| inviato il 31 Dicembre 2022 ore 11:00
Buongiorno. Stavo riflettendo sul mio gusto dell'orrido ed ho scoperto che travalica il normale, se esistesse, e così anche per il confine dell'erotismo. Quello che invece mi trattiene è il disagio. Le malformazioni fisiche, le definizioni di diversamente fortunato o anche solo intellettive. Ci sono molti esempi di fotografi diventati famosi per le documentazioni più o meno esasperate di soggetti "sfortunati". A me invece arriva subito un sistema di protezione deboli che mi impedisce di premere. E anche se sono distante o se vicino e non rifiutano il mio apparecchio, sorrido, fingo, ma non scatto. Mi chiedo anzi, come ottenere a posteriori il consenso?. Come hanno gestito i "famosi" magari dei cambiamenti di opinione o dei rifiuti a distanza di anni. Non c'è, secondo me, la neutralità nella scena. Se decidi di ottenere una reazione del pubblico su una guerra o un crimine lo comprendo. Ma altrimenti perché passare sopra la dignità di qualcuno per dire qualcosa? |
| inviato il 01 Gennaio 2023 ore 11:54
Il punto sta nella tua frase finale. La maggior parte dei fotografi passa sopra la dignità per non dire niente, Per un effetto wow..wow. Raccontare significa capire, studiare, rapportare e poi..forse scattare. |
| inviato il 01 Gennaio 2023 ore 12:03
Se si pensa che uno dei grandi fotografi del passato Geoff Dyer, nel suo saggio ''L'infinito istante'' ha scritto che i migliori scatti di streetview sono quelli fatti ai non vedenti in quanto non assumono alcuna posa. Ha ragione Arconudo “ La maggior parte dei fotografi passa sopra la dignità per non dire niente, „ |
| inviato il 01 Gennaio 2023 ore 14:45
Newbie mi risulta che il Dyer sia scrittore e conoscitore di Jazz e fotografia. Ma non che possegga un apparecchio e lo usi. Ma non è questo il punto. Il punto per me è il dopo scatto. Mi ci devo sentire a mio agio. E il/ la modella anche. È come se fosse vero il mito del selvaggio in cui lo scatto rubasse l'anima. |
| inviato il 01 Gennaio 2023 ore 16:34
Juan Luca ero convinto che fosse anche fotografo, infatti è affascinato dalla fotografia ma non la esercita. Grazie per la precisazione |
| inviato il 01 Gennaio 2023 ore 16:50
C'è modo e modo di fotografare certe situazioni. Per me la differenza la fa il modo. Una stessa situazione può essere raccontata in maniera ripugnante o dignitosa. Sta alla sensibilità del fotografo scegliere . Poi c'è anche la motivazione: cronaca, racconto, reportage, storytelling o semplice sensazionalismo? |
| inviato il 01 Gennaio 2023 ore 17:23
Finalmente un topic introspettivo che non richiede di uscire a fotografare |
| inviato il 01 Gennaio 2023 ore 17:30
Io preferisco cercare le cose belle, anche in posti inaspettati dove sembra non esserci bellezza. Di cose brutte ne viediamo già troppe. Evito quindi la fotografia del dolore e del disagio che va di moda adesso. Non diventerò un fotografo famoso, pazienza |
| inviato il 01 Gennaio 2023 ore 17:31
Fotografa tutto tranquillamente, non accadrà |
| inviato il 01 Gennaio 2023 ore 17:32
Lo stesso vale x te |
| inviato il 01 Gennaio 2023 ore 17:32
Nunsepomaisape' |
| inviato il 01 Gennaio 2023 ore 17:33
Lo stesso vale x me |
| inviato il 01 Gennaio 2023 ore 17:42
Ehno, finché scatti con il micro sfigato |
| inviato il 01 Gennaio 2023 ore 18:23
Non mi ricordo più dove ho letto che un ritratto è qualcosa che la persona che hai davanti ti offre. Lo trovo molto giusto, e perciò penso che bisogna essere semplicemente rispettosi ed educati: se chi hai davanti non ti fa quest'offerta non devi scattare. Un po' diverso il fotogiornalismo, naturalmente, li se scattare o no si decide pensando a cosa sia meglio per tutti: i soggetti ritratti, ma anche chi vedrà le foto, e pensando anche a cosa potrebbe succedere di buono o di cattivo dopo che le foto sono state pubblicate. Ma anche in questo caso cosa sia più conveniente per il fotografo dovrebbe essere l'ultima cosa alla quale pensare, e non la prima. |
| inviato il 01 Gennaio 2023 ore 18:23
Difficile dire un qualcosa di definitivo, nuovo e, per certi versi, intelligente in questo campo. Credo che anche il modo in cui questo argomento viene trattato in fotografia, la leggerezza, la partecipazione la complicità con il fotografato facciano la differenza. E i fini. Qualche anno fa un amico fotografo professionista chiese di poter scattare un po' di ritratti a bimbi e ragazzi thalassemici del mio reparto. Gli concessi volentieri la mia stanza come sala pose e ci accordammo con i pazienti, i genitori e la loro organizzazione per raccogliere le loro impressioni, quelle dei genitori, mentre uno dei più grandi ( sopravvissuti fino all'età adulta grazie alle ultime terapie) si offrì di scrivere qualche sua considerazione. Anche il medico e le infermiere addetti a seguirli in ambulatorio e DH riferirono le loro esperienze. Le foto diventarono un libro, il libro portò interesse e sensibilizzazione e anche una ristrutturazione della sezione e struttura diagnosi e terapia talassemia.. Il fotografo Mauro Fermariello. Il libro "Il mare dentro". |
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