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Elina Brotherus







avatarsenior
inviato il 05 Luglio 2017 ore 12:23

si è un'autrice che lavora per serie non per foto singole e io la vedo un po' come te Skylab59, c'è sempre un rapporto tra autrice e quello che la circonda e il modo di viverlo

avatarsenior
inviato il 05 Luglio 2017 ore 15:05

Sembra che il mondo intorno non la riguardi, non le interessi.


O che abbia difficoltà nel relazionarvisi. Di sicuro vuole mettere in relazione lei e ciò che ha intorno, ormai è evidente.

avatarsenior
inviato il 05 Luglio 2017 ore 15:57

Secondo me non riesce o non vuole relazionarsi con il mondo che le sta attorno.
Non credo sia una persona che in realtà si trova benissimo nella sua pelle ma che vuole a tutti i costi mostrare un'umanità slegata dal mondo, come fanno la metà degli "artisti" (il disagio è IN, è arte). Mi sembra genuina. Forse calca un po' la mano per riuscire a mostrare ciò che ha nel profondo della sua anima.

avatarjunior
inviato il 05 Luglio 2017 ore 17:26

Se hai voglia e pazienza dà un'occhiata al mio blog.Poi se non ti secca se ne può parlare.

avatarsenior
inviato il 05 Luglio 2017 ore 17:30

ci partecipo volentieri, è molto interessante il punto di partenza! appena ho un'attimo scrivo :-)

user117231
avatar
inviato il 05 Luglio 2017 ore 20:18

Io passo.
Lo sforzo mentale che faccio per capire la fotografa in questione mi lascia quasi vuoto. Cool

avatarjunior
inviato il 05 Luglio 2017 ore 21:38

Riprendo. Le foto che Labirint ha proposto francamente non mi piacciono. Però riconosco che rappresentano assai bene alcuni lati oscuri di quei paesi. Ovviamente nessuno è perfetto o immune da tratti caratteriali che possono disturbare o sorprendere chi non sa vedere o cogliere il meglio ed il peggio che è in noi. Sono un pò deluso da quelle immagini perchè nella fotografia di molti film scandinavi vedevo una nitidezza ed un candore che m'incantavano. Ne restavo ammirato. Vedere ora il lato oscuro mi sorprende assai. Avrei preferito autori che facessero vedere tutto il buono che quella civiltà ha insegnato a molti paesi. Forse altri autori avranno una visione meno lugubre ed introspettiva. Ma forse noi ci aspettiamo che anche gli altri abbiano la nostra superficiale solarità che ci aiuta molto a superare tutte le nostre improvvisate ed inutili allegrie.

avatarsenior
inviato il 06 Luglio 2017 ore 7:33

Grazie Labirint per l'opportunità di parlare di fotografia :)
A mio avviso il lavoro più potente e significativo dell'artista è Annonciation... Si percepiscono tutta la sofferenza, la frustrazione e le speranze disattese. Si sente che è una serie autentica, e per questo è stata premiata.
Gli altri lavori li trovo troppo autoreferenziali ed egocentrici, al limite dell'ossessione. Tra gli autoritratti, in alcuni ci ho rivisto la Woodman, sia per mood che per estetica. Vabbè, praticamente tutte le donne artiste che fanno autoritratti si confrontano più o meno volontariamente con questo riferimento.

avatarsenior
inviato il 06 Luglio 2017 ore 9:02

Sto cercando notizie su Annoncitation, ma ho internet castrato... vedo delle foto tramite google immagini, alcune meravigliose nella loro onestà e trasdparenza. Potete copiare e incollare due righe riguardo al progetto?
Grazie fanti

avatarsenior
inviato il 06 Luglio 2017 ore 9:09

questa è la spiegazione della serie che nè fa l'autrice stessa:

This is a series of false annunciations. It is about waiting for an angel who never
shows up. First we do not know if it's there, because it could just be hiding behind
the doorway. Gradually it becomes clear that it's not coming.
Of course the angel is a metaphor because I'm not religious and I'm on infertility
treatment. Documentaries, interviews, articles and TV programs on infertility all
have a happy ending. In reality, happy endings occur in only 25% of the cycles. So this
repetitive pattern – of executing precise scientific experiments on the body, waiting,
being disappointed, and repeating the whole thing over and over again, to the point
of being sick of it, to the point of almost no longer caring – is something I share with
a surprisingly large number of women. The success stories are rare, but they are the
ones we hear of. For the rest of us, this biased broadcasting is upsetting. It is as though
the general public should not see the inconsolable reality but instead a cathartic
'per aspera ad astra' – a Hollywood story.
I am showing this series of photographs to give visibility to those whose IVF
treatments lead nowhere. The hopeless story with an unhappy end is the story of
the majority. My way of discussing the matter is through pictures, not interviews.
I am not sure if I will ever be able to speak about it. I am too sad. This is the saddest
thing that I have been through since my mother's death.
Yet, I am tired of lying and inventing excuses for not drinking, having to cancel
trips etc. People these days are not ashamed of talking about sex, psychological
problems, alcohol and drugs, but for some reason involuntary childlessness is still
very much a taboo topic. People are generally so ignorant. I would like to offer some
advice; Please, avoid at least these two: 1) “Stop trying and relax and you will get
pregnant” and 2) “Have you thought of adoption?”
I used to be ignorant myself. I thought one went into a clinic and got a child. I could
not imagine there would be any problems. The clinics do not necessary rectify this
unfounded optimism, but rather let you understand that most people walk out with a
baby if they continue the treatments long enough.
When in treatment, one's imagination is quick. One thinks of names and which school
the child will go to. When the treatment is unsuccessful, it is not exaggerated to say
it feels like mourning someone who died. The loss is very concrete. Not only does one
lose a child, one also loses a whole future life as a family. We are left with the picture of
an aging lonely woman


helsinkischool.fi/artists/elina-brotherus/portfolio/annonciation/

avatarsenior
inviato il 06 Luglio 2017 ore 9:12

ho trovato anche questo commento legato a una sua mostra fatta con Marit Følstad

Nelle immagini di Elina Brotherus l'osservazione e l'attesa sono due momenti chiave dell'espressione artistica, come suggerisce l'idea della posizione fisica al cospetto del mondo. Cosa c'è dall'altra parte – sembra dire l'artista – ma soprattutto: cos'è quell'altro lato. Un noi altro, diverso. Un noi interiore che osserviamo al di fuori di noi. E poi: esiste un altro lato? O è semplicemente quello in cui viviamo senza rendercene conto? Si tratta anche del mostrarsi, nell'accezione più semplice e pura del termine, scevra da ogni infrastruttura mediatica, denudata nella natura. Una sorta di condizione primordiale che si è perduta. Il corpo quasi asessuato del soggetto rende l'atto del guardare essenziale ai fini della rappresentazione: come un elemento deposto “naturalmente” in mezzo a un prato o su una pietra. Quando invece lo troviamo vestito, vediamo il tentativo di evolvere un rapporto con l'intorno, più mediato, il quale spesso accade in un ambiente anch'esso mediato, come lo spiazzo deserto con le roulotte sullo sfondo. In altre immagini il soggetto appare di spalle, come d'abitudine in molte sue opere, quasi a voler accompagnare lo spettatore all'interno delle stesse, trasformandolo da semplice osservatore che applica l'esercizio del solo guardare, in un più coinvolto fruitore, che interagisce con lo spazio mostrato.

Il luogo è davanti agli occhi ma anche nella mente. Cittadino – come New York – e dunque mitizzato, ma anche naturale, come la strada innevata tra gli alberi, sulla quale l'artista ci invita a correre assieme a lei. È il mondo sognato, quello osservato, quello vissuto, e la relazione con esso, appare nei molteplici livelli che emergono dalle fotografie. E poi l'attesa, che non appartiene a qualcosa che succederà, bensì a qualcosa che già c'è, ma non è osservato con sufficiente attenzione.

Le barriere anteposte allo sguardo – i vetri di una finestra, le inferriate, le ringhiere – diventano barriere dello sguardo. Come un filtro separano, hanno bisogno di essere metabolizzate. L'immagine ha bisogno di metabolizzarsi per poter essere vissuta nella sua integrità. La barriera è lì a ricordarlo. Fermarsi.

Nelle ultime fotografie realizzate, pochi mesi fa a New York, Brotherus si concentra sullo sguardo dello sguardo, osservando il soggetto ritratto che a sua volta osserva, come a cercare di capire l'incomprensibile attraverso l'atteggiarsi fisico del personaggio stesso, il quale, come afferma l'autrice: “non è né maschile né femminile ma qualcosa di neutrale, che osserva, scruta, a volte con sorpresa o ammirazione”.

Dunque come ci poniamo difronte all'osservazione? Questo il quesito che sorge spontaneo. Il suggerimento dell'artista è quello di non imbattersi in una condizione di genere o personalistica ma di ascoltare ciò che sta intorno alla ricerca di “quello che troppo spesso manca nella vita di tutti i giorni: la calma, gli ampi spazi, la sorpresa, la solitudine reale che diventa in compenso un'esperienza condivisa”. E quale altra modalità può avvicinarci gli uni agli altri, se non una condivisione di attimi, ancora possibile grazie a un approccio dello sguardo differente, solitario, ma che al tempo stesso rivela una comunanza, appunto, una vicinanza profonda? La calma, dunque, si propaga dalle immagini di Brotherus per arrivare fino a noi che le guardiamo, catturandoci al loro interno per una fruizione che non ci pone più difronte all'opera ma che, viceversa, ci proietta al suo interno, ci catapulta in quel prato, in quello spiazzo, in quella città dicendoci: “guarda, siamo qui”, e in questo c'è tutta la volontà di vivere insieme che la condizione della solitudine afferma.

avatarjunior
inviato il 06 Luglio 2017 ore 9:17

Grazie Labirint per avermi fatto conoscere questa artista.
Il suo lavoro mi entra in profondità: si percepisce tutto il suo disagio, la sua solitudine, il suo dolore ma mai fine a se stesso.
Nel suo lavoro c'è una ricerca estetica continua con numerosi riferimenti alla storia dell'arte che rendono il suo viso ed il suo corpo armoniosi ed in sintonia con l'ambiente che la circonda. Nulla è dato al caso, c'è molta progettualità, si percepisce un lavoro introspettivo profondo e viscerale.
Si intuisce che nonostante tutto il dolore c'è sempre la speranza, lontano, da qualche parte, oltre l'orizzonte.

avatarsenior
inviato il 06 Luglio 2017 ore 9:22

@Enzo Gomba
Vedere ora il lato oscuro mi sorprende assai. Avrei preferito autori che facessero vedere tutto il buono che quella civiltà ha insegnato a molti paesi. Forse altri autori avranno una visione meno lugubre ed introspettiva. Ma forse noi ci aspettiamo che anche gli altri abbiano la nostra superficiale solarità che ci aiuta molto a superare tutte le nostre improvvisate ed inutili allegrie


Molti artisti (specialmente nordici) hanno effettivamente questo lato oscuro, introspettivo, quasi paranoico (forse senza il quasi). Traspare da ogni foto, e dopo un po' anche a me inizia a darmi fastidio. Mi spiace molto per loro, per il loro effettivo disagio, ma tutta questa negatività non mi attira per nulla, specialmente se le fotografie non hanno un lato estetico particolare e non portano da nessuna parte.

Poi ci sono quelli che hanno visto il filone che tira bene e lo sfruttano per ben benino. Come detto sopra, il filone dark, disagio, disperazione, ecc. tira sempre bene, e creare scene di questo tipo in modo artificiale fa molto "artista", anche se dietro non c'è nulla. E questo mi dà veramente fastidio: perchè cercare di mostrare fantomatici lati oscuri anche quando e dove non ci sono? solo per il successo, per vendere? No grazie!

Ciao, Roberto

NB: come sempre opinioni del tutto personali.

avatarsenior
inviato il 06 Luglio 2017 ore 9:51

Tutte le opinioni vanno ascoltate quando si argomenta e si parla come sta avvenendo, anche quella di Felix che vive la foto come svago e preferisce qualcosa di più immediato e leggero

avatarsenior
inviato il 06 Luglio 2017 ore 10:13

Molti artisti (specialmente nordici) hanno effettivamente questo lato oscuro, introspettivo, quasi paranoico (forse senza il quasi). Traspare da ogni foto, e dopo un po' anche a me inizia a darmi fastidio. Mi spiace molto per loro, per il loro effettivo disagio, ma tutta questa negatività non mi attira per nulla, specialmente se le fotografie non hanno un lato estetico particolare e non portano da nessuna parte.

Poi ci sono quelli che hanno visto il filone che tira bene e lo sfruttano per ben benino. Come detto sopra, il filone dark, disagio, disperazione, ecc. tira sempre bene, e creare scene di questo tipo in modo artificiale fa molto "artista", anche se dietro non c'è nulla. E questo mi dà veramente fastidio: perchè cercare di mostrare fantomatici lati oscuri anche quando e dove non ci sono? solo per il successo, per vendere? No grazie!

Ho diversi amici artisti, e la gran parte di loro ha uno spiccato lato oscuro, soffre di depressione o di disturbo bipolare, o magari ha dipendenze di diverso tipo.
Arte e sofferenza sono sempre andate a braccetto.
Molti fotografi giovanissimi, alcuni dei quali frequentano scuole blasonate di fotografia, incanalano il loro disagio post adolescenziale anche in questo modo, ispirandosi a cliché estetici e narrativi già visti. Poi il cavallo "vincente" si vede alla lunga distanza: quello che per tutta la vita ricerca e produce, con costanza e coerenza.

Aggiungo: anche a me ormai danno fastidio tutti questi cliché della fotografia d'autore d'ispirazione nordeuropea... ma mai quanto quelli del fotoamatore medio MrGreen

Che cosa ne pensi di questo argomento?


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