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Ticino di acque, uomini e aironi, II


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Ticino di acque, uomini e aironi, II, testo e foto by Sergio Luzzini e Luigi Meroni. Pubblicato il 16 Maggio 2013; 63 risposte, 16185 visite.


Ed eccolo, il Fiume Azzurro. A Sesto Calende è sempre Ticino, ma con una nuovo abito, una diversa fisionomia; ha l'aspetto di un quarantenne, un po' appesantito ma deciso ad intraprendere un nuovo percorso, con l'esperienza e la determinazione che lo porterà, ora, a raccontare la "sua" storia.




Adesso la corrente è lenta, e nel suo ampio letto si rispecchiano le ville di Castelletto Ticino, sulla sponda piemontese, e le barche di pescatori, ricoperte da una lieve coltre bianca, frutto di una precoce e fugace nevicata novembrina, che alla luce del tramonto si è già dissolta lasciando intravedere soffusamente il colore dorato del sole.
Immaginiamo di navigare verso valle seduti su una di queste barche, percorrendo il tratto fino alla panoramica piazza di Tornavento dove, nelle giornate ventose e nelle fredde mattinate invernali, si può ammirare buona parte della catena alpina. Ecco allora Golasecca, sulla sponda lombarda, che fu famosa per gli esperti barcaioli, unici, si racconta, in grado di navigare il fiume nelle pericolose rapide.
Poco più avanti Coarezza, e ,sul lato opposto, Varallo Pombia. In questo tratto il fiume è molto mansueto, addomesticato dalle caratteristiche del territorio in cui scorre e dall'uomo che lo ha arginato e reso fruibile per le sue attività. A valle della diga di Porto delle Torre il fiume acquista un aspetto decisamente più interessante sia sotto l'aspetto paesaggistico che dal punto di vista naturalistico.
Compaiono i primi greti ciottolosi e le sponde ripide, segno dell'azione erosiva delle acque in corrispondenza della grande ansa di Castelnovate, dove la direzione del fiume si inverte e prende a scorrere verso nord. Nel silenzio si percepisce il melodioso richiamo del gruccione, il fischio premonitore del passaggio della freccia alata, il martin pescatore e il chiacchiericcio delle colonie di topino, che nelle ripide pareti di sabbia instabile non faticano a trovare rifugio.




Il fiume è libero, non conosce confini; si allarga, si stringe, si divide poi si unisce nuovamente, modella isole e lanche, le distrugge, e ne forma di nuove. La forza della corrente è indescrivibile e la vegetazione, per sopravvivere, si deve adattare alle sue bizzarrie, si deve piegare al suo volere. Quando l'acqua scivola impetuosa trascina con sé tutto ciò che trova sul percorso, produce un rumore inquietante, e fa apparire tutto più piccolo.
Le piene arrivano irregolari e abbondanti, quando il caldo si fa sentire e la pioggia scende a quote elevate.
Acque travolgenti, arbusti contorti e nebbia persistente potrebbero essere l'immagine di una giornata tetra, uggiosa, ma se un accidentale raggio di sole riesce a penetrare attraverso le nubi, dà origine ad una bagliore fantastico incastonato in un paesaggio apocalittico; soltanto allora risaltano i colori estremi, il blu del cielo si riflette nelle acque mosse dalla forza del fiume, il sole che filtra tinge la riva di fuoco e persino la nebbia incolore distribuisce una pennellata ai primi piani per sfumare le altre tinte, esageratamente intense.
Le forme monotone degli alberi sullo sfondo sono le sole a tenersi in disparte, nei loro toni sommessi, quasi imbarazzate ad intervenire in tanta insolita ed inattesa magnificenza. Piu' a valle, dove il fiume rallenta, una grande sagoma grigia sta consumando la sua ultima, invidiabile preda.




"Cos'ha catturato quell'airone? Sembra una trota, no è un cavedano.Dai, prendi il binocolo e guarda; adesso lo vedo chiaramente è un luccio!" " Un luccio, ma sei impazzito? I tuoi occhi che una volta riconoscevano a distanza un luì piccolo da un luì verde, ora non sono più in grado di distinguere un'aquila da un passero. E poi, anche il cervello cosa ti dice? Un airone non può catturare un luccio, è un pesce da fondale, non è una lasca che si fa prendere risalendo la corrente, o una trota che si nasconde sotto un sasso ben sapendo che prima o poi dovrà uscirne concedendosi al suo predatore, non è un cavedano che si fa beccare con la sola testa nascosta tra le infiorescenze della lingua d'acqua.
Il luccio è il luccio, è il Re, non può morire preda del Cenerino. Tempo fa li pescavo con l'alborella in quella lanca, ti ricordi, sotto il ponte di ferro di Oleggio, ma stavano sempre sul fondo a tre, quattro metri, ma ora le alborelle sono scomparse e io ho smesso di pescare."
"Eppure è un luccio, sono certo, andiamo a vedere." Dobbiamo attraversare un campo per arrivare sulla riva, speriamo che non ci veda ma, maledetto freddo ed umidità, comincio a starnutire a raffica, dieci ,venti e più starnuti, è un record. Così l'airone è scomparso, abbandonando la colazione.
Ora camminiamo in silenzio fino a raggiungere la meta e, sorpresa, comprendiamo subito il motivo di tale cattura. Il canale è stato prosciugato per le consuete manutenzioni ed è rimasta una piccola pozza stracolma di pesci persici, barbi, trote, e persino qualche piccolo luccio.
Ci guardiamo e un sorriso, appena accennato palesa le nostre intenzioni. Dopo un'ora il capanno è pronto, invisibile. La mattina seguente alle cinque in punto siamo nascosti e riempiamo la memoria di foto. Lancio uno sguardo fiero al mio "socio" .
Per questa volta ho vinto io, ma so già che lui vorrà prendersi quanto prima una sostanziosa e crudele rivincita...
Torniamo in auto stanchi, assonnati ed infreddoliti ma soddisfatti del risultato.Anche oggi è giunta l'ora di arrendersi al piacere di un caffe' forte e bollente in qualche locanda della zona ma, arrivati alla Castellana, frazione di Lonate Pozzolo..."Dov'è finito?!"




Lo si scorgeva fino un istante fa, ora è scomparso nel nulla. La nebbia, bassa e persistente si prende gioco di tutti; si dirada per un attimo, poi si accumula sopra ogni cosa, portando con sè quel tipico odore, che solo chi vive vicino al fiume è in grado di riconoscere, ancor prima che il biancore si espanda. Al confine tra Piemonte e Lombardia la nebbia è così fitta, che la si può "tagliare col coltello". Il vecchio ponte di ferro è come un fantasma, che sotto il lenzuolo diffonde timore e curiosità.
Sotto l'acqua scorre, da sempre. Le piene autunnali non lo preoccupano, le conosce, le sue fondamenta sono saldamente ancorate al suolo, non esitano. In estate il ponte è meta dei vacanzieri, che vogliono provare l'appagante sensazione nell'immergere le caviglie nelle acque basse, fresche e sempre limpide. Nelle notti di luna la sua immagine spettrale si riflette nelle acque del Ticino che, in perenne movimento, trasformano la sua cornice in un'entità astratta, instabile.
Migliaia di passeggeri lo traversano ogni giorno. Indifferenti, distaccati lo calpestano, non uno che si interessi alla sua immagine.
I pescatori e i raccoglitori di ciottoli lo rispettano, lo ammirano guadando col barcè, senza lasciare nessuna traccia: per loro è l'unico riferimento nelle giornate uggiose, le sue campate segnalano le secche del fiume, da evitare per non incagliarsi sul fondo. Lontano un incallito sognatore ammira in disparte quell'apparente ammasso di travi; prima o poi scoprirà un disegno, una forma, che per un particolare gioco di luce in un gelido albore invernale, incastonerà quel prodotto umano, come fosse una perla, nell'affascinante paesaggio che lo circonda.




Attraversiamo anche noi il ponte per raggiungere il canale del mulino di Oleggio. Non sembra male per l'appostamento al martin pescatore; largo, tranquillo, in buona luce fin dal mattino presto anche nel mese di gennaio, quando la nebbia persistente tende a diradarsi soltanto per qualche momento all'alba, per ripresentarsi puntuale ai primi raggi di sole.
Quest'anno si è aggiunto il gelo duraturo a complicare le cose. Gli uccelli, specialmente i più piccoli, sono stremati..
La femmina che si presenta è una tipa egocentrica e risoluta, e difende il suo territorio suon di fischi ed inseguimenti, e se non basta non ha alcun timore a passare alle vie di fatto. Quando sceglie un posatoio non è disposta a condividerlo con altri, nemmeno se quel qualcuno fosse il suo "promesso sposo".
E' fortunata, la freccia alata, perché l'acqua nei canali artificiali non gela mai e qualche inetto pesciolino prima o poi finisce nel suo piatto! Questa poi, è particolarmente confidente e paffuta, perché può contare pure sui nostri rifornimenti, che hanno il fine di assuefarla alla nostra presenza. Venti pesciolini sono il risultato gastronomico di una sola mattina. Nessun dubbio un bel bottino! Qualcuno va sussurrando che di questo passo le prossime sue uova siano grandi almeno come quelle di una quaglia!




Più in basso, a Nosate, c'è un altro mulino che prende forma sulla tela di un pittore. E' la memoria storica di antiche tradizioni della valle del Ticino, consacrato in mille forme artistiche su ogni tipo di supporto, materiale o virtuale, che sanciscono il corretto rapporto tra uomo e natura. Ma il tempo è avaro, le antiche attività manuali sono considerate solo costosi hobby che non producono "ricchezza" , PIL, secondo una logica prettamente consumistica. Qualcuno va sussurrando che la cultura non sazia l'appetito.




Secondo questa stessa teoria non avrebbe senso mantenere in efficienza vecchie bifore, che in alcun caso potrebbero competere con la fredda efficienza di grandi centri commerciali che, di giorno in giorno nascono come i fiori negli stessi prati dove prima erano i crochi e i bucaneve a sbocciare. Ma la grande crisi economica che sta attraversando il pianeta, a giudizio di molti, avrà come extrema ratio un progressivo ritorno all'economia rurale, alla riduzione dei consumi, alla rivalutazione del lavoro al di sopra delle enormi, impalpabili, movimentazioni finanziarie degli ultimi decenni. In una sola parola, ad una maggiore attenzione per l'ambiente dove viviamo e alla qualità della stessa vita.




E' metà ottobre e una pioggia, sottile e perdurante, avvolge i massi del Panperduto; l'umidità intensa penetra nella pelle e poi nelle ossa. Le giacche, ormai fradice, hanno esaurito la loro funzione, e l'unico ombrello è destinato a riparare la preziosa attrezzatura. Lungo il sentiero si incontra soltanto qualche irriducibile pescatore, con mantella impermeabile e stivaloni alla coscia, che saluta con un accenno di sorriso, guardandoci negli occhi. E' il Ticino vero, quello sconosciuto ai più, avulso dalle masse dai variopinti costumi che popolano i greti nelle afose giornate di luglio.
Quando le piogge sono copiose la diga trattiene impressionanti quantitativi di acqua, che riverserà a valle sopra i grandi cubi di cemento collocati per spezzare l'impeto della corrente.
Il veloce movimento crea curiosi effetti grafici, e le tonalità bianche e nere lasciano immaginare una pittura a carboncino.
A monte della diga, accanto all'isola Confurto, nuota indisturbata una coppia di cigni reali, in compagnia di folaghe e cormorani. Anche loro, rigorosamente, bianchi e neri.
Lo sguardo si sposta ancora, percorre attentamente tutta l'area di ripresa; un dettaglio è ancora assente per compiere lo scatto finale. Ma un intrepido quanto passeggero raggio di sole colpisce d'un tratto l'unico elemento di colore, che compare come d'incanto nella scena, lassù, sull'altra riva. Solo allora l'immagine è completa, e rivive nella realtà così come si era presentata nel nostro immaginario.




"Uscir nella brughiera di mattina dove non si vede a un passo, per ritrovar te stesso." così cantava una leggenda della musica italiana degli anni 70. Nel territorio del comune di Lonate Pozzolo, è presente una consistente porzione di questo singolare ambiente, la più estesa e importante della Lombardia.
Prende il nome dal brugo, la calluna vulgaris che ricopre vaste aree a bosco rado di betulla, rovere e pino silvestre; dalla cima di un ramo il gheppio osserva, paziente, la mossa fatale dell'ignara lucertola che si muove tra la bassa vegetazione.
Il silenzio del mattino è interrotto da un fischio bisillabo, stonato, insistente e monotono. Potrebbe essere un animale strano, oppure un bontempone celato tra i rami rosati che sogghigna prendendosi beffa di noi.
Camminiamo silenziosamente tra il brugo fiorito, il fischio smette, ci fermiamo; poi riprende e noi pure. Sempre più lenti, sempre più cauti. Finchè d'un tratto, dal nostro fianco, con un improvviso fragore di ali si alza pesantemente un piccolo gallinaceo, poi un altro e un altro ancora. Alla fine sono una decina, i Colini della Virginia che ci fanno saltare il cuore in gola!
Proviene dall'America settentrionale da introduzioni dall'inizio novecento. Nel Parco del Ticino si è trovato subito a suo agio, tanto che solo in questa terra i massimi studiosi di fauna hanno decretato la sua naturalizzazione dagli anni ottanta.
In estrema sintesi è come se gli fosse stata conferita la cittadinanza onoraria.




A Cassolnovo eravamo arrivati per ben altro motivo. Antonio, fotografo "in pensione" e attento osservatore del "suo" territorio ci aveva contattati per una serata di presentazione del nostro primo libro sul Ticino. Da allora è passato tanto tempo, e tante cose sono cambiate in quei posti. Quella serata del mese di luglio ci trovavamo nella sala comunale del simpatico paesino diviso dalla città di Vigevano da un ponte sul fiume. Ci aveva avvertiti Antonio: sappiate però che in quel periodo dell'anno ci sono tanti "muschitt". Mai avremmo pensato che dietro ad una simile affermazione che suonava quasi simpatica e certo poco insidiosa, si nascondesse un vero e proprio flagello di fameliche zanzare che senza autorizzazione si presero il nostro sangue quanto bastava per il lustro successivo. Dietro i ghigni sommessi dei Cassolesi, evidentemente abituati alla sottile tortura.

Comunque passò, e l'occasione ci fu propizia per sorseggiare un buon bicchiere di Bonarda con il famoso salame d'oca, e conoscere i costumi e il carattere gioviale di "quelli di Casòl". Con Antonio invece, ci organizzammo per fotografare un "barcè", tipica imbarcazione da fiume stretta e lunga, con il fondo piatto.Il suo amico Fregosi ne possedeva una ormeggiata in una lanca a pochi chilometri da Cassolnovo. Il mattino del barcè, dall'Antonio arrivammo in ritardo.
Per puro caso vedemmo emergere dalla nebbia solo la sommità del suo capo, dello stesso identico colore. Infreddolito, sul marciapiede di via Palestro, ci aspettava da chissà quanto tempo ignaro di quello che avrebbe provato salendo sull'auto del Luzzini, che non aveva certo dimenticato lo scherzo dei "muschitt".
"Sun pena rivà", sono appena arrivato, disse senza convinzione. Salì velocemente in auto, ma non ebbe nemmeno il tempo di chiudere la portiera che le ruote presero a sgommare sull'asfalto scivoloso, fermando la loro corsa dopo vari "controsterzi" sulla strada sterrata che porta alla baracca del Fregosi. "Non si può entrare", tentò di proferire, ma l'auto non lo ascoltò.
Alla fine ci trovammo, dopo un ultimo "testa-coda" pericolosamente sul ciglio di un fosso, con una ruota nel fango e l'altra che girava a vuoto nell'aria; appena in tempo per qualche scatto, con l'amico Antonio, attonito sul sedile posteriore, che ancora cercava di capire cosa gli fosse capitato. Anche se non completamente ripresosi dallo shock,terminato il nostro servizio sul barcè, ci condusse ad una azienda agricola del luogo famosa per allevare trote e storioni.




Su alcuni vecchi pioppi,posti in prossimità delle vasche di allevamento , nelle fredde e brevi giornate novembrine al calar del sole i cormorani, a centinaia, si ritrovano rumorosamente sui soliti rami spogli, inesorabilmente imbiancati e bruciati dalle loro deiezioni. Sono un misto di scienza e di poesia, perfetti nella loro fisicità, e pieni di "umanità" quando si guardano l'un l'altro, e comunicano tra di loro, raccontandosi delle fatiche e dei pericoli scampati nella giornata giorno appena trascorsa.
Ammirando quegli stormi d'uccelli neri, tra le rossastre nubi, mentre la luce si fa sempre più fioca e l'aria del crepuscolo sempre più pungente, d'un tratto sembrano risuonare le strofe del Carducci, imparate tra i banchi di scuola che ora, come d'incanto, prendono forma proprio nel giorno di San Martino.




E' il primo giorno dell'anno, l'alba è bellissima, il cielo terso, ed il freddo estremamente pungente. Il mondo è diviso in due categorie di persone; quelle che riposano dopo la nottata festosa e quelle che ancora non si sono coricate. In lontananza risuona ancora qualche botto, scampato per puro caso alla gran festa di mezzanotte.
C'è poi una terza categoria, quella degli incoscienti, che si è svegliata da poco e, ancora assonnata, cerca di raggiungere un particolare angolo di ripresa camminando precariamente sopra le insidiose massicciate coperte da un invisibile strato di ghiaccio rischiando, nella migliore delle ipotesi, un bagno fuori stagione
Ma il freddo non basta a fermare l'immaginazione e d'improvviso si afferma forte la sensazione di un ritorno al passato, vent'anni prima.
Il Ticino, lo stesso fiume, fu il vero attore del primo, sospirato "nostro" libro di fotografia. Così, di buon grado, sotto i nostri occhi passano in un baleno i vissuti di tanto tempo.
Ecco allora apparire nel cielo la grande gru coronata che qualche tempo prima avevamo incontrato a Caltignaga, e poi il gruppo di lodolai, intento a cacciare di prima mattina chissà quale insetto, sfiorando il pelo dell'acqua sotto il ponte di Oleggio.
Appare persino il maschio del falco cuculo, dall'elegante doppiopetto colore blu intenso, in transito verso l'Europa orientale, ma sempre più disposto ad accasarsi anche qui da noi. Il ricordo del piviere dorato è legato al suo nervoso girovagare nei prati di Bellinzago, prima di riprendere il suo volo verso la tundra artica, che lo aspetta come ogni anno. E poi compare la cicogna bianca e quella nera, il cigno selvatico, e quella grossa femmina di pellegrino posata su una recinzione di Bernate...




...rallenta, il Ticino a Bernate. Magari per gioire della poesia rievocata alla memoria sopra il muro di un vecchio silos, dove qualcuno ha voluto celebrare il grande "poeta sognatore", con l'inno alla vita, alla pace, ai sogni, alla solidarietà, forse anche all'utopia. Poi riprende a scorrere velocemente per raggiungere le grandi città di Abbiategrasso, Vigevano, Pavia, che attraversa ostendando vigore e sicurezza, mostrando all'uomo i segni della sua benevolenza, ma nel contempo ribadendo con fermezza il suo essere libero, varcando senza esitazione ogni ostacolo, quando lambisce dighe, ponti e mulini.
Siamo ormai giunti al Ponte della Becca; l'incedere è più lento, insicuro, quasi riluttante a mescolare le sue acque, ancora azzurre e limpide, con quelle brune e torbide del Po.
Dopo duecento chilometri il Ticino finisce, ma la sua vita continua; il tempo in cui le sue acque precipitavano da vertiginosi dirupi, scorrevano come per gioco nelle ripide pareti scavate nella roccia e si rincorrevano serpeggiando tra i candidi ciottoli del greto è ormai un ricordo; il grande ponte in ferro ne segna crudelmente il confine geografico, ma il fiume azzurro ha ancora molto da dire, ed è pronto a consegnare una nuova, intensa vita al grande Padre che si accinge ad accoglierlo tra le sue braccia.






Sergio Luzzini e Luigi Meroni si descrivono così: "Siamo due fotografi varesini dilettanti. Ci occupiamo di fotografia naturalistica dal 1985. Abbiamo collaborato con riviste italiane del settore quali "Airone", "Oasis", "Asferico", "Acer", "Parchi e riserve", "Piemonte Parchi", "Natura Mundi", "Ali natura", "Vie del mondo", "Tuttifotografi", "Bell'Italia" ed all'estero con "Fotografie drausen", "Birds Illustrated", "Birdwatching", "BBC Wildlife Magazine", "Greek newspaper Eleftherotypia". Collaboratori dell'Universita' dell'Insubria di Varese, abbiamo contribuito ad una trentina di volumi fotografici e numerose guide e calendari. Per la Pubblinova Edizioni Negri abbiamo pubblicato i seguenti libri: "Parco del Ticino, natura in primo piano", "Album, scatti di fotografia naturalistica", "Cosa ti svela il Po", "Parco Regionale Campo dei Fiori","Parco della Pineta di Appiano Gentile e Tradate", "Ghiaccio, fiori, piume e colori", "Natura e civilta' nella Provincia dei Laghi"e "Ticino di acque, uomini e aironi"."



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avataradmin
inviato il 16 Maggio 2013 ore 12:13

Sergio e Luigi colpiscono di nuovo!

Ancora una volta complimenti...e grazie per condividere le splendide foto e i vostri racconti!

avatarsenior
inviato il 16 Maggio 2013 ore 12:27

Stupende tutte !
Complimenti

avatarsenior
inviato il 16 Maggio 2013 ore 12:57

Magnifico! Complimenti! Ciao! .gil.

avatarsenior
inviato il 16 Maggio 2013 ore 13:02

romanticamente bellissime tutte le immagini con annesso racconto , complimenti

avatarsenior
inviato il 16 Maggio 2013 ore 13:09

Super!

Complimenti sinceri a tutti e due sia per la fotografia che per il racconto.

Ciao

Max

avatarjunior
inviato il 16 Maggio 2013 ore 13:19

Troppo buoni ragazzi! Grazie.Sorriso

avatarjunior
inviato il 16 Maggio 2013 ore 13:29

Incantevole reportage... complimenti!! ;-)

avatarjunior
inviato il 16 Maggio 2013 ore 13:39

Bravi! Sorriso

avatarsenior
inviato il 16 Maggio 2013 ore 13:58

Molto bravi, un altro OTTIMO documento sul Fiume Azzurro, conosco parte di questi paesaggi, sono nato in questo
angolo di Spettacolo della Natura.
I miei più sinceri Complimenti per il vostro bellissimo lavoro!
Ciao Janka55

avatarjunior
inviato il 16 Maggio 2013 ore 14:05

Veramente un bellissimo reportage, bravissimi....

avatarjunior
inviato il 16 Maggio 2013 ore 14:10

Conosco questi posti, tra i miei percorsi ciclabili.
Davvero un tocco magico e atmosfere colte in pieno.
Bravi !!!

avatarsupporter
inviato il 16 Maggio 2013 ore 14:12

Straordinario! Over the top!

avatarsenior
inviato il 16 Maggio 2013 ore 14:52

stupendo racconto e bellissime immagini! leggi.. ammiri.. e ci sei dentro.
tantissimi complimenti.

avatarsenior
inviato il 16 Maggio 2013 ore 16:33

Complimenti, tutto molto ben realizzato, immagini e racconto, complimenti, complimenti, complimenti

avatarsupporter
inviato il 16 Maggio 2013 ore 17:03

Bellissime ed eloquenti foto. Bellissimo il racconto. Una terra che è anche un po' mia, raccontata magistralmente. Super!





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