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L'America dei film


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L'America dei film, testo e foto by Fotoacrobata. Pubblicato il 05 Gennaio 2017; 70 risposte, 8329 visite.


Il viaggio è ormai finito aimè e allora ho deciso di scrivere questo articolo un po' per riviverlo con voi ed un po' per rendervi un gelosi ;-)
Partiamo con la premessa che, non avendo il dono della scrittura, il mio sarà un racconto più tecnico che romanzato, una specie di discorso ad un amico, ma veniamo al dunque, la partenza.
Si parte da Dublino dopo aver guidato 3 ore per raggiungere l'aeroporto e aver aspettato 9 (NOVE) ore l'aereo. Perché così tanto? Semplice nonostante prenda un discreto numero di aerei ogni anno avevo paura di perdere proprio questo e poi perché il controllo dell'immigrazione USA la fanno direttamente nell'aeroporto di partenza se quest'ultimo è sull'isola di smeraldo. Siamo praticamente in America ancora prima di partire!
Il volo Dublino – San Francisco è lungo, 10 ore e mezza, ma ci siamo goduti la splendida vista della Groenlandia e della baia di Hudson in Canada completamente avvolta dai ghiacci. Una volta atterrati non ci resta che attendere il secondo volo che ci porterà nella sfavillante Las Vegas. L'arrivo è spettacolare, ormai è buio e dai finestrini dell'aereo si vede solo il nero deserto rotto da un lago di luce.
Come l'aereo tocca terra l'adrenalina balza a mille e non sembra nemmeno che nelle ultime 48 ore abbiamo dormito forse un paio d'ore. E' sabato sera e siamo a Las Vegas, di dormire non se ne parla proprio!
Il tempo di lasciare le valige in albergo e siamo sulla Strip, la lunga via che attraversa la città sulla quale sono affacciati tutti gli hotels più famosi. Entriamo e usciamo in pazzi alberghi che avevamo solo sentito nominare, GMC, New York, Ceasar's Palace, Bellagio e via dicendo. Credo che l'unica parola giusta per descriverli sia follia.
Sono tutti enormi, per intenderci il Venetian (quello con le gondole) è il secondo albergo più grande al mondo con oltre 9000 stanze. Il nostro è il Luxor, vi dico solo che sul tetto c'è il fascio di luce più potente del pianeta (lo vedevamo dall'aereo) e costa 50 dollari all'ora di elettricità. Sono tutti sfarzosi, bellissimi e fintissimi. Quello che compri con il biglietto per Las Vegas è un'esperienza per vedere dove la mente umana può spingersi. Immagino 70 anni fa quando c'erano praticamente palme e basta, gli architetti parlare fra di loro:
“io ci vedrei bene lo stile italiano qui, che so magari 4 gondole”
“ma buttaci dentro anche qualche statua classica che tanto più c'è meglio è”
“ma si hai ragione, facciamo anche una piramide e una sfinge che ci sta bene”
“pensavo anche alla statua della libertà, però ci voglio una montagna russa sul tetto e, per non sbagliare, ci metto pure una Tour Eiffel”
Insomma un'accozzaglia cafona di tutto quello che potete immaginare, però più grande, luminoso e rumoroso. Insomma i motti americano presi alla lettera: “Bigger is better” & “Because we can”
Il secondo giorno procede alla scoperta della città più pulita che abbia mai visto, stiamo parlando di domenica mattina e non c'è un mozzicone a terra, niente di niente. Nel pomeriggio, per andare a vedere il negozio della serie televisiva “Affari di famiglia”, ci spostiamo a downtown dove i famosi hotels lasciano il posto alla vita reale. Qui abbiamo un assaggio dell'America vera, fatta di opposti. Inizia una fila di fatiscenti motel ormai chiusi e cassonetti usati dai senzatetto come mensa e stufa. Fa strano vedere questo e sentire la musica del lusso a 200 metri di distanza. I simpatici tizi con cappello da cowboy e stivali (tutti gentilissimi) sono lontani e qui invece la popolazione è principalmente sudamericana e di colore. Devo essere sincero è stata un'esperienza girovagare tra le vie secondarie e vedere come era Las Vegas, immaginare tutti quei locali un tempo centro della città prima che arrivassero gli investimenti miliardari.
Tornati in “centro” proviamo ad entrare nei casino, devo essere sincero? Tutti uguali, io non so nemmeno da dove si inizia a giocare, ma mi sono sembrati un po' tristi, la parte delle slot sembra un gigantesco bar pieno di videopoker, ma lì dentro il tempo assume un'altra dimensione. Niente orologi alle pareti e finestre, si può fumare e ti portano il bere alla tua sedia. Insomma tutto quello che vuoi purché tu non lasci la tua postazione. Qui i vizi umani diventano dei.



Arriva il terzo giorno e ci dirigiamo all'aeroporto per ritirare la macchina, una Mondeo o similare… Ma per soli 5 dollari in più al giorno spunto l'affare del secolo e ritiro invece una Camaro 3.6 litri da 335 cv che mi stamperà un sorriso lungo 11 giorni!



Giù il piede del gas su quella che scopriremo essere una macchina estremamente parca nei consumi che saranno dai 9 al litro in città e sullo sterrato nel deserto (si avete letto bene, ma ci arriveremo più avanti) ai 15 in autostrada. Ok beve, ma considerate che ha la cilindrata di un camion e che la benzina costa da un minimo di 50 cent in Arizona ad un massimo di 90 in California.
Facciamo un salto alla diga di Hoover, gigantesca struttura che segna la fine del Grand Canyon costruita negli anni '30 per rilanciare gli USA offrendo lavoro e ottenendo corrente a basso costo. Costata centinaia di vite e terminata con due anni di anticipo è ancora oggi una struttura imponente.
Prendiamo la macchina :-D e andiamo alla Valley of Fire, parco statale del Nevada appena fuori Las Vegas. Vorrei fare un piccolo chiarimento sui parchi statunitensi, ne esistono 3 tipi principali, gli statali come questo che sono estremamente a buon mercato (in questo caso si pagano 10 dollari e puoi entrare con la macchina e gli occupanti fino a 6 e starci 1 giorno). Ci sono poi i nazionali (si paga a macchina e vanno dai 20 ai 30 dollari per 3 giorni di ingresso. Esiste la tessera parchi, che abbiamo fatto, con valenza annuale al costo di 80 dollari. Con questa si ha diritto a tutti gli ingressi che si vuole per 2 famiglie in tutti e 60 parchi nazionali sparsi negli USA, più innumerevoli musei. Ultima categoria di parchi sono quelli gestiti dagli Indiani, sono i più costosi e con scarse infrastrutture perché costruiti su terreni sacri nelle riserve. Le riserve indiane dovete immaginarle grandi come regioni e dove tutto è sacro.
Torniamo alla Valle del fuoco, stupenda! Una scoperta inaspettata, anche il solo avvicinamento per un europeo è da togliere il fiato, guidare su questa strada dritta come non credi possibile in mezzo al deserto è stato impagabile per me. Il paesaggio è roccioso, rocce rosse buttate lì in mezzo a spiazzi enormi, montagne levigate dal vento che assumono forme incredibili. Facciamo il primo di quelli che saranno tantissimi incontri con un animale selvatico, una capra di montagna che tranquillamente pascola tra i secchi cespugli. Qui la natura la fa da padrona, non c'è nulla se non una strada perfettamente asfaltata e i bagni ad ogni punto di sosta panoramica. Purtroppo il tempo stringe e possiamo ammirarla solo per qualche ora, dobbiamo spostarci a Page che dista 400km.



I limiti sono bassi, troppo bassi, ma qualcosa mi dice di rispettarli (la moglie) e per fortuna… C'è un cartello che indica attraversamento cervi per le prossime 5 miglia, bene sto attento e continuo a guidare, le miglia scorrono e la notte è buia. Grazie alla prontezza della consorte riesco a inchiodare per evitare un branco di cervi che sta pascolando sull'asfalto. Allora primo, siamo in mezzo ad un deserto enorme, perché diavolo siete qua sulla strada nel mezzo della notte? Secondo, se l'erba fresca non cresce tra i sassi e la sabbia dubito che cresca sull'asfalto. Terzo ma non dovevate attraversare 50 miglia più indietro? Scherzi a parte questa è stata un'importante lezione che ci sarà utile parecchie volte. Quindi se volete attraversare gli States state molto attenti oppure noleggiate un pick up con il para bufali.
Il giorno successivo inizia finalmente il nostro tour the force nella natura, in mattinata ci aspettano gli Antelope Canyons. I due canyons sono gestiti da Indiani, il che vuol dire che è possibile visitarli solo con tour guidato e dopo aver pagato il salato biglietto, 8$ a testa perché siamo su terreno indiano più 40$ per persona per l'Upper e 20$ per il Lower. Entrambi i canyons sono stati scavati dalla forza dell'acqua, fa una certa impressione pensare che l'acqua abbia eroso la roccia nel deserto e che continua a farlo oggi. Non ci sono fiumi all'interno, ma è la forza delle alluvioni che sono improvvise. Infatti in caso di nuvole temporalesche all'orizzonte i tour vengono immediatamente fermati. Per raggiungere l'Upper è necessario salire a bordo di pickup preparati per fuoristrada e percorrere un 10-15 minuti di strada sterrata. Raggiunti alla “porta” del canyon le bocche non possono che aprirsi per lo stupore. Siamo di fronte ad una piccola montagna di pietra, spaccata in due, l'apertura è larga qualche metro e percorrendo il sentiero interno le pareti di pietra danzano attorno a noi, la larghezza varia da alcuni metri a poco più di uno con un continuo alternarsi di camere e corridoi. La nuda pietra è stupenda, striata di tutte le sfumature di arancione che possiate immaginare. Liscia ed ondulata da sembrare morbida. La guida introduce le varie formazioni rocciose dicendone il nome, la donna con il velo, l'occhio del drago, l'orso, il capo indiano, l'orso ancora, un altro orso. Ad un certo punto la simpatica indiana vedeva orsi da tutte le parti.


L'atmosfera è surreale, camminiamo in silenzio in un posto che merita rispetto, ma che purtroppo viene violentato su vari fronti. Gli idioti che hanno inciso i propri nomi sulla pietra non si contano e ci rimango male quando la guida comincia a dire che un punto è stato usato per una pubblicità di uno shampoo ed un altro per un video di Britney Spears. Pensavo essere terreno santo, ma evidentemente il Dio denaro è presente anche nella cultura indiana.
Le condizioni per fotografare sono tremende, la luce è scarsa, ma il cielo che si intravede sopra le nostre teste è estremamente luminoso. C'è poco da dire è semplicemente meraviglioso.

Tornati alla base, prendiamo la macchina e ci dirigiamo al Lower che dista un paio di kilometri. Per raggiungere l'ingresso c'è una camminata di 20 minuti durante i quali la guida ci illustra le regole da seguire per visionarlo in sicurezza. Questo secondo canyon è completamente diverso e decisamente più pericoloso, il percorso non è pianeggiante ma un continuo sali e scendi da fare con strette e ripide scale di metallo. Niente di assurdo, ma comunque bisogna prestare attenzione. Mentre attendiamo che il gruppo di fronte a noi vada avanti un pochino, Kiko (la guida) ci dice di essere il nipote della donna che ha “scoperto” questo canyon. Esistono altri 9 canyons come questo, ma non sono visitabili perché le tribù a cui ne appartengono i diritti non sono interessate a vederci turisti all'interno.


Anche questo canyon è stato scavato dall'acqua, ma per la conformazione a scalini che ha, quando arriva un'alluvione, si allaga e resta allagato. Per renderlo nuovamente agibile va svuotato dall'acqua e riempito nuovamente di sabbia. L'operazione va fatta a mano perché le pompe si intasano dopo pochi minuti pescando il fango dalle pozze. È un lavoro che viene fatto 1-3 all'anno e che impiega 60 uomini per giorni.
Cominciamo la discesa tra le rocce, nonostante sia più stretto del primo è molto più luminoso e a mio modesto parere anche più bello, non per via delle rocce che come forme e colori sono simili a quelle nell'Upper, ma perché questo salire e scendere, questo continuo appoggiarsi alla pietra lo rendono più “vivo”, ti senti come parte di esso.



Nel pomeriggio ci dedichiamo all'horseshoe bend, questo punto del grand canyon è particolarmente famoso e sicuramente lo avete già visto in qualche foto. Si trova nei pressi di Page in Arizona, pochi km dopo la diga di Glen, che forma il lake Powell.
Il punto è facilmente raggiungibile, lasciata l'auto al parcheggio basta camminare un 20 minuti ed eccola li in tutta la sua bellezza, questa curva scavata nella pietra nel corso dei milioni di anni. Ti fa mancare il fiato, rispetto al grand canyon “vero e proprio” questa prima parte dà maggiormente la sensazione di “canyon”, è profonda “solo” 300 metri e l'altra sponda è a circa 500 metri. Le pareti sono ripide, di una tonalità che varia dal rosso al giallo passando per tutte le sfumature di arancione che potete immaginare. Aspettiamo un paio d'ore il calar del sole per fare qualche scatto al tramonto. Per la prima volta in vita mia mi rendo conto della pericolosità del deserto, la temperatura è decisamente mite per essere inizio novembre, intorno ai 25 gradi, ma non appena il sole scompare, crolla. All'improvviso il cocente paesaggio di mezz'ora prima diviene, gelido e buio.



Il 5° giorno si parte per quello che per me è sempre stato un sogno, fin da bambino, la Monument Valley. Si trova tra Arizona e Utah, in territorio indiano Navajo. Siamo riusciti a trovare posto in un albergo molto vicino il che ci permetterà di vederla, nell'arco di un giorno e mezzo, all'alba, di giorno, due volte al tramonto e di notte.


L'ingresso costa 20 dollari ed è utilizzabile per due giorni consecutivi, ovviamente il panorama con i tre “monumenti” resi famosi dal cinema la fa da padrona, sono immensi, molto più grandi di quanto potessi aspettarmi, basti pensare che per fare il percorso a piedi attorno al primo ci vogliono più di due ore. Camminata bellissima, abbiamo incontrato forse 10 e per la maggior parte del tempo non si vedeva nessuno, solo silenzio e natura. Vogliamo però vedere quanto più possibile e allora entriamo in macchina sulla strada panoramica sterrata che si insinua nel deserto; questo sentiero permette di vedere anche altri 15 monoliti meno famosi. Ricordate quando ho detto che avevamo riconsegnato l'auto con la sabbia ovunque? Ecco è qui che l'abbiamo raccolta, la strada è praticabile senza troppi problemi con una comune fuoristrada, ok anche per auto normali, per una coupé invece è un'altra storia, ma all'urlo di “tanto abbiamo la kasko” ci mettiamo alla guida ugualmente. Siamo stati fortunati con il meteo, anche solo una pioggerellina l'avrebbe resa del tutto impraticabile.
Se la Monument Valley è bella di giorno, di notte è magica, non c'era nessuno, ero l'unico a fotografarla sotto le stelle, purtroppo la luna non ha aiutato, non era piena, ma comunque luminosa abbastanza da nascondere un po' di stelle. Complice la mia incapacità in paesaggistica notturna ed il freddo, questo è il massimo che sono riuscito ad ottenere. Però se vi capita l'occasione di andarci, fidatevi, andateci anche di notte.



Dopo essersi gustati una calda alba, percorriamo la route 163, panoramica asfaltata che porta al Gump spot. Cosa è? Avete presente Forrest Gump quando corre, corre, corre e ad un certo punto si ferma? Ecco quello. Ovviamente il punto è stato scelto perché offre una bellissima panoramica sulla valley.



Purtroppo è già tempo di muoversi, ci aspettano 400 km per raggiungere il Grand Canyon Village, ed eccitati, ma un po' tristi, lasciamo questo gigantesco set cinematografico per dirigerci a sud/ovest.
Riusciamo ad arrivare giusto in tempo per goderci il tramonto dallo spettacolare punto Desert View, la vista è incredibile, non ci sono parole adeguate per descriverlo o per lo meno non sono in grado di trovarle. Il Grand Canyon è davvero grande, molto di più di quello che potevo immaginarmi, stiamo parlando di una profondità di un miglio (1.6 km) e una larghezza di circa 10. Al nostro arrivo abbiamo scoperto che la maggior parte dei turisti, provenendo da Las Vegas, si fermano al Grand Canyon West (che visiteremo), mentre salta questa parte centrale che è decisamente più monumentale. All'entrata del parco ci sono dei gabbiotti di legno con i rangers che controllano i biglietti e danno tutte le indicazioni che volete. La cosa che più ci ha stupito dei parchi nazionali è che sono estremamente ben gestiti, tutto è ordinatissimo, pulito ed organizzato. In questo vi sono 3 linee bus gratuite che fanno la spola tra i vari punti di interesse in maniera continuativa; i rengers organizzano lezioni e brevi uscite per adulti e bambini spiegando dalle formazioni rocciose, agli animali, alla storia del parco; ogni 500 metri ci sono distributori d'acqua di sorgente ed il tutto è gratuito. Evidentemente l'intento del parco è quello della tutela e di informare il visitatore e non quello di spennarlo. Anche i negozi di souvenirs e bar sono più economici all'interno del parco di quanto non lo siano fuori.
Tempo di andare a dormire e prepararsi per il giorno successivo!



Una cosa che non tutti sanno: il Grand Canyon è in montagna! Stiamo parlando di quota 2200 metri (la sponda nord raggiunge i 2500 con 10 volte la quantità di pioggia e neve di quella sud), quindi a Novembre fa freddo… La nostra prima alba è gelida (-5), ma a dir poco spettacolare, sorprendente la quantità di gente che è presente a godersi questo spettaco.
Fatte le 150 foto necessarie ci incamminiamo lungo il canyon per una camminata che dura tutto il giorno, ci fermiamo ovviamente ogni 10 metri perché ad ogni ansa, ad ogni curva il canyon cambia completamente, cambiano i colori, a volte è più ripido, altre meno ed il panorama è in continua evoluzione. Ogni pasto che faremo nei prossimi due giorni e mezzo sarà fatto direttamente sul bordo del canyon, niente ristoranti, niente bar, siamo sulla terrazza più bella del mondo e intendiamo godercela ogni secondo che possiamo.



A fine giornata, rientrati in hotel, il contapassi del telefono dice che abbiamo percorso 25km, le mie gambe confermano, i piedi dicono forse anche 30.
Dopo cena mi viene la malsana idea, così dico alla moglie (l'idea l'avevo invece partorita mesi addietro): “che ne dici di andare a fare due foto di notte?”, lei poco convinta acconsente. Dovete immaginare che la “struttura” turistica dove c'è tutta la camminata è a mezzora di macchina dal paesino con gli alberghi, è quindi buio, silenzioso e deserto. Nessuno in vista, lasciamo la macchina al parcheggio e camminiamo un 10 minuti nel silenzio della notte, che non è silenzioso per niente, i rumori degli animali e il muoversi del vento tra gli alberi fanno un certo effetto. Purtroppo la luna è quasi piena, unica mia nemica insieme ai cieli completamente senza una nuvola che ci hanno accompagnati durante tutto il viaggio. Non riesco ad immortalare nulla di spettacolare in questa occasione, ma la sensazione di tutt'uno con la natura è entusiasmante.

Il secondo giorno di permanenza al canyon si svolge più o meno come il primo, camminiamo e cerchiamo di vedere quante più cose possibili, allontanandosi dal village centrale verso ovest, diventa ancora più bello, molta meno gente, il percorso è quasi tutto sterrato e gli animali estremamente confidenti. Cervi e Elk (un altro tipo di cervo) sono praticamente ovunque, questo è un parco e nessuno li tocca, l'unico predatore naturale che hanno è il puma, ma evita le zone battute dalle persone, quindi questi grossi erbivori se ne vivono in santa pace a contatto con gli umani. Ci infiliamo nel sentiero Bright Angel che conduce fino al fondo del canyon (in 9 ore), serve però un permesso per raggiungerlo in quanto il pernottamento a valle è d'obbligo. Non è una camminata da tutti, stiamo parlando di circa 1300 metri di dislivello in 9 ore, con una differenza di 15-20 gradi di temperatura, buio assoluto la notte e nessuna fonte d'acqua. Decidiamo di farne ovviamente solo un pezzetto e dopo poco più di un'ora di discesa ci rendiamo conto essere arrivati solo all'inizio della seconda striscia bianca di roccia dall'alto, la piattaforma del Coconino.
Chiacchierando con un ranger scopriamo esserci una miniera di uranio proprio lì dove siamo noi, la miniera è ormai chiusa da anni, ma ultimamente stanno pensando di riaprirla, ovviamente questo genererebbe un danno considerevole all'ecosistema del canyon; basti pensare che vi è assoluto divieto di lanciare monetine in quanto i condor le ingeriscono e alcuni sono morti per avvelenamento da nickel.
Per l'ultimo tramonto che abbiamo a disposizione scegliamo lo spettacolare Lipan Point.



Dopo aver gustato un'altra strepitosa alba vista canyon è tempo di trasferimento, 170 miglia ci separano da Kingman, ma più di 100 saranno sulla mitica Route 66!
Evitiamo l'autostrada I40 per appunto la storica 66, quando nel '56 hanno inaugurato la Interstate 40, la storica via di collegamento tra Chicago e Los Angeles ha subito un duro colpo, prima ancora che fosse mitizzata era stata tolta dalle cartine stradali. Ebbene si, era stata cancellata a favore della moderna e veloce autostrada. Cancellare una linea su una mappa è cosa semplice se non si considera l'impatto sulle centinaia di paesi che sono su quella linea. Oggi paesi come Seligman e Kingman vivono in un'atmosfera del tutto particolare, dovete immaginare la Route 66 come uno stile di vita piuttosto che una strada. Troviamo di tutto, un'America vera e finta allo stesso tempo, dalla paccottiglia più insulsa alle persone che vi hanno speso l'esistenza tra queste distese asciutte. Non nego che la tristezza è tanta, metà dei paesi sono abbandonati e si può facilmente immaginare lo splendore che li aveva illuminati mezzo secolo fa. Le persone sono fantastiche, magari hanno auto vecchie di venti anni e le case sono mediocri, ma ne sono orgogliosi, tutto è tenuto come se fosse un tesoro, ed i sorrisi sono sinceri e ampi.
Mangiamo un humburger, il migliore di sempre (e ho provato quelli di Gordon Ramsey), in questa tavola calda da film, dove la proprietaria ti rabbocca la tazza di caffè e ti tratta come un figlio.



Ripartiamo e non perdo l'occasione di lasciare un po' di gomma della Camaro sul nastro d'asfalto bollente; se ne vedono di tutti i colori, treni lunghi ben oltre il kilometro con i container a due piani, camion che trascinano due rimorchi, centinaia di cassette della posta in un punto per tutto il paese che dista qualche miglio dalla strada.



Alla sera incontro un uomo, Chinaman scoprirò più avanti, in una lavanderia a gettoni, mi fissa sotto il suo cappello da cowboy seguendomi con lo sguardo senza muoversi ma ruotando sulla sedia. Inquietante.
Per tutto il giorno successivo ho pensato a quell'uomo e ho deciso che dovevo avere una sua foto, così alla seconda sera entro nella lavanderia lasciando la moglie in macchina. Come metto un piede dentro, la donna con lui, mi dice che sono chiusi, io dico di non essere interessato a fare una lavatrice ma che vorrei fare qualche foto a loro. La signora dice subito di no allontanandosi e mi lascia solo con lui. Ecco sono morto penso io. Inizio a chiacchierare con lui. Un individuo strano, magnetico, che risponde a tutte le mie domande, ma a mono sillabi. Scopro dunque che si chiama Chinaman, il perché? “Bhè me lo sono tatuato sulla testa” dice lui, ok meglio non insistere. Ho scoperto dove ha fatto questi tatuaggi e cosa significano e me ne vado con qualche fotografia e sentendomi un fesso di aver avuto paura di un uomo che si è invece dimostrato dolcissimo.



Siamo in uno stato rosso, molto rosso (repubblicano), i cartelli pro Trump sono ovunque, nei vialetti delle case, sui cappellini, sui grossi pick ups e sulle vetrine dei negozi. Nessuno a paura di esprimere la propria veduta politica, la percentuale delle persone di colore crolla sotto l'1% in queste zone (sulla costa est parliamo del 20%), di latini e indiani manco l'ombra. Personalmente con noi sono stati tutti ospitali e non ci siamo mai sentiti in pericolo.



Il giorno seguente al nostro arrivo a Kingman, che è quello che si concluderà nella lavanderia, andiamo al Grand Canyon West. Quello dello skywalk per intenderci.
Qui si vede la differenza tra parco nazionale e trappola per turisti, non fraintendetemi bello è bello ci mancherebbe, ma parliamo di 150 dollari per due adulti (ci fai 2 anni di parchi nazionali allo stesso prezzo), ma non è il prezzo quello che stranisce, ma il differente approccio. C'è una città del far west ricostruita dove si può provare a lanciare il lazo e sparare a salve… ok ci facciamo una risata e ci spostiamo alla tappa successiva, quella del famoso ponte di vetro. Anche qui l'uomo ha violentato il paesaggio, contrariamente al parco dei giorni precedenti, il ponte altro non è che un mezzo cerchio di ferro con del vetro sopra. Vietatissimo fare foto “per pericolo rotture vetro”, ho provato ma niente da fare c'era il metal detector all'ingresso. La veduta è però spettacolare, insomma stai camminando a 600 metri sopra il fondo del canyon! Qui la voragine è molto più bassa e stretta, ma rimane comunque monumentale; decisamente “usata”, gli elicotteri si alternano a ritmi assurdi, parlo di uno ogni minuto. I turisti sono tanti e decisamente più da selfie e mocassini che da zaino in spalla. Rimane comunque un'esperienza interessante, ma se avrete la fortuna di andare a vedere il Grand Canyon, fidatevi di me, quello che volete vedere si chiama Grand Canyon Village ;-)



Siamo ormai giunti al giorno 11 ed è una giornata dedicata al trasferimento. Si va allo Yosemite, ragazzi qui stiamo parlando di una cosa come la Mecca per un musulmano, del Camp Nou per un calciatore e del circolo dello sport per un pensionato tutti messi assieme. Ci aspettano oltre 500 miglia di strada, ma non contenti di fare 9 ore in macchina decidiamo di fare una deviazione per la Death Valley.


Wow. Semplicemente wow, spettacolare la vista sul lago salato ed ancora meglio camminarci sopra, una stranissima sensazione perché il sale è bagnato. C'è anche un piccolissimo stagno che sta scomparendo, dicono i cartelli, perché i turisti ci lanciano i sassi dentro.
Siamo a circa 88 metri sotto il livello del mare e a metà novembre ci sono 35 gradi, l'aria è pesante, il cielo di un blu intenso che contrasta con il bianco del sale. Le montagne sono spoglie, qui vive la nuda roccia e qualche arbusto spelacchiato.


E le tarantole… Ne incontriamo una, o meglio la investiamo quasi, stava attraversando la strada ed era poco più piccola della riga di vernice centrale. Abbiamo anche la fortuna di vedere un coyote, insomma non è proprio così deserta questa valle della morte…



La strada per lo Yosemite è lunga e snervante, c'è il dubbio che il passo possa essere chiuso per la neve, il che vorrebbe dire allungare la strada di altre 200 miglia. La notte è buia e le miglia scorrono lentamente sotto le ruote della macchina. Riusciamo a passare il valico (che sarà chiuso dal giorno successivo) e siamo nel parco. Il che non vuol dire che siamo arrivati, ma che mancano 80 km. Siamo ora quota 3000 metri e si vedono solo i contorni delle rocce illuminati dalla luna. So che molti non mi crederanno, ma abbiamo visto un puma che stava attraversando la strada, abbiamo fatto in tempo solo ad illuminarlo coi fari per un secondo prima che sparisse nella boscaglia. Che emozione vedere un animale del genere nel suo ambiente. Purtroppo questo sarà l'unico che vedremo, mia moglie dice per fortuna, ma mi sarebbe piaciuto vederne un altro.

Il mattino dopo ci immergiamo nella meravigliosa natura del parco, percorriamo la strada a bocca aperta, pareti di granito si alzano per centinaia di metri verso il cielo e alberi enormi sembrano solo piccoli arbusti sulle loro sommità. Arrivati all'inizio della vallata siamo al cospetto di El Capitan, questo monolite si staglia per 900 metri sopra le nostre teste. Meta d'eccellenza per arrampicatori di tutto il mondo e per i fotografi paesaggisti che seguono le orma del maestro Adams. In lontananza si intravede il simbolo del parco, l'Half Dome, la sua caratteristica forma attrae lo sguardo e gli scalatori come una calamita il ferro. La prima volta che fu conquistato era il 1957 e ci vollero 5 giorni prima che Royal Robbins e la sua squadra riuscissero a sedersi sulla sua sommità. Parliamo di un ascesa che divenne leggenda così come Robbins, pensate cosa vuol dire stare 5 giorni aggrappati al granito, pernottando a centinaia di metri dal suolo su delle amache.
Ma lo Yosemite è anche il parco delle cascate, Bridalveil, Vernal, Ribbon e la mitica Yosemite Falls che con i suoi 739 metri è la più alta cascata del nord America.


Tutto è così grande che sembra per assurdo piccolo, non vi sono termini di paragone adeguati a rendere l'idea delle dimensioni.
Passiamo la giornata a visitando il parco con i nasi all'insù, camminando tra ruscelli e prati, incontrando cervi e turisti da tutto il mondo. Facciamo una capatina alla Ansel Adams' Gallery e ho l'occasione di osservare alcune sue stampe originali, pensando che un tempo quell'uomo è stato qui ed ha visto quello che sto vedendo io. Ha dimostrato con la sua lunghissima carriera che si può spendere una vita in un posto a fotografarlo senza scoprirlo del tutto. Pensate che la vallata del parco (dove i visitatori sono più presenti) è circa 20km quadrati, mentre il parco ha una superficie di oltre 3000.


Per il tramonto abbiamo scelto di recarci a Tunnel View, avete presente la foto dello Yosemite per eccellenza? Ecco proprio lì. Penso che descrivere una vista del genere sia inutile, vorrei riuscire a farvi vivere le emozioni che ho sentito io, non vi nego avevo le lacrime agli occhi per la felicità di essere di fronte alla vera bellezza, di essere dove uno dei miei idoli ha fatto la storia della Fotografia. Di vivere.



Il giorno successivo ci svegliamo e un leggero strato di neve ha coperto alcune zone del parco, abbiamo in programma di andare al Toulumne Grove a vedere le sequoie giganti, è presto e la strada è ghiacciata, ci mettiamo oltre un ora a coprire le 20 miglia che ci separano da quelli enormi alberi rossi. La strada innevata ha però tenuto lontana la gente e ci ritroviamo soli a camminare tra queste immense creature.
Purtroppo il loro numero è stato decimato per un motivo, i fiammiferi. Il loro legno è troppo debole per la costruzione e non scalda abbastanza se bruciato, quindi si pensò di tagliare alberi alti 100 metri per farci dei volgari fiammiferi. Immaginate la fatica di trasportare a valle un tronco di circa 1000 metri cubi di volume. Ma la stupidità umana come ben sappiamo va oltre la logica purtroppo.


Passiamo così un paio di ore nel silenzio più totale in mezzo a queste meraviglie spolverate di neve, la luce che filtra tra i rami è calda, il terreno sotto di noi è morbido.


Tocco i tronchi di alberi che hanno visto centinaia di migliaia di albe e tramonti, che hanno sentito fischiare migliaia di tempeste e tuoni, la corteccia è rugosa e rossa, colpisce che nonostante la loro maestosità siano così delicati. Cadono naturalmente sotto il loro stesso peso per un apparato radicale non adeguato, bruciano con facilità e sono estremamente sensibili a infezioni fungine e batteriche.
Purtroppo è tempo di salutare le sequoie ed il parco per dirigerci verso l'ultima tappa del viaggio, San Francisco.

Abbiamo speso solo due giorni allo Yosemite e questo è il nostro unico rimpianto, avremmo voluto avere l'opportunità di passarci più tempo, ma questa è un'idea per un prossimo viaggio.
Per raggiungere la città si attraversano le bellissime colline della California coltivate a viti e frutta che mi piace pensare essere prugne (le famose prugne secche della Californa), dopo essere ritornati alla realtà cittadina con il suo traffico, lasciamo la macchina al deposito e andiamo in albergo dove passeremo le ultime 3 notti della nostra avventura americana.
Il giorno successivo ci buttiamo subito in Chinatown, dovete immaginare che a San Francisco vive la più grande comunità asiatica del mondo (fuori dai confini asiatici ovviamente). Sembra di essere in un altro mondo, la gente nei negozi parla a stento l'inglese e siamo tra i pochissimi occidentali sulla strada. Cartelli e insegne sono tutte e solo in ideogrammi, per la colazione scegliamo un piccolo barettino e ordiniamo a caso indicando sulla vetrina. Non abbiamo idea di cosa abbiamo mangiato, alcune cose erano buone, altre direi diverse, non cattive, semplicemente gusti a cui non siamo abituati e che sembrano cozzare l'un con l'altro. Il quartiere è coloratissimo, le anatre arrostite sembrano fare le veci delle decorazioni natalizie nelle vetrine dei negozi, ci sono frutti che non ho mai visto e sembra che l'ispettore alla sanità non sappia nemmeno dove sia Chinatown. Avete mai visto airport security? Quel programma sulla frontiera australiana dove beccano sempre persone orientali che cercano di nascondere in valigia strane cose secche da mangiare? Ecco qui ci sono interi negozi di quelle delizie, dal pesce all'alga, dalla carne ai funghi, dal non ho idea cosa al “non pensavo si potessero essiccare i granchi”. Insomma un altro mondo, o semplicemente una parte di mondo lontana e diversa che sembra aliena.



Tappa di rito è Lombard Street, la via cittadina più ripida del mondo, che dire? È davvero ripida!
La giornata scorre velocemente mentre visitiamo il Fisherman's Wharf con il suo famoso Pier 39, il molo-centro commerciale, e i suoi leoni marini. Questi mammiferi affollano il posto perché a seguito di un terremoto, una trentina di loro, si sono avventurati su questo molo e non lo hanno più lasciato, oggi sono oltre 1500.



Il tramonto sta per fiorire e non ci aspetta che imbarcarci per Alcatraz, mesi prima avevamo prenotato la visita in notturna. Per visitare il carcere bisogna prenotare con ampio preavviso, non sperate di andare all'imbarcadero e trovare posto. La visita inizia con il giro in barca dell'isola che offre la vista di San Francisco con il Golden Gate e appunto Alcatraz al tramonto, sbarchiamo e osserviamo l'enigmatica scritta “Indians welcome”. Questo graffito è il simbolo di un'occupazione dell'isola da parte di nativi americani che durò 19 mesi a cavallo tra gli anni '60 e '70 che rivendicavano la “proprietà” del suolo americano. Entriamo finalmente nell'edifico e, proprio come i condannati che hanno “soggiornato” qui, ci troviamo nella stanza delle docce. I visitatori possono andare in giro liberamente per i locali del carcere guidati dalle audio guide che nella versione inglese sono state fatte da ex carcerati ed ex secondini; ovviamente le emozioni che trapelano dalle loro voci rendono l'esperienza ancor più surreale. La gita è piacevole e ovviamente indugia sulle celle e la storia di Frank Morris e dei fratelli Anglin che l'11 giugno 1962 fecero la loro spettacolare evasione segnando la fine di questa fortezza.


Entrando ed uscendo dalle celle si può solo immaginare cosa provassero i criminali che un tempo la abitavano quando, guardando dalle finestre, vedevano la bellissima San Francisco illuminata a festa e sentivano la musica e le risate provenire dal vicino yatch club. Tutto ciò serviva, a detta delle guardie, a ricordare che la vita del mondo andava avanti senza di loro. La chicca della visita è però l'angosciante rumore delle celle che si chiudono. Tutto il gruppo in silenzio viene invitato a chiudere gli occhi e bam, un suono agghiacciante riecheggia nel carcere vuoto. Da pelle d'oca, ma indubbiamente un conforto per gli incarcerati in quanto, il chiudersi della porta, voleva dire sicurezza per le successive 16 ore. Il problema era quando si apriva costringendo tutti a indossare la propria maschera di duri, nascondere le paure e le lacrime per cercare di sopravvivere nell'attesa di tornare in cella.



La sera offre, purtroppo, sgradite sorprese. San Francisco è una città dal clima estremamente mite, il che attira il vagabondaggio con tutte le problematiche connesse. Droga e senzatetto sono ovunque e grazie alla legalizzazione della marjuana, vi è un acre odore di spinello in tutta la città. I mendicanti sono “aggressivi” nel senso che ti seguono e continuano a chiederti i soldi, insomma non è il massimo. Decidiamo quindi di andare a Castro, uno dei primi quartieri gay in USA che ancor oggi è uno dei centri mondiali dell'attivismo LGBT. Qui tutto è ordinato, colorato e luminoso, si vede essere un quartiere estremamente benestante e tollerante. Pochi turisti vengono qua e chiunque intorno a noi è omosessuale, ma a nessuno importa che noi non lo siamo. Partiamo dal presupposto che vivo in Irlanda, primo paese al mondo a votare per avere l'eguaglianza a livello di matrimoni, e che sono di vedute molto liberali al riguardo, ma mi trovo comunque a sgranare gli occhi a poter assistere a così tanta integrazione.

L'ultimo giorno del viaggio inizia (e continuerà) bagnato, una forte pioggia ha trasformato i marciapiedi in pozze e rotto le nostre uova nel paniere. Proviamo lo stesso a visitare il Golden Gate Park, ma senza grossi risultati, riusciamo solo a vedere il Japanese Garden e il conservatorio dei fiori. Non ci rimane che andare all'ultima tappa, l'iconico ponte, il Golden Gate Bridge che, con i suoi 2.7km, è il ponte sospeso a campata unica più grande al mondo. Il clima è avverso, nascondo la macchina fotografica nella giacca per proteggerla, ma è più un'idea visto che sono fradicio anche io. Scatto qualche foto con la macchina che implora pietà gocciolando tra le mie mani. Sono contento però perché con questa nebbia e pioggia, il tutto assume un'aria più affascinante. Non il ho coraggio di lamentarmi alla fine in 15 giorni questa è la prima pioggia che vediamo.



È tempo di tornare in albergo e scegliamo il mezzo più tipico che si possa immaginare, lo storico tram. Oggi è solo un'attrazione per turisti in quanto ci vogliono un paio d'ore d'attesa per salirci, ma ne vale la pena, la vista è spettacolare e la possibilità di sporgersi sulla strada mentre il mezzo si muove ti fa sentire in un film.
Il giorno successivo è semplicemente passato in aereo, purtroppo siamo già arrivati alla fine.
Concluderei dicendo che il viaggio è stato ovviamente fenomenale, stancante e probabilmente non adatto a tutti. Non è chiaramente un'esperienza economica, ma è appunto un'esperienza come un vero viaggio credo debba essere. Come dicevo mi rendo conto non essere alla portata di tutti, ma vi assicuro che è possibile con stipendi medi, bisogna organizzarselo da soli come abbiamo fatto noi e saper un minimo di inglese, ma del tutto fattibile. Se qualcuno fosse interessato a saperne di più mi contatti che sono a disposizione.
Ringrazio chiunque abbia avuto la pazienza di leggere fino in fondo, dandomi la possibilità di rivivere queste emozioni ancora una volta. Spero solo di avervi reso partecipi in qualche modo e di avervi fatto sognare un pochino questa terra fatta di panorami e persone incredibili.
Si dice che la qualità della vita è data dal numero di respiri, ma dai momenti che ti hanno tolto il fiato.

Qui trovate altre foto se avete il piacere di vederle
www.juzaphoto.com/me.php?pg=187678&l=it
www.juzaphoto.com/me.php?pg=188331&l=it
www.juzaphoto.com/me.php?pg=192188&l=it

Diamo qualche numero
Come attrezzatura ho deciso di viaggiare come uno sherpa quindi ho portato con me:
- Canon 1ds3 (90% degli scatti)
- Canon 40d (10%, usata come corpo di emergenza, ogni tanto in mano a mia moglie e allo Yosemite come secondo corpo per essere sempre pronto con un'altra ottica)

- 17-35 2.8 L (50% degli scatti)
- 50 1.4 Sigma (20%)
- 85 1.8 (15%)
- 200 2.8 L (15%)
- Extender (mai)
- Filtri nd
- Cavalletto in carbonio
Chiudiamo con un totale di circa 5000 scatti, stiamo parlando di oltre 100gb di file (Raw).
Lo zaino era pesante? Si decisamente, ma l'ho sofferto un paio di volte, alla fine quando avevo la macchina al collo si alleggeriva parecchio e tutto sommato era un peso accettabile. Bisogna però dire che tutto il resto (dai panini ai portafogli) li teneva la consorte nel suo di zaino.
Col senno di poi cosa non porterei? Sicuramente l'extender, probabilmente il 200, sarebbe stato più interessante portare il 24-70 f4 macro, ma si poteva anche fare a meno.
Come km fatti? 3400 circa, sembrano tanti alla fine la macchina l'abbiamo avuta per 11 giorni, ma prima di tutto guidare una Camaro tra quattro stati USA nel deserto fa parte della vacanza, poi con cruise control, cambio automatico e strade dritte come un filo a piombo non sono stati pesanti. Con il costo della benzina ridicolo, nonostante i 335 cv, abbiamo speso circa 200 dollari in carburante.
7 Hotels, le cifre variano da 50 dollari a notte nel sud dell'Ariziona ai 100 di San Francisco.
3 aerei, fortuna vuole che da Dublino c'è il diretto per San Francisco.

Un grazie ancora a tutti!








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avatarsenior
inviato il 05 Gennaio 2017 ore 14:16

Finalmente ho finito l'articolo!

avatarjunior
inviato il 05 Gennaio 2017 ore 14:36

Scusa una curiosità, ma siete partiti da Dublino per necessità o per sorvolare la Groenlandia?
Cmq bel racconto anche se lo finisco con cala piu tardi. Alcune foto veramente belle.
Grazie
Silvia

avatarsenior
inviato il 05 Gennaio 2017 ore 14:38

Da Dublino perché viviamo in Irlanda. Il racconto è lungo difficile leggerlo tutto d'un fiato ma abbiamo visto talmente tante cose!

avatarjunior
inviato il 05 Gennaio 2017 ore 14:39

Scusa ho letto ora che vivi a Dublino.

avatarsupporter
inviato il 05 Gennaio 2017 ore 16:43

Racconto molto dettagliato, bello, coinvolgente, l'ho letto tutto in un colpo.
Sai è un viaggio che mi piacerebbe fare e non solo io in questo forum.
Sapendo della bellezza di questa parte d'America, merita perdere giorni in città che anche se famose di natura non hanno nulla, a scapito di tralasciare luoghi di interesse naturalistico?
Poi domanda tecnica, come hai sopperito ai tuoi 5000 scatti solo con schede?
Ciao e grazie per averci regalato questo bel momento che almeno io ho condiviso con molto interesse.

avatarsenior
inviato il 05 Gennaio 2017 ore 16:50

Mi fa molto piacere Loris.
Ti dico la verità tornare indietro salterei san Francisco o lo farei in un giorno. Per las Vegas un giorno basta alla grande ma merita davvero, a los Angeles nemmeno ci abbiamo pensato Cool
Diciamo che potendo sarebbe bello farlo 100% nella natura ma una toccata alle città la rifarei.
Per gli scatti si solo schede mi sembra avevo 6 CF da 32 più un 3-4 SD da 32 per il back up dei JPEG. Mi pare comunque ne avevo tante. Più 2 batterie ma solo una volta mi è finita la prima durante la giornata e ho dovuto usare la seconda (la 1ds3 fa oltre 1000 scatti a carica)

user39791
avatar
inviato il 05 Gennaio 2017 ore 16:52

Ottimo, complimenti.


avatarsenior
inviato il 05 Gennaio 2017 ore 16:53

Grazie Filiberto un vero piacere ritrovati qui!

user39791
avatar
inviato il 05 Gennaio 2017 ore 16:56

Prego!

Di sequoie giganti potevate vederne molte a Muir Woods visto che siete andati a San Francisco. Comunque complimenti ancora.

avatarsenior
inviato il 05 Gennaio 2017 ore 16:59

Oops non lo sapevo! Purtroppo uno dei posti allo Yosemite era chiuso per lavori e il sequoia national park era impossibile come tempistica. Ci siamo dovuti "accontentare" hehe

user39791
avatar
inviato il 05 Gennaio 2017 ore 17:00

;-)

avatarjunior
inviato il 05 Gennaio 2017 ore 17:04

molto bello, complimenti.

avatarsenior
inviato il 05 Gennaio 2017 ore 17:08

Grazie ancora Danilo

avatarjunior
inviato il 05 Gennaio 2017 ore 17:11

Che spettacolo di viaggio!

avatarsenior
inviato il 05 Gennaio 2017 ore 17:13

Si sono stato fortunatissimo a poterlo fare





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