“ il linguaggio ha una sua valenza. A quei livelli, due parole che per noi possono essere sinonimo e traducibili in una terza parola più semplice, in realtà nascondo una serie di sfumature, richiami, citazioni che a noi possono sfuggire.
In altri termini, alcuni giri di parole nascondo concetti e richiami che per essere resi con termini più semplici richiederebbero pagine e pagine.
Questo avviene in tutte le discipline, non solo nell'arte, nella giurisprudenza ad esempio, ma anche in Agronomia, per citare il mio campo. Se io dico "suolo", dicono una cosa diversa da quando chiunque altro dice "suolo" e il mio "suolo" per spiegarlo ho bisogno di 4 ore di lezione, per trattare l'argomento in maniera superficiale.
Il linguaggio è una barriera, oppure una scorciatoia, dipende da chi sta attraversando il fossato „
Concordo al 100%.
Tuttavia, è vero che il curatore di una mostra, che per definizione è rivolta ad un pubblico più ampio di quello degli esperti di arte (e di quella branca in particolare), ha il dovere di usare un linguaggio-ponte invece di un linguaggio-barriera.
Secondo me è anche l'effetto di una preminenza, in Italia dello studio della storia di una disciplina invece della disciplina stessa. Ci insegnano storia dell'arte e non arte, e storia della filosofia e non filosofia.