| inviato il 24 Aprile 2023 ore 13:16
Riproduco interamente poiché è abbastanza breve un post pubblicato da Enrico De Vivo su Zibaldoni e altre meraviglie. Si tratta, vedrete dall'introduzione, di una lettera di Gianni Celati che ragiona nel 1986, quando ancora non esisteva la cultura del like, sullo scrivere per ottenere il consenso degli altri. Scrivere (o fotografare) 'per nessuno' non dovrebbe far pensare alla solitudine. Non ammiccare con le parole (o fotografie) significa non depotenziare ciò che si fa, questo è un modo di rispettare gli altri perché si offre, o almeno si tenta di offrire, il meglio: top notch. “ Un anno fa moriva Gianni Celati. Nel corso di quasi quarant'anni ci siamo scambiati moltissime lettere. Questa qui sotto è dell'8 settembre 1986. La pubblico per ricordare lui e il suo modo di fare e di pensare, che per me sono stati e sono una guida sempre affidabile. All'epoca ci davamo il lei; soltanto dopo circa vent'anni abbiamo cominciato a darci il tu. [EDV] Caro Enrico, è necessario scrivere per “nessuno”, in modo da non sentirsi in dovere di convincere un altro a riconoscerci come esistenze umane significative. Tutti gli ammiccamenti delle parole (ormai le parole non dicono più niente, fanno solo ammiccamenti: guardi la Tv e legga i giornali) sono questo rituale per presentare noi stessi agli altri come esistenze umane significative, sperando nel loro consenso; il quale poi è soltanto “ciò che tutti si aspettano”, ciò che viene considerato “realtà oggettiva”, l'unica valida. Andrà bene per combinare delle t*fe tecnologiche, ma non per scrivere; per scrivere è tutto il contrario. Forse c'è un regalo nello scrivere “per nessuno”. Provare a scrivere per formulare delle domande, la cui risposta davvero cambierebbe qualcosa per noi. Non domande che pretendono una risposta pronta, maneggevole, da usare come un cacciavite o un apparecchio tecnologico. Queste domande non cambiano niente per noi, ammettono e accettano l'esistente, e lo danno per scontato. Io dico domande da cui davvero dipende la nostra vita e il nostro destino, e non domande che spiegano il mondo lasciando tutto com'è. Domande che è difficilissimo formulare (ormai non sappiamo più farlo, perché vogliamo solo risposte maneggevoli) e che ci lasciano sgomenti al solo pensiero di poterle un giorno formulare. Non credo ci sia altro. La questione è che se si cerca il consenso dell'altro, se si pretende sempre di essere riconosciuti dagli altri come esistenze umane significative, letteralmente non si ha tempo di pensare a domande che sgomentino e che ci portino verso un luogo a cui da sempre eravamo destinati. Perché cercando il consenso, si è per sempre ignari del proprio destino. Spero che la mia risposta non le sembri troppo seria e troppo pesante. È poco seria, perché pedagogica. La prenda come le pare, suo Gianni Celati „ Qui il link al post originale: www.zibaldoni.it/2023/01/03/scrivere-per-nessuno/ |
| inviato il 24 Aprile 2023 ore 15:13
Canti, hai letto Blanchot? Immagino che nella libreria di Celati non mancasse di certo |
| inviato il 24 Aprile 2023 ore 15:28
Grazie per il link. Moooolto interessante. |
| inviato il 24 Aprile 2023 ore 15:58
grazie per lo spunto |
| inviato il 24 Aprile 2023 ore 16:04
Grazie, veramente interessante! |
| inviato il 24 Aprile 2023 ore 16:17
La lettera è del 1986 : chi ha vissuto come me gli anni 80 sa che fu un una rivoluzione culturale. Improvvisamente si smise di guardarci dentro ma si comincio' a guardare l'effetto che si faceva negli altri. In parole povere, si scese a patti col diavolo. La deriva attuale, che vive ancora adesso inizio' allora. Allego un pezzo di un articolo di un giornalista del Guardian che potremmo dire ha analizzato il 2.0 di questa deriva. Una deriva che è iniziata quando qualcuno ha messo una telecamera verso noi stessi: "Lo scrittore inglese trapiantato in Italia Tobias Jones, che dalle colonne del Guardian mette in guardia contro i pericoli e le degenerazioni dell'overtourism. «In passato viaggiavamo per ampliare ed educare la mente (…), per assorbire la vastità del mondo, per sentirci piccoli, forse vulnerabili, e per apprendere altre culture», scrive. «Ora sembra che tutto ciò sia al rovescio: il pericolo o il rischio di viaggiare sono minimi e il nostro enorme ego si impone su un piccolo mondo. I luoghi da visitare non sono altro che lo sfondo per i nostri selfie, perché andiamo nei posti non per imparare da essi, ma solo per postare, e poterci vantare con gli altri di esserci stati». W I like , w il watermark e w i selfie a Dubai ! |
user198779 | inviato il 24 Aprile 2023 ore 18:27
.….. era meglio quando c'erano gli Squallor |
| inviato il 24 Aprile 2023 ore 20:46
“ chi ha vissuto come me gli anni 80 sa che fu un una rivoluzione culturale. „ Vero, gli anni ottanta in Italia hanno visto una creatività incredibile, punkettona come quella di Francesca Alinovi e delicatissima come quella di Tondelli. Ci fosse adesso un reporter della cultura giovanile come fu il Tondelli di Un weekend postmoderno. Cronache degli anni ottanta. E' durato tutto troppo poco. Bammm!
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| inviato il 24 Aprile 2023 ore 20:58
Non si tratta di scrivere o fare fotografie per convincere un altro a riconoscerci. Ma si tratta di scrivere o fare fotografie per se stessi e per quelli quelli che leggeranno e/o guarderanno ciò che abbiamo realizzato in modo tale che tra noi e loro si crei quella magia di condivisione ed evocazione di pensieri ed emozioni note o nuove. Questo penso sia il senso della creatività |
| inviato il 24 Aprile 2023 ore 20:59
“ Canti, hai letto Blanchot? Immagino che nella libreria di Celati non mancasse di certo „ Ammetto che manca persino dalla biblioteca... eppure a vedere quello che ha scritto dovrebbe avere un posticino. Veramente una beffa: ci sono i suoi amici ma ingenerosamente lui manca... dovrò riparare. “ in modo tale che tra noi e loro si crei quella magia di condivisione ed evocazione di pensieri ed emozioni note o nuove. „ Se ci fai caso quando si parla di arte, di bellezza, di valori la prima puntualizzazione che si sente è: bello per te, arte per te, valori tuoi. Come se non esistesse la possibilità di una condivisione, come se condividere fosse addirittura un pericolo... |
| inviato il 24 Aprile 2023 ore 23:05
Sarà che sono un vecchio dinosauro ma per me questa necessità di scrivere (o far musica o fotografare o qualsiasi altra attività creativa) "per nessuno" l'ho sempre data un po' per scontata: sono cose che si fanno per un'esigenza personale, interiore, mica per compiacere altri. Certamente ognuno insegue quello che per lui è bello, ma perché questo "bello personale" lo sente, in qualche modo, giusto e vero. Il resto è fuffa. |
| inviato il 25 Aprile 2023 ore 8:00
Quando sai che c'è il pericolo di corromperti cercando il riconoscimento, puoi contrastarlo. |
| inviato il 25 Aprile 2023 ore 9:28
“ “ in modo tale che tra noi e loro si crei quella magia di condivisione ed evocazione di pensieri ed emozioni note o nuove. ? Se ci fai caso quando si parla di arte, di bellezza, di valori la prima puntualizzazione che si sente è: bello per te, arte per te, valori tuoi. Come se non esistesse la possibilità di una condivisione, come se condividere fosse addirittura un pericolo... „ Chiunque abbia un minimo di formazione artistica sa che è solo la condivisione e il dialogo tra creatore e fruitore che può portare a dei risultati creativi |
| inviato il 25 Aprile 2023 ore 10:23
Non avevo ancora visto una foto di Francesca su Juza… |
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