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Sul tetto della Sicilia


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Sul tetto della Sicilia, testo e foto by Diego Barucco. Pubblicato il 09 Settembre 2011; 0 risposte, 3999 visite.





Rincorrere un desiderio è sicuramente una delle più belle esperienze della vita, soprattutto quando quella tanto travagliata meta è attraversata lottando con interminabile pathos e dove, alla fine, ci attende l'incommensurabile soddisfazione, quale premio delle sospirate fatiche, in seguito, collezionate nei nostri ricordi con valore inestimabile. Per me, uno dei desideri più attesi che ho vissuto è stato raggiungere ed affacciarmi in quello che amo definire come il "tetto della Sicilia", lì, dove l'estremità più alta dell'altura si contrappone all'estremità più bassa della terra, lì, dove si apre l'immenso portale verso le profondità misteriose degl'inferi magmatici, dove l'uomo diventa un elemento assolutamente estraneo e superfluo, dove la sua volontà è del tutto soffocata ed ininfluente di fronte a quelle immense forze della natura, lì, dove tocchiamo con mano l'estrema punta del vulcano dell'Etna.
Lassù, in quel mondo finale, si respirano forse le atmosfere più surreali che si possano immaginare, di cui forse ne possiamo trovare riscontro solo in passi letterari e poetici; la realizzazione di questa concretezza diventa, dunque, il motore che spinge alcuni temerari ad affrontare l'interminabile salita del vulcano, a vincere il timore di trovarsi faccia a faccia con forze così potenti che in pochi attimi potrebbero spazzarci via come foglie al vento. Anche solo la ricerca dell'emozione di transitare in mezzo ad uno spartiacque così estremo e totalitario, fra due mondi così distanti e tentare di diventarne quasi il ponte d'unione fra la natura quieta e la natura violenta, basterebbe solo questo a generare un richiamo atavico ed irresistibile. E' quindi naturale pensare come tutto ciò possa trasformarsi, a lungo andare, in ossessione, l'ossessione di osservare la cima estrema, tanto da essere martellati sempre da quell'idea di raggiungerla, di toccarla con mano, di sapere quali emozioni vi risiedano nascosti.




Ma quando e come nasce un tale portento naturale? I primi vagiti dell'Etna avvennero 500.000 anni fa e scossero quello che era un tranquillo golfo naturale, qui, attraverso diverse faglie, furono emessi ingenti quantità di magma sottomarino. All'epoca esistevano più bocche eruttive ma con il tempo s'iniziò a definire un condotto principale che condusse alla formazione di un primo edificio vulcanico, il quale progressivamente colmò il precedente golfo lagunare divenendo subaereo. In quel periodo l'attività vulcanica si manifestava, avvolte, con fenomeni esplosivi tipo il Vesuvio ma anche con emissioni fluide, generando lunghe colate. Tuttavia, circa 200.000 anni fa l'attività eruttiva migra gradualmente verso nord-ovest, sviluppando diversi edifici vulcanici consecutivi, di questi il più antico è il neck su cui attualmente sorge la rocca di Motta Sant'Anastasia, questo sperone roccioso, infatti, è ciò che resta del solo condotto vulcanico interno, messo a nudo dall'erosione delle pareti nel corso dei millenni. Seguono l'edificio del Trifoglietto che 60.000 anni fa raggiunse i 2500 metri, poi smantellato anch'esso dall'erosione dopo una lunga inattività, il Safilizio, la Serra Gianicola Grande e sempre più a nord il Cuvigghiuni che raggiunse quota 2700 metri.

Si arriva così alla Valle del Bove la quale rappresenta il momento di maggior sviluppo dell'Etna antica, infatti, 35.000 anni fa, questo edificio raggiungeva, l'altezza di 3700 metri, molto di più dell'attuale. Tuttavia, a quell'epoca, accadde un evento eruttivo così catastrofico che produsse il crollo completo dell'intero edificio con il conseguente svuotamento della camera magmatica e la nascita dell'enorme voragine omonima. L'attività vulcanica riprende ancora più a nord-ovest, costruendo l'attuale vulcano conosciuto come Mongibello, termine derivato dall'unione di Mons e Gibel, con il significato di Montagna per entrambi, anche se il primo è latino, mentre il secondo è di origine araba. Questa denominazione entrò in vigore, però, solo nel tardo medioevo, in quanto anticamente era utilizzato il termine greco Aitho "bruciare", dal quale successivamente i romani derivarono Aetna, mentre gli arabi le assegnarono il doppio nome di Jabal al-burk?n e Jabal Ama iqilliyya, rispettivamente il "vulcano" e "montagna somma della Sicilia".







Con zaino in spalla colmo di viveri ed acqua, l'immancabile borsa fotografica a tracolla e l'entusiasmo sulla pelle, ci incamminammo lungo le nere sabbie della cenere ignea che da qui fino al ritorno sarebbe stata l'unica superficie che avremmo calcato. La partenza avvenne a quota 2400 metri, piuttosto che dai 1900 m del Rifugio Sapienza, all'unico scopo di ridurre i chilometri della salita e permettere una maggiore autonomia una volta raggiunti i crateri sommitali, altresì, da lì in poi, avevamo il vantaggio di entrare in un più genuino ambiente vulcanico fra paesaggi suggestivi ed incontaminati, dove la presenza umana scompare quasi del tutto ed all'improvviso ci si ritrova in un luogo dagli scorci bizzarri ed imprevedibili. Tale sensazione, ad un certo punto, fu così estremizzata da avvertire la sensazione di muoversi in uno di quei deserti di sabbia e rocce, dai quali emergono alti crateri, tanto che se non fosse stato per il cielo azzurro avremmo avuto l'impressione di ammirare un ambiente lunare o marziano.
La prima meta raggiunta fu a 2902 m, lì, dove sorgeva un tempo la Torre del Filosofo, un rifugio di montagna ora quasi del tutto sommerso dalle sabbie delle eruzioni degl'ultimi trent'anni. Questo è solitamente il luogo dove la grande maggioranza dei turisti arriva e si ferma, in quanto è il punto più elevato che è possibile raggiungere con i costosi pulmini del servizio turistico. Quei pochi che l'oltrepassano sono solo coloro che manifestano il desiderio di lasciarsi alle spalle il mondo civilizzato esclusivamente per cercare di penetrare nell'intimità del vulcano, nel suo cuore più interno, in quel cuore che da qui in poi inizia a far sentirne la sua presenza.

Imboccammo quel sentiero, dunque, continuando a risalire il fianco dell'immenso cono sommitale nel suo tratto finale, da lì vedevamo l'intero edificio in tutta la sua potenza, colorato in cima di bianco e giallo dalle concrezioni di zolfo. L'ansia e l'emozione crescevano, nonostante i 6 km di salita già affrontati e sempre di più s'affrettava il passo sull'incerto viottolo fra gl'irti sassi. Poi, improvvisamente, oltre il limite delle rocce, varcammo la soglia al termine del sentiero, girandoci solo per un attimo, verso l'immenso paesaggio siciliano da 3200 metri di quota. Di fronte a noi, un paesaggio dantesco, tanto incredibile da avere la netta impressione che il grande poeta medievale trasse proprio qui l'ispirazione per descrivere alcuni passi del suo Inferno; in questo luogo uno strano silenzio d'un tratto avvolse ogni cosa, persino in nostri pensieri, mentre muovevamo i primi passi con timore religioso attraverso il policromo suolo ricco di sassi ed alte fumarole, attraverso quell'alito mefitico a tratti irrespirabile che trasudava dal caldo suolo sabbioso.




Ciò nonostante, quel paesaggio sembrava non essere lì per noi che, da perfetti estranei, ci avventuravamo senza permesso nella dimora sacra del gigante. Poi, dopo alcuni metri eccoci, lì, sull'orlo della più grande e spettacolare voragine mai vista, la Bocca Nuova. Un gigantesco pozzo che scendeva giù ripido come un imbuto di cui non se ne vedeva la fine e dal quale fuoriuscivano ad intervalli, immense nubi di vapore acqueo e gas che s'innalzano silenziose verso l'azzurro cielo offuscandone il Sole. Fu impressionante affacciarsi ad osservare quel baratro così profondo, così vasto, così ripido ed inesorabile, tanto che sembrava raccogliere la certezza dell'impossibilità umana di persistere e di comprendere una natura così distante e meravigliosa. Era forte quella sensazione atavica e profonda che dal nostro inconscio provocava le stesse ingenui emozioni dei nostri antichi antenati di fronte agl'inesplicabili fenomeni naturali e divini, poiché si era d'improvviso annullata ogni più piccola differenza di tempo e cultura in noi, uomini dai cuori moderni.
Le gigantesche pareti irte davano l'impressione di essere modellate da forze innaturali ed erano in tal modo avvolte nelle loro nebbie fantastiche, vive e pulsanti. Le alte colonne di fumo bianco, piegate dalla fresca brezza di montagna, si dipartivano ovunque in quel terreno: dietro un sasso, attraverso una frattura, da un buco, da ogni angolo inatteso, mentre la soffice superficie era una pelle viva e trasudante i tepori di quell'organismo primordiale.

Con circospezione esplorammo parzialmente lo strano paesaggio vulcanico, consci di essere in uno dei luoghi più straordinari della Sicilia, su quel tetto al disopra ogni albero, di ogni casa, di ogni altra montagna, come gli unici uomini rimasti su questa terra, un'illusione che non durò a molto nel momento in cui pian piano ritornammo lungo il sentiero verso la civiltà.
Tuttavia, dopo un viaggio di tal genere, giungemmo nelle nostre case con il cuore gonfio, pensando a quella divina presenza naturale che per un attimo ci sembrò di scorgere nascosta nelle dense nebbie solfuree; quella divinità dormiente che eterna giace da sempre nel ventre dell'Etna ed ora in avanti, anche dentro di noi.




Questo reportage è dedicato agli amici della LIPU di Siracusa con i quali ho condiviso questa esperienza e ai quali va tutta la mia solidarietà per i possibili tempi tristi che potrebbero giungere in vista dell'ingiusta espropriazione della gestione della Riserva Naturale delle Saline di Priolo, la bellissima oasi faunistica in mezzo al polo industriale.



Diego Barucco scrive di sè: "Sono ormai anni che corro a destra e a manca per le terre di Sicilia con in mano la mia fedele macchina fotografica, alla ricerca dell'anima dei luoghi del passato e del presente, e più corro, più scopro quanto ne sia illimitata la bellezza e la ricchezza dei paesaggi. Fotografia e Sicilia diventano quindi per me un sodalizio che coniuga due grandi passioni, restituendone un senso concreto e vivo. Mi ritengo alla stregua di uno di quei viaggiatori d'altri tempi alla ricerca delle emozioni nascoste dietro un paesaggio o dietro un antico rudere, dove, grazie all'arte fotografica, tento di estrarre l'essenza e le storie del passato che trasudano continuamente dai terreni millenari che qui, più di ogni altro luogo, stratificano culture fin dai primi vagiti dell'uomo.
Lungo questo percorso mi è parso necessario, ad un certo punto, tentare di tenere un diario virtuale di viaggi, espressi sottoforma di reportage fotografici, i quali potessero esprimere le mie esperienze emotive dedicate ai luoghi più nascosti ed impensabili, quei luoghi lontani dall'attenzione comune del turista, allo scopo divulgare una Sicilia più intima e sfuggente. Questo diario è www.siciliafotografica.it".




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