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Namibia: dal deserto ai parchi


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Namibia: dal deserto ai parchi, testo e foto by Edoardo Di Pisa. Pubblicato il 09 Settembre 2011; 0 risposte, 6758 visite.





Canon 40D, Canon 24-105 L IS a 105mm, 1/250 f/8, ISO 400 - Deserto del Namib - Duna 45 - Sesriem

Nessun luogo è irraggiungibile. Chi cerca natura, bellezza ed emozioni non si ferma davanti alle distanze...Bastano spirito d'adattamento, energia, voglia di mettersi in gioco e di cercare nuove chiavi di lettura.

Ci sono luoghi in Namibia dove lo sguardo abbraccia lunghi tratti costieri e neppure un filo d'erba interrompe il monotono paesaggio sabbioso; strade sterrate sulle quali si può amminare per ore con il cielo come unico tetto; distese di dune ai confini con il regno della fantasia; pianure di rocce erose dal vento, arse dal sole che sembrano essere veramente di un altro pianeta. Un paese di una bellezza indubbiamente spettacolare, ricco di paesaggi mozzafiato e di orizzonti che sembrano non finire mai, di culture ed etnie, oltre ad ospitare un bizzarro assortimento di vegetazione e soprattutto un'incredibile fauna. Per certi versi, le bellezze della Namibia non temono confronti. Questo paese sembra disabitato, avendo una popolazione di appena due milioni di persone; i suoi abitanti educati e gentili e gli spazi sconfinati lo rendono un paese unico nello scenario africano. Una cosa e' certa, nel mio girovagare in Namibia, sono rimasto stregato da tutto quello che giorno dopo giorno vedevo e alla fine, il problema più grande che ho dovuto affrontare è stato quello di convincermi a dover lasciare un luogo così magico.




Canon 5D, Canon 24-105 L IS a 70mm, 1/2000 f/4, ISO 400 - Skeleton Coast.

Il deserto che si getta nel mare, custode di tesori preistorici e geologici, le dune rosse dai contorni sinuosi mossi e attorcigliati dal vento, le distese rocciose che creano suggestive atmosfere lunari, popoli e civiltà così diverse e sorprendenti. I colori della terra, che mutano col passaggio del sole, da avorio a rosa, arancio ed oro. Gli scheletri degli alberi, immobili da oltre 500 anni. Un luogo che non si può dimenticare!


Londra, aeroporto di Gatwick. E' notte e l'inverno si fa sentire, il freddo è intenso. All'esterno dell'aeroporto il via vai degli aerei è attutito dalla neve che cade copiosa e ricopre tutto di una coltre bianca e ancora immacolata. Ci apprestiamo ad imbarcarci sul volo della British Airways che da Londra ci porterà a Windhoek, la capitale namibiana. Finalmente ci siamo, dopo molte notti passate a pianificare la nostra ennesima spedizione, ora siamo seduti sull'aereo che ci porterà nel nostro continente preferito, l'Africa. Arrivati a Windhoek incontriamo la nostra guida locale
che ci accoglie e ci mostra subito il nostro mezzo di locomozione, un truck attrezzato con tutto quello che serve per campeggiare nei deserti e nelle savane africane. Una volta cambiati un po' di euro in moneta locale, partiamo subito per Sesriem. Anche se provati dal lungo viaggio intercontinentale, non abbiamo tempo da perdere in quanto una volta giunti a destinazione, dobbiamo montarci il campo per la notte, accendere i fuochi e prepararci una cena calda. Durante il primo giorno di viaggio abbiamo potuto iniziare ad abituarci agli enormi spazi della Namibia, ma soprattutto ad acclimatarci con il caldo secco del deserto.

Nel tardo pomeriggio finalmente arriviamo a Seriem e, una volta scelta la posizione giusta, iniziamo a preparare il campo, montiamo le tende, scarichiamo tutto dal truck e accendiamo il fuoco per la cena. Man mano che passano le ore, la temperatura inizia a crollare e ben presto ci troviamo tutti a dover indossare giacche e maglie, lottando per conquistare un posto il più vicino possibile al fuoco, unica fonte di calore disponibile. Nella notte, il vento ha iniziato a spirare dal deserto, saturando l'aria di sabbia e oscurando il cielo con un velo giallo-grigiastro. Poi, finalmente, il vento cessa d'intensità e all'alba possiamo partire per raggiungere la duna 45. Sesriem è il campo che dà accesso al deserto rosso di Sossousvlei, centinaia di chilometri di dune di color rosso-arancio, alte anche fino a trenta metri, formato dai sedimenti depositati nel tempo dal fiume Orange. Le dune, illuminate dai primi raggi del sole, si "incendiano" davanti ai nostri occhi,stagliandosi nette contro l'azzurro cobalto del cielo. I colori ci abbagliano, gli occhi inseguono ogni angolo con meravigliato stupore.
La strada che attraversa il parco termina in una spianata. Lasciamo l'auto e proseguiamo a piedi. Dopo un breve cammino, di fronte a noi si apre una vasta conca di fango secco e riarso da cui emergono come spettri grotteschi alberi rinsecchiti e contorti. In realtà, qui per un certo periodo dell'anno il paesaggio cambia e tutto prende vita grazie alle piogge che trasformano la piana in un enorme lago che si popola di animali e uccelli di ogni specie. Anche noi ci lasciamo contagiare da quella che in questo luogo sembra essere l'attività preferita dei turisti: la salita delle dune e la loro ridiscesa di corsa, sprofondati nella sabbia fino alle ginocchia, o rotolando fino a valle. Poi, seguendo le indicazioni, ci avventuriamo lungo un sentiero che porta alla duna di Sossousvlei. Le mille sfumature, che cambiano di ora in ora, e le ondulazioni delle dune catturano la vista, e lo spirito rimane preda di una sorta di incantesimo benevolo.
L'emozione è forte, difficile da descrivere: alla paura e all'angoscia che quella sterminata solitudine provoca si contrappone un senso di tranquillità e di pace.




Canon 5D, Canon 24-105 f/4L IS a 70mm, 1/2000 f/6.3, ISO 400 - Deserto del Namib

Grazie anche ad una strada un po' più agevole, viaggiamo comodamente per qualche ora e arriviamo nel tardo pomeriggio a Swakopmund. La particolarità di questo posto è lo staccon cromatico tra l'oceano e il deserto in quanto quest'ultimo si butta letteralmente in mare.
Fondata da coloni tedeschi alla fine del XIX secolo, affacciata sull'oceano, Swakopmund ha un aspetto singolare: se non fosse per le palme che adornano i suoi viali e per il deserto che incombe intorno, non sembra nemmeno essere una cittadina africana. L'atmosfera è comunque tranquilla, piacevole e rilassante. Dopo notti in tenda a combattere con la sabbia e il vento, ci godiamo un piccolo resort con docce calde e camere accoglienti. Dopo esserci lavati e cambiati, decidiamo di farci portare al piccolo aeroporto per effettuare un volo di due ore sulla Skeleton Coast. L'aeroporto è piccolissimo e i Cesna che ci porteranno ancora di più. Scelgo rapidamente l'attrezzatura fotografica migliore da portare, monto sulla 5D il 24-105 L IS e sulla 40D aggancio il 300 f2.8 L IS (scelta quest'ultima errata, in quanto a bordo di questi aeroplanini non si ha spazio e una lente come il 300 ti limita nei movimenti). In volo ci si rende subito conto di che spazi infiniti si ha attorno e di quale incredibile spettacolo la natura ci può rendere partecipi.
Il vento teso e pungente, proveniente dal mare, batte la costa con raffiche violente, facendo ondeggiare violentemente il nostro aeroplano. Non a caso la zona si chiama Skeleton Coast. Centinaia di navi, nel corso dei secoli, hanno fatto naufragio in queste acque, e numerosi relitti sulla spiaggia, come fantasmi, restano a testimonianza di immani tragedie.

Il quinto giorno di viaggio lasciamo Swakopmund e proseguiamo lungo l'oceano, fino a raggiungere Cape Cross. Cape Cross è famoso soprattutto in quanto vi si trova la più grande colonia di Otarie del Capo dell'Africa australe. Le numerose otarie che abitano a Cape Cross, sotto il rigido pelo superficiale, hanno uno spesso strato di corta pelliccia che non si bagna e trattiene l'aria garantendo l'isolamento termico del corpo, il che permette loro di mantenere costantemente una temperatura corporea interna di 37° C e di trascorrere lunghi periodi immerse in acque fredde. A Cape Cross traggono poi beneficio dall'abbondante concentrazione di pesci trasportati dalla fredda corrente del Benguela. Nel 1845 l'esploratore portoghese Diego Cao, primo europeo a mettere piede in Namibia, giunse a Cape Cross e piantò un padrao (grossa croce) alto 2 m. e pesante 360 Kg in onore di Giovanni II, re del Portogallo. Nel punto in cui Cao in origine piantò la sua croce ora ce n'è una seconda, realizzata in dolerite ed eretta nel 1980.




Canon 5D, Canon 24-105 f/4L IS a 35mm, 1/320 f/11, ISO 200 - Spizkoppe

A metà pomeriggio lasciamo Cape Cross, svoltiamo verso l'interno e ci lasciamo l'oceano alle spalle. Di nuovo il deserto, e infine le possenti pareti dello Spitzkoppe, placche di granito rosso che si innalzano a strapiombo per oltre quattrocento metri sulla pianura del Damaraland, e che all'alba e al tramonto si infiammano in un "incendio di pietra" che toglie il respiro. Dopo un giro di perlustrazione decidiamo di accamparci alle pendici di una roccia dalla quale si può salire a piedi. Montate velocemente le tende ci arrampichiamo lungo la roccia che ci sovrasta e in una ventina di minuti raggiungiamo un punto panoramico dal quale possiamo assistere a un tramonto mozzafiato. Spitzkoppe è un luogo di grande suggestione, al sopraggiungere della notte il silenzio è totale, il buio è assoluto, l'unico chiarore è quello della Via Lattea che taglia in due la volta infinita del cielo.
Dopo cena, ci sdraiamo a terra e contempliamo la volta celeste ... in quel momento, riesci a percepire la grandezza della terra, del cielo e di tutto quello che ti circonda. Così lontano dalla civiltà, si riesce a ritrovare un contatto con la natura oramai perduto nella nostra vita di tutti i giorni. La notte trascorre tranquilla. Al mattino presto, partiamo per un nuovo trekking su queste splendide rocce e raggiungiamo un punto dove si possono ancora osservare pitture rupestri. Nella tarda mattinata ricarichiamo tutto sul truck e partiamo alla volta di Hobatere.

Dopo un giorno di viaggio verso nord arriviamo in serata a Hobatere e ci accampiamo non lontano dal confine del parco Etosha. La mattina seguente partiamo prestissimo, direzione Opuwo, dove una rappresentante di un villaggio Himba ci aspetta per le nove del mattino per guidarci nelle lande desertiche del nord fino al suo villaggio. Opuwo è una paese di frontiera alle porte del Kaokoland la regione semi desertica che si trova al limite nord della Namibia, vicino ai confini con Angola. E' un insieme di grossi negozi , poche case, tante baracche e bettole che si allineano lungo la strada principale. Caricata la nostra guida Himba, ci lasciamo subito lo squallore di Opuwo alle spalle e puntiamo verso Nord per conoscere da vicino una delle ultime tribù nomadi che hanno mantenuto intatto il loro stile di vita.
Gli Himba sono i discendenti di un gruppo di Herero che nella seconda metà del XIX secolo migrarono dal Kaokoland verso l'Angola, attraversando il fiume Kunene, per fuggire alle frequenti aggressioni dei Nama. In Angola chiesero ospitalità ai San della tribù Ngambwe, e per questo motivo vennero chiamati "ovahimba", "il popolo che mendica". Una conseguenza di questa migrazione fu che gli Himba non ebbero praticamente contatti con i colonizzatori tedeschi, a differenza di quanto accadde agli Herero rimasti a sud del Kunene. Questo elemento portò una profonda differenziazione culturale fra i due gruppi; mentre gli Herero passavano dalla pastorizia nomade all'agricoltura stanziale, e adottavano molti costumi degli occidentali, gli Himba mantennero quasi immutato il loro stile di vita tradizionale.




Canon 40D, Sigma 12-24 a 12mm, 1/200 f/11, ISO 400 - Etosha Pan

Dopo tutta la giornata passata con gli Himba, alla sera facciamo ritorno al nostro campo a Hobatere e dopo aver cenato, ci ritiriamo subito nelle tende in quanto il giorno dopo ci aspetta uno dei parchi più belli del Southern Africa. La caratteristica dell'Etosha Park è che, a differenza di altri parchi africani, può essere visitato senza dover ricorrere necessariamente alle guide. Lungo le numerose strade che lo intersecano si può circolare liberamente, basta rispettare gli orari, i limiti di velocità e l'obbligo di non scendere dalla macchina. I campi all'interno dell'Etosha sono tre e ognuno di questi è ottimamente organizzato. All'interno dei campi l'attrazione principale consiste in una pozza d'acqua, posta proprio a ridosso della recinzione alla quale vanno ad abbeverarsi gli animali. È incredibile vedere zebre, elefanti, giraffe, springbok e rinoceronti lì, a meno di dieci metri, mentre il disco rosso fuoco del sole declina all'orizzonte. Pian piano la luce diminuisce e compaiono i primi animali notturni come i Night Jar e gli sciacalli. Quando oramai è buio ci dirigiamo alle tende per mangiare velocemente e tornare alla pozza con macchina foto, cavalletto e tanta tanta pazienza. Verso mezzanotte mi decido ad andare a dormire perchè il giorno dopo devo essere in forze per poter fotografare gli animali che vivono in questo splendido parco.
Alle sei siamo pronti e usciamo dai cancelli del campo. Il sole non è ancora spuntato. Sopra di noi, il cielo; immenso, sconfinato, di un azzurro intenso e penetrante che ci circonda completamente. I safari più belli sono all'alba e al tramonto, mentre nelle ore calde della giornata conviene rimanere all'ombra, proprio come fanno gli amati animali che andiamo ad osservare.




Canon 40D, Canon 300 f/2.8L IS, 1/1000 f/3.2, ISO 400 - Sciacallo della Gualdrappa - Black-backed jackal (Canis mesomelas)




Canon 40D, Canon 300 f/2.8L IS, 1/1000 f/3.2, ISO 400 - Sciacallo della Gualdrappa - Black-backed jackal (Canis mesomelas)




Canon 40D, Canon 300 f/2.8L IS, 1/1000 f/3.2, ISO 400 - Zebra di Burchell (Equus Burchelli)

Ma l'Etosha non è soltanto animali selvaggi. È anche sensazione di spazi sconfinati, aperti sul mondo in cui le distanze perdono il loro valore. È il pan, un deserto di centinaia di chilometri quadrati, ricoperto di sale e bassi arbusti spinosi, che al mutare della luce offre scenari e visioni distorte e irreali. A volte sembra di essere di fronte a una piatta distesa compatta, bianca e lattiginosa; altre volte le sagome degli scarsi alberi all'orizzonte sembrano sospese nel vuoto o assumono forme ingannevoli che somigliano a costruzioni fantasma. E sopra, sempre e comunque, il cielo: azzurro, intenso, penetrante. Davanti a questo scenario potresti passare svariate ore, ad osservare il nulla ma allo stesso tempo ad osservare tutto...
Un safari degno di nota è stato quello notturno. Di solito nell'Etosha non è permesso fare safari di notte ma, essendo capitati nell'anno del centenario del parco, accompagnati da un ranger e una Land Rover scoperta è stato possibile farlo. Il safari notturno è un'esperienza stupenda perchè vedi gli animali in un'ottica completamente diversa. I predatori sono all'opera e gli erbivori lottano per la sopravvivenza. Ci siamo imbattuti in un branco di leoni che avevano appena cacciato e si richiamavano con forti ruggiti. Eravamo a pochi metri da loro e quei suoni ancestrali ci penetravano fino alle ossa. I quattro giorni nel parco sono stati splendidi. In Africa ho visto molti parchi, partendo dal Kenya e scendendo fino al Sud Africa e mi sento di affermare che l'Etosha è uno dei più belli.
La caratteristica che più mi ha colpito è la sua varietà di scenari; si passa dalla sconfinata piana del Pan, unica nel suo genere, alla classica savana tipica delSerengeti, oppure a zone con vegetazione più fitta a ricordare magari il Kruger. Come sempre, all'ultimo game drive, avevo già nostalgia di quello che stavo per lasciare e nella mia testa già progettavo la prossima avventura in questo magico continente, ricco di scenari mozzafiato e bellezze che non hanno eguali... è forse questo il Mal d'Africa...




Canon 40D, Canon 300 f/2.8L IS, 1/1000 f/8, ISO 400 - Orice - Gemsbok (Oryx gazella)



Edoardo Di Pisa è nato nel 1977 e vive in Italia. E' sempre stato affascinato dalle immagini, e nel 1990 ha iniziato a
fotografare con una reflex a pellicola Mamiya/sekor 1000 DTL di sua madre, dalla quale ha preso la passione per le arti figurative. In principio fotografava solo per documentare quello che vedeva, ma con il passare degli anni ha iniziato a capire che la fotografia poteva dargli di più. Ha conseguito un diploma di specializzazione in fotografia all'Istituto Europeo del Design e con questo passo ha iniziato a dedicarsi anima e corpo alla fotografia. Ora è socio fondatore di un'agenzia di comunicazione e si occupa di seguire i progetti fotografici dei suoi clienti (Advertising, Still Life e Glamour). La sua grande passione è il Reportage; viaggia molto e impiega le sue risorse per raggiungere paesi sperduti ed emozionanti. Dal 2004 si reca due volte all'anno in Africa, continente che ama, per documentare situazioni e abitudini lontane dalle nostre. Ama anche la fotografia naturalistica e in Africa, riesce a dare sfogo alla sua creatività. E' stato due volte in Kenya, due volte in Tanzania (nord e sud), due volte in Marocco, in Malawi, Zambia, Sud Africa, Swaziland, Namibia, Senegal, Tunisia, Egitto e Nubia. Ma non solo in Africa, ha viaggiato in Russia, Lapponia norvegese, Spagna, Portogallo, Francia, Irlanda, Inghilterra, Turchia, Stati Uniti d'America, Messico, Cuba, Sri Lanka ... in tutti questi viaggi ha accumulato esperienze e materiale fotografico che ora fa parte del suo archivio.
Dal 2000, fotografa esclusivamente con reflex Canon, nel 2004 e' passato al digitale e attualmente e' fotografo professionista e membro del CPS (Canon Professional Service). Per la post produzione utilizza il suo Macbook Pro e le sue foto vengono immagazzinate in Aperture 2. Elabora (ove necessario) le sue foto sia con Aperture che con Photoshop. Potete vedere il portfolio sul suo sito web: www.edoardodipisa.it .




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