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Fotografia: espressione e ascolto


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avatarsenior
inviato il 10 Ottobre 2019 ore 22:21

Stasera, mentre fuori piove, io sono seduto al mio tavolo, un vecchio tavolo fatto in legno di ulivo. L'ho estruso io con le mie mani dal tronco di un ulivo centenario, decenni fa. L'ho fatto perché quando ho visto quell'albero caduto, ho sentito il bisogno di farne qualcosa. Non ho progettato un tavolo nella mia testa, é uscito da sé, mentre lo lavoravo. A un certo punto ho guardato ed era uscito un tavolo.
Guardo le foto fatte per me stesso. E mi rendo conto che tra esse vi sono due grandi categorie di foto: quelle che ho fatto per dire qualcosa che sentivo e volevo esprimere e quelle che ho fatto per ascoltarle, perché mi parlassero di qualcosa che non sapevo o che magari intuivo ma non sapevo esprimere.
Fotografia come espressione del conscio e fotografia come ascolto dell'inconscio.
Mi rendo conto che molte delle foto con cui volevo dire qualcosa mi appaiono meno belle, meno vive, meno profonde di quelle fatte per ascoltarle. Quelle che sento più vicine a me tra quelle fatte per esprimere il conscio, le sento cosí perché nel riguardarle ci trovo dei messaggi nuovi che provengono dall'inconscio, che forse erano già lí, nascosti, o che forse sono io a fare emergere ora da dentro di me nel guardarle.
La sensazione che provo é di disagio. Quante volte io ho usato la fotografia come un mezzo per dire ciò che volevo io, invece di mettermi io al servizio della fotografia affinché essa potesse esprimere ciò che di più profondo e nascosto vi era? Quante volte ho voluto mettere nelle mie foto il mio messaggio, invece di lasciarle più libere di esprimere il proprio messaggio, un messaggio che potesse essere magari piú universale e adattarsi maggiormente alla percezione dei diversi spettatori che vedevano la mia fotografia?
Ciò che voglio dire é che la fotografia é un grande mezzo espressivo, ma che forse a volte, presi dalla foga di usarla per dire ciò che abbiamo in testa, ne limitiamo le potenzialità e finiamo per farne un servo, un messaggero obbediente anziché un amico, un pari con cui dialogare.
Certe foto le ho fatte a istinto, perché sentivo di doverle fare, e farle in quel modo, ed esse adesso più di altre mi parlano da pari a pari toccandomi l'anima.

avatarsenior
inviato il 11 Ottobre 2019 ore 11:18

Che bella lettura. Ottimo testo, scritto bene e sapiente interpretazione della fotografia. C'è molta sensibilità in quello che leggo e mi fa molto piacere, perché ho provato quasi le tue stesse emozioni per come interpreti una fotografia. Complimenti, stima. Ciao, Fabio

avatarsenior
inviato il 11 Ottobre 2019 ore 11:36

Grazie infinite! É bello sentirsi compresi!

user170782
avatar
inviato il 11 Ottobre 2019 ore 11:48

Ottime e condivisibili riflessioni. Manca un buon bicchiere di vino su quel tavolo ;-)

avatarsenior
inviato il 11 Ottobre 2019 ore 12:58

credo che i due approcci siano validi e non contradditori, c'e sempre una parte d'insconscio, d'istinto anche nelle foto piu "calcolate" (come in tutto ragionamento umano) forse la tua preferenza per le foto fatte d'instinto viene dalla sorpresa che hai te stesso "scoprendo" l'intenzione inconscia a posteriori il che forse ti spinge ad attribuirgli un valore affettivo...ma il "lettore" esterno che ne sa se la foto è "calcolata" o istintiva?...per lui non c'è solo la foto e quello che racconta e che puo apprezzare o no indipendentemente dalli stato d'animo dell'autore.

avatarsenior
inviato il 11 Ottobre 2019 ore 13:03

Concordo sul fatto che indipendentemente dal messaggio voluto dall'autore poi ognuno possa trovare in ciò che vedein misura variabile un significato proprio, ma questo é più difficile quando il messaggio é forte e molto definito dall'autore.

avatarsenior
inviato il 11 Ottobre 2019 ore 13:06

Te lo ripeto il messaggio dell'autore puo essere "forte" che la foto si calcolata o istintiva...non cambia niente, quello che conta è la foto in se stessa e com'è "ricevuta" dal fruitore.
Poi ci sono alcuni che credono fare buone foto studiando ogni dettaglio come Doisneau e altri che agiscono d'instinto come una specie di trans...come Antonio d'Agata dell'agenzia Magnum che dice che riesce a fare foto solo quando è drogato, alcolizzato insomma in uno stato "altro"...ma il lettore non giudica la foto su questi criteri, vede solo la foto e basta.

Ognuno ha il suo "metodo" io per esempio quando faccio foto ho gia delle idee ben precise in testa, so cosa cerco e mi concentro mentalmente par essere pronto a cogliere l'attimo "quando tutto quadra" ci vuole molta concentrazione, un dosaggio di concentrazione/apertura a tutto durante il lavoro fotografico (che puo durare ore) ed è faticoso mentalmente, se sbaglio le foto (non parlo ti tecnica) so che e perche non ero abbastanza concentrato....so anche che quando sono abbastanza concentrato sul lavoro fotografico passo inosservato, come se per la gente attorno fosse la cosa piu normale al mondo che io sia là a fare foto, come un postino che recapita la posta o un muratore che scava con un martello pneumatico, uno spazzino che spazza la strada, ecc....sono come tutti concentrato sul mio lavoro...un lavoro come un'altro .Sorriso

avatarsenior
inviato il 11 Ottobre 2019 ore 17:30

Ottimo spunto. Molto vero.
Credo che chi riflette su "cosa fa realmente quando fa una fotografia" abbia fatto considerazioni di questo tipo.

E' un po' il tema del "doppio soggetto": uno esplicito che si descrive a parole, uno più profondo che realmente muove il fotografo verso quello scatto.
Jean Beaudrillard ha detto: è il soggetto che "chiede" di essere fotografato.

Capire dove ha origine quella "urgenza" che ci spinge a fotografare qualcosa magari apparentemente banale, è un modo di porre l'attenzione su parti profonde di noi.

avatarsenior
inviato il 11 Ottobre 2019 ore 18:16

La concentrazione necessaria è proprio quella..."cosa fai realmente quando fai una fotografia"...ti puoi dare un "perimetro mentale" e concentrarti per non disperderti ma poi al momento decisivo devi essere interamente presente (coscentemente e incosciamente)....il "doppio soggetto", se esiste, deve fare uno, ma è vero che ne scopri una parte solo dopo aver fatto la foto, è normale, non si puo avere una coscenza totale perche per natura esiste una parte incoscente ma con quella che io chiamo "concentrazione" si puo cercare "addomesticarla", di "farla andare nel senso che vogliamo, di essere interamente presenti al 100% o almeno di farla convergere verso lo stesso "obbiettivo" e non solo al momento dello scatto, bisogna "tenere" questa concentraziine" durante tutto il tempo di "lavoro" ...e mentalmente è faticoso, ci vuole un'allenamento MrGreen

Quella di Beaudrillard credo sia piu una "parabola" per dare il suo punto di vista cioè che è il soggetto che s'impone al fotografo e non il contrario.

avatarsenior
inviato il 11 Ottobre 2019 ore 18:51

Quella di Beaudrillard credo sia piu una "parabola" per dare il suo punto di vista cioè che è il soggetto che s'impone al fotografo e non il contrario.
Sì, certo. Però mi sembra esprima bene quella cosa che accade quando ti trovi davanti a qualcosa che ti spinge a premere lo scatto.

avatarsenior
inviato il 11 Ottobre 2019 ore 18:52

Ecco, io invece sono arrivato alla conclusione opposta: non voglio più "addomesticare" la mia parte incosciente per farla andare nel senso che voglio io (il mio conscio), non voglio più usare la fotografia per dire ciò che voglio io (il mio conscio), voglio essere più in ascolto della mia parte incosciente e voglio che la mia fotografia sia un mezzo per essa di farsi ascoltare, voglio sentirla, seguirla. Fotografia come mezzo di ascolto, se cosí si può dire.

avatarsenior
inviato il 11 Ottobre 2019 ore 19:11

E perché no, se pensi che é la tua "via", quella che ti permette di esprimerti meglio....non ci sono "regole" scritte nel marmo....puoi fare come Antonio d'Agata che è un fotografo che apprezzo tantissimo (anche se recentemente ha cambiato un po stile) lui faceva cosi come dici ...le "vie" della foto sono infinite Sorriso....io credo che le tecniche "d'ascolto" di far parlare, abbandonarsi all'incoscente, ecc...prima o poi arrivano a un'impasse (vedi sempre A. D'Agata che seguendo questa via ha dovuto superare una grossa crisi d'identita, o alla scrittura automatica dei surrealisti, ecc...) ma è solo la mia opinione personale per quello che valeMrGreen una cosa è sicura puo essere un'esperienza interessante.

avatarsenior
inviato il 11 Ottobre 2019 ore 19:59

Discussione interessante, ma a mio parere dovrebbe essere supportata da fotografie emblematiche dei due diversi approcci.
Meglio se personali e non di autori famosi perche' solo l'autore puo' essere a conoscenza del percorso che ha generato la foto.

avatarsenior
inviato il 11 Ottobre 2019 ore 20:11

Bella lettura, che fa riflettere. Mi viene un solo dubbio sulle tue conclusioni.
il racconto e l'ascolto sono indissolubillmente legati.
Ovviamente, se racconto una storia, e' perche' prima l' ho scoperta, ascoltata, mi ha cosi' tanto colpito, che la voglio condividere. Pero' raccontare e' meno piacevole che scoprire. Quindi e' normale che, guardando indietro, il racconto, ormai metabolizzato e digerito appaia meno "interessante" rispetto all'ascolto di una nuova storia.
Tuttavia non tutte le storie ascoltate poi meritano di essere raccontate..

avatarsenior
inviato il 11 Ottobre 2019 ore 20:25

Grazie a tutti dell'intervento, mi avete aiutato a esprimere meglio ciò che sentivo e ne avete mostrato altre sfaccettature e punti di vista!

Che cosa ne pensi di questo argomento?


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