RCE Foto

(i) Per navigare su JuzaPhoto, è consigliato disabilitare gli adblocker (perchè?)






Login LogoutIscriviti a JuzaPhoto!
JuzaPhoto utilizza cookies tecnici e cookies di terze parti per ottimizzare la navigazione e per rendere possibile il funzionamento della maggior parte delle pagine; ad esempio, è necessario l'utilizzo dei cookie per registarsi e fare il login (maggiori informazioni).

Proseguendo nella navigazione confermi di aver letto e accettato i Termini di utilizzo e Privacy e preso visione delle opzioni per la gestione dei cookie.

OK, confermo


Puoi gestire in qualsiasi momento le tue preferenze cookie dalla pagina Preferenze Cookie, raggiugibile da qualsiasi pagina del sito tramite il link a fondo pagina, o direttamente tramite da qui:

Accetta CookiePersonalizzaRifiuta Cookie

Berlino 1998


  1. Altro
  2. »
  3. Articoli
  4. » Berlino 1998


Berlino 1998, testo e foto by Pistinna. Pubblicato il 31 Gennaio 2017; 38 risposte, 4711 visite.


TRA DOCUMENTI E RICORDI


Correva l'anno 1998 ed io di anni ne avevo ventitré. Il mio amico e compagno di viaggio ventinove.
Anni prima il lavoro ci aveva fatto conoscere; la fotografia, poi, ci aveva affiatato. Lui me l'aveva fatta conoscere da vicino, mi ci aveva letteralmente fatto immergere le mani facendomi assaporare, è proprio il caso di dirlo, l'odore ed il sapore degli acidi dello sviluppo e della stampa. Avevo iniziato al contrario scoprendo prima i segreti della camera oscura e solo dopo mettendo l'occhio nel mirino di una reflex. Ma questa è un'altra storia.
Quello di Berlino 1998 è invece il racconto del nostro primo viaggio, fatto senza programmare nulla, all'improvviso, a dicembre, a ridosso delle feste, con un freddo becco, senza mete precise e senza sapere quasi il perché. Pretesto per passare delle giornate assieme, per andare a scoprire e a scoprirci attraverso dei rullini. Il viaggio per salutarci perché io cambiavo lavoro.




Era la mattina del 18 dicembre 1998, la temperatura era già piuttosto bassa alla partenza, la direzione verso cui puntava il muso della nostra Tipo GT bianca targata Modena era il nord Europa. Nessuna valigia adeguatamente attrezzata si trovava nel bagagliaio, non parliamo poi di telefonini, portati certo, ma inutilizzabili viste le tariffe all'estero che costavano, allora, quanto tutto il viaggio. In mano soltanto una cartina stradale della Germania con una minuscola piantina di Berlino stampata in un angolo, due macchine fotografiche caricate a B/N in borsa e tanto, tantissimo entusiasmo seduto sui sedili anteriori avevano fatto partire l'infaticabile 1.9 TD FIAT verso quella piccola/grande avventura.




Tanti di voi quella strada, quella che porta a Berlino passando dal Brennero, l'hanno sicuramente percorsa. A me, dopo, è capitato altre volte di attraversare le bellissime Alpi italiane e austriache e poi molta, tanta, troppa Germania. Il paesaggio pianeggiante e privo di sorprese è abbastanza noioso direi quasi insapore. Cielo e terra si fondono spesso in un'unica piatta immagine dalle forme elementari e spesso ripetitive che distraggono molto lo sguardo portandolo ovunque senza però mai sorprenderlo.
Credo che sia per questo motivo che i tedeschi non mettono limiti di velocità alle loro autostrade, lo scopo è quello di andare da un posto all'altro il prima possibile non curandosi della sterminata pianura che caratterizza il loro paesaggio. Puntano lo sguardo verso quello sterminato orizzonte seguendo una strada dritta che cerca invano di rimpicciolirlo. A parte la facile ironia si può dire che guardano avanti, sempre e solo avanti! Chissà se il loro atteggiamento così fortemente pragmatico deriva anche da questo!
Quella era la prima volta che attraversavo la distesa tedesca e ad oggi è stata l'unica in cui l'ho fotografata.




Perché Berlino?
Un pretesto in verità c'era. Una sera, qualche tempo prima, al circolo fotografico qualcuno disse che bisognava riportare non mi ricordo cosa a non ricordo chi a Berlino. Il mio amico alla parola Berlino d'istinto si propose e subito dopo mi chiese: “Vieni anche tu?” e….. “sì, come no!” risposi. Erano quelle occasioni a cui dicevi di si senza pensare, senza sapere fino in fondo cosa voleva dire, quelle esperienze che ancora non avevi fatto e che davano sensazioni a cui era impossibile resistere, la parte primordiale di ogni viaggio forse quella più affascinante ed intima, quella che incomincia a crescerti dentro quando ancora hai i piedi fermi sotto il tavolo.
Berlino, un nome che anni prima mi aveva già stregato, un luogo che aveva attirato come nessun altro prima la mia attenzione tonava ora a sorpresa sul mio cammino.
Quando il muro, nove anni prima, era caduto avevo seguito l'evento in televisione. Anche se a distanza, ne ero stato in qualche maniera testimone. Per intenderci il 9 novembre 1989 io avevo quattordici anni, già camminavo, o meglio, passeggiavo su questa terra e quel fatto storico lo avevo seguito, non lo avevo studiato nei libri, era accaduto nel mio presente. Era diverso, c'era qualcosa che me lo faceva reputare più importante degli altri. Col tempo ho semplicemente capito che incominciavo ad aprire gli occhi sul resto del mondo, incominciavo ad interessarmi a cose al di fuori della mia quotidianità, in poche parole incominciavo lentamente a viaggiare.




Ma torniamo a questo viaggio.
Verso mezzogiorno ci trovavamo circa a metà strada. Ricordo che decidemmo di fermarci per un panino e per fare rifornimento. All'epoca il carburante era molto più conveniente all'estero che non nella nostra amata terra. Oggi le cose non sono poi così cambiate. In effetti, a pensarci bene, ci sono delle cose che non mutano per tutta la nostra vita e le accise che pagavamo allora ci fanno ancora oggi tenera compagnia. Per questo motivo avevamo deciso di partire con quello che c'era nel serbatoio.
Arrivati quindi in riserva dopo Norimberga e fermata la macchina alla prima pompa di benzina disponibile, ecco la prima sorpresa del nostro viaggio: il tappo del serbatoio non si lasciava aprire più. La chiave, ebbene si serviva ancora e solo la chiave per aprirlo, non entrava nella serratura che si era completamente ghiacciata! Provammo a scaldare la chiave e la serratura con la fiamma di un accendino ma nulla. Il ghiaccio tedesco, come ogni cosa in Germania, era fatto bene.
Entrammo allora nello Shop del distributore per chiedere aiuto. Con il nostro tedesco dal marcato accento italiano raccontammo al ragazzo alla cassa cosa ci stava capitando. Lui, senza riuscire a trattenere un sorrisetto, ci indicò con la punta del dito un flaconcino sullo scaffale alle nostre spalle. C'erano poche parole di spiegazione scritte sulla confezione ma una scritta capeggiava grande al centro dell'etichetta : “SOFORT”. Allora noi, con il nostro sorrisetto italiano in viso, lo comprammo e mettemmo subito alla prova l'efficienza germanica. Osservammo le brevi istruzioni facendo cadere alcune gocce del prodotto nella serratura del tappo ed immediatamente inserimmo la chiave, la girammo e questa…..aprì.
Dopo le autostrade dritte e prive di limiti, garanzia di trasporti sicuri e veloci, anche la chimica ci confermava l'efficienza teutonica.




Ripartimmo. Le forze erano ancora al massimo, una piccola missione da portare a termine l'avevamo, il serbatoio era pieno, la boccetta con il “liquido magico” era stata recuperata, come nella più classica delle avventure dei videogame tutto stava volgendo per il verso giusto. La strada scorreva veloce e gelida sotto di noi, Berlino si avvicinava. Il cielo era in continuo cambiamento, delle grosse nuvole si aprivano e si chiudevano sopra le nostre teste senza sosta giocando ad arabescare con la luce di un pallido sole i campi tutto intorno a noi, ma non piovve. Passammo Lipsia, i cartelli segnavano già Postdam, in poco tempo saremmo arrivati a destinazione quando all'improvviso eccola, forse l'unica cosa che ci accomuna noi con loro: la coda! In un momento eravamo fermi. Ma fermi fermi, non rallentati o a singhiozzo. Una di quelle code dove puoi benissimo abbandonare la macchina ed incamminarti a vedere cosa è successo, altro comportamento tipicamente italiano.
(Oggi forse non lo si fa più perché abbiamo tutti il condizionatore e altri comfort a bordo come l'inseparabile Smartphone a cui immediatamente chiediamo una relazione diligente e dettagliata).
Chissà cos'era successo! In quei momenti ipotizzi scenari apocalittici ed invece…… non era successo nulla. Eravamo soltanto vicini ad un tratto di autostrada dove i limiti c'erano e questo causava l'effetto tira e molla più preciso e lungo che avessi mai incontrato. Anche in questo erano i migliori, pensai, l'avranno fatto sicuramente per far sentire a casa gente come noi e per ricordarci che anche loro, in fin dei conti, non sono infallibili.




A parte gli scherzi, arrivammo a Berlino che era già sera.
La lunga strada diritta che ci aveva portato a destinazione incominciava a curvarsi, ad intrecciarsi, a dividersi e a moltiplicarsi. All'improvviso si illuminava, rallentava, si duplicava e riprendeva a correre. Sembrava quasi che da sola, con il suo movimento, avesse contribuito alla costruzione di tutto quello che le sorgeva accanto e che lo stesse facendo anche in quel momento mentre noi la percorrevamo. Fabbriche, magazzini e palazzi ora costeggiavano costantemente il nostro arrivo. L'autostrada si era man mano fatta più piccola e lenta fino a diventare prima zona industriale poi periferia abitata ed infine città.
Guardavo questa trasformazione dal finestrino della macchina in corsa giocando alle volte con le immagini che scorrevano. Fingevo di riconoscerle, di rivedere quello che di Berlino conoscevo, immaginavo quelle vie piene di gente che correvano verso il muro come nelle immagini che avevo visto in televisione.




Saremmo entrati a Berlino passando da Charlottenburg e la Bismarkstraße ci avrebbe accompagnati fino alla grande rotonda del Siegessäule. Da qui la Straße des 17. Juni ci avrebbe fatto attraversare tutto il Tiergarten fino a consegnarci alla porta di Brandeburgo. Una volta arrivati lì dovevamo girare a destra e proseguire fino alla Postamerplatz da dove la Leipzigerstraße ci avrebbe portato a destinazione. A far bene infine dopo aver imboccato quest'ultima via ci sarebbe bastato contare solamente due ponti, fermare la macchina e chiedere quale fosse la nostra laterale.
Ricordo solamente che rimanemmo sul percorso fino alla porta di Brandeburgo poi il buio ed il traffico fecero il loro gioco e addio riferimenti. Sinceramente non ricordo come facemmo ma in qualche maniera trovammo l'indirizzo che ci avevano lasciato al circolo fotografico. Parcheggiammo la macchina a pochi passi dalla casa indicataci. L'ingresso al condominio assomigliava a quelli dei palazzi dei quartieri borghesi newyorchesi che si vedono spesso nei film americani, una manciata di scalini portavano al portone principale. Suonammo. Ci aprì e ci invitò ad entrare proprio il tizio a cui dovevamo consegnare il plico. Non lo ricordo molto loquace. Noi la nostra piccola missione l'avevamo portata a termine e tutti e due ci aspettavamo, che so, una piccola festa, un gesto di amicizia una tazza di caffè o una birra, insomma anche i vecchi scacciapensieri un po' di casino lo facevano quando ultimavi il gioco! Ricordo che rimasi deluso da quell'incontro. A malapena ci indicò dove poter trovare un letto economico.
Risaliti in macchina ci lasciammo immediatamente quella piccola delusione alle spalle, eravamo drogati di entusiasmo ed incominciammo a girare per le strade cittadine assolutamente a caso esplorando, attraverso i finestrini della macchina, una città a noi sconosciuta.




La luce del sole ci aveva abbandonati già da un bel po' e il clima era diventato ancora più rigido. In compenso la città aveva acceso tutte le sue luci regalandoci un assaggio della sua razionale eleganza. Molte vie e piazze erano inoltre addobbate per il periodo natalizio rigorosamente da sole luci bianche. Le luminarie erano essenziali ma molto efficaci, rappresentavano un Natale molto ordinato e architettonicamente preciso. Il traffico era nell'ora di punta e il nostro girovagare ne seguiva il flusso attraverso le arterie principali della città. Dal calore dell'abitacolo della Tipo non volevamo uscire, ci bastava continuare a muoverci in tondo nel tessuto trafficato e vivo della città ammirando persino il movimento ordinato delle luci che si riflettevano sul cofano e sul parabrezza della nostra auto in corsa.
Poi, tutto in un momento, ci rendemmo conto che magari era anche l'ora di preoccuparsi di trovare un letto per la notte. Con solo l'aiuto di quella mini piantina della città stampata nell'angolo della cartina stradale trovammo l'ostello della gioventù che ci era stato indicato. Ci accolsero e noi lo facemmo diventare la nostra base per i successivi giorni.




La mattina seguente ci svegliammo presto.
La città, che si era presentata la sera prima, ora era la fuori che ci aspettava.
Cosa conoscevo all'epoca io di Berlino? Come tanti ventenni miei coetanei di allora oggi posso rispondere: quasi nulla. Credevo di conoscerne l'essenza perché avevo guardato la caduta del muro in televisione. Fatto che mi aveva certamente colpito ed emozionato, ma cosa volesse dire averlo vissuto sulla propria pelle quel muro non lo immaginavo neanche lontanamente.
Che cosa fosse stato fino a pochi anni prima quel luogo incominciavo lentamente a metabolizzarlo ma ero ancora lontano dal comprenderlo.
Solo considerando la storia recente, la città aveva vissuto due conflitti mondiali, era già stata la capitale di un impero del male che era stato fermato appena in tempo e infine era diventata il simbolo della guerra fredda. Orrori insomma ne aveva vissuti tanti, l'esplosione della parte nazista del suo animo l'aveva messa a dura prova, ma questi erano tutti fatti che avevo ascoltato a scuola o letto nei libri, luoghi ed eventi che erano entrati e avevano preso posto nella mia testa attraverso le sole orecchie.
Cosa fosse in quel momento Berlino e quale storia le scorresse per le vie ancora non lo mettevo a fuoco.




Che fossimo dei ragazzotti senza arte ne parte su questo non ci pioveva ma eravamo lì per migliorarci, per metterci alla prova, per sporcarci finalmente le mani con la storia vera. Girammo la città in lungo in largo per cinque giorni. Ne fotografammo i monumenti, le vie e le piazze famose, i luoghi simbolo ma anche i mercati, i tantissimi cantieri e le persone che la abitavano. La girammo di giorno e di notte. Ricordo che il clima sempre particolarmente rigido suggeriva numerose tappe ristoro e allora dentro e fuori dai negozi, dalle chiese, nei teatri, nei musei e nei centri sociali cercando di fare nostra la città o almeno di entrarne in confidenza. Fu una sbronza fotografica colossale.




Com'era Berlino? Uno squilibrio. In questa parola si ritrovano tutte le mie sensazioni e i miei ricordi. La città era squilibrata.
A sentire gli abitanti ormai non c'era più traccia di divisione ma loro il muro, che per molti anni aveva diviso i tedeschi dai tedeschi, lo avevano vissuto di persona ed oggi vivevano in un mondo nuovo, in una Germania unita. Le loro vite erano, a loro avviso, libere. Noi invece queste due realtà le percepivamo ancora, Est ed Ovest erano ai nostri occhi ancora molto diverse. Il solido e maestoso confine che fino a pochi anni prima governava le vite del popolo tedesco ora era invisibile ma da stranieri, qualcosa di diverso dalla nostra di libertà ancora lo percepivamo.
Eh facile discorso direte, magari influenzato anche da preconcetti. È vero, facile e quasi certamente condizionato discorso, ma comunque composto da pensieri e sensazioni di difficile descrizione. Non lo nego, quello che mi influenzava era la mia poca conoscenza dei valori umani quelli, per intenderci, che solitamente hanno bisogno di molto tempo e di tanta maturità per germogliare in un individuo. Concetti solidi come la solidarietà, la fratellanza o l'uguaglianza tra le persone erano in me ancora piuttosto acerbi.
Ero arrivato in questo posto con in testa questa immagine della città: la disciplina ed il rigore del socialismo sovietico contrapposte alla libertà e al consumismo del capitalismo americano. Facile, troppo facile per un ventenne tradurre: la tristezza contrapposta alla gioia di vivere.
Ecco uno dei motivi del viaggio, ecco uno dei perché volevo fotografare Berlino. Queste sue due facce, questi due modi di interpretare la vita in comune qui a così stretto contatto, questa sua dualità era l'aspetto che volevo toccare con mano, che volevo fotografare perché con le sole parole lette e sentite fino ad allora non ero ancora riuscito a capirlo fino in fondo.




Fui probabilmente fortunato a poterla visitare per la prima volta sotto le feste di Natale. Anche per due ignoranti come noi le diversità che ancora all'epoca contraddistinguevano le due Berlino, durante il periodo natalizio erano forse più lampanti. La vita dei berlinesi, nei modi e nei tempi, veniva amplificata e smascherata dalle festività. Non era solo un fatto di soldi. Benché certamente fossero il fattore più evidente e importante, molte altre sfumature sottolineavano ancora la forma disorganica della rinata Berlino.
Eppure tutto quello che vedevo e fotografavo non mi convinceva. Berlino est era ordinata, bellissima ma, a prima vista, deserta e fredda. Berlino ovest, al contrario, si presentava piena di gente e caotica ma, al confronto, insignificante e banale. Berlino est non nascondeva la sua storia, Berlino ovest nemmeno. E allora?




E allora non capivo, non capivo che immagine comporre nel mirino della reflex, chi o cosa potesse simboleggiare questo squilibrio.
Ripassavo continuamente nella mente quel poco di storia che conoscevo, chiudevo gli occhi e rivedevo gli speciali visti in televisione e cercavo un'immagine che potesse descrivere almeno un po' la divisione che questa città aveva subito, un'immagine che raccontasse ancora la cortina di ferro che il mondo aveva alzato con la guerra fredda.
Cercavo di fotografare la storia, di impressionare sul negativo il tempo che era stato.
Ma anche un soggetto forte come lo stesso muro, di cui rimanevano in piedi solo sei blocchi, non riusciva, da solo, a suggerirmi una inquadratura efficace. In quel momento non era altro che un ricordo di quella enorme ferita che aveva diviso la Germania e l'intero continente europeo per ventotto lunghissimi anni. Non si avvertiva più l'enorme forza del simbolo che era stato. Era stato depotenziato. Come era stato eretto era stato anche abbattuto, era nato in una sola notte e sempre in una notte soltanto era morto, ma a differenza della sua nascita per la sua caduta non era stato sparato un solo colpo di arma da fuoco, era stato spogliato del suo significato in maniera del tutto pacifica.
Era stato eretto nella notte tra il 12 e il 13 agosto del 1961 e fu abbattuto tra giugno e novembre dell'anno successivo alla sua apertura dalle stesse guardie di frontiera della DDR che fino al giorno prima, anche con l'uso della forza e della violenza, lo avevano difeso e reso inviolabile per quasi tre decenni.
Ne parlai con il mio compagno di viaggio, discutemmo cercando di concretizzare questo concetto ma non ne venimmo a capo e fu così allora che continuai a fotografare eliminando progressivamente questo pensiero, pensando soltanto a composizione e profondità di campo, al punto di ripresa e alla gestione dei tempi di scatto, ricercando così canoni di bellezza già studiati.




Spostammo la nostra attenzione sull'aspetto tecnico/artistico tralasciando man mano quello documentaristico e fu così che ci venne in mente di sperimentare scatti con effetto mosso o a doppia esposizione.
Quanti rullini buttati, per carità uno spasso intendiamoci ma così facendo perdemmo molto materiale.
Per colpa di una doppia esposizione ricordo che buttai tutto il rullino con gli scatti alla porta di Brandeburgo semplicemente perché, per un mio stupido errore, aprii la macchina convinto di averlo riavvolto mentre la manovella di riavvolgimento era andata a vuoto. Di quella maledetta porta, un altro dei simboli che non riuscii ad interpretare, un'altra immagine che non riuscii ad utilizzare per rendere quel senso di squilibrio che percepivo ma che non riuscivo a comporre nell'obiettivo, mi rimane solamente una foto (tra l'altro sbagliata) con ancora il traffico delle automobili che la attraversa. In quel momento decisi di non fotografarla più.




Foto magari semplici ma tecnicamente corrette ne facemmo molte. Foto che impressero quello che volevamo raccontare invece furono poche e molto acerbe.
Non eravamo ancora in grado di affrontare seriamente un progetto fotografico e quella fu la nostra più grande lezione.
Andiamo a fotografare la città, fermiamo sul rullino il suo vero aspetto, scoviamo e denunciamo la sua vera identità, insomma rubiamole l'anima e portiamocela via! Ricordo benissimo come la pensavamo allora. Quante forze e ingenui propositi si hanno a vent'anni! Eppure quelle immagini mi appartengono ancora e mi parlano ancora oggi.
Oggi infatti posso dire con una certa dose di consapevolezza in più che questi scatti in realtà li ha fatti Berlino a me. Era la città ad avere nelle sue mani la reflex. Io ho scattato e scattato fotografie, ma tutto quello che ci rivedo impresso dentro, oggi in lei, nella città intendo, non esiste più. Berlino, all'epoca, mi ha fatto questo regalo e oggi capisco la differenza tra un documento e un ricordo.




Ma non vi preoccupate, non ci demoralizzammo!
Anzi, lì per lì tutti questi ragionamenti ci sfuggirono o meglio non ci passarono nemmeno per l'anticamera del cervello!
Il fatto di non trovare più il filo del discorso ci rese in qualche maniera inconsciamente liberi di cercarne uno nuovo.
Scoprimmo così la ricostruzione della Postdamerplatz e del parlamento tedesco. La città stava riprendendo possesso della zona che era stata militarizzata fino a pochi anni prima, quella zona di morte che era stato il confine minato tra est e ovest. Ci accorgemmo del presente, di quella infinitesimale porzione di tempo che è l'attimo in cui si vive e che la macchina fotografica ci aiuta a fermare.
La storia per esistere ed essere tramandata deve essere documentata. Non possiede vita senza documenti che la raccontano perché la sua natura è quella di raccontare eventi già accaduti non il presente. Il documento invece ferma un istante, è un pezzettino di vita che racconta il presente. Una fotografia lo congela in un'immagine per esempio, una lettera ne ferma dei pensieri e una registrazione delle parole.
Ecco perché i documenti servono a far vivere la storia.




Eravamo in città da alcuni giorni e ci rendemmo conto che non avevamo ancora fotografato un solo cantiere. In alcuni scatti ne era sicuramente finito qualcuno ma certamente nessuno di noi li aveva considerati come soggetto principale. Erano lì a suggerirci il futuro che stava arrivano urlando in maniera molto marcata quale fosse il vero presente di quella città. Il suo futuro era visibile attraverso il lavoro degli operai che in quel momento abbattendo, modificando e ricostruendo, creavano la sua nuova identità. Lavoravano quella lingua di terra morta e spoglia che ancora la attraversava riportandola in vita.
La striscia della morte era stata riprogettata per riunire quello che aveva diviso, per fare di Berlino nuovamente una sola città, una sola casa.
Questo aspetto era, per così dire, più facile da fotografare e riuscimmo discretamente a renderlo.




Ogni giorno ci spostavamo in macchina e a piedi alla ricerca di scorci sempre diversi. Lo facevamo sia nella zona est che in quella ovest. Ma quasi ogni giorno rivedevamo anche i posti principali della città un po' perché erano dei facili punti di riferimento e un po' perché, così facendo, ci sentivamo un pochino più integrati nel tessuto urbano. Era come andare al bar sotto casa per fare colazione e chiacchierare con il barista o fermarsi sul pianerottolo di casa facendo lo stesso con il proprio vicino. E così una pasticceria in Alexanderplatz diventò la nostra base a mezzogiorno utile per sfuggire al freddo e all'orrendo cibo che si trovava per strada, la Deutche Oper Berlin fu una tappa fissa perché non riuscimmo mai a intrufolarci, cosa che invece ci era riuscita alla Haus der Kulturen der Welt e allo Stage Theater am Potsdamer Platz appena ultimato.
Percorrevamo poi spesso in macchina la Mühlenstraße correndo accanto alla famosa East Side Gallery il tratto di muro, lungo poco più di un chilometro per cercare di riportare la testa al nostro primo progetto fotografico e dove la frase "Signore! Aiutami a sopravvivere a questo amore letale" scritta in cirillico sopra il "bacio fraterno" sembrava prendersi beffe di noi ad ogni nostro passaggio.
In questo modo divenne sempre più facile collegare i tanti volti della città, intendo dire che così fu più semplice fotografarne gli angoli nascosti quelli che davano un senso a quelli più famosi e conosciuti.




E venne il giorno di tornare a casa. Era il 23 dicembre 1998, il nono anniversario della apertura ufficiale della porta di Brandeburgo cadeva proprio quel giorno lì, nove anni prima il Cancelliere Kohl e il Presidente del consiglio dei ministri della DDR Modrow si stringevano la mano sotto la Quadriga decretando la libera circolazione delle persone nelle due Germanie. La città ci diceva arrivederci così. Di quel giorno ricordo solo la strada del ritorno. Quella lunga striscia nera, questa volta, ci riportava a casa e man mano che questo accadeva tutto tornava al suo posto. Il paesaggio tornava ad essere quello conosciuto, la strada sembrava in discesa più facile da percorrere ed anche i nostri discorsi sembravano tornare quelli di sempre.
Non c'è dubbio, tornare a casa è una cosa rassicurante. Non che ci fosse nulla di ostile dove eravamo andati, ma tornare a casa, ancora oggi, mi fa questo effetto. Non c'è viaggio senza ritorno, in ogni avventura è un ingrediente essenziale, difficilissimo da dosare. Tornare vuol dire recuperare ciò che eri o che avevi e aggiungerci un piccolo nuovo bagaglio, vuol dire guardare e guardarsi con un po' di esperienza in più, in poche parole significa, definitivamente, essere prima partiti.
Due piccoli fotografi, due amici che condividevano una passione che ancora non sapevano leggere, due curiosi personaggi a caccia di chissà quale immagine da rubare, due italiani in una macchina italiana ma anche due stupidi e vanitosi vandali che hanno lasciato i loro nomi e la data del loro passaggio sul muro all'entrata del Sigessäule. Ecco cosa ha visto e dovuto sopportare in quei giorni Berlino.




Ma da dove nasce oggi la voglia di raccontare ancora una volta questo viaggio?
Il perché ciclicamente questo lavoro mi torna tra le mani e per giunta ogni volta sotto forma diversa, francamente è un po' misterioso. Sono passati ormai diciott'anni da quella avventura e nel tempo ho utilizzato questi scatti in vari contenitori le cui regole hanno selezionato le immagini sempre in maniera diversa, dandone ogni volta una lettura leggermente differente. Presentazione, mostra, portfolio, semplice album fotografico ed ora articolo hanno valorizzato ogni volta immagini diverse di uno stesso lavoro e di uno stesso vissuto. L'impegno dedicatogli nella realizzazione dei vari lavori unito al normale scorrere del tempo hanno promosso in me un singolare processo di maturazione di queste immagini.
Non so dove andranno ancora, che strumento utilizzeranno la prossima volta per tornarmi tra le mani, però conosco il luogo da dove questo percorso è iniziato.
Ricordate? "...questi scatti in realtà li ha fatti Berlino a me. Era la città ad avere nelle sue mani la reflex." . Di tutto questo processo, questo fu il primo pensiero che germogliò nella mia testa quando, in camera oscura, sviluppai e vidi per la prima volta nella vasca del fissaggio insieme al mio amico e compagno di viaggio questa foto qui sotto:



"Arrivederci ragazzi"
"Arrivederci Berlino"


Post scriptum: "Mentre le normali discussioni sul forum sono totalmente libere, gli articoli devono rispettare alcuni parametri: il numero di foto deve essere proporzionato alla lunghezza del testo (approssimativamente 1 foto ogni 1400 battute)."
Come dall'estratto del regolamento che leggete tra le virgolette qui sopra, 1400 battute per ogni fotografia hanno concesso ventuno fotografie all'articolo. Chi fosse interessato a vedere più immagini di questo viaggio non deve far altro che recuperarle nelle gallerie che gli ho dedicato.

Un'ultima curiosità: come vi ho già detto questi scatti sono stati rimescolati diverse volte e rappresentati in diversi contenitori. In ogni occasione il titolo scelto è sempre stato "BERLINO 1998". Qui, questa volta, il titolo dell'articolo voleva essere questo: "BERLINO 1998: TRA DOCUMENTI E RICORDI"
Invece, per ironia della sorte, lo spazio ad esso dedicato accetta soltanto 30 caratteri, troppo pochi per intitolarlo questa volta in maniera diversa!



Risposte e commenti


Che cosa ne pensi di questo articolo?


Vuoi dire la tua, fare domande all'autore o semplicemente fare i complimenti per un articolo che ti ha colpito particolarmente? Per partecipare iscriviti a JuzaPhoto, è semplice e gratuito!

Non solo: iscrivendoti potrai creare una tua pagina personale, pubblicare foto, ricevere commenti, partecipare alle discussioni e sfruttare tutte le funzionalità di JuzaPhoto. Con oltre 242000 iscritti, c'è spazio per tutti, dal principiante al professionista.





avatarjunior
inviato il 01 Febbraio 2017 ore 7:37

Bel racconto di una bella esperienza, una città simbolo per tanti fatti storici.
L'ho visitata anch'io qualche anno dopo, ci tornerò sicuramente.
Purtroppo feci solo qualche scatto al contrario di voi e fu un errore.
p.s. belle foto!

avatarsenior
inviato il 01 Febbraio 2017 ore 10:21

Grazie del passaggio e del commento Marpe1962.
Che sia una città simbolo ne sono convinto anch'io. Ne ho raccontato una piccolissima parte di storia perché quello è un luogo che si nutre di moltissime vite per costruire la sua storia. Ancora oggi è protagonista e credo che lo sarà sempre. Magari dirò una ovvietà utilizzando una frase fatta ma quando ci vuole ci vuole: Berlino è una città che ha un'anima.

avatarsenior
inviato il 01 Febbraio 2017 ore 10:28

Complimenti, bel racconto e ottime foto, una in particolare che ho commentato nelle tue gallerie.

Un saluto, Nicola.

avatarsenior
inviato il 01 Febbraio 2017 ore 11:46

Grazie Nicola, non nego di esser curioso dei commenti che queste vecchie foto riceveranno.

A risentirci allora.

avatarjunior
inviato il 01 Febbraio 2017 ore 12:22

articolo scritto davvero bene e corredato da foto per niente banali!!! Ottimo lavoro!!!

avatarsenior
inviato il 01 Febbraio 2017 ore 13:35

Un reportage fotografico che è quasi un racconto di formazione.
Ambientato in una città dalle mille vite, allora fulcro di una adolescente democrazia ed oggi madre padrona d'Europa.
In un anno, il 1998, che non a caso fa da ponte tra il vecchio ed il nuovo, tra le cartine stradali e quello che di li a breve sarà il world wide web totalizzante, tra l'analogico e quel futuro che oggi è il nostro presente.
Anche io ragazzo incosciente proprio in quegli anni, ricordo bene l'aria di transizione che si respirava.
Un coinvolgente resoconto e degli ottimi scatti, che assieme fanno una piccola grande storia. Complimenti per tutto il lavoro :-)

avatarsenior
inviato il 01 Febbraio 2017 ore 16:17

Grazie Marco per i complimenti alla parte scritta! Fotografare e scrivere sono due discipline che sto ancora cercando di unire, sono ancora in rodaggio. Fa piacere sapere che l'articolo si lascia leggere volentieri.

avatarsupporter
inviato il 01 Febbraio 2017 ore 16:18

davvero bello. e le foto mi piacciono un sacco!

avatarsenior
inviato il 01 Febbraio 2017 ore 16:44

Lusingato dal bellissimo commento Thomas e contento di sapere che anche altri hanno vissuto quella città in quel periodo storico alla stessa maniera. Ho scritto la storia di queste immagini anche per condividerne la loro maturazione, fa piacere che questo aspetto venga colto.

avatarsenior
inviato il 01 Febbraio 2017 ore 22:49

Gianluca Lombardi, la tua esperienza descritta nel tuo primo articolo mi vive ora accanto.
Ti ritrovo qui a leggere le belle parole di commento che mi lasci dopo aver apprezzato questo mio lavoro. Sono davvero contento che ti sia piaciuto. Grazie.

avatarjunior
inviato il 04 Febbraio 2017 ore 17:49

Bel racconto, belle foto, bella esperienza. E poi quella grana...il B/N quando ce vò ce vò, fantastico! Avete reso molto bene l'atmosfera che ancora a quei tempi si respirava in città. Le immagini sono belle e rendono bene perchè scattate con entusiasmo e con ancora una certa verginità di vita addosso.
Dovresti riprovarci oggi per vedere che immagini porteresti a casa a distanza di quasi 20 anni...

avatarsenior
inviato il 04 Febbraio 2017 ore 19:13

Nel maggio del 2012, per lavoro, sono tornato a Berlino. Il fatto di essere lì per un'altro motivo rispetto al 1998 cambiava molto le cose. Nel periodo che ci sono rimasto ho avuto la fortuna di avere quasi un'intera giornata libera.

"Le immagini sono belle perché scattate con entusiasmo e con ancora una certa verginità di vita addosso... " quanto hai ragione Bibols!

Ho provato ad alzare la macchina fotografica dopo aver trovato lo stesso pdr dell'immagine con il ponte, ho sentito un sorriso involontario tirarmi una guancia e ho abbassato la macchina. Sembra un po' romanzata ma è andata così.
Però hai ragione lo devo fare, ci devo tornare con solo quell'obiettivo.
Grazie del commento e per la spinta Bibols!

avatarsenior
inviato il 10 Febbraio 2017 ore 15:00

Fotografare e scrivere sono due discipline che sto ancora cercando di unire, sono ancora in rodaggio
Mi sembra che tu abbia brillantemente superato la fase del rodaggio. Ogni fotografia è legata ad un pensiero, in un racconto da leggere tutto di un fiato. Grazie per aver condiviso questa esperienza!

avatarsupporter
inviato il 10 Febbraio 2017 ore 15:45

Riletto con più attenzione della prima volta che francamente avevo solo scorso. Mi sono emozionata, ho sentito tanta sincerità, mai una autoreferenza, una nostalgia velata per una situazione impossibile da rivivere, ma con la consapevolezza di essere così anche per quei giorni che potevano rimanere una semplice avventura giovanile.
Ho anche letto che quando sei tornato a Berlino nel 2012 non sei riuscito a fotografare e questo ha quasi sicuramente un aspetto psicologico, forse non sei ancora pronto ad aggiornare i tuoi ricordi, non vuoi confonderli con una nuova esperienza in quanto hai paura che Berlino non sappia raffigurarti così bene come nel 1998.
Scusa se mi sono permessa di entrare così nello specifico, ma a me è successa quasi la stessa cosa per New York, solo che i motivi erano di tutt'altro genere.
Complimenti oltre che per le foto, anche per il ritmo che hai dato alla scrittura
on the road
.
Ciao, Marisa

avatarsenior
inviato il 10 Febbraio 2017 ore 19:45

Anonima.genovese, grazie per i complimenti alla scrittura!
Nell'ambiente fotografico lo sappiamo tutti che la maggior parte dei professionisti preferiscono poche parole (se non addirittura nessuna) per lasciar "parlare" l'immagine da sola. Legare però delle immagini tra loro utilizzando pensieri o ragionamenti io lo considero un buon esercizio di crescita e di salute mentale.
Se poi ti ho intrattenuta piacevolmente ne sono davvero contento.





 ^

JuzaPhoto contiene link affiliati Amazon ed Ebay e riceve una commissione in caso di acquisto attraverso link affiliati.

Versione per smartphone - juza.ea@gmail.com - Termini di utilizzo e Privacy - Preferenze Cookie - P. IVA 01501900334 - REA 167997- PEC juzaphoto@pec.it

www.juzaphoto.com - www.autoelettrica101.it

Possa la Bellezza Essere Ovunque Attorno a Me