| inviato il 20 Giugno 2016 ore 22:31
Solitamente si acquista la prima fotocamera per realizzare il desiderio di poter fissare quello che la nostra percezione emozionale ci fa considerare “da ricordare” e, in minor misura, ciò che la percezione visiva classifica come “bello”. Così ci si scatena con i ritratti alla fidanzata, le foto ai figli, ai luoghi delle vacanze etc.. Se i nostri interessi fotografici si fermano a questo, nessun problema. Anzi, spesso le nostre foto più importanti, quelle che riguarderemo per tutta la vita e conserveremo con maggior cura, non saranno quelle che hanno riscosso 1000 likes sul web o vinto il tal concorso, ma quelle che ci permetteranno di rivivere i momenti più significativi della vita nostra e quella dei nostri famigliari e amici. Negli ultimi anni, poi, l'acquisto della macchina fotografica non è più indispensabile visto che ciascun di noi è in possesso di uno smartphone che, anche nei modelli più economici, non rinuncia alla dotazione di una fotocamera incorporata. E' stata una rivoluzione che, per la prima volta nella storia, ha consentito a tutti, anche a gente senza alcun specifico interesse per l'immagine e quasi sempre senza alcuna consapevolezza, l'utilizzo della fotografia come immediato, diffusissimo, veloce ed efficace linguaggio di comunicazione. Essere attori in un dialogo per immagini è ormai pratica comune. E' un aspetto che ritengo interessantissimo: si comunica indifferentemente con immagini e parole scegliendo solo in funzione della maggior efficacia e rapidità. Non mi interessa, in questa sede, indagare gli aspetti sociologici e di costume che sottendono alla spinta di voler condividere sui social, in modo spesso compulsivo, la propria giornata, ritengo però pertinente con quanto andrò a scrivere più avanti tener ben presente che oggi la fotografia “senza pretese” non è più solo una fabbrica di ricordi personali ma anche un mezzo che sta imponendo una sua, universalmente comprensibile, grammatica comunicativa. Ma cosa accadrà a quei potenziali fotoamatori che, dopo aver scattato per mero ricordo e condiviso la propria vita sui social, sentissero il desiderio di utilizzare con maggior continuità ed impegno la loro costosa attrezzatura? Spesso, senza rendersene conto, credendo di andare avanti rischiano - ahimè - un passo indietro: prima scattavano a fidanzata, moglie e figli. Prevaleva l'aspetto “concettuale” su quello strettamente estetico. Il pensiero faceva vedere loro come preziosa ed emozionante la foto della nonna che non c'è più anche se non era poi così a fuoco e lo sfondo….e chi l'ha visto lo sfondo? Per inciso - provare per credere - quasi mai si ricorda distintamente lo sfondo in immagini legate agli affetti più cari. Ma ora hanno letto un paio di manuali di fotografia, sanno tutto sulle linee per millimetro e sui forum sono in grado di discutere di tecnica con tutti. Resta un solo problema: cosa e come fotografare? Molti, come dicevo, fanno, a mio giudizio, un inconsapevole passo indietro e partono alla ricerca del bello: il tramonto mozzafiato, il paesaggio pittoresco con l'intento di registrare e mostrare agli altri tanta bellezza. Vivono, con frustrazione, l'invidia verso coloro che hanno tempo e mezzi per recarsi nei luoghi più sperduti del mondo. Medesima invidia per l'amico che può permettersi la famosa modella per ritratti e nudo e così via. Quando non si cerca il bello, allora si cerca lo strano, il curioso o, magari, le miserie umane che sono così fotogeniche…. Qualche volta si confonde il fine con il mezzo e si pretende di dare valore a scatti mediocri solo perché il realizzarli è costato fatica e sacrifici ("ho camminato per 5 ore in salita al freddo…"). L'approccio è sempre quello di “prelevare” dalla realtà gli aspetti più belli fotograficamente. L'interpretazione personale si ridurrà ad un ulteriore ricerca di abbellimento da perseguire con le tecniche di PP. È fotografia "percettiva". I nostri fotoamatori, se appena appena bravini tecnicamente, riscuoteranno molto successo nel web (e non solo) e diventeranno molto popolari. Vi interessa tutto questo? Potete benissimo seguire questa strada, abbandonare la lettura e vivere felici. Non do giudizi e a me non cambia nulla. Se invece avete qualche dubbio e cominciate a pensare che quella fotografia finirà per starvi stretta, non vi diverte, non vi stupisce più e tutti i preziosismi tecnici vi hanno stancato, allora siete ad un passo dalla svolta. Svolta che vi riporta agli inizi. Scattavate per voi stessi, postavate su Facebook, senza grosse preoccupazioni estetiche, ed utilizzavate la fotografia alla stregua di un vero e proprio linguaggio. Le vostre immagini non erano raffinate ma volevano dire qualcosa, comunicavano. Fosse anche solo che quella sera stavate bene e vi divertivate in compagnia dei vostri amici. Si tratta di ripartire da lì, cercando di comunicare, ad un livello naturalmente più alto e riconoscibile, in una condivisione che ha scopi diversi dalle mere dinamiche social. Le vostre uscite fotografiche non punteranno più solo al momento eccezionale, all'attimo sfuggente, al contesto "wow" da registrare sul sensore ma piuttosto alla ricerca, immersi nel mondo, di andare oltre il rappresentato e tradurre in immagini la vostra autenticità e pensiero. Non vi sentirete più "cacciatori" ma "costruttori" di immagini. Vi accorgerete che è molto più difficile ma estremamente più appagante. Cartier Bresson diceva che tutti siamo dei geni, il problema è trovare la capacità di farlo capire e dimostrarlo a noi stessi ed agli altri. Ma perché, mi/vi chiedo, non tentare? |
| inviato il 20 Giugno 2016 ore 22:56
Molto interessante. Per quanto mi riguarda le fasi si alternano e quella del bello mi riporta spesso allo scatto di una volta solo che, arricchito della nuova esperienza, si eleva. E così via, un'alternanza di estetica fine a se stessa, quasi un test da giocarsi poi nei momenti sentiti. Tecniche diverse al servizio degli scatti di un tempo. Almeno per me che no ho ancora concluso l'apprendistato. |
| inviato il 20 Giugno 2016 ore 23:03
Perché è noioso? Checché ne pensasse Cartier Bresson (del quale non ho colpevolmente mai letto prima una simile citazione) i geni sono estremamente rari. |
| inviato il 20 Giugno 2016 ore 23:05
Io sintetizzerei così: "per me, guai a rinunicare alla foto sghimbescia fatta con il cellulare" questa è vita vissuta, il resto è piacevole passatempo o ricerca estetica. Ed ovviamente i due filoni possono andare di pari passo oppure può esisterne solo uno". ciao S. |
| inviato il 20 Giugno 2016 ore 23:47
Ci ho pensato innumerevoli volte anch'io Jeronim. Ho riflettuto. Pensa che sono uscito da Facebook anche per la noia mortale dei selfie, tramonti e monumenti /viaggi/panorami. Mi trovi assolutamente d'accordo. Talvolta, per assurdo, le foto che mi hanno maggiormente soddisfatto sono state scattate dietro casa! Condivido quasi in toto il tuo pensiero! Permettimi un però. Ho abbandonato la fotografia quando non ho più avuto il tempo di stampare in bw. La fotografia digitale mi nauseava, non sopporto le reflex ed il fatto di dover per forza comprare il kit "valigione" da 2 kg e per forza le ottiche della stessa marca. Poi ho scoperto le mirrorless, che con semplici anelli adattatori potevo usare tutte le ottiche della storia, mi piaceva il concetto di resuscitare un pezzo di storia, e mi sono innamorato di questo concetto. E sono tornato a fotografare, con pochissimo peso e ingombri. Scusa la divagazione tecnica! Per quanto riguarda il tuo concetto, anch'io divido le immagini in due: quelle che raccontano, o quelle che descrivono. Le prime lasciano spazio per pensare, possono essere interpretate, le seconde finiscono dopo averle guardate, magari anche ammirate eh?! Ma finiscono ecco. Talvolta certi scatti mi tornano in mente senza guardarli sul sito, ma, ad esempio, non è mai un tramonto o un paesaggio, anche urbano. Talvolta riflettendo sui miei scatti, credo che non li appenderei in casa mia, non solo perché fanno schifo (anche se qualcuna mi piace), ma credo che mi opprimerebbero... magari però, appenderei un tramonto o un paesaggio. Lo so, in antitesi col mio pensiero.... non so spiegarmi il perché. Magari tu puoi aiutarmi... |
| inviato il 21 Giugno 2016 ore 0:14
In parte perlomeno, quello di cui parli è la spinta all'omologazione. La ridefinizione di bello in funzione di canoni che in certi ambiti sono condivisi, e che diventano inconsciamente condizionanti. Non solo in una direzione, ma in una delle "varie" direzioni, differenti, ma comunque conformanti. Conosci bene il mio pensiero rispetto a molti totem di questa epoca, vedi il "progetto". E sai come penso che cose tipo il bokeh magico non siano il bello, ma che semplicemente si sia convenzionalmente deciso che lo rappresentano. E sai anche che secondo me il problema non sono affatto i social, anzi: molto spesso ho la sensazione che si produca più conformismo concettuale nei circoli reali che in quelli virtuali. Solo, ci si può sentire un tantino più nobili. La ricerca di se stessi, anche in fotografia, è quindi ancora una volta la più difficile. Ma una volta che ci si pongano gli interrogativi che tu porti a luce qui, allora comincia probabilmente la sfida che più di tutte vale la pena di compiere. Chissà. Ti abbraccio F |
| inviato il 21 Giugno 2016 ore 0:15
Ho letto con estremo interesse le tue parole, Jeronim. Estremo interesse perché mi ritrovo in quello che tu racconti, mi ritrovo a cercare di dare un significato alle scene che vedo. Potrei tentare di sintetizzare così: è davvero importante tentare di registrare un istante della realtà? Non sarebbe invece più opportuno fermarsi a riflettere sull'importanza di quel momento? Se davvero per noi è significativo, ce lo ricorderemo senza bisogno di una foto. Se non lo è, non avremo perso nulla. Quella foto non sarebbe mai stata riguardata, sarebbe finita ad occupare qualche decina di MB su un hard disk sulla scrivania. E se volessi scattare per non dimenticare i dettagli della scena? Beh, come tu dicevi, nessuno ricorda lo sfondo di un ritratto di famiglia perché è un dettaglio irrilevante. Essere costruttori di immagini significa trasformare un mondo in 3 dimensioni in uno che ne ha molte di più; devo essere in grado di registrare e riuscire a trasmettere almeno alcune emozioni che ho provato, oltre alle 3 standard. Una fotografia percettiva, al contrario, riduce il numero di dimensioni da 3 a 2. Si tratta nel primo caso di aggiungere informazioni, nel secondo di toglierle. Giacomo |
| inviato il 21 Giugno 2016 ore 0:18
Io penso che i percorsi o fasi evolutive del proprio modo di fotografare e comunicare ,che tu hai individuato nella tua analisi ,non siano così facilmente scindibili nell'operato di ognuno di noi. Penso invece che coesistano e si alternino, così come ciò che si decide di mostrare in un sito come questo non sia la totalità di ciò che fotografiamo. Per quanto mi riguarda riporto due righe che avevo già scritto in un'altro post : Cammino per i sentieri della mia vita , non importa se lungo il fiume , in una città , in mezzo alla campagna , navigando la laguna o ammirando opere architettoniche realizzate dall'ingegno dell'uomo. Di tanto in tanto qualcosa di ciò che vedo rompe l'indifferenza , cattura la mia attenzione , suscita un'emozione e…. mi attrae. Come un bambino con un gioco nuovo ,il mio istinto è quello di afferrarlo , lo voglio ! Scatta il click ! Il gioco e la sfida di racchiudere la bellezza che mi ha attratto in un fotogramma . Per poterci giocare di nuovo , per riviverla e per condividerla. Talvolta la magia riesce e la fotografia rende onore e valorizza ciò che rappresenta , con mia grande soddisfazione . Quando questo non accade , non è mai colpa della macchina né del tramonto e nemmeno della luce. La bellezza era lì ma non è entrata nel mio scatto ,perchè non le ho lasciato il giusto spazio ! Invece di vedere , ho iniziato a proiettare ! invece di rimanere sintonizzato sulla scena che mi ha colpito ,ho lasciato spazio all'aspettativa. La mente gioca brutti scherzi e fotografare è un bell'esercizio. Osservare senza distorcere , cogliere dettagli e sfumature , cogliere sempre l'attimo non è per niente facile ,richiede presenza. E' un bel percorso di crescita ,per imparare a guardare al mondo e a se stessi in modo più consapevole , più profondo e più raffinato. Una fotografia dice molto di chi la scatta ,ancor più che del soggetto rappresentato. Lo dice a noi stessi e lo dice agli altri , è un bel gioco e anche un bel modo di esprimersi dal momento in cui si decide di condividerle. Detto questo penso che dedicarsi consapevolmente e strenuamente anche "solo" alla ricerca del bello ,all'affinamento continuo della tecnica ,per rappresentare sempre meglio ciò che passa davanti ai nostri occhi ,valga comunque l'onore delle armi indipendentemente da "like" o notorietà. L'estrema raffinatezza della composizione e la tecnica sopraffina di un paesaggista bravo ,mi parlano ,ancor prima che del paesaggio, della persona stessa che l'ha eseguito , della sua meticolosità ,della sua sensibilità e del suo percorso di ricerca della perfezione , e questa è Comunicazione e va oltre il rappresentato e traduce in immagini la nostra autenticità e pensiero....per usare le tue parole. Ora , esistono davvero persone che fanno tutto questo spinte solo dal desiderio di stupire o ricevere una manciata di "like". Io credo di no , esiste anche questo aspetto e certamente influenzerà maggiormente coloro che vivono una vita avara di gratificazione in altri ambiti ,ma non può bastare. Tutti questi aspetti coesistono e stanno su un percorso che secondo me non ha "passi indietro" , anche se può avere battute d'arresto in acque stagnanti. Naturalmente apprezzo la tua volontà di stimolare riflessioni su questi temi . Un saluto Umberto |
| inviato il 21 Giugno 2016 ore 0:29
“ L'approccio è sempre quello di “prelevare” dalla realtà gli aspetti più belli fotograficamente. L'interpretazione personale si ridurrà ad un ulteriore ricerca di abbellimento da perseguire con le tecniche di PP. È fotografia "percettiva". I nostri fotoamatori, se appena appena bravini tecnicamente, riscuoteranno molto successo nel web (e non solo) e diventeranno molto popolari. „ Su questo ed altri punti sono d'accordo e aggiungo: il desiderio di consenso, la ricerca del premio e la notorietà sembrano essere, troppo spesso, il principale scopo di uno scatto... Infatti l'appellativo "fotoamatore" non sembra più adatto a definire tutti gli "amanti" della fotografia, ovvero coloro che hanno "passione" per lo scatto: molti fotografano non per amore della fotografia, ma per farsi amare come fotografi. Sembra "fotografia narcisistico-percettiva". Coloro che invece "amano" scattare immagini lo fanno per passione e basta. Alcuni scattano senza motivo, per divertirsi, per ricordare, per sentire il click dell'otturatore, girare la ghiera dei diaframmi, stampare per se, per provare e sperimentare o per semplice esercizio personale; altri scattano perchè trovano soddisfazione ed appagamento nella foto che sintetizza tante cose oltre la pura bellezza, esclusivamente per se stessi, secondo il proprio modo di vedere. Niente pubblicazione, perchè non si condivide un momento tanto personale... “ Cartier Bresson diceva che tutti siamo dei geni, il problema è trovare la capacità di farlo capire e dimostrarlo a noi stessi ed agli altri. „ Su questo non sono d'accordo: è facile per il genio fare il normale, ma è impossibile per il normale fare il genio. Se sei un genio non hai bisogno di dimostrarlo, nè di farlo capire. lo sei e basta. Un talento ne ha bisogno. “ Non vi sentirete più "cacciatori" ma "costruttori" di immagini. „ Dovremmo avere la capacità critica di domandarcelo e poi di capirlo... D'accordo anche con All. |
| inviato il 21 Giugno 2016 ore 11:43
Mi siedo volentieri a questo tavolino virtuale per scambiare opinioni su questo spunto offerto da Jeronim, e in questo senso mi partirei da questa frase di Francesco Merenda: “ La ricerca di se stessi, anche in fotografia, è quindi ancora una volta la più difficile. „ Io parto da qui. La fotografia offre vari spunti o meglio si può praticare con vari scopi. Io penso non sia tanto una questione di accontentarsi ma di essere consapevoli di cosa stiamo facendo. Detto ciò tutto è legittimo e non c'è un percorso più nobile di un altro. Io mi sono dato un limite, e cioè: "scatta solo foto alle quali riesci a legare te stesso" Foto nelle quali mi riconosco e nelle quali vedo sotto qualche forma me stesso. Ho anche deciso di escludere quale mezzo di condivisione i social, ho deciso che le foto le devo vedere stampate. Questo mi aiuta e mi serve a non scattare o a cestinare foto inutili, a non perdere tempo nella ricerca della bella foto fine a se stessa, che di fatto non mi comunica nulla. E quello che rimane devo dire mi piace, bello o butto ha un senso. Ognuno penso debba disegnare un proprio percorso, ciò che serve secondo me è onesta con se stessi, questo al fine di evitare di perdersi in nulla. Infine devo dire che scostandosi dai canoni del bello spesso si aprono altre finestre, che scoprono percorsi lunghi che richiedono inanzi tutto conoscenza e cultura di un mondo che non stiamo inventando noi ora ma che ha una sua storia. Aperta quella finestra ognuno può decidere cosa gli interessa fare... |
| inviato il 21 Giugno 2016 ore 15:25
Ho letto con attenzione l'acuta disamina di Jeronim. Tutto il ragionamento ruota intorno alla parola "bello, bellezza". Sarei curioso di sapere cosa intende Jeronim per "bello, bellezza" in fotografia visto che, a mio parere il termine bellezza, storicamente, è stato oggetto di varie interpretazioni, spesso contrastanti. |
| inviato il 21 Giugno 2016 ore 15:44
Se c'è una seggiola... mi siedo anche io... mi basta stare dietro... non credo che Jeronim fosse interessato al bello, non mi pare che il suo ragionamento ruoti intorno al bello assoluto, ma al modo in cui si usa la fotografia per comunicare... il modo in cui il linguaggio fotografico cerca di esprimere un significato...ed in questo lo sento molto vicino infatti è da un po' che rifletto sulla fotografia e sono sempre più convinto che questo linguaggio… non sia sempre usato in maniera corretta, a volte mi sento come sordo guardando alcune bellissime immagini ma che non mi trasmettono nulla tranne che un perfetto esercizio tecnico… fuoco perfetto, composizione perfetta, pp perfetta… ma non mi parlano… o forse non riesco ad ascoltarle… …il linguaggio fotografico secondo me è molto difficile da usare e naturalmente mi accorgo che anche le mie immagini sono mute… le guardo e non mi hanno lasciato un messaggio… e da qui parte anche la mia ricerca... non è facile però capire come poter usare questo mezzo per comunicare... per questo mi accomodo qui con voi per cercare di trarre degli spunti di riflessione da riportare poi nella mia fotografia... |
| inviato il 21 Giugno 2016 ore 15:49
Mi permetto Francesco.... Non credo sia troppo importante la nozione di bello secondo Jeronim: che "bello" esista o meno, nulla potrebbe comunque evitare che l'idea che ha Franco di tale qualità possa essere errata, aprossimativa, formulata su basi inconsistenti. Ma questo non credo modifichi il ragionamento, la cui validità o meno prescinde del tutto dalla personale idea di bello che ha Franco appunto. Credo che il punto sia proprio dedicarsi alla ricerca di tale qualità raffinando il proprio apparato sensibile. Forse non esiste una nozione di bello universale ed eterna, ma al tempo stesso, intimamente, sappiamo che esiste forse una differenza tra Beethoven e Pupo, anche se in un dato periodo o luogo il secondo può riscuotere più apprezzamento generale. Forse lo scopo è proprio nella ricerca dell'idea di bello, più ancora che definire se bello è una figura magra oppure robusta, e forse già il fatto di ricercarlo raffinando quello che ho definito l'apparato sensibile, è un passo importante, al di la che si possa poi trovare il "vero" bello oppure no. Ovviamente.... opinione Non volendo certo essere esegeta del Jeronimo Saluti F |
| inviato il 21 Giugno 2016 ore 16:02
“ Non vi sentirete più "cacciatori" ma "costruttori" di immagini. „ Tanto tempo fa decisi di bruciare tutte le foto che avevo stampato durante un lungo periodo, sette anni. Dovevo elaborare la fine di un rapporto sentimentale, e funzionò. Mi ritrovai senza le fotografie, avevo perso sette anni di vita per inseguire un'infatuazione, pensavo, e la decisione di bruciare le fotografie attestava il nulla che aveva preso il posto di quegli anni di vita vissuta. Tutto ciò che ho fotografato in seguito ha avuto lo scopo di costruire un nuovo "me" attraverso le immagini. Da allora fotografo per me e la mia passione per questo genere espressivo resta immutata. |
| inviato il 21 Giugno 2016 ore 16:14
"Quando non si cerca il bello, allora si cerca lo strano, il curioso o, magari, le miserie umane che sono così fotogeniche…." Molto bella questa frase. Penso che in ogni campo ci si evolve e ovviamente anche in fotografia accade questo, fino a che non trovi la consapevolezza di quello che sei e quello che vuoi; e allora ecco che la fotografia percettiva o interpretativa che sia prende anima, diventa anima, ed i "contorni" per definirla te li da il mezzo, reflex o mirrorless... Che poi quest'anima può non essere tua, ma fa parte del gioco e se vuoi giocare continuerai a cercarla sempre... |
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