| inviato il 16 Giugno 2018 ore 18:39
Scrivo questo articolo per chiarire un aspetto poco conosciuto e spesso ignorato degli spazi RGB. La loro morfologia. Sovente viene considerato, al fine di valutare un spazio RGB, solo alcune caratteristiche, come estensione o volume del gamut, il punto di bianco e al massimo la TRC. Spazi celebri come AdobeRGB, sRGB, WideGamutRGB, ProPhoto, ecc... sono tutti codificati come profili RGB display class; usualmente matrix, più raramente cLUT. Sebbene appartenenti alla stessa famiglia, questi spazi sono stati creati per scopi ed esigenze diverse. AdobeRGB e sRGB sono spazi concepiti per l'output diretto, per questo emulano periferiche reali. Allo stesso modo i più recenti P3 e Rec2020 emulano pannelli LCD ad alta definizione. Ma non sono concepiti per l'editing dei dati, ma solo per la loro distribuzione in forma finale. Il compito di spazi come il RIMM e il ROMM (ProPhoto) è invece diverso; non simulano periferiche reali. La cromaticità dei primari sconfina addirittura oltre il locus umano, lo spazio codifica perciò anche colori inimmaginabili :
 La posizione dei primari è scelta per massimizzare il volume e poter includere i dati scene-referred delle periferiche input; cioè i dati derivanti dalla tipica trasformazione RGB device-dipendent --> XYZ. Ma questo non è il solo criterio; se infatti bastasse avere un gamut molto ampio sarebbe più logico e semplice porre la cromaticità dei primari in modo da coprire tutto il locus umano. La morfologia, e quindi la posizione relativa dei primari, altera il comportamento dello spazio quando i dati sono sottoposti a trasformazioni. Ogni spazio RGB comporta una alterazione dei colori quando viene effettuato un qualsivoglia intervento di editing; ad esempio le curve di contrasto alterano sia la saturazione che l'angolo di tinta dei colori. Il primo effetto è meno grave, mentre il secondo impatta più negativamente la qualità e costanza dei dati. Quindi, quando si progetta uno spazio RGB, la posizione dei primari deve soddisfare diversi aspetti ed esigenze, cercando di bilanciare il tutto tra estensione, copertura di periferiche reali, capacità di accettare dati scene-referred, resilienza all'Hue twist, efficienza di codifica, ecc.. Finita la doverosa premessa ora presentiamo la prova tecnica, che riguarda appunto la capacità degli spazi RGB di essere un buon spazio di lavoro : Scelta del campione : Per questo test ho derivato le coordinate del classico ColorChecker 24 tacche da una media spectrum per illuminante D50 e osservatore standard 2° :
 Da questo campione viene creato un file Tiff in ProPhoto 16bit e poi applicata una curva sigmoidale di contrasto in Lab :
 A questo punto abbiamo un riferimento di misura che rappresenta il risultato ideale di una curva di contrasto non affetta da alterazioni di saturazione e tinta (o quasi, visto che il LAB non è percettivamente uniforme, ma sorvoliamo). Ecco il risultato :
 Questo sarà il riferimento per i campioni successivi. Match della curva di contrasto negli spazi sRGB, AdobeRGB, ProPhoto e CobaltRGB : Lo stesso target lineare viene poi curvato negli spazi RGB avendo cura di fare il match per l'asse dei grigi; quindi tutte le patch neutre risulteranno della stessa chiarezza in tutti gli spazi. Ogni target viene importato in PatchTool e comparato con il riferimento ottenuto dal Lab :
 In ordine da sinistra verso destra : CobaltRGB, ProPhoto, AdobeRGB, sRGB Risultati : Per la valutazione della resilienza dello spazio all'editing il parametro che ci interessa è l'angolo H valutato in CIEDE2000; minore l'angolo, migliore la resilienza :
 Come potete notare i sigma peggiori appartengono a AdobeRGB e sRGB; spazi non concepiti per l'editing. Tra CobaltRGB e ProPhoto vince il Cobalt . Conclusioni : Il CobaltRGB esce vincitore da questa comparativa; ma basta questo per definirlo migliore? No; lo spazio RGB migliore non esiste in senso assoluto. Il ProPhoto ha una resilienza minore in questa prova e rispetto al CobaltRGB ha una efficienza di codifica peggiore, anche per via dell'obsoleta TRC in gamma 1.8. Tuttavia rimane il migliore per la codifica verso Lab, dato che ne copre una percentuale maggiore. Spero vi sia piaciuta la disamina tecnica . |
| inviato il 17 Giugno 2018 ore 2:35
Molto interessante come sempre, soprattutto perchè le differenze vengono fuori con la curva di contrasto che è un editing semplice. Se c'è variazione di H fino a 5,5 (immagino siano gradi) con così poco editing, figuriamoci che succede alle tinte con operazioni più complesse. Giusto per curiosità, noto dagli istogrammi che ci sono tasselli (patch) di colore che non ruotano o quasi e altri tasselli che ruotano tanto. Sono sempre gli stessi? In altri termini, ci sono colori meno o più resilienti nei vari spazi editing? Dagli screenshot di Patchtool è difficile giudicare a vista, anche se il rosso sembra cambiare parecchio. Il prophoto, invece, tolti i 6 patch dei grigi nella prima barra (fermi per come hai condotto la prova), sembra avere almeno 5-6 patch colorati fermi o quasi, mentre altri 4 si spostano di oltre 4° . Il Cobalt effettivamente è un ottimo compromesso. Non ha quel "gap" che hanno gli altri tra patch stabili e patch instabili. Sarebbe interessante vedere che succede con una tavoletta più complessa e magari con colori più estremi. Certo che con questi spazi "se ne vedono di tutti i colori" |
| inviato il 17 Giugno 2018 ore 8:05
Seguo interessato il maestro. |
| inviato il 17 Giugno 2018 ore 14:39
Grazie ragazzi @Motofoto La parte più resiliente del gamut dipende dalla morfologia. Il problema, alla base, dipende dalla non uniformità degli spazi RGB e dello spazio XYZ :
 Queste sono le ellissi di Mac Adam (qui sono ingrandite). In pratica il contorno della ellisse rappresenta la soglia di percezione dove un campione statistico di osservatori avverte una differenza cromatica. Quel grafico spiega il perché della differenza tra spazi per l'output-referred e spazi per l'editing. Per spazi come sRGB, ma anche più recenti come il Rec2020, scegli i primari in base a quello che puoi costruire. Per spazi dedicati all'editing ti scegli i primari per massimizzare l'efficienza matematica. Il blu è una rogna e il rosso è delicato; per questo solitamente sono questi i due cardini iniziali, poi sul verde hai più manovra. Il ProPhoto e il CobaltRGB hanno proprio nella regione dei verdi la zona di non intersezione. |
| inviato il 17 Giugno 2018 ore 15:35
Essendomi sempre occupato di FT-IR (spettrometria infrarossa basata su interferometri di Michelson e trasformata di Fourier), ho nutrito un ingiustificato complesso di superiorità sul colore. In realtà il color matching è una pietra angolare dell'industria in generale. La fotografia è una nicchia interessante, specialmente dopo l'avvento del digitale. Spinoza (nick moulin su Juza) è sempre stato un Nikonista, uno dei pochissimi da cui si poteva imparare sotto Nikonland.eu (ora Nikonland.it). Innamorato da sempre di stampa a colori, al punto di farne una professione, lui che poteva vivere di altro (manager con una laurea in ing. chimica PoliMI). Per cui ho sempre pensato "finché c'è Spinoza, inutile che studi il colore". Adesso è anche "finché c'è Enrico, perché mai dovrei studiare il colore?". Ho i due libri fondamentali di Margulis sul colore e PS. Un po' sono negato con PS, un po' non capisco in pieno, ma soprattutto il colore mi annoia, perché, da negato, non "vedo" il colore. Ad un certo punto prevaleva la nozione che Nikon producesse JPEG giallastri. Spinoza ha fatto uno studio strumentale del problema ed era giunto alla conclusione che la dominante gialla non esisteva! Purtroppo non riesco a ritrovare il link sotto Nikonland. Gli addetti ai lavori sanno che lavorare in riflessione costa sempre di più che in assorbanza/trasmittanza, cioè riflessione=costi più alti per uno spettrometro. Per cui telefonai ad un concorrente di X-RITE con una domanda banale "come fanno a vendere uno spettrometro in riflessione a ~ 2k$? Il tuo spettrometro entry level cosa costa?" "il mio low-cost è sui 12k€, quelli che si usano in fotografia sono strumentini disossati (sic!)" "ma fanno buone misure?" "sì, perché le esigenze sono molto modeste". Spinoza attualmente è in cotta Sony, vale la pena seguirlo sotto www.ultrasony.com. Confermo che finché Enrico è così in palla non ha senso per me studiare il colore nel digitale. |
| inviato il 17 Giugno 2018 ore 15:54
@Valgrassi Così mi fai diventare rosso rosso... più rosso del rosso di ProPhoto . Confermo la cosa sugli spettrofotometri; quelli venduti per la maggiore nel settore fotografico, come ad esempio l'X-Rite i1Pro2, sono strumenti che non possono ambire ad essere reference su laboratori seri. Da un service stampa fine-art con i @@ ci si dovrebbe aspettare qualcosa di più... tipo un buon Barbieri. |
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