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Spirit of the West


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Spirit of the West, testo e foto by Pisolomau. Pubblicato il 19 Luglio 2017; 35 risposte, 6046 visite.


«Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati»
«Dove andiamo?»
«Non lo so, ma dobbiamo andare»





Anche noi, come Dean e Sal nel romanzo di Jack Kerouac “Sulla strada”, dovevamo andare, se non altro per riuscire a stare nei tempi stretti dettati dal programma di viaggio.
Volevo regalare a mio figlio Jacopo per il suo diciottesimo compleanno qualcosa da ricordare e nell'infuocata estate del 2014 abbiamo realizzato un viaggio a lungo sognato, un'avventura “on the road” lungo le strade dell'ovest statunitense visitando i parchi più famosi.
Jacopo era in Missouri già da un mese, per un programma di scambio culturale, e abbiamo concordato il rendez vous all'aeroporto di Denver. Ad accompagnarci la fida amica di lungo corso Gabriella, che avrebbe curato la logistica del viaggio.
Giusto il tempo di un abbraccio e subito di corsa verso l'autonoleggio.
Nei pressi dell'aeroporto trascorriamo la notte in un motel che risulterà essere il peggiore di tutto il viaggio e la mattina dopo impostiamo il navigatore per Moab; fa un certo effetto sentire la vocina metallica pronunciare poche parole per poi ammutolirsi per il resto del viaggio: “diritti per 350 miglia sull'interstate 70 e poi svoltate a sinistra”! L'interstate è trafficata ma scorrevole, sale di quota ben oltre i 3000 metri e man mano che ci spostiamo ad ovest il traffico diminuisce. Spezziamo il viaggio con alcune soste, caffè e torta di mele e poi di nuovo in strada.
Arriviamo a Moab nel pomeriggio e dopo aver trovato un motel ci dirigiamo al Visitor Center dell'Arches National park, che si trova poche miglia fuori Moab, dove programmiamo la visita del giorno dopo e acquistiamo, al costo di un centinaio di dollari, il pass annuale per tutti i National Park valido per un'auto e fino a cinque occupanti. E' un prezzo assolutamente favorevole, considerato il numero e la bellezza dei National Park americani.
L'Arches National Park conserva oltre 2000 formazioni geologiche di arenaria come il famoso Delicate Arch, che è il simbolo dello Utah: archi, spirali, rocce in equilibrio, pinne di arenaria e monoliti erosi.
Circa 300 milioni di anni fa il mare che occupava questa regione evaporò, lasciando uno strato di sale; ad esso si sovrapposero detriti che si compattarono in rocce. In tal modo il letto salino si trovò sottoposto a pressioni che lo resero instabile, liquefacendolo e facendolo riposizionare. Questi movimenti sollevarono alcune zone rocciose e ne depressero altre, provocando la formazione di lunghe fratture. L'acqua, penetrando nelle fratture, frantumò la roccia, permettendo al vento di asportare i frammenti più piccoli e lasciando esposti dei muri di arenaria. Gli archi sono ciò che rimane di questi muri dopo l'erosione delle parti più tenere.




Una comoda strada percorre l'intero parco da sud a nord e consente di raggiungere in auto la maggior parte dei view points. In due giorni abbastanza intensi è possibile visitare i luoghi di maggior interesse, compreso l'immancabile Delicate Arch, per raggiungere il quale è necessario effettuare una discreta scarpinata che può essere molto impegnativa nella stagione calda. La roccia degli archi è costituita dall'Entrada Sandstone, un'arenaria dal color salmone le cui sfumature cambiano di intensità al variare dell'inclinazione dei raggi solari che la colpiscono.
Consiglio quindi di andarci nel tardo pomeriggio, in modo da essere sul posto quando il sole al tramonto incendia i colori del Delicate Arch.




Il secondo parco per importanza nelle vicinanze di Moab è il Canyonlands National Park. Gli artefici di questo aspro e selvaggio susseguirsi di canyon sono il lento scorrere dell'acqua e la forza di gravità. I quattro distretti del parco sono attraversati dai fiumi Green e Colorado, che formano una grande Y. Anche se appaiono vicini sulla mappa, non esistono strade che collegano direttamente i distretti e muoversi tra essi richiede molte ore di guida perché ci sono pochi posti per attraversare i fiumi. Island in the Sky è facilmente raggiungibile ed offre viste mozzafiato sui canyons; è come osservarli dal finestrino di un aereo perché lo sguardo spazia per decine di chilometri. In questa area si può ammirare il Mesa Arch, un grande arco sospeso sul vuoto.




The Maze, il labirinto, è il meno accessibile e meno visitato distretto di Canyonlands. Servono diversi giorni per visitarlo e molte ore in fuoristrada o a piedi.
The Needles, gli Aghi, occupa l'angolo sud-est di Canyonlands, così chiamato per via delle guglie di arenaria che dominano la zona. L'Horseshoe Canyon contiene infine numerose incisioni rupestri dei nativi.
Sulla strada per Canyonlands una tappa d'obbligo è il Dead Horse Point, un piccolo State Park che, a dispetto della scarsa notorietà, offre un panorama meraviglioso e si propone come un vero e proprio capolavoro naturale, tanto che è stato il set di diverse scene cinematografiche famose: dalla scena finale di Thelma e Louise, il drammatico volo in auto dal ciglio del rim, all'arrampicata di Tom Cruise nella scena iniziale di Mission Impossible.




Lo spettacolare panorama sul meandro del Colorado di Dead Horse Point ricorda da vicino un'altra meraviglia naturale: lo sperone roccioso di Horseshoe Bend (a Page, Arizona) a forma di zoccolo di cavallo, anch'esso plasmato dal medesimo fiume.
Il modo migliore per osservare il vasto panorama è quello di percorrere, nella luce del tramonto, il West Rim Trail, dal Visitor Centre fino al Rim Overlook.
Dopo questa tappa, dallo Utah ci dirigiamo verso sud e torniamo in Colorado; circa 150 miglia ci separano dal suggestivo Mesa Verde National Park, che offre uno spettacolare sguardo sulla vita dei nativi del Pueblo Ancestral, che hanno scavato nella roccia le loro abitazioni oltre 700 anni fa, dal 600 al 1300 d.C.
Merita una sosta di un paio d'ore per visitare le dimore scavate nel fianco della montagna, tra le quali “Spruce Tree House” che è la terza dimora più grande dopo il Cliff Palace e la Long House. La dimora ospita circa 130 camere e 8 kve-vahs, o camere cerimoniali, costruite in un'alcova naturale della larghezza massima di 60 metri e 27 di profondità.
Ci rimettiamo in viaggio nel primo pomeriggio per percorrere le 160 miglia che ci separano dalla Monument Valley, che sorge sul confine tra Arizona e Utah.
Arrivando dalla Highway 163 un lungo rettilineo in discesa ci proietta sullo sfondo della Sentinel Mesa nella mitica Monument Valley, che fa parte dei Navajo Parks & Recreation.




Dimenticatevi l'organizzazione di stampo svizzero dei National Park, i Navajo gestiscono le loro aree in maniera poco ortodossa e ci si deve adeguare, anche e soprattutto ai prezzi proposti per gli ingressi e i tour. Se volete muovervi in libertà entrate nella Valley con la vostra auto, molto meglio che stare abbarbicati su un trabiccolo scoperto e ritrovarsi coperti da capo a piedi di polvere rossa, attrezzatura fotografica compresa!
Inutile dire che l'area è bellissima e va fotografata nelle ore migliori. Immancabile la vista dal centro visitatori sulle Mittens (West e East Mitten Buttes); le due formazioni geologiche più famose del wild west e sicuramente le più fotografate al mondo svettano come due grandi guanti con i pollici verso l'interno sull'arido deserto.




Altre formazioni geologiche famose sono facilmente raggiungibili percorrendo la pista che si addentra nel parco: Totem Pole, Elephant Butte, Three Sisters, oltre alla classica vista che si gode dal John Ford Point resa famosa da tanti film Western.
Purtroppo non ci sono molti posti dove dormire nei pressi del parco, la città più vicina, Cayenta, è a 50 miglia; noi abbiamo dormito in un fetido motel sulla 163, che aveva l'unico pregio di essere di fronte al Mexican Hat, un ottimo ristorante messicano sulle rive del San Juan river.
La mattina seguente sveglia poco prima dell'alba per fotografare le splendide silhouette dei Buttes e delle Mesas con lo sfondo rosso infuocato del cielo, pochi minuti prima del sorgere del sole.
Di nuovo on the road verso ovest sino a Page, nel cuore della Navajo Nation, dove si possono visitare due slot canyon unici al mondo, l'Upper e il Lower Antelope Canyon, e ammirare il tramonto sull'ansa più fotografata del fiume Colorado, l'Horseshoe Bend, che sorge a valle dell'immensa diga sul Colorado che forma il lago Powell.
Page è una tranquilla cittadina della provincia americana, qui potrete trovare ottimi motel a prezzi ragionevoli, dotati anche di piscina e barbecue.
Spiral rock arches è il nome Navajo dei due slot canyon più famosi al mondo.
L'Upper Antelope Canyon si sviluppa a livello del terreno tra strette pareti di roccia, è raggiungibile dall'ingresso del parco solo con fuoristrada guidati dai Navajo, che vi accompagneranno poi a piccoli gruppi all'interno del Canyon.
Va assolutamente prenotato con largo anticipo, specie se si scelgono gli orari a cavallo del mezzogiorno, utili per ammirare e fotografare i “light beams” i fasci di luce che filtrano dall'alto e creano magici effetti unitamente al “pouring sand” creato dalla sabbia spinta dal vento e che cade come una pioggia dorata. Molto più spesso questo effetto speciale è ricreato artificialmente dall'indiano di turno dietro lauta ricompensa!




Il Lower Antelope Canyon si sviluppa invece completamente sotto terra, si raggiunge a piedi sempre guidati dagli indiani e in piccoli gruppi, distanziati 15-20 minuti l'uno dall'altro. L'organizzazione lascia molto a desiderare, le attese sono lunghe e il visitor center è un tugurio di lamiera esposto ai martellanti raggi del sole: munitevi quindi di pazienza e abbondanti scorte d'acqua. I prezzi sono alti, soprattutto se volete portarvi un cavalletto, indispensabile per fotografare l'interno del Canyon dove filtra pochissima luce. Si arriva a spendere anche 80-100 dollari, più del permesso di ingresso per cinque persone di tutti gli state parks americani messi insieme!




Attenzione al pericolo di “flash flood”, che nel Lower Antelope è ancora più alto che nell'Upper: sono piene improvvise dovute ai temporali che possono allagare il canyon e costituire un serio pericolo per chi si trova all'interno.
Con il pass fotografico potete stare in coda al gruppo e beneficiare del tempo che passa tra l'ingresso di un gruppo e il successivo, quindi avrete abbastanza tempo per posare il cavalletto e scattare senza l'ingombro delle persone. Considerate che il canyon è veramente strettissimo, tanto da essere interdetto alle persone oversize.
L'unica nota stonata della zona dal punto di vista paesaggistico è la gigantesca centrale a carbone di Salt River, che sovrasta la zona con tre gigantesche ciminiere che eruttano nel cielo fumi densi visibili a miglia di distanza.
La sera, poco prima del tramonto, ci dirigiamo lungo l'highway 89 in direzione sud sino al parking dell'Horseshoe Bend. In circa 15' a piedi lungo una pista sterrata, scavalcata una duna, ci ritroviamo davanti ad uno spettacolo incredibile: il terreno è solcato dalla profonda fenditura formata dal Colorado River che, in questo punto, forma un'ansa perfettamente circolare, a forma di zoccolo di cavallo, nella quale le acque verde intenso del Colorado si avviluppano come la spira di una grande anaconda. Il dirupo è impressionante e vertiginoso e non vi è nessuna forma di protezione. Fate attenzione, perché non sono pochi i turisti che hanno perso la vita cadendo dal bordo del precipizio! Per poter scattare da buona posizione, conviene piazzare il cavalletto esattamente sul bordo del rim con qualche ora di anticipo, dato che l'affollamento al tramonto è davvero notevole, con il rischio di non trovare un punto di ripresa valido.
Meglio usare un grandangolo da 16 - 17 mm e diaframmi chiusi in modo da inquadrare l'intera ansa e parte del cielo, se siete fortunati il sole che tramonta spunterà da sotto le nubi dell'orizzonte creando una stella perfetta dietro l'Horseshoe Bend.




La mattina successiva visitiamo la grande diga del Glen Canyon sul Colorado, lo sbarramento artificiale che forma l'immenso lago Powell; questo enorme lago artificiale (il secondo più grande degli Stati Uniti) è lungo 300 Km e presenta 3000 km di costa e si estende su una superficie di 658 km².
Il viaggio prosegue, ci aspetta il Grand Canyon!
Con un breve trasferimento di 140 miglia raggiungiamo Tusyan, un agglomerato di resort, campeggi e negozi che sorge sul South Rim, a poche miglia dal Visitor Center Sud, da cui partono tutti i tour nel Gran Canyon. Una rete molto ben gestita di trasporti con bus consente di raggiungere i principali view points con estrema facilità. Nel Visitor Center è possibile raccogliere ogni genere di informazione per organizzare la visita al canyon. Qui abbiamo trovato un'organizzazione ai massimi livelli, da cui tutto il mondo dovrebbe trarre spunto.
Le possibilità sono davvero tante, la scelta di quale modalità utilizzare per visitare questa meraviglia della natura dipendono in massima parte dalla vostra disponibilità economica, dal tempo a disposizione e dalla stagione. Escursioni a piedi lungo il rim, tour in aereo o elicottero, discesa nel canyon a piedi o a dorso di cavallo, rafting sulle agitate acque del Colorado e tanto altro ancora.
In estate la temperatura è torrida e la differenza tra il rim e il fondo del canyon, oltre 1500 metri più in basso, può essere anche di 20°C. In questa stagione è altamente sconsigliata la discesa a piedi nel canyon pena il rischio di gravi disidratazioni e colpi di calore, soprattutto nella fase di risalita. Meglio limitarsi a passeggiare lungo il bordo tra un view point e l'altro se non si hanno dollari sufficienti per un volo in elicottero o una gita a cavallo.
I numeri del Gran Canyon sono impressionanti: l'immensa gola creata dal fiume Colorado è lunga 446 chilometri circa, profonda fino a 1.857 metri e con una larghezza variabile dai 500 metri ai 29 chilometri.
Quasi due miliardi di anni della storia della Terra sono visibili grazie all'azione del fiume Colorado e dei suoi affluenti che in milioni di anni hanno eroso le rocce dell'altopiano del Colorado strato dopo strato.
La grande profondità del Grand Canyon e in particolare l'altezza dei suoi strati può essere attribuita all'innalzamento della placca del Colorado, cominciato circa 65 milioni di anni fa. Questo innalzamento di oltre 2000 metri ha accentuato il dislivello del corso del fiume Colorado e dei suoi affluenti, provocando un aumento delle velocità delle acque e quindi della loro capacità erosiva sulle rocce. Il risultato di questo fenomeno erosivo è una delle più complete colonne geologiche del pianeta.




Dal punto di vista fotografico consiglio la ripresa dell'alba da Yaki Point e il tramonto da Yavapai Point, dove sorge anche un bellissimo museo geologico. Ovviamente ci sono altre decine di view points dai quali effettuare riprese bellissime e ammirare viste mozzafiato, non ultima la torre di Desert View.




Siamo di nuovo in viaggio, ci attende una tappa molto lunga per raggiungere il Bryce Canyon. Torniamo sui nostri passi lungo l'Highway 89A in direzione nord-ovest, 270 miglia ci separano da Hatch, un piccolo agglomerato di case che dista poco più di 30 miglia dal Bryce.
Poco oltre Page attraversiamo il Colorado sul Navajo Bridge nei pressi di Lee's Ferry, dove è d'obbligo una sosta per ammirare questo spettacolare ponte costituito da due distinte campate ad arco in acciaio costruite ad oltre 140 metri dal fondo del Marble Canyon.




Il ponte originale fu costruito nel 1929 e chiuso nel 1995, quando venne realizzato a fianco un nuovo ponte identico all'originale ma più idoneo a sostenere il traffico moderno che accede alla sponda nord del fiume Colorado lungo il North Rim del Grand Canyon National Park.
Poco più avanti è consigliabile un'altra breve sosta a Cliff Dwellers per ammirare le Stone House, grandi massi erratici sotto i quali i nativi costruirono delle abitazioni.
La sera stessa ci rechiamo al Bryce Canyon per scattare qualche foto nella luce del tramonto e ceniamo in una delle numerose strutture turistiche che circondano il parco.




La mattina seguente percorriamo le 30 miglia che ci separano dal Visitor Center e facciamo sosta per scattare qualche foto nel Red Canyon, una sorta di Bryce Canyon in miniatura, inserito nel contesto naturale verdeggiante della Dixie National Forest.
Uno dei momenti più caratteristici di questa breve scenic road è il passaggio in auto sotto i due tunnel di roccia rossa: non ci potrebbe essere varco d'ingresso più adeguato al paesaggio di rocce e pinnacoli dalle forme bizzarre del canyon che ci attende.
Avevamo grandi aspettative per questo parco e nessuna di esse è andata delusa. Per prima cosa, venendo dalla calura del Gran Canyon, abbiamo apprezzato le temperature meno calienti, dovute allo sviluppo in altezza del parco e alla estesa vegetazione che lo ricopre. Acqua, vento e ghiaccio hanno modellato gli Hoodoos, conosciuti anche come “Goblin”, che hanno reso famoso il Bryce Canyon.




Questi “camini delle fate” seguono una lenta ma inesorabile erosione: non è un Canyon formato dallo scorrere dell'acqua ma bensì dall'azione del gelo; per oltre 200 giorni all'anno la temperatura va al di sopra e al di sotto del punto di congelamento; l'acqua di fusione penetra nelle fratture e si congela di notte, esercitando una forza tremenda che frantuma la roccia. L'acqua piovana, che è naturalmente acida, scioglie inoltre il calcare, arrotondando i bordi e lavando via i detriti. Le parti più dure, costituite da Dolomia, si sciolgono più lentamente e restano a copertura delle guglie fungendo da “cappello” e proteggendo la struttura. L'erosione dell'acqua crea anche archi, slot canyon e pinne, stretti muri di roccia divisi da fratture.




Gli hoodoos si possono ammirare semplicemente dal bordo dell'Anfiteatro di Bryce. Se avete come noi un paio di giorni non mancate di percorrere il Navajo Loop Trail e il Queen's Garden Trail per un totale di 4,5 km.
I colori degli Hoodoos sono più vibranti dopo una tempesta e risulta molto suggestiva anche la versione invernale: non solo la neve di fusione arricchisce i colori, ma la coperta candida aggiunge un'altra dimensione alla bellezza del luogo, specie sotto un cielo blu cobalto.
Come sempre pittoreschi ed evocativi i nomi dati alle formazioni di roccia: the Amphitheater, Wall Street, Queen's Garden, Thor's Hammer, Aquarius Plateau, The Alligator e Sentinel.
Il Grand Staircase è un'immensa sequenza di strati sedimentari che si distende dal parco nazionale del Bryce Canyon al Grand Canyon passando attraverso il parco nazionale di Zion. Gli strati più vecchi di questa sequenza sono visibili al Grand Canyon, gli strati intermedi allo Zion e i più giovani sono visibili al Bryce Canyon.
La meta successiva è dunque lo Zion National Park distante circa 90 miglia.
Lungo la strada, a Glendale, siamo attratti da una distesa di vecchie auto arrugginite, ci fermiamo per scattare qualche foto e facciamo la conoscenza di Mr.William D.(Bill) Spencer, un arzillo vecchietto che ci invita nella sua casetta e ci racconta vita, morte e miracoli della sua incredibile collezione di auto, ridotte però ormai ad un vasto ammasso di affascinanti rottami
Percorriamo la bellissima Zion-Mount Carmel Higway, una spettacolare strade panoramica con vista sulle ripide pareti di roccia stratificata. L'ambiente è bellissimo e ricco di fauna, branchi di stambecchi ci attraversano continuamente la strada, persino il colore dell'asfalto è in tinta con il rosso mattone delle rocce, siamo al top!
Il nome Zion, dato dai primi abitanti mormoni, ricorda la Sion descritta dal profeta Isaia nella Bibbia. Nomi di derivazione biblica hanno anche molte delle formazioni di roccia che costituiscono le principali attrazioni del parco, i Templi della Vergine, la Sentinella, i Tre Patriarchi. E' un parco per amanti dei trekking, infatti l'unica strada carreggiabile presente costeggia il Virgin River che scorre sul fondo dello Zion Canyon, è lunga 9,6 km e termina al Tempio di Sinawava (il dio coyote degli indiani Paiute). In questo punto il canyon si restringe e la strada lascia il posto ad un sentiero che prosegue fino all'imboccatura delle Gole di Zion (Zion Narrows), una spettacolare forra con strette e alte pareti sul fondo della quale scorre il Virgin River e che si può percorrere a piedi camminando nell'acqua.
Anche noi ci procuriamo quindi in uno dei negozi del visitor center l'attrezzatura necessaria, cioè le scarpe da canyoning e il lungo bastone indispensabili per percorrere “The Narrow”.
Alla sera ci rechiamo a Kanab, a ben 40 miglia dal parco, visto che trovare da dormire nelle vicinanze del parco si rivela una mission impossible. Lungo la strada ci concediamo un lauto pasto a base di bistecche di bufalo in uno scenografico locale con vista sulla mandria di bufali, ignari del destino che li aspetta.
Sveglia all'alba, rapida colazione in un drug store e poi via veloci verso il capolinea del bus che ci porta al Tempio di Sinawava. Siamo fra i primi, calziamo le scarpe, ci avviamo verso la stretta gola di Zion e scendiamo nel Virgin River.




L'acqua fortunatamente non è troppo fredda e il clima gradevolmente caldo. Percorriamo così le 9 miglia circa della forra con l'acqua che in alcuni punti ci lambisce il cavallo. Il percorso segue le serpeggianti anse del Virgin River con le ripide pareti di arenaria rossa che incombono su di noi. Attenzione, anche questo percorso è a rischio di “flash flood” e va percorso solo se non è previsto un temporale.
Arriviamo sino al punto dove il canyon si biforca e poi, stremati, torniamo sui nostri passi.




Oltre alle Gole di Zion il parco offre numerosi altri luoghi di grande interesse. Nel settore orientale vi sono le formazioni di Checkerboard Mesa e dell'East Temple e uno dei percorsi più conosciuti, il sentiero di Canyon Overlook.
Nella parte occidentale del parco si trovano il Tunnel, un noto sentiero lungo una stretta gola, e il punto panoramico di Lava Point. Nella sezione dei Kolob Canyons, nella parte nord-occidentale, non lontano da Cedar City, si trova uno dei più grandi archi di roccia al mondo, il Kolob Arch.
Dopo esserci rifocillati in un locale di Springdale ci rimettiamo in auto e facciamo rotta per Las Vegas imboccando l'interstate 15, meglio conosciuta come Veterans Memorial Highway.
Passiamo così in poco più di 170 miglia dallo Utah all'Arizona e quindi al Nevada e, come più volte durante il viaggio, ad un diverso fuso orario. Dopo un centinaio di miglia di sconfinato deserto, in lontananza ci appare la sky line di Las Vegas.
La temperatura supera abbondantemente i 42 gradi e il nostro alloggio “in quota” ci attende: abbiamo infatti prenotato una camera nell'esclusivo “Stratosphere Casino Hotel and Tower”, un bizzarro edificio sulla Las Vegas Strip. La struttura è dotata di 2.444 stanze d'albergo e ha una superficie dedicata al gioco d'azzardo pari a circa 7.000 m². La sua famosa torre è alta 350 m ed è anche la più alta torre panoramica di tutti gli USA, offrendo una visione unica della città di Las Vegas. Inoltre in cima alla torre sono presenti alcune attrazioni tra cui una free fall tower, chiamata Big Shot, per gli amanti del bungee jumping estremo, e una "giostra", chiamata Insanity, che fa roteare velocemente i suoi passeggeri tenendoli sospesi nel vuoto, un affare per stomaci forti!
Las Vegas sorge nel deserto del Mojave ed è famosa per essere la capitale del divertimento, dello shopping e del gioco d'azzardo. Questa “Sin City” è meta ogni anno di milioni di visitatori, soprattutto nel week end, che va quindi accuratamente evitato, anche perché i prezzi degli hotel nel fine settimana aumentano notevolmente.
Noi ci abbiamo trascorso una serata, giusto il tempo di percorrere la Strip per ammirare i casinò che richiamano i luoghi più famosi al mondo e perdere una cinquantina di dollari alle slot machine.
La mattina dopo ci siamo concessi una visita in uno dei numerosi outlet della città per lo shopping di rito.
La nostra meta successiva è la Death Valley in California, per raggiungere la quale attraversiamo la famosa area 51 con una doverosa sosta all'Alien Center nei pressi di Amargosa, una stazione di servizio con tanto di alieni e souvenir in tema.
Facciamo il pieno perché un minaccioso cartello ci avvisa che da qui in poi per oltre 250 miglia non troveremo più una stazione di rifornimento.
Prendiamo la 190 per Furnace Creek, mentre il termometro dell'auto comincia la sua inesorabile salita.
La Valle della Morte è un'area depressionaria situata tra la Sierra Nevada in California ad ovest e il Nevada ad est. Il bacino scende a quasi 90 metri sotto il livello del mare, il punto più basso è a Badwater. Saliamo a Dante's View sulla cresta delle Black Mountains da dove, guardando a Ovest, si vedono le cascate di sale simili a fiumi che scendono dai canaloni del Trail Canyon, Death Valley Canyon e Hanaupah Canyon. Da questo balcone sono visibili anche le spesse croste di sale del Devil's Golf Course, che sembrano le onde spumeggianti di un mare agitato dal vento.
Ci inoltriamo nel cuore della Death Valley. Sembra di essere su un altro pianeta, non incontriamo nessuno e vi sono pochissimi insediamenti umani, zone minerarie quasi tutte abbandonate; la temperatura intanto ha raggiunto i 46 gradi e il condizionatore fatica a tenere un clima accettabile all'interno dell'abitacolo.




La nostra meta successiva è Zabriskie Point nel cuore delle Badlands, così dette perché il fondo di roccia sedimentaria impermeabile all'acqua e la scarsa piovosità associata alle temperature elevate impediscono la crescita della vegetazione.
Queste colline, formatesi oltre nove milioni di anni fa, sono il risultato di una complessa orogenesi a cui hanno partecipato i grandi laghi salati e l'attività vulcanica. Da Zabriskie Point il sole che sorge illumina le colline multicolore di Manly Beacon e Red Cathedral. L'alba è quindi il momento migliore per scattare foto da Zabriskie point, ma anche il tramonto ha il suo fascino. La luce radente e calda al calar del sole crea ombre suggestive e incendia i colori delle Badlands, mentre le colline di Gower Gulch sembrano cambiare continuamente forma. Momenti magici ed indimenticabili.




La notte incombe e noi dobbiamo ancora cenare e raggiungere la nostra prossima meta. Fortunatamente, come in tutto il nostro viaggio, percorriamo velocemente e senza incontrare traffico le 180 miglia che ci separano da Bishop, la strada è dritta, ben pavimentata e la radio trasmette Neil Young.
Il giorno seguente ci attende un'altra lunga tappa: dobbiamo infatti effettuare il periplo delle propaggini sud della Sierra Nevada e della Sequoia National Forest per raggiungere l'ingresso del Sequoia National Park nei pressi di Visalia, ben 300 miglia da percorrere.
Nel primo pomeriggio saliamo velocemente di quota e raggiungiamo il regno delle sequoie giganti. Durante il percorso incontriamo più volte famigliole di orsi che ci attraversano la strada che, in questo tratto, è abbastanza tortuosa e tormentata. Obbligo la prudenza e il rispetto dei limiti imposti nel parco per non arrecare danno ai simpatici plantigradi.




Il Sequoia National Park è posto a sud del contiguo parco nazionale di Kings Canyon e dal 1984 i due parchi sono gestiti dal National Park Service come fossero un'unica unità, chiamata Sequoia and Kings Canyon National Parks. Il parco si estende su una superficie di oltre 1600 chilometri quadrati. Contiene al suo interno il Monte Whitney (4.421 metri), il monte più alto degli Stati Uniti (escludendo l'Alaska e le Hawaii). Il parco ospita la foresta gigante, che contiene cinque dei dieci alberi più grandi del mondo come volumetria, ma non come altezza.
Il più grande di essi, il Generale Sherman, ha un diametro alla base di 10 metri e un volume di 1486 m³, il peso complessivo è di circa 1.910 tonnellate. Con un'età stimata tra i 2300 e 2700 anni questa sequoia gigante, anche se non è la più alta al mondo, svetta per oltre 83 metri ed è considerato il più grande organismo vivente per volume.




Alla base degli alberi i rangers appiccano piccoli incendi controllati per tenere pulita l'area da altri vegetali parassiti che potrebbero recare danno alle sequoie, questo è il motivo per cui la base di questi giganti è annerita dal fuoco. Fotografare queste imponenti creature per renderle in tutta la loro imponenza non è impresa facile.
In serata ci spostiamo verso Oakhurst, dove abbiamo prenotato un hotel ma giunti in loco ci rendiamo conto che siamo in anticipo di un giorno rispetto al previsto ed, essendo sabato, tutti gli hotels nella zona dello Yosemite sono pieni: alle 23 non ci resta che tornare a Fresno, la cittadina più vicina, per cercare un alloggio per la notte. Anche a Fresno tutti i Motel che visitiamo sono sold out, solo quando ormai siamo rassegnati a passare la notte in auto in un ultimo tentativo riusciamo a rimediare una stanza. La mattina seguente, dopo una abbondante colazione americana, percorriamo velocemente le 100 miglia che ci separano dalla Yosemite Valley. Siamo nel tempio dell'arrampicata sportiva ed è con grande emozione che ci apprestiamo ad entrare in questa mitica vallata, culla della contro cultura ribelle degli anni '70 e che ospita le più grandi e famose big walls del pianeta.
Essendo nel week end la valle è affollatissima. Parcheggiamo ai piedi di El Capitan, 1000 m di granito strapiombante e oltre 70 vie di arrampicata: Salathé Wall, the Nose, Dawn Wall, El Nino per citare le più famose. Mi tornano alla mente tutti racconti letti, il mitico periodo della Golden Age, la rivalità tra il genio e la sregolatezza di Warren Harding e la rigorosa etica di Royal Robbins, uno scontro tra titani. Questa immensa lavagna di granito fu salita per la prima volta da Harding e compagni nel '58, ci misero 18 mesi in un assedio divenuto epico tra saliscendi, bevute e viaggi lisergici. La prima ripetizione di Robbins con una filosofia opposta durò una settimana, quest'anno Alex Honnold ha scalato El Capitain in “free solo” in meno di quattro ore e poco dopo ha concatenato in una sola giornata El Cap e Half Dome!




Il punto fotograficamente più interessante per riprendere la valle è Tunnel View, un parcheggio che si trova appena al di fuori della galleria Wawona sulla Highway 41. Da questo punto, reso famoso dagli scatti di Ansel Adams, si possono ammirare El Capitan, Half Dome e Bridal Veil Fall, un'altissima cascata che, soprattutto in primavera, offre uno spettacolo grandioso. Un altro punto panoramico da non mancare è Glacier Point, a 2100 m. di quota, da cui si può fotografare l'intera vallata ma, soprattutto, la cupola dell'Half Dome con “The North Face” incendiata dal sole del tramonto.




La valle è poi piena di posti incantevoli lungo le rive di torrenti e al cospetto di vertiginose cascate, all'ombra delle sequoie giganti, come Grizzly Giant a Mariposa Grove o lungo le rive dei numerosi laghi, come il Mono Lake raggiungibile percorrendo la Tioga Road, famoso per le torri di tufo che svettano verticali sulle sponde e nelle isole al centro del lago (Pahoa Island e Negit Island) e celebrato nell'artwork di Wish You Were Here dei Pink Floyd. Ci resta il rammarico di non aver dedicato più giorni a questo parco, le cose da vedere sono davvero tante ed il luogo incantevole, ma le strade sono poche ed è un parco per camminatori quindi serve dedicargli il giusto tempo.




Se vi capitasse, consiglio la visione di “Valley Uprising”, un film documentario che racconta gli ultimi sei decenni della storia dell'arrampicata nello Yosemite e della controcultura hippy, dalla Golden Age degli anni sessanta sino ai giorni nostri.
Mancano ormai pochi giorni alla fine del viaggio, con un ultimo balzo di 200 miglia lungo le assolate strade della California raggiungiamo la nostra ultima meta: il lunghissimo San Mateo Bridge ci consente di attraversare rapidamente la baia di San Francisco e di consegnare l'auto presso l'aeroporto. Scarichiamo i bagagli e raggiungiamo con la metro il King George Hotel a pochi isolati dalla celebre Market Street.
Abbiamo solo due giorni per visitare questa bella e grande città, non sono molti ma vediamo di organizzarci al meglio. San Francisco o 'Frisco' sull'oceano Pacifico è una tra le più visitate città della costa ovest. Affacciata sulla grande baia omonima, include numerose isole tra cui quella famosa di Alcatraz, dove sorge il carcere tristemente famoso. E'conosciuta per la sua fresca nebbia estiva, le ripide colline, i tram, la vivacità culturale e l'eclettismo architettonico, che affianca stile vittoriano e architettura moderna, e per i ponti tra cui il celeberrimo Golden Gate Bridge. Una delle attrazioni principali della città sono i celebri Cable Car a rotaia a trazione funicolare, che percorrono i ripidi saliscendi collinari con grande stridore di freni. Viaggiare all'esterno di un Cable Car sferragliante, attraversando Chinatown, Fisherman's Wharf e altri quartieri della città: non c'è niente di più tipico che si possa fare a San Francisco.




Delle 23 linee originali del 1873 oggi ne rimangono soltanto 3 e durante l'estate ci possono essere code molto lunghe nei punti di inversione di marcia a Powell Street e Market Street, soprattutto per la linea Powell-Mason Cable Car. Potete fare un percorso altrettanto piacevole con la più tranquilla linea Powell-Hyde Cable Car.San Francisco fa parte della vasta area metropolitana della Bay Area che è popolata da circa sette milioni di abitanti, è un vivacissimo centro culturale e sicuramente la più europea delle città statunitensi oltre che la più permissiva per usi e costumi. La Chinatown di San Francisco è il più antico ed uno dei più grandi tra i quartieri cinesi americani. Noi non lo abbiamo visitato, preferendogli altre mete altrettanto suggestive. I Peer o moli di Frisco sono una meta sicuramente più attraente, soprattutto il Peer 39 situato vicino al distretto di Fisherman's Wharf, facilmente accessibile tramite il tram storico F market.
La struttura ospita numerosi negozi, spettacoli di strada, giostre, un centro di studio dei mammiferi marini (il Marine Mammal Center) e l'acquario cittadino (Aquarium of the Bay). Si possono vedere anche i leoni marini della California sdraiati sui pontili tutt'intorno al Pier 39. Non mancate di assaggiare il granchio in uno dei numerosi ristorantini che sorgono sulla banchina. Dal Pier 39 si possono vedere Angel Island, Alcatraz, il Golden Gate Bridge e il Bay Bridge. Il particolare clima di San Francisco favorisce il formarsi di densi banchi di nebbia che celano la vista della baia per numerosi giorni all'anno, noi abbiamo avuto la fortuna di non vedere una bava di nebbia nei tre giorni trascorsi sulla baia.




L'immancabile visita al Golden Gate Bridge ci regala una bellissima vista sulla baia e sullo stretto prima che calino le ombre della sera. Da non mancare assolutamente una visita ai quartieri in stile vittoriano per fotografare le variopinte e bellissime “Painted Ladies”, le famose case vittoriane in legno dai colori pastello; noi siamo stati ad Alamo Square, ma ce ne sono parecchie. come quelle del quartiere hippy di Haight-Ashbury.




La mattina seguente ci attende Alcatraz e il suo penitenziario ormai trasformato in museo. La gita va prenotata con largo anticipo, noi l'abbiamo fatto dall'Italia, altrimenti è difficilissimo trovare un posto sul traghetto. The Rock e The Bastion sono due dei soprannomi con cui veniva indicato questo carcere di massima sicurezza. Una grande scritta sul muro recita così: “se infrangi le regole tu vai in prigione, se infrangi le regole della prigione finisci ad Alcatraz”.
Il carcere di Alcatraz era noto per l'estrema rigidità con cui venivano trattati i detenuti, chi finiva qui era solitamente considerato molto pericoloso o aveva già tentato la fuga da altre prigioni. I carcerati erano costretti a scontare la loro pena in una cella singola, dalle dimensioni notevolmente ridotte, le mancanze disciplinari venivano punite con la reclusione al buio e al freddo nelle celle d'isolamento. A differenza di altre carceri, la possibilità di lavorare non era concessa a tutti, ma era un privilegio che ci si doveva guadagnare con la buona condotta e rispettando le regole della prigione.

La fine del viaggio è arrivata, il tempo e anche i soldi a nostra disposizione sono purtroppo finiti, non ci resta che spendere gli ultimi dollari rimasti in Market Street con un po' di sano shopping e una lauta cena in uno dei numerosi bistrot della città. Restano ancora molte cose da vedere, ne abbiamo preso attentamente nota, per questo il nostro non è un addio ma un arrivederci.

Maurizio Tintori, nato a Seriate (BG) il 25/01/1961 scrive di sé: sono appassionato di montagna, trekking e fotografia e cerco di coniugare queste passioni come meglio posso. Ho sempre avuto un sogno: viaggiare, vedere il mondo, soprattutto l'Asia e le grandi montagne Himalayane; un sogno che ho coltivato a lungo, ma che ho realizzato solo da pochi anni a questa parte. Quando salgo una montagna o faccio un viaggio non mi basta camminare, vedere e cogliere l'attimo mentalmente: sento il bisogno di catturare quell'immagine e quell'attimo, con l'obiettivo della mia reflex. Non è solo la registrazione di ciò che l'occhio vede, dalle immagini emergono sentimenti ed emozioni perché, come scrisse Cartier Bresson, "fotografare è mettere sulla stessa linea di mira la testa, l'occhio e il cuore".





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avatarsenior
inviato il 19 Luglio 2017 ore 19:28

Che dire, gran bel racconto, gran belle foto e tanta (sana) invidia.
Ciao G.

avatarsenior
inviato il 19 Luglio 2017 ore 19:38

Ho voluto scrivere questo articolo, forse un po' prolisso, per fornire una guida il più possibile esaustiva a chi volesse intraprendere un viaggio simile al mio.
Potete trovare altre immagini relative al mio viaggio nelle mie gallerie che hanno per titolo West USA.
Per ogni altra informazione sono a vostra completa disposizione chiedete pure.

avatarsenior
inviato il 19 Luglio 2017 ore 19:44

Grazie Gundam!

user26730
avatar
inviato il 20 Luglio 2017 ore 3:12

Un articolo molto interessante, ben scritto e ben fotografato!
Anche io che non amo la fotografia dove non c'è l'elemento umano sono comunque rimasto affascinato dalle tue immagini!
Mi piace anche lo spirito di questo viaggio, il motivo per cui è stato fatto (regalo a tuo figlio) e la modalità in cui è stato effettuato (on the road). Insomma una bella storia e una bella esperienza.
Complimenti ancora
Max

avatarsenior
inviato il 20 Luglio 2017 ore 8:11

Grazie Max hai colto perfettamente lo spirito di questo viaggio.
Anche io amo molto l'elemento umano nella fotografia di viaggio anche se in oltre 2500 foto scattate in questo viaggio è totalmente assente.
Volevo tenere il focus sull'ambiente naturale e sulla strada i due elementi che hanno caratterizzato il viaggio.

avatarjunior
inviato il 21 Luglio 2017 ore 15:00

Che dire.. Viaggio raccontato con estrema cura dei dettagli, insieme a foto davvero molto belle. Se a questo uniamo il fatto che hai narrato dei luoghi che più mi piacerebbe visitare al mondo, direi che mi hai fatto sentire come se fossi li... Beh magari la prossima volta che vai passami a prendere in quel di Como MrGreenMrGreen

avatarsenior
inviato il 21 Luglio 2017 ore 16:24

Grazie Angelo. Calcola che tutte le foto del mondo non potranno mai rendere l'estrema bellezza di questi luoghi. Rompi gli indugi e il porcellino e parti!

avatarsenior
inviato il 22 Luglio 2017 ore 17:04

Bellissimo e coinvolgente racconto, molto ben narrato con testo e immagini. Complimenti!
Tra poche settimane farò un tour che toccherà alcune mete da te descritte, il tuo articolo sarà utile in loco e mi ha proiettato in USA in anticipo. Anche io viaggerò con la famiglia, e spero che i miei figli possano apprezzare quei fantastici luoghi e la cultura locale.
Un saluto.
Luca

avatarsenior
inviato il 22 Luglio 2017 ore 18:29

Grazie del passaggio Luca. Se hai bisogno di informazioni chiedi pure.

avatarsenior
inviato il 25 Luglio 2017 ore 23:21

Bel racconto, scritto bene e arricchito di dettagli interessanti. Le foto accompagnano bene questo tuo scritto, un saluto
Gabriel.

avatarjunior
inviato il 26 Luglio 2017 ore 10:20

Gran bel racconto, e splendide foto di questi luoghi a me tanto cari..

avatarsenior
inviato il 26 Luglio 2017 ore 17:01

Fraxnico, Gabriel, grazie anche a voi del commento.

avatarsenior
inviato il 30 Luglio 2017 ore 20:02

Racconto, foto e luoghi splendidi.

Complimenti, Maurizio. Sorriso

avatarsenior
inviato il 30 Luglio 2017 ore 20:17

Solo Complimenti le Foto sono Meravigliose ,la descrizione dei posti stupenda .

avatarsenior
inviato il 12 Agosto 2017 ore 18:18

Mamma mia che foto Pisolo !
Spettacolo davvero e molto interessante anche il testo, la partenza con "On The Road" mi ha riportato indietro nel tempo...

Complimenti sinceri !

;-)





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