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Islanda


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Islanda, testo e foto by Utente Non Registrato. Pubblicato il 07 Settembre 2011; 0 risposte, 6576 visite.


La programmazione del viaggio in Islanda è iniziata molto prima del viaggio stesso. In realtà l'idea di una visita in quella regione così remota era già nell'aria da qualche anno, ma è stato solo nel 2010 che ho potuto realizzarla, insieme a mio cugino.
Come dicevo, il viaggio ha richiesto un discreto lasso di tempo per la programmazione e decisione dell'itinerario. Dato che la popolazione dell'Islanda si moltiplica nei mesi estivi a causa (o grazie a, a seconda dei punti di vista) del turismo, per essere sicuri di avere un posto in cui riposarsi la sera ad un prezzo non esorbitante, è meglio muoversi per tempo per ottenere le condizioni migliori. Questo purtroppo ci obbliga però a seguire una tabella di marcia piuttosto rigida, anche se stilata in modo da non tralasciare nulla o quasi.

Il nostro viaggio inizia dalla capitale Reykjavik, per procedere poi in senso orario sulla Ring Road, la strada principale (e l'unica) di tutta l'Islanda, facendo alcune digressioni nell'interno, abbandonando la strada asfaltata per le piste sterrate.
Reykjavik si presenta come una ridente cittadina di provincia piuttosto che la capitale di uno stato, ma è proprio quest'aria innocua che la rende così accogliente. È quanto di più lontano ci possa essere da una normale capitale: tranquilla, pochissimo traffico e una sensazione di tranquillità che pervade l'aria fresca di Agosto.
La città non offre molto, quindi abbiamo previsto un solo giorno per visitarla sapendo che le cose da vedere sono ben altre. Tuttavia non si può mancare di assaggiare l'hákarl, il famoso - o famigerato - squalo putrefatto, che si può acquistare al mercato per poche corone. Avendone letto le caratteristiche su internet, mi ero preparato al peggio, ma non è così malvagio come lo si descrive. L'odore è molto simile all'ammoniaca (ma molto più forte) e il sapore ricorda un gorgonzola molto saporito, è però la consistenza quella che forse contribuisce di più alla sensazione di poca gradevolezza: è infatti molto gommoso e masticarlo risulta alquanto difficile. Più semplice ingoiare il piccolo pezzo dopo qualche invano tentativo di triturarlo con i denti.




Ritornando al viaggio, dopo Reykjavik ci dirigiamo verso la penisola di Snæfellsnes, sovrastata dal ghiacciaio Snæfelljökull. Man mano che ci allontaniamo dalla città, il paesaggio cambia, mostrandoci enormi spazi ampi scarsamente popolati che ricordano le vaste pianure degli Stati Uniti occidentali. Abbiamo un paio di giorni per esplorare la zona, ma complice la luce ancora abbondante anche alle 10 di sera, ci avventuriamo verso la vetta del ghiacciaio, nonostante la nebbia. È un'esperienza surreale, procedere nella strada accidentata e sterrata avvolta dalla nebbia conferisce all'escursione un sapore quasi da favola, o da Signore degli Anelli se volete.




La tappa successiva è il Circolo d'oro, la zona così chiamata che racchiude le 3 principali destinazioni turistiche islandesi: il parco nazionale di Þingvellir, la cascata Gullfoss e la zona di Geysir.
Per raggiungerlo, ho previsto di attraversare i primi chilometri di sterrato del nostro viaggio, la pista di Kaldidalur. Lungo la pista, non particolarmente accidentata, è possibile ammirare altri 2 ghiacciai, uno dei quali è il Langjökull, il secondo più grande di tutta l'Islanda. Proprio alla vista del ghiacciaio in lontananza in occasione di un bivio, abbiamo fatto la nostra prima deviazione non prevista, arrivando con la Jeep fino al bordo estremo del ghiacciaio per continuare l'esplorazione a piedi per alcuni metri, facendo anche la nostra prima conoscenza con le sabbie mobili. Continuando sulla pista, il paesaggio cambia ancora: abbiamo abbandonato le verdi vallate dello Snæfellsnes, per le aride e deserte pianure lungo la strada che ricordano la Mongolia.

Arrivati nella zona del Circolo d'oro, si può notare un deciso cambiamento: pullman e auto di turisti sono molto più frequenti. Forse complice anche questo fatto, rimaniamo delusi soprattutto da Þingvellir, il parco in cui è possibile ammirare la spaccatura delle due faglie tettoniche. Peccato che camminarci attraverso non sia poi questo granché, dato che non trasmette l'importanza e la particolarità del fenomeno; ben diverso sarebbe stato un tour aereo.
Avvicinandosi alla zona geotermicamente attiva di Geysir, che prende il nome dal più famoso geyser al mondo, è possibile percepire un chiaro odore di zolfo, peraltro sempre presente ogniqualvolta si usi l'acqua nei bagni, che di norma è calda e per avere quella fredda bisogna aspettare un po'. Nonostante l'area sia delimitata e non molto ampia, non si può rimanere indifferenti allo spettacolo che ci offre il geyser Strokkur che erutta getti di acqua bollente - alti fino a 30 metri - a intervalli più o meno regolari di 10 minuti. In serata ci spostiamo quindi verso la cascata di Gullfoss la cui visuale è però disturbata dalla nebbia e dalla pioggia, che finora ci aveva risparmiati regalandoci invece belle giornate di sole.




Il giorno seguente ci aspetta la pista di Kjölur, la seconda pista più lunga d'Islanda - circa 300km - che ci porterà ad Akureyri, la cosiddetta capitale del nord. Finalmente assaggiamo il classico tempo islandese, la nebbia e una finissima pioggerellina ci accompagneranno per tutta la traversata, rendendo la guida emozionante e ritrovando quell'atmosfera surreale già incontrata per il breve tratto dell'ascesa al ghiacciaio Snæfelljökull. I colori dominanti sono un verde poco saturo e un grigio dominante che conferiscono alle lande deserte che attraversiamo un'aria sinistra e spettrale. Non a caso molte leggende che hanno come protagonista il fuorilegge più famoso d'Islanda, Fjalla-Eyvindur, sono ambientate in queste zone.
A circa metà del tragitto si trova la zona geotermale di Hveravellir, in cui alcuni intrepidi viaggiatori trovano il coraggio di affrontare il vento freddo seminudi per entrare nell'acqua bollente. Sinceramente, non ce l'ho fatta.

Arrivati ad Akureyri, ci troviamo nella seconda città più grande d'Islanda, con ben 13mila abitanti. Anche a giudicare dal numero di abitanti è una città molto piccola ma dalla vita piuttosto vivace, come non ci si aspetterebbe da un posto con questa collocazione geografica. Passiamo quindi dal villaggio di pescatori di Husavik, presso il quale cogliamo l'occasione di una gita in barca nella baia antistante per cercare di avvistare i numerosi cetacei che popolano questo tratto di mare. Alla fine riusciamo a scorgere solo alcune balenottere minori e gli immancabili delfini. Non sono megattere o capodogli, ma la loro scena la fanno sicuramente. Ci spostiamo quindi verso la zona del lago Mývatn, a mio parere la più emozionante di tutto il viaggio. Se alcune cose in un viaggio ideale in Islanda possono essere tralasciate, quest'area non è tra quelle. Anzi, probabilmente basterebbe da sola per far capire al viaggiatore ciò che l'Islanda è. Si tratta di un'area attiva e viva, dal suolo ribollente, caldo e borbottante, la cui aria è permeata da un continuo odore di zolfo che si fa più o meno forte a seconda della posizione. Il lago in se non offre nulla di particolare, se non dell'ottima trota salmonata e gli immancabili e fastidiosi moscerini che popolano le sue sponde. I dintorni invece sono disseminati di luoghi da vedere, vivere ed esplorare, così diversi da quello a cui siamo normalmente abituati.







Si passa dal campo geotermale attivo di Hverarönd, con la sue pozze di ribollenti fanghi blu e terreno multicolore che ci catapultano su un altro pianeta, al cratere Viti, ora trasformatosi in un lago. La zona più suggestiva è però quella dei dintorni del vulcano Krafla, in particolare Leirhnjukur. La recente attività vulcanica risalente a metà degli anni '80 è ancora chiaramente visibile, con bocche fumanti, suolo caldo, aria così carica dal forte odore di zolfo da renderla a tratti insopportabile, e uno scorcio della devastazione causata dal magma incandescente. Se è c'è un luogo al mondo che più si avvicina all'immaginario comune dell'Inferno, è certamente questo. L'esplorazione continua poi con i campi di lava di Dimmuborgir e l'ascesa al cratere del monte Hverfjall, da cui si possono ammirare in lontananza gli pseudocrateri che popolano il lago Mývatn.




La sera ci abbandoniamo nelle calde acque delle piscine naturali, per rilassare anima e corpo. La sensazione è bellissima, la temperatura esterna è di poco superiore ai 10°, ma l'acqua è vicina ai 40°. Peccato che i soliti nostri connazionali siano gli unici a farsi riconoscere tra le numerose persone presenti che invece si godono il momento con rispetto per gli altri. Non distante si trova poi l'imponente cascata di Dettifoss, la più grande d'Europa per portata d'acqua. Quello che ci si para davanti è uno spettacolo unico, con il rumore assordante dell'acqua che precipita e la possibilità di avvicinarsi fino a quasi toccarla. L'Islanda è infatti molto permissiva da questo punto di vista: raramente troviamo recinzioni o barriere, in modo da permettere un totale contatto con la natura e la sicurezza è lasciata in completa responsabilità dell'individuo.







Risalendo il fiume per un paio di chilometri lungo un terreno roccioso molto accidentato, si raggiunge il gruppo di cascate che hanno il nome di Selfoss, non altrettanto importante come Dettifoss ma che ci offre - a mio personale parere - una visione più interessante e particolare per la vastità e senz'altro meno trafficata di turisti rispetto alla sorella maggiore.

Lasciamo quindi la zona del lago Mývatn per addentrarci nelle highland interne dell'Islanda. Abbandoniamo quindi la Ring Road per procedere lungo la cosiddetta via dell'Askja, non prima di aver rifornito il Wrangler e di esserci procurati una tanica di scorta di benzina, dato che passeremo i prossimi giorni 3 giorni nell'interno, che è totalmente deserto e disabitato. Al limitare della pista F88, oltre ad un cartello che riporta la cartina dettagliata della zona da cui prendiamo appunti, non possiamo fare a meno di notarne un altro, scritto in 3 lingue: islandese, inglese e italiano. Il cartello riporta la seguente frase: Vietato guidare fuori strada. Questo è stata l'unica frase che ho letto in Islanda scritta nella nostra lingua, a voi le tristi conclusioni. Imbocchiamo così la strada sterrata, accompagnati dall'ormai onnipresente cielo grigio e plumbeo, le nuvole basse, il vento freddo e la pioggerellina fine. Ben presto ci imbattiamo nel primo dei numerosi guadi che ci attendono e proseguiamo nel deserto intervallato da vastissimi campi di lava, arrivando prima del previsto al rifugio Dreki, complice una pista di difficile percorribilità solamente a tratti.
Piantiamo la nostra tenda e ci incamminiamo verso la caldera dell'Askja. Il freddo e il vento si fanno più pungenti e la nebbia ci impedisce di godere appieno dello spettacolo una volta raggiunto l'enorme cratere, che come molti ospita ora un lago.

Il giorno successivo lasciamo la zona per spingerci ancor più verso l'interno, fino al limitare nord del ghiacciaio Vatnajökull. Arriviamo al campo di Kverkfjoll solo dopo alcune ore, nonostante siano 41 i chilometri che lo separano dall'Askja. Il paesaggio è il solito ma sempre diverso: deserto roccioso, campi di lava, cielo plumbeo, grigio un po' ovunque. Se il campo dell'Askja era discretamente popolato di visitatori - considerando la zona in cui si trova - arrivati a Kverkfjoll una volta piantata la nostra tenda il campo ne contava ben due!
Il motivo principale per cui ci siamo spinti fino a qui era perché avevamo intenzione di visitare le grotte di ghiaccio che si formano all'estremità del ghiacciaio. Peccato che ad Agosto sia vietata l'esplorazione all'interno a causa dello scioglimento dei ghiacci. Le due ranger del rifugio ci assicurano comunque che possiamo avvicinarci ad esse fino all'ingresso. Ecco, questa non è stata la migliore scelta che potessimo fare. Per arrivare alla grotta abbiamo dovuto infatti attraversare un fiume glaciale in piena passandogli sopra attraverso il sovrastante ghiacciaio, che - data la stagione - si stava anch'esso sciogliendo. È stata una continua lotta con i massi, il ghiaccio che si spaccava sotto i nostri piedi e le terribili sabbie mobili in cui affondavamo per diversi centimetri e che ci trascinavano a valle verso il fiume, diverse decine di metri più sotto. Ovviamente il percorso abbiamo dovuto farlo anche all'inverso. Ne è valsa la pena? No, le grotte non erano avvicinabili e abbiamo rischiato davvero troppo. Dedichiamo il resto della giornata ad un passeggiata vicini al bordo del ghiacciaio, nel niente più assoluto.

Il giorno successivo abbandoniamo Kverkfjoll, attraverso l'ormai abituale paesaggio lunare e ci dirigiamo verso Egilsstaðir, la prima cittadina che si incontra al ritorno dall'interno. Riprendiamo quindi la Ring Road fino ad Höfn attraversando i fiordi orientali la cui visuale ci è però stata impedita dalla nebbia fitta e dalla forte pioggia incessante. In questa zona il paesaggio cambia nuovamente, abbandonato il deserto, rispuntano da una parte i campi verdi lambiti dalle lingue di ghiaccio che scendono dal Vatnajökull e dall'altra il mare e i sandar, distese di sedimenti sabbiosi e fangosi causati dallo scioglimento del ghiacciaio. Proseguendo sulla strada principale verso il parco nazionale di Skaftafell, raggiungiamo la famosa laguna di Jökulsárlón, costellata da iceberg e contornata dalle montagne del Vatnajökull.




È proprio quando decidiamo di fare un'escursione in motoslitta sul ghiacciaio che durante l'ascesa su un tratto di sterrato particolarmente accidentato, foriamo la prima gomma. Anche altre due gomme da alcuni giorni ci stavano dando dei problemi, costringendoci a gonfiarle almeno una volta al giorno. Questa invece era proprio a terra. Aiutati da un ranger che ci fornisce il cric, cambiamo la gomma e torniamo a Höfn per farcela riparare insieme alle altre due. Un piccolo imprevisto risolto velocemente, anche se ci ha portato ad un cambiamento imprevisto della tabella di marcia. Arriviamo finalmente allo Skaftafell ed esploriamo a piedi il parco. Vette innevate, verdi pianure e un cielo dai bellissimi colori è quello che si presenta ai nostri occhi. Ed è proprio il cielo in Islanda che sorprende: è diverso, sembra più grande di quello che abbiamo qui, più ampio, più vasto e più profondo e i tramonti ci regalano dei colori mai visti.




Il parco ospita anche la famosa cascata di Svartifoss, circondata dalle nere forme geometriche e squadrate del basalto. Abbandoniamo quindi la zona dello Skaftafell in direzione Landmannalaugar. Facciamo però prima una deviazione verso i crateri di Laki, un enorme campo di lava su cui ormai si è formato del muschio, conferendo così al paesaggio circostante sfumature di verde, nero e grigio a perdita d'occhio. Nonostante la pista sia lunga non più di una cinquantina di chilometri, è senza dubbio la peggiore che abbiamo incontrato in Islanda. La velocità con cui procediamo qui è ridottissima e l'attenzione alla guida è ai massimi livelli per evitare i sassi acuminati che potrebbero provocarci un'altra foratura che ci costringerebbe ad attendere l'arrivo dei soccorsi. Tuttavia anche in questo luogo l'attesa viene ripagata, arrivati al Laki le distese di nulla davanti a noi e il silenzio totale ci catapultano nuovamente in un dimensione non ben definita.

Torniamo indietro per imboccare la pista per Landmannalaugar, anche questa particolarmente accidentata ma diversa per i paesaggi che ci offre. Qui le pianure verdi e nere sono attraversate da numerosi fiumi, il cielo è spesso dipinto di arcobaleni e man mano che la sera si avvicina, i colori caldi del cielo e le ombre lunghe proiettate dalle montagne ci regalano un quadro dietro l'altro di questa natura incontaminata. La zona di Landmannalaugar è forse una delle più note d'Islanda, con le montagne insolitamente colorate di rosso, verde, nero, giallo, blu e così via. Ci dirigiamo verso la cittadina di Vík, famosa per i faraglioni di basalto che si ergono dal mare e dalle spiagge di lava nera, avvicinandoci così alla fine del nostro viaggio. Un ultimo inconveniente ci succede poco prima di arrivare alla cascata di Skogafoss, ultima tappa del nostro viaggio. Riusciamo a bucare un'altra gomma, stavolta sulla strada asfaltata. Non avendo più un cric (e la chiave per togliere i bulloni delle ruote si era rotta durante l'altra operazione) abbiamo dovuto chiamare la polizia (che vista l'assenza totale di crimine quello che fa è in buona sostanza assistenza stradale), che in meno di 5 minuti dalla chiamata ci ha soccorsi e chiamato un carro attrezzi con meccanico che ci aiutasse a sostituire la gomma con quella di riserva.

Raggiungiamo così l'aeroporto, dove il noleggiatore ci ha rimborsato l'importo speso per la riparazione delle gomme e per il soccorso stradale, nonostante non avessimo alcuna ricevuta. Questo dimostra il carattere e l'ospitalità degli islandesi, anche se a volte un pò guardinghi - per così dire, interessati a mantenere dei buoni rapporti col resto del mondo. E così si è concluso il nostro viaggio in Islanda, la terra di fuoco e ghiaccio, disseminata di migliaia di crateri vulcanici, distese di lava nera e deserti sterminati, ma anche di valli e pianure rigogliose, di ghiacciai e di solfatare fumanti.



Simone Pomposi nasce a Firenze nell'agosto del 1981. L'attitudine artistica è emersa in giovanissima età, quando a 12 anni ha intrapreso lo studio del basso elettrico e della musica. Questa passione l'ha portato a raggiungere importanti traguardi ed essere apprezzato unanimemente per le emozioni che riusciva a trasmettere con il suo 6 corde. Quasi contemporaneamente all'iscrizione alla Facoltà di Lettere e Filosofia, ha indirizzato la sua creatività verso la fotografia, affinando sempre più la tecnica e la composizione attraverso un intenso studio e ricerca personale. Sempre attento alle tendenze stilistiche attuali, combina un sapiente e creativo uso della luce con un ritocco digitale moderno ed avanzato per creare fotografie rispondenti alle sempre più esigenti richieste del mercato. Attualmente opera a livello nazionale nell'ambito degli sport motoristici e nel settore automotive, nell'ambito advertising/commerciale, fashion/beauty e ritratto e della fotografia di paesaggio. È inoltre un Adobe Certified Expert in Photoshop. Potete vedere le sue opere sul sito www.simonepomposi.com/



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