modo per incontrarsi tra parenti e conoscenti che vivono in diversi villaggi. Il mercato è anche il luogo dove si può trovare un medico: non potendosi permettere l'accesso agli ospedali, quelli che sono malati o feriti si affidano a "medici" che fanno uso di cure tradizionali e rudimentali sistemi tramandati tra le generazioni.




La gente si sposta a piedi o con carretti trainati da muli; i cammelli sono invece più diffusi nelle zone di pianura desertica, dove sono utilizzati sia come mezzo di trasporto che, più raramente, per carne e latte. Il latte di cammello è particolarmente difficile da ottenere perchè la mungitura è possibile solo in presenza di un cucciolo; la carne, pur essendo "halal" (il cammello viene ucciso per sgozzamento), è poco consumata perchè la tradizione islamica impone di lavarsi dopo averla consumata: una doccia obbligatoria che rende poco pratico e conveniente questo piatto.

Ma, come dicevamo, la maggior parte dei cammelli ha sorte più felice e viene utilizzata come trasporto. Animali di grande intelligenza e straordinaria resistenza, sono in grado di sopravvivere senza acqua per settimane: non perchè abbiano una "riserva d'acqua" nella gobba (una leggenda urbana senza fondamento scientifico) ma perchè riescono ad assimilare acqua e nutrienti negli strati di grasso, che poi rilasciano gradualmente l'energia nei momenti di necessità. Non solo: hanno una notevole memoria e sensi molto sviluppati, il che gli permette di seguire rotte nel deserto che sarebbero quasi irriconoscibili per gli essere umani.

Arrivo - a dorso di pulmino e non di cammello - a una piccola cooperativa, interamente femminile, che produce olio di argan. Quest'ultimo è una vera specialità del Marocco ed è ampiamente utilizzato in ambito cosmetico, alimentare e per medicina tradizionale; negli ultimi anni è diventato una cosa quasi esclusivamente in mano alle donne, che tramite un grande numero di cooperative per la produzione di argan hanno trovato un modo per avere una loro indipendenza economica.




Qui ho anche occasione di far colazione con alcuni prodotti locali: olio (di olive), burro di arachidi e una miscela di olio di argan e miele; il tutto si mangia col classico pane arabo e viene accompagnato da the alla menta. Il tè viene versato in piccoli bicchieri tenendo la teiera molto alta, per far si che cadendo formi una schiuma bianca; questa è una tradizione che oltre ad essere un segno di rispetto, ha anche un'utilità pratica: nelle zone desertiche e ventose, dove spesso l'aria è carica di sabbia, la schiuma serve a intrappolare quest'ultima, che poi può essere facilmente tolta senza miscelarsi al the.

Tanto l'olio di argan come quello di oliva spesso sono ancora ottenuti con strumenti tradizionali; le olive vengono spremute schiacciandole con una pressa costituita da un enorme tronco. Qui non esiste il concetto di olio "extravergine": la spremitura può avvenire anche dopo diversi giorni dalla raccolta delle olive, perchè spesso in ogni villaggio c'è una sola pressa e questa deve essere utilizzata a turno da tante famiglie. L'olio così ottenuto, molto sporco e ricco di impurità, viene fatto colare in pozzi pieni per metà di acqua; qui sabbia e impurità scendono nell'acqua e l'olio resta separato e via via più pulito nella parte superiore.

Per l'argan a uso alimentare, invece, i noccioli vengono prima tostati e poi macinati con una sorta di pestello in pietra, o tramite appositi macchinari nelle produzioni più moderne.


Da sinistra a destra: un accaldato Juza; pranzo tipico marocchino; l'enorme pressa per estrarre l'olio d'oliva; il tipico tè alla menta, versato dall'alto per fare la schiuma.



Maghreb

Girando per le strade della città può capitare di vedere cartelli in tre lingue: arabo, francese e una terza lingua in caratteri incomprensibili che ricordano vagamento il greco. Si tratta di una delle rare concessioni che il governo fa al popolo berbero, che pur contando circa 12 milioni di persone nel solo Marocco (e circa 36 milioni in tutto il Maghreb), è poco integrato dal resto della società. La sua lingua non viene insegnata nelle scuole, è incomprensibile per il resto della popolazione (e a volte anche tra berberi di diverse zone, dato che i dialetti possono cambiare ampiamente) e spesso i berberi non hanno accesso all'istruzione, per difficoltà geografiche o linguistiche. Lo stesso termine "berberi" è quasi un insulto, un nome che gli è stato dato da altri (deriva dal greco "barbaro"); loro si definiscono "Imazighen". Popoli spesso nomadi, che non costituivano un vero e proprio stato ma avevano una rete di città e villaggi in tutto il nordafrica (costruiti dove c'era l'acqua), avevano in origine credenze animiste, unite a una piccola percentuale di cristiani ed ebrei.




Solo in seguito alla conquista araba furono convertiti a forza all'Islam, inizialmente adottato solo per obbligo (coltivando in segreto le antiche credenze) ma col tempo radicato profondamente nella società berbera, che oggi è nella quasi totalità musulmana. La loro bandiera è lo specchio del territorio in cui vivono: azzurra come l'oceano Atlantico e il Mar Mediterraneo che abbracciano il nord Africa; verde come le zone montagnose, più ricche d'acqua e coltivabili, e poi ovviamente gialla come la sabbia e il deserto. Al centro, un simbolo rosso sangue che rappresenta una persona che allarga le braccia in segno di forza e di vittoria.

Ma quale vittoria? Studiando la storia di queste popolazioni, non ci vedo altro che la storia di tutte le popolazioni del mondo: un susseguirsi di violenza e guerre, di vittorie del più forte e non necessariamente del più giusto, religioni che vanno e vengono a seconda di chi ha il potere e la forza di imporle, lingue, tradizioni, valori che cambiano secolo dopo secolo. E come tutte le culture, ha in sè tanto elementi positivi come negativi: l'orgoglio "nazionale" non mi ha mai convinto, pensare che noi (che può essere "noi italiani", così come "noi occidentali", o "noi berberi", se visto dalla loro prospettiva) siamo migliori è un'illusione basata sul nulla. Non c'è un vincitore o un migliore: alla fine tutte le varie culture finiscono per rispecchiare l'imperfezione umana, oltre ai tanti fattori esterni che le vanno a plasmare, come può essere semplicemente anche il territorio o il clima in cui si sono sviluppate.

Spaziando tra storia e tradizioni, Mustafa racconta i complessi rituali che ancora oggi regolano le relazioni nei villaggi berberi del Marocco, dove la popolazione mantiene una visione rigida e tradizionalista dell'Islam. Non esistono cose come fidanzamento o rapporti prima del matrimonio: uomini e donne si possono frequentare solo una volta sposati. Quando un ragazzo vuol chiedere la mano di una ragazza, deve per prima cosa accertarsi che non sia sposata: dato che nel matrimonio islamico non esistono anelli o altri simboli che contraddistinguano una donna impegnata, il pretendente dovrà informarsi chiedendo non direttamente alla famiglia di lei, ma ai vicini di casa (che nei villaggi, dove tutti conoscono tutti, sono certamente ben informati). Se la ragazza è libera, l'uomo dovrà quindi chiedere prima di tutto il permesso ai propri genitori: se questi approvano, si occuperanno di portare in dono alla famiglia di lei un cesto con miele, zucchero e latte.




La famiglia della futura sposa a questo punto parlerà con la figlia: se questa dà un primo consenso si procederà, altrimenti i genitori si occuperanno di comunicare il diniego alla famiglia dello sposo, anche se non in modo verbale. Il "no" viene fatto sapere restituendo il cesto, operazione che viene fatta in grande segreto: se si viene a sapere, il ragazzo che è stato respinto finirà per essere ridicolizzato dagli altri ragazzi della comunità.

Se invece la proposta è stata accettata, le due famiglie si riuniscono; ragazzo e ragazza si possono parlare e a questo punto, dopo un minimo di dialogo conoscitivo, devono dare risposta definitiva. Se negativa, in questo caso viene comunque considerata "onorevole" e non metterà in difficoltà il ragazzo di fronte agli altri. Se positiva, la famiglia di lui deve procedere al "Mahr", cioè un'offerta economica (o di beni materiali, anche cammelli o altri animali) che andrà alla sposa: una sorta di "dote" che deve essere inclusa nel contratto di matrimonio. Altri termini del contratto includono la scelta della coppia di vivere con la famiglia di lui o di lei, oppure in una casa propria, oltre alla possibilità o meno per l'uomo di avere altre mogli e altri "patti" che gli sposi o le famiglie vogliono prendere.

Si procederà quindi con le nozze, e solo da allora i due potranno iniziare la convivenza: chi dovesse trasgredire queste regole verrà inevitabilmente scoperto (come abbiamo già detto, nei villaggi tutti si conoscono e le voci girano velocemente) e creerà problemi non solo per sè stesso, ma anche per tutta la famiglia, cosa molto grave in una società dove solitamente le varie generazioni convivono sotto lo stesso tetto e il ruolo della famiglia è fondamentale, anche come sostegno fisico ed economico. Molti villaggi berberi vivono di agricoltura e allevamento, spesso addirittura basando la propria economia sul baratto, e non pagano tasse; questo però li esclude anche dall'accesso alle strutture sanitarie e dal sistema pensionistico, e gli anziani sono quindi supportati dai giovani. Le coppie fanno figli in giovane età, perchè sostanzialmente questi ultimi saranno la loro "pensione", un investimento per supportare i genitori in età anziana.




E se già questo vi sembra lontanissimo dalla società in cui viviamo, Mustafa racconta che solo una generazione fa il matrimonio era ancora più rigido: solitamente era combinato dalle famiglie, senza consenso o partecipazione dei futuri sposi, che si conoscevano solo il giorno stesso del matrimonio. Durante tutta la cerimonia sia uomo che donna portavano un velo, e solo una volta sancita l'unione potevano vedere per la prima volta la persona con cui avrebbero trascorso il resto della loro vita. Anche il matrimonio dei suoi genitori è andato così: un sistema che tutto sommato funzionava perchè era basato sul mutuo rispetto e sulla tradizione invece che sull'amore, che al limite poteva nascere in un secondo tempo, e le aspettative dei due sposi erano così basse che in genere era difficile deluderle.

Questo forte tradizionalismo sta però cambiando rapidamente, in modo proporzionale con la distanza dalle città e dalla civiltà moderna: nelle città i giovani musulmani vivono ormai (perlomeno in Marocco) uno stile di vita molto occidentalizzato, piuttosto simile al nostro sia nei rapporti tra ragazzi e ragazze (che spesso nelle città non indossano più burka o velo), sia per il matrimonio e quanto ne segue, con una percentuale di divorzi che supera il 30% - anche questa una cosa impensabile nell'Islam tradizionale.

Il mondo cambia, la società cambia, quelli che un tempo erano valori diventano disvalori e viceversa: penso sia inutile tanto rimpiangere quanto demonizzare i valori dei tempi andati; tutto è in continua evoluzione e anche quello su cui oggi fondiamo il nostro modo d'essere probabilmente sarà visto come anticaglia tra un paio di generazioni.



Casablanca

Domenica 24 agosto. Lascio il mio riad vero le otto del mattino e mi incammino tra le strade ancora deserte. I marocchini non sono mattinieri - la maggior parte delle attività inizia abbastanza tardi, verso le 9 o le 10 del mattino, e termina verso l'ora di cena. Percorro per un'ultima volta questi vicoli che ormai mi sono familiari e, uscendo dalla medina, arrivo alla stazione degli autobus.

Non ci sono indicazioni nè cartelli, e anche sul mio biglietto (comprato online qualche settimana fa) non c'è alcuna indicazione se non l'indirizzo della stazione e il nome della compagnia di bus. Ci sono, in compenso, un'infinità di persone a cui chiedere, tra cui inevitabilmente i soliti affaristi che si fanno avanti per accompagnarvi da qualche parte. Non avendo alternative, chiedo in giro dov'è il bus per Casablanca: uno mi manda da una parte, uno dall'altra, e finisco per fare infiniti giri dell'oca perchè alla fine non lo sanno neanche loro.

Un tizio mi dice che il mio autobus è rimasto in panne in mezzo al deserto, e mi indica un altro bus su cui salire: sembra che il mio biglietto vada bene lo stesso, così salto su. Il bus è strapieno ed è chiaramente solo per i locali: nessun altro straniero a bordo. I sedili sono abbastanza spaziosi, ma vetusti, sporchi e sfondati; tra i pochi posti liberi, ne vedo uno di fianco a una ragazza (ma ovviamente mi guarda storto: lì non ci si può mettere) e alla fine trovo un posto nelle retrovie. L'autobus infine parte, forse per Casablanca.




Dopo tre ore di caldo e mal di schiena, arriviamo nella periferia della città. L'autobus si ferma a sei chilometri dal centro di Casablanca: non so se effettivamente fosse quella la fermata o se si è rotto anche lui. Comunque sia, colgo l'occasione per farmi a piedi l'ultima ora e mezza di strada: faccio spesso camminate del genere per farmi un'idea della città che sto visitando; partire dalla periferia e arrivare fino al centro permette di attraversare tutti i vari "strati" della città e capire come è sviluppata.

Casablanca è enorme: con oltre 4 milioni di abitanti, è di gran lunga la città più grande del Marocco. La periferia è un infinito susseguirsi di palazzoni di cemento, anonimo e privo di qualsiasi segno distintivo, potrebbe essere Marocco come Vietnam o Sri Lanka o qualsiasi degli altri posti che ho visitato, il menu è sempre lo stesso: grandi blocchi grigi, mille piccoli appartamenti, ciascuno col suo condizionatore e antenna parabolica; strade larghe e sporche, edifici industriali, uffici. Quando finalmente arrivo alla medina, scopro che qui è totalmente diversa rispetto a Marrakech o Essaouira: non è una zona antica dove sembra di essere tornati indietro nel tempo, ma quasi uno slum. Un susseguirsi di edifici fatiscenti, strade sporche, case diroccate, murales, baracche di legno e lamiera. Più ci si addentra, più le vie diventano strette e malconce; non si vedono turisti, e chiaramente io, unico occidentale in giro (e con fotocamera al collo) dò piuttosto nell'occhio.




Non mi limiterò a esplorare questa zona: sarà anche il mio alloggio per le prossime due notti. Ho cercato un ostello che fosse proprio all'interno della medina, e dato che qui la medina è uno slum, l'ostello è quindi nello slum ed è anch'esso una struttura malridotta: si accede da una piccola porticina che si affaccia sulla strada; salendo poi due piani di scale strette si arriva alla stanza, un buco di 3 metri per 3 senza bagno nè aria condizionata, con solo una minuscola finestra, due letti sporchi e un ventilatore impolverato buttato dietro al letto. Il soffitto è alto circa due metri: meglio non fare salti di gioia altrimenti rischio di sbattere la testa. Il bagno è in comune e, inutile dirlo, è sporco e vetusto; in compenso l'alloggio offre anche una terrazza panoramica, cioè la possibilità di salire sul tetto e, destreggiandosi tra i fili pieni di panni stesi, dare un'occhiata alle baracche circostanti evitando di sporgersi troppo per non cadere giù in strada, ricongiungendosi anzitempo col creatore.



La mia stanza a Casablanca

Monto il Fujifilm 16-55 f/2.8 sulla fotocamera - oggi mi son ripromesso di scattare foto più ambientate, lasciando nello zaino l'ottica da ritratto - e inizio a esplorare il labirinto di vicoli. Ovunque, colore e decadenza; negozietti minuscoli, auto abbandonate, gente che vive in strada, case sventrate: alcuni edifici sembrano tagliati a metà, come se fossero un'enorme torta su cui è calato il coltello tagliandone una fetta.

Fotografare non è facile; si viene visti con sospetto e talvolta un po' di ostilità, anche perchè un occidentale che viene qui a fotografare gente risulta incomprensibile ai più. Se però si riesce a superare la barriera di naturale (e comprensibile) diffidenza, la situazione cambia: mi è capitato di provare a fotografare un'anziana signora con un bambino in braccio; inizialmente mi ha detto di no, ma poi è arrivato il figlio, probabilmente incuriosito dalla situazione, abbiamo scambiato qualche parole in inglese, gli ho mostrato le foto che stavo scattando... e alla fine ho fotografato tutta la famiglia, e mi hanno anche ringraziato :-) Il modo con cui ci si pone è fondamentale nel reportage e fa una grande differenza, anche se bisogna comunque esser pronti a incassare (e accettare) tanti "no".




Dopo qualche ora dedicata alla medina, mi sposto sulla costa per fotografare la famosa moschea Hassan II. Quello che dalle foto non avevo immaginato è quanto sia grande: una struttura immensa che domina sugli edifici della città. Siamo abituati a pensare al Marocco come a un posto arido, ma oggi c'è aria di tempesta: il cielo si è fatto cupo e nuvoloso e dopo poco inizia a piovere; la gente corre nell'enorme piazza della moschea per cercare riparo sotto le arcate. Anche se la situazione sembra poco promettente, decido di aspettare il tramonto: una pazienza che viene ripagata dallo spettacolo di veder filtrare gli ultimi raggi di sole tra le nuvole; per qualche minuto la moschea si illumina di luce dorata, sullo sfondo del cupo cielo temporalesco.

Uno spettacolo meraviglioso, un momento d'incanto che tanto contrasterà con quanto vedrò domani.






La città che si sgretola

Solitamente gli slum sono nelle periferie delle città: al contrario, qui a Casablanca la zona più fatiscente è al centro, circondata da un anello di edifici moderni, talvolta addirittura di lusso. Se già la parte di medina che avevo visitato ieri mi sembrava malconcia, l'area in cui mi addentro oggi sembra una zona di guerra: edifici totalmente devastati, crollati, tenuti su alla meno peggio con ponteggi improvvisati o raffazzonati con legno e lamiere.

Ma non è stata guerra o terremoto a ridurre così questa zona: semplicemente la povertà. Le case son state tirate su alla meno peggio, in tanti casi costruite dalle famiglie che ci vivono, con i materiali più economici e senza alcuna nozione di edilizia: il risultato sono edifici fragili e instabili, che nel corso dei decenni tornano ad essere la polvere da cui sono nati. Ogni mese le case cadono portando con sè le vite di chi non ha altro posto dove andare: il governo ha dichiarato inagibili alcune zone e ordinato di evacuare, ma tanti non hanno nessun altro posto e continuano a vivere qui; anche le case mezze crollate, con intere pareti aperte o tetto sfondato, sono ancora abitate.






Case che crollano a Casablanca. Se osservata con attenzione la prima foto, alla finestra di una delle case diroccate c'è un uomo; anche gli edifici semi-distrutti sono ancora abitati.

Lo stato ha lanciato, da ormai trent'anni, un piano di ricollocamento, offrendo alle famiglie appartamenti a un prezzo attorno ai 20000 euro: si tratta però di una cifra impossibile per le fasce povere della popolazione, che inevitabilmente sono quelle che vivono nelle case fatiscenti; inoltre, le case popolari che vengono proposte si trovano in periferia, lontano dal centro città dove lavora la maggior parte della gente.

Anche quando qualcuno lascia la casa, questa viene presto occupata da squatters: senzatetto, persone ancora più povere, immigrati dall'africa subsahariana. E se arriva ancora altra gente, si costruiscono baracche sopra le case, in strada o dove capita, chiudendo gli occhi di fronte alla città che si sgretola. E non è come un terremoto che, per quanto devastante, avviene in un solo giorno a cui segue un lungo periodo di ricostruzione: qui è una caduta continua e lenta, quasi quotidiana, una cosa che non avrà mai fine finchè tutte le case non saranno crollate.

Tra le zone che attraverso, una è stata totalmente rasa al suolo: unico modo per impedire che le case vengano riutilizzate. Ora è una distesa di terra, rifiuti e rottami; probabilmente in un giorno non lontano qui sorgeranno palazzi di lusso. Il contrasto è enorme: basta fare un centinaio di metri dalla fatiscente medina per arrivare a zone come il Marina, uno shopping center di lusso, con tutti i negozi che potremmo trovare anche nei nostri centri commerciali; parcheggiate davanti, auto nuove di pacca, Porsche, Mercedes.



Una ragazza che abita nelle case diroccate getta acqua di fronte alla porta; si tratta di una tradizione dei paesi del nord Africa, con lo scopo di rendere le strade meno polverose (anche se l'utilità reale è molto dubbia).

Non è facile entrare in queste zone con una fotocamera al collo senza sentirsi fuori posto; eppure questo è il valore più grande della fotografia, dar luce a ciò che altrimenti non viene mostrato. Prima di venire qui, avevo fatto ricerche su Casablanca: ovunque non vi mostreranno altro che il bel lungomare con la moschea Hassan II; i tour in quad o i giri a cavallo in spiaggia; i verdeggianti giardini dell'Arab Park; gli edifici di design e i moderni centri commerciali. Questa è l'immagine che chiunque si fa di Casablanca leggendo sul web, e questa è l'immagine che manterrà se non uscirà dai circuiti turistici.

Con le foto che ho scattato, spero invece di raccontare una parte della città che nessuno vuole mostrare, ma che esiste e in cui centinaia di migliaia di persone vivono le loro vite.

Dal punto di vista dell'esperienza personale, visitare posti come questo è sempre un pugno sul cranio. Un colpo che ti sveglia e cambia il metro con si guarda la realtà: qui ci si rende conto di quanto siano enormi le idiozie per cui ogni giorno ci lamentiamo, litighiamo, ci arrabattiamo. Il successo sui social, l'abito alla moda, l'auto più fighetta, le polemiche di ogni genere e su ogni cosa, il gossip, lo smartphone da cambiare con l'ultimo modello che ha mezza fotocamera in più: una marea di stupidaggini in cui giorno dopo giorno ci immergiamo sempre di più, fino a diventare come le rane in fondo al pozzo che non hanno mai visto l'oceano e sono convinte che tutto il mondo sia il piccolo pozzo dove vivono. Ed è difficile uscire da questo infelice, ma rassicurante, recinto che ci costruiamo attorno: tante persone non lo faranno mai.



Nonostante tutto, i bambini riescono sempre a sorridere.

Nessuno ne è immune - di certo neanch'io - ed è proprio quando mi trovo in posti come questo che riesco a vedere il "pozzo" da fuori e comprenderne l'assurdità: noi viviamo sulla punta di diamante del mondo; abbiamo una fortuna, un lusso e una ricchezza che in altri posti è un'utopia, qualcosa di irraggiungibile come andare su un altro pianeta. E non c'è una soluzione, una morale o una risposta in questa storia: però almeno acquisire la consapevolezza di quanto sia vasta e variegata la realtà del mondo è già qualcosa; è una conoscenza che rende più umili e, spero, un poco migliori.



Marocco

Mi avvio la mattina presto e raggiungo a piedi la stazione dei bus di Ouled Ziane; ancora una volta il mio bus non si trova: non so neppure se la compagnia con cui avevo prenotato esista ancora,qui non ve n'è traccia, e ovviamente non ci sono cartelli o indicazioni. Chiedo in giro e uno che parla vagamente inglese dà un'occhiata al mio biglietto, fa chiamate, si mette a urlare con un autista e alla fine mi fa salire su un bus che va ad Agadir, ma farà tappa anche a Marrakech dove devo scendere.

Il viaggio su questo sgangherato autobus, dove ancora una volta sono l'unico straniero, dura cinque lunghe ore sotto il sole e senza aria condizionata; ogni tanto ci si ferma in una cittadina lungo la strada e salgono a bordo venditori di bottigliette d'acqua fresca o snack. Non mi chiedono il biglietto e dubito molto che in qualche modo abbiano tenuto buono quello di un'altra compagnia; penso che in qualche modo abbiano voluto aiutarmi e mi abbiano fatto salire, biglietto o meno, semplicemente per darmi una mano (non avrò però modo di chiarire questa cosa, visto che a bordo nessuno parla inglese o francese).



Le città marocchine sono piene di gatti randagi, sempre pronti a trovare qualcosa da mangiare in giro tra i mercatini.

Arrivo finalmente a destinazione e, con un'ultima camminata sotto l'implacabile sole, raggiungo il mio riad, questa volta ancora più nascosto in mezzo a un labirinto di oscuri vicoli che si susseguono, si intrecciano, si chiudono in una surreale visione. Luci malconce e sfarfallanti illuminano i punti dove non arriva mai il sole; piccole porte si aprono su oscure stanze; strette scale portano a case costruite l'una sull'altra.

Nella mia classica stanza di riad, senza finestre se non quelle che si affacciano sul cortile interno, faccio finalmente una doccia dopo tre giorni; mi scolo tutte le bibite, ormai calde, rimaste nello zaino, e infine cado addormentato per qualche ora. Mi sveglio nel tardo pomeriggio e, fotocamera al collo come sempre, esco per uno degli ultimi giri nella città.




Una cosa che mi ha colpito molto di Marrakech, e in generale delle città che ho visitato, sono gli infiniti murales che vanno da vere opere d'arte a scarabocchi sul muro. Sono uno specchio della società, perlomeno della fascia più giovane, e nel caso del Marocco, a volte sono uno specchio ben desolante. Molti sono, sorprendentemente, in italiano; tanti marocchini hanno amici italiani, o hanno vissuto un po' nel nostro paese o comunque ne hanno imparato qualche parola. La maggior parte dei murales sembra fatta da ragazzotti che giocano a chi è più gangster; inneggiano a ultras, all'omertà mafiosa ("non sento, non vedo, non parlo"), o sono vuote manifestazioni di forza e orgoglio (alcuni recitano "non cederemo mai ciò che è nostro", "solo contro tutti", "non azzardatevi a scherzare con i vincenti", o altre frasi del genere).

Un altro murales, sicuramente ben fatto dal punto di vista artistico, mostra la più classica scena di Matrix dove Morpheus chiede a Neo "pillola rossa o pillola blu?"...modificata, però, in pillola rossa o rossa, con lo slogan "non c'è altra scelta". Anche questo lo trovo emblematico; mi sembra lo specchio di una generazione che si trova a metà tra l'antico Marocco, profondamente musulmano e tradizionalista, e il moderno che si apre allo stile di vita occidentale, con le sue mille possibilità ma anche con la sua superficialità, consumismo e assenza di valori. E in questo stravolgimento, in questa transizione che in pochi anni ribalta millenni di storia, i giovani sono persi e si aggrappano a ciò che li fa sentire forti, il look da bulletti, i modi di fare da gangster, gli slogan da ultras o da eroi della rivoluzione, frasi gridate a gran voce o scritte a caratteri enormi senza riflettere sul loro vuoto di significato.




E il "non c'è altra scelta" mi sembra la più infelice: è il modo di pensare di tutti gli integralismi, o quello che cercano di inculcare tutti i regimi (tra questi metto anche quelli occidentali, sia ben chiaro), l'idea che ci sia una sola via e una sola strada per far valere le proprie ragioni, e che solitamente consiste nell'annientare il "nemico", chiunque esso sia.

Si è fatta sera, rientro al mio riad. Come è ormai diventata abitudine, faccio un salto al minimarket a due passi dal mio alloggio - poco più di una piccola stanza con scaffali strapieni di merce e un paio di vecchi frigoriferi. Il proprietario mi accoglie cordialmente al bancone, dove gli indico quello che mi serve, o al limite chiedo in inglese e lui mi risponde in francese, ma in qualche modo ci capiamo sempre. E' un signore anziano, pelle scura, occhialini, e ironia della sorte mi ricorda un po' Gandhi; rientro tra i sottili vicoli pensando a quanto sarebbe migliore il mondo se fosse stato lui, il mahatma, a essere il mito delle nuove generazioni; non i forti, le rockstar con fare da bullo, gli eroi moderni, ma un vecchio uomo debole che diceva che un'altra scelta c'è, che non esiste solo la via della forza.








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avatarjunior
inviato il 01 Settembre 2025 ore 9:59

Reportage davvero affascinante. Complimenti.
Condivido pienamente le tue riflessioni.
Visitando spesso posti che "non sono sulla punta di diamante del mondo", cerco anche io di avere una visione più ampia e consapevole del nostro mondo. Non ne ho mai ricavato alcuna morale, perché da situazioni così complesse è impossibile tirare fuori soluzioni semplici, se non scadendo nella facile demagogia.
Posso dire, però, che anche noi che siamo così fortunati, viviamo spesso una condizione di infelicità, o se preferisci insoddisfazione. Alla fame, alla necessità di una casa o all'impossibilità di avere delle cure mediche, si sostituiscono altre necessità, che tu hai ben elencato e che ai nostri occhi appaiono ugualmente impellenti. Nessuno, o quasi, ne è immune, penso faccia parte della natura umana.
Gli unici che mi sono sembrati "naturalmente felici" sono stati i nomadi dell'Asia centrale, che vivono una vita durissima, ma semplice, scandita dall'andare delle stagioni. Ma probabilmente questa è solo un'impressione superficiale ricavata stando troppi pochi giorni assieme a loro.
Ancora complimenti, se la fotografia serve a qualcosa è proprio a gettare luce su alcune realtà del mondo e a far scaturire delle riflessioni.

avatarjunior
inviato il 01 Settembre 2025 ore 10:08

ottimo come sempre

avatarsenior
inviato il 01 Settembre 2025 ore 10:57

Hai un bello stile e leggerti ci porta dentro quell'umanità tra cui ti muovi. Mi piacerebbe se le tue esperienze e descrizioni o riflessioni personali - che condivido come Beato Angelico - finissero in un bel libro non solo fotografico. Le foto che apprezzo di più sono quelle dell' umanità che incontri e che riprendi da vicino col grandangolo per mostrare l'ambiente in cui vive. Immagino che in certi posti è difficile ma il tuo approccio di confronto cordiale è quello giusto.
... Comprerei senz'altro il libro! ;)


avatarjunior
inviato il 01 Settembre 2025 ore 12:48

Hai un bello stile e leggerti ci porta dentro quell'umanità tra cui ti muovi. Mi piacerebbe se le tue esperienze e descrizioni o riflessioni personali - che condivido come Beato Angelico - finissero in un bel libro non solo fotografico. Le foto che apprezzo di più sono quelle dell' umanità che incontri e che riprendi da vicino col grandangolo per mostrare l'ambiente in cui vive. Immagino che in certi posti è difficile ma il tuo approccio di confronto cordiale è quello giusto.
... Comprerei senz'altro il libro! ;)


Condivido totalmente! è un piacere leggere quello che scrivi e osservare quello che immortali con la tua fotocamera! Sono viaggi ed esperienze che non credo sarò mai pronto ad affrontare. Approfitto del tuo coraggio per prendere coscienza del mondo che ci circonda. Ma infondo reportage è anche questo, no?

Grazie

avatarsenior
inviato il 01 Settembre 2025 ore 13:02

bel reportage. Essendo appena tornato dall'India e ricordando bene il Marocco, posso dire che la distanza sociale e culturale percepita è stata di gran lunga superiore. Mi hai riportato in Marocco, che ricordo con grande affetto e dove conto di tornare presto. Complimenti.

avatarjunior
inviato il 01 Settembre 2025 ore 13:46

stupendo.

avatarjunior
inviato il 01 Settembre 2025 ore 13:55

Complimenti Juza, reportage davvero coinvolgente e molto entusiasmante.
Foto davvero uniche e meravigliose per colori, realizzazione ed ambientazione.
Ciao, Ale Cool

avatarsenior
inviato il 01 Settembre 2025 ore 14:14

Splendido reportage! Moltissimi complimenti!Sorriso... Oltre la bellezza delle foto, alla quale ci hai abituati, ho letto un racconto gradevolissimo nello stile, estremamente interessante nella descrizione non solo dei luoghi ma soprattutto degli usi e costumi, delle tradizioni di una società con la quale abbiamo un'interazione sempre maggiore e che quindi ci riguarda sempre più da vicino.

Condivido completamente le tue considerazioni.

Leggerle mi ha riportata indietro nel tempo, ricordo di averne fatte di molto simili durante alcuni viaggi in luoghi più poveri del nostro, in particolare mi hanno ricordato alcune situazioni di vita che avevo visto a Djerba (Tunisia) molti anni fa. In quei luoghi e in quei momenti percepivo in modo profondo la piccolezza della mia realtà e la poca importanza di cose che stupidamente assorbivano la mia attenzione. Il valore delle cose veniva stravolto, l'etica assumeva una connotazione differente, ciò che era giusto a casa mia diventava sbagliato in un altro luogo, incredibilmente ai miei stessi occhi. Comprendevo che il mio sentirmi rispettabile e "perbene" aveva un valore molto relativo e il mio comportamento era un semplice adattamento al luogo in cui vivevo. Guardavo all'essere umano in modo più distaccato, cogliendo qualcosa di più essenziale sulla nostra natura, sulle nostre esigenze e sul nostro spirito e capivo che il nostro benessere economico non ci rende più felici, può essere serena anche una persona povera e vivere una vita migliore e più soddisfacente della mia. In quell'occasione avevo guardato al nostro "progresso" come ad una semplice espressione della complessità della mente umana ma non gli attribuivo più il valore che adesso gli attribuisco...ma ora sono in Italia, a casa mia, nella mia solita realtà e il computer dal quale sto scrivendo è di vitale importanzaSorriso

avatarjunior
inviato il 01 Settembre 2025 ore 15:56

Juza perdonami, ma ti ricordo che non sei esattamente un ragazzo esile e indifeso, anche fossero state vere le minacce, basta un tuo braccio (che tutti conoscono grazie al sigma 200-500) per farli scappare via MrGreen MrGreen MrGreen ovviamente si scherza, purtroppo in certi contesti bisogna comunque fare attenzione.

avatarsupporter
inviato il 01 Settembre 2025 ore 16:22

Bellissime le foto, specie quelle fatte in strada tra i vicoli, mi piacciono davvero tanto

avatarsupporter
inviato il 01 Settembre 2025 ore 17:28

Ad una prima scorsa, bellissimo e affascinante!
Lo leggero' con calma per intero.
L'ultima foto quella della bambina, mi sembra semplicemente una meraviglia!


avatarsenior
inviato il 01 Settembre 2025 ore 18:57

Bellisimo reportage fotografico. Ma il racconto assolutamente non é da meno. Mi é venuta la pelle d'oca e un po di commozione. Grazie Juza

avatarsenior
inviato il 01 Settembre 2025 ore 19:27

In questo viaggio hai raccolto fotografie e pensieri e lo hai fatto molto bene.

avatarsupporter
inviato il 01 Settembre 2025 ore 19:27

Bravo Emanuele, un Marocco visto e raccontato da una prospettiva diversa dalle solite descrizioni turistiche.
Complimenti,
ciao Adriano

avatarjunior
inviato il 01 Settembre 2025 ore 21:51

Bel racconto.





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