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L'attimo fuggente







avatarsenior
inviato il 25 Febbraio 2015 ore 17:27

Nell'aprire il gruppo "Cultura, critica, lettura dell'immagine" mi sono posto come primo presupposto quello di non voler apparire come colui che si atteggia a professore, a maestro. Il motivo più ovvio, ma decisivo, è che non ne sarei stato capace.
Dunque, palesando l'inevitabile, ma sincera confessione dei miei limiti, non potevo che imboccare una strada con scarne indicazioni, ma nessuna certezza. E certezze non ne ho nemmeno ora che propongo di mettere in discussione proprio uno degli assiomi più diffusi e popolari, soprattutto nel mondo amatoriale:

"il fotografo è, essenzialmente, un "cacciatore" di attimi fuggenti"

A titolo di contributo iniziale alla discussione riporto un passaggio significativo scritto negli anni '70, da Ugo Mulas nella parte intitolata "le verifiche" del suo famosissimo libro "La fotografia". Libro che consiglio a tutti (e questa è una certezza!;-)).

"..un'idea che non mi andava giù era quella tanto diffusa negli anni Cinquanta, quando ho cominciato a fotografare (sviluppatasi, credo, su una cattiva lettura di certe dichiarazioni o di certe foto di Cartier-Bresson, portate poi all'esasperazione da un certo tipo di giornalismo), idea secondo la quale una foto non contava tanto per la sua verità quanto per l'effetto, per il colpo che poteva produrre sulla fantasia del lettore.
Da allora questo gioco non ha fatto che degenerare, non solo nel foto-giornalismo, ma in ogni campo dove la foto è mercificata, nel cinema, che si fa ogni giorno più volgare, più aggressivo pur di compiacere il gusto del pubblico che, come un drogato, ogni giorno, ha bisogno di una dose di più."


continua Mulas:

"..Diverso in parte è il caso della fotografia, che, bene o male, lavora sulla realtà come scriveva proprio Cartier-Bresson presentando nel 1952 "Images à la sauvette". «A travers nos appareils, nous acceptons la vie dans toute sa réalité»(*), che è un condensato di tutto quello che si può dire o scrivere sul fotografare.
Assai meno chiaro è quando scrive che si deve avvicinare il soggetto a passo di lupo, e che il fotografo è sempre alle prese con degli istanti fuggitivi. Frasi, queste ultime, che, sganciate dal loro contesto e collegate a certe foto limite dello stesso Cartier-Bresson, possono aver dato un contributo alla diffusione del gusto per una fotografia di rapina, di caccia all'immagine più rara e imprevedibile, per cui il fotografo sarebbe un predatore in continuo agguato (si diceva allora, non so se sia verità o leggenda, che Cartier-Bresson non si staccasse dal suo apparecchio nemmeno quando sedeva a tavola per mangiare) pronto a carpire l'istante fuggitivo, non importa quale, purché eccezionale, possibilmente unico e irripetibile.
Non è che questa teoria non abbia i suoi lati suggestivi e veri, ma non riuscivo ad accettare l'idea di tutta una vita passata alla macchina in attesa di questo raro evento, di queste poche decine o centinaia di attimi privilegiati da raccogliere poi in un album o in un libro come il cacciatore attacca sui muri di casa i trofei più significativi.
Io rifiuto questa idea o teoria dell'attimo fuggitivo, perché penso che tutti gli attimi siano fuggitivi e in un certo senso uno valga l'altro, anzi, il momento meno significativo forse è proprio quello eccezionale.
Nello stesso senso non ho mai amato fotografare paesi lontani, esotici, non ho visto la Cina, né l'India, né il Giappone, né l'America del Sud, né la Lapponia o l'Oceania, anche se il mestiere mi ha costretto qualche volta a lunghi, noiosissimi viaggi. Non voglio negare l'utilità dei viaggi, sia quelli fatti per diporto, sia quelli di studio, purché non si stia sempre con l'occhio incollato al mirino fotografico; perché penso che un fotografo possa correre avventure non meno eccitanti e istruttive girovagando a piedi tra Porta Romana e Porta Ticinese, magari esplorando gli appartamenti degli inquilini del suo stesso stabile, dei quali spesso ignoriamo perfino il nome.
Ciò che veramente importa non è tanto l'attimo privilegiato, quando individuare una propria realtà; dopo di che, tutti gli attimi più o meno si equivalgono.".



* tr."Attraverso i nostri dispositivi, noi accettiamo la vita in tutta la sua realtà"

avatarsenior
inviato il 25 Febbraio 2015 ore 17:43

Rilancio con Scianna che dice "Amo toreare col caso".

E contro-rilancio con il testo sacro che spiega il perchè di questa abitudine di HCB, ovvero Lo zen e l'arte del tiro con l'arco.

Ciò detto, Mulas ce l'ho anche io nella mia sempre crescente libreria!

avatarsenior
inviato il 25 Febbraio 2015 ore 18:33

Ricollegandomi alla coda del tuo intervento ,esistono secondo me tre realtà:

Quella oggettiva
La nostra personale
Quella della macchina fotografica

Non fossilizziamo il nostro interesse solo su una di queste ma facciamole interagire
Per farlo nel modo migliore non serve scattare al polo nord.
Scattare buone foto sotto casa nostra rivela secondo me il vero occhio del fotografo

avatarsenior
inviato il 26 Febbraio 2015 ore 8:35

L'attimo può essere fuggente, ma anche "costruito" (e perfino molto bene, aggiungo io)
">www.juzaphoto.com/galleria.php?l=it&t=1223598
la cosa dipende da troppe variabili per poterne dare una definizione così "totalitaria".
L'immagine che ho linkato direi che, da questo punto di vista, è l'esatto contrario della foto naturalistica o dello street, che sono "l'attimo fuggente" per antonomasia, è persino più "facile" da un punto di vista tecnico, ma concettualmente richiede una progettualità non indifferente (ma anche la naturalistica, quanto a progettualità, conoscenza delle abitudini dei soggetti, scelta dei punti d'appostamento ecc. non scherza); se c'è un progetto, sono le scelte personali che indirizzano nell'uno o nell'altro senso.
Credo però che quella frase
"il fotografo è, essenzialmente, un "cacciatore" di attimi fuggenti"

rimanga vera in campo amatoriale non solo per questioni di scelte, ma proprio perché è quello in cui il più delle volte manca una progettualità.

avatarsenior
inviato il 26 Febbraio 2015 ore 12:15

Soft, indubbiamente anche la ricerca del caso può tranquillamente rientrare in un progetto, così come la fotografia naturalistica, con tutto lo studio, la costruzione dell'attrezzatura giusta, dell'appostamento e l'attesa che ha alle spalle, è obbligata comunque a "rubare" attimi altrimenti irripetibili, quindi alla fine è un genere da "attimo fuggente" per la natura stessa di ciò che ritrae.
Il fotografo NON è essenzialmente un cacciatore di attimi fuggenti; lo può essere per scelta progettuale, può fare una scelta progettuale opposta, ma può anche essere un fotografo da attimo fuggente semplicemente perché non ha un progetto; si vedrà nelle sue gallerie o nelle mostre fotografiche se gli attimi che ha colto sono inseriti in percorso pensato oppure no.
Naturalmente, quando parlo di "attimo fuggente" io non intendo una semplice questione temporale, ma il fatto che stiamo fotografando una situazione in continua evoluzione e che non possa ripresentarsi nel medesimo modo. Escluderei ad esempio una parte dello still life, anche perché quello che fa la differenza è proprio la capacità di non perdere l'attimo: il fotonaturalista la acquisisce, quello che fotografa sempre e solo oggetti immobili con illuminazione da studio, dubito che la acquisisca allo stesso modo

avatarsenior
inviato il 26 Febbraio 2015 ore 12:41

l pensieri di Mulas e di Cartier-Bresson sono entrambi ragguardevoli se interpretati come modo di intendere la fotografia, così come diventerebbero manichei se pretendessero di essere definitivi sul senso della fotografia in quanto tale.

Inoltre ci sono indubbiamente contesti culturali particolari, in cui la necessità di affermare con particolare forza un punto di vista si fa più urgente. Punto di vista che poi, a distanza rilevante di tempo, finisce inevitabilmente per essere recepito secondo prospettive spesso distanti dagli intendimenti dei loro promotori.

Penso all'apologia verso la nitidezza assoluta come rivelatrice di "verità" di Weston a cui risponde polemicamente proprio Cartier-Bresson con il suo sarcasmo verso quei fotografi che la nitidezza perseguono, equiparabili agli sdolcinati cultori del "flou"...

Difficili assai da collocare e comprendere, se estraniati dalla fase storica in cui vengono prodotti. Soprattutto le idee del primo, che lette in modo superficiale, secondo una sensibilità che già è passata attraverso Capa o gli anni sessanta (o attraverso Facebook...), appaiono facilmente molto più stupidamente massimaliste di quanto non siano.

Per cui, a mio avviso e più o meno....
Il fotografo è un cacciatore di attimi fuggenti? SI Sorriso
Il fotografo è un cacciatore di attimi fuggenti? NO Sorriso

Saluti!
F


user39791
avatar
inviato il 26 Febbraio 2015 ore 13:04

Cito a memoria un bellissimo articolo di Sgarbi.... Non parlerei di "attimo fuggente" ma di "momento decisivo". Il "momento decisivo" è quello in cui la foto o c'è, o non c'è. Appunto quello decisivo, perché fuggente lo è ogni attimo. Capita proprio in quel momento, mai in un momento qualsiasi. Il fotografo cattura la realtà in quel momento, non la guarda e nemmeno la documenta. Se così fosse diventerebbe testimonianza e non forza creativa. Non registra ciò che esiste, ma l'essenza di ciò che esiste. Il fuggente attimo, allora, diventa decisivo momento.


avatarsenior
inviato il 26 Febbraio 2015 ore 17:55

Ok Fili, però il concetto di "momento decisivo" implica una "scelta" da parte del fotografo. Non è più solamente un "attimo fuggente"; il fotografo quell'attimo lo cerca, lo aspetta in agguato, qualche volta persino lo sollecita o addirittura lo costruisce. Quindi il "maestro" è colui che l'attimo riesce non soltanto a coglierlo, ma a coglierlo come vuole lui e non semplicemente come gli si presenta; entro certi limiti lo manipola.

Soft, il concetto di
congelamento di un istante, degli infiniti del fluire del tempo

lo vedo più legato al meccanicismo dell'apparecchio fotografico anziché all'uomo che ci sta dietro

avatarsenior
inviato il 26 Febbraio 2015 ore 18:06

Se si vanno a rivedere le immagini di Cartier Bresson, che di primo acchito sembrano solamente "attimi fuggenti" presentatisi casualmente e improvvisamente, ci si rende conto che spesso e volentieri lui li aveva previsti, nel tempo e nello spazio, e si era fatto trovare puntuale all'appuntamento; spesso era lui che si presentava come e dove voleva, rispetto a ciò che stava accadendo, e questo dimostra la sua capacità di "manipolare" la situazione e scegliere il momento che a lui pareva decisivo

avatarsenior
inviato il 27 Febbraio 2015 ore 8:31

Anche se avesse fatto passare e ripassare il tipo in bicicletta ha colto un attimo fuggente

in quel caso lo avrebbe "costruito" finché tutto non fosse avvenuto esattamente come voleva lui, avrebbe effettuato più scatti e avrebbe scelto il migliore, come si fa con una ripresa cinematografica; della serie: "buona la seconda!"
Proprio in questa ipotesi si potrebbe parlare di situazione manipolata (ricordi le polemiche su certe foto di Capa?)
Piuttosto credo che per HCB sia verissima la frase di Mulas:
Ciò che veramente importa non è tanto l'attimo privilegiato, quando individuare una propria realtà; dopo di che, tutti gli attimi più o meno si equivalgono.".

HCB individuava in anticipo una "propria realtà" all'interno di quella situazione e poi si sceglieva il momento che voleva.
Quello che io volevo sottolineare è la differenza che corre tra cogliere l'attimo che si presenta imprevisto e farsi trovare preparati perché si sa già in anticipo che quell'attimo verrà; darsi il tempo di scegliere posizione e inquadratura. In sostanza, la differenza tra una foto progettata (magari in pochi secondi) e una foto senza progetto.
Indubbiamente la progettualità dei "pochi secondi" richiede un costante allenamento ed esercizio, ma è quella che poi finisce per fare la differenza; se mi faccio trovare impreparato, anche se scatto una raffica è ben più difficile che ne esca uno scatto veramente buono.
Senza contare tutto un altro filone di immagini: quelle scattate ad oggetti assolutamente immobili, su cavalletto, con luci fisse e ad emissione costante ... In quel caso puoi cogliere l'attimo che vuoi, agli occhi dell'osservatore sarà sempre la stessa foto

avatarsenior
inviato il 27 Febbraio 2015 ore 9:04

Ok, hai impostato un tuo progetto, sai come e quando passerà l'operaio, scatti il primo giorno, poi scatti il secondo, poi il terzo ... poi, dopo qualche giorno ti rendi conto che le minime differenze non giustificano la prosecuzione del lavoro, a meno che tu non voglia documentare cosa farà l'operaio in diverse condizioni atmosferiche, o di traffico ecc.; in quel caso, però, il lavoro comporterà non una, ma più immagini "palesemente" differenti.
Sulla singola foto, le minime differenze che avrai tra tanti scatti simili saranno come quelle tra una Madonna di Piero della Francesca e le centinaia di icone della medesima Madonna dipinte dall'ignoto monaco del Monte Athos, tutte "originali" eppure tutte "copie", con minime differenze nella pennellata; per buone che possano essere, il loro valore tenderà a 0 tante più copie spunteranno sul mercato. E non varranno nulla proprio perché troppo identiche; lo stesso se cogli "attimi" che si equivalgono tutti.
L'unico motivo che vedrei, nella tua ipotesi, è se si volesse documentare il senso di "alienazione" che la ripetitività dei gesti porta nella vita dell'operaio (però lo fai una volta, con quell'operaio, non tutte le volte che fotografi qualcuno al lavoro, altrimenti anche il tuo progetto diventa pura "ripetizione")

avatarsenior
inviato il 27 Febbraio 2015 ore 10:42

Beh, in quel caso, già il fatto che ti sei appostato significa che hai in mente una scena abbastanza precisa e che quello scatto la riproduce in modo soddisfacente (altrimenti torneresti a rifarlo il giorno dopo).
Io non darei troppa importanza all'irripetibilità del momento, ma al fatto che quello che abbiamo scattato sia "soddisfacente" rispetto a ciò che avevamo in mente quando lo abbiamo realizzato; già il fatto di essere in grado di prevedere l'evolversi della scena ci offre buone garanzie in tal senso. In fondo è questa la lezione dei fotografi tipo HCB

avatarjunior
inviato il 07 Marzo 2015 ore 10:50

concordo pienamente con Mulas ... ma questo non vuol dire che abbia ragione MrGreen. Infatti non fa altro che scrivere una sua opinione. Certo è che ci sono molti fotografi che girano costantemente con una macchina fotografica al collo anche se ora con i vari smartphone ora non ci sarebbe più questa necessita, ma pensate che se due fotografi entrambi con la stessa macchina vivessero la stessa giornata farebbero le stesse foto? impossibile. siamo noi a decidere cosa e quando scattare e siamo si alla continua ricerca di una immagine ma non necessariamente di un "attimo fuggente".
Credetemi che nascondersi in un capanno va bene per fare le foto naturalistiche ma non per altro. Con il mondo che vogliamo fotografare dobbiamo interagire, dobbiamo entrare nella scena, non nasconderci o cercare di rubare uno scatto, lo dobbiamo solo "sentire" e poi possiamo emettere il famoso Click.

user46920
avatar
inviato il 10 Marzo 2015 ore 6:33

Visto che si parla di attimi fuggitivi e quindi anche di tempismo nel coglierli, vi invito a provare un giochino semplice e gratuito, che riflette meccanicamente l'azione del fotografo, allo scopo di verificare immediatamente, con lettura diretta dei dati, la valutazione del nostro tempismo fotografico: questo gioco ci mette in rapporto diretto col risultato che avremmo avuto nella stessa circostanza, se fossimo stati dei fotografi in azione (MrGreen).

La procedura consiste nell'utilizzare il tasto PAUSA-PAUSE del telecomando della TV ;-) come il "bottone" della nostra fotocamera: tratteremo lo scorrere temporale del programma televisivo come quello reale e vedremo direttamente il risultato del nostro scatto ... e quindi del nostro tempismo.

Magari "l'attimo" così inteso, non è proprio il cuore del tema esposto da Jeronim ;-) .. ma credo che possa sfiorare almeno l'argomento e metterci comunque in una situazione di auto-analisi in maniera gratuita e divertente.

La controindicazione è data sia dal piccolo ritardo di attuazione, sia dal fatto che il fermo immagine sarà rappresentato soltanto da uno dei pochi fotogrammi completi della traccia video Triste (tra 2 e 10 circa ogni secondo), mentre con un film da DVD in progressive scan, è possibile congelare ogni 24esimo di secondo ;-)


PS: concordo all'incirca con Mulas, ma prima dovrei/vorrei leggere il suo libro ...

avatarsenior
inviato il 10 Marzo 2015 ore 8:46

" ...ci si rende conto che spesso e volentieri lui li aveva previsti, nel tempo e nello spazio, e si era fatto trovare puntuale all'appuntamento; spesso era lui che si presentava come e dove voleva, rispetto a ciò che stava accadendo, e questo dimostra la sua capacità di "manipolare" la situazione e scegliere il momento che a lui pareva decisivo"

Sei un benpensante.

Se guardi bene, molte delle sue fotografie sono costruite, tipo quella dell'omino che salta il bozzo davanti al Circo: CB faceva pari pari quelo che hanno sempre fatto se non tutti, moltissimi che fanno street, ossia chiedere al soggetto, col soldo o meno, di fare certe cose, mentre si scatta, e poi di rifarle ancora ed ancora finchè non si è "beccata" la foto giusta.

"L'attimo fuggente"o l'attimo decisivo, in fotografia non esiste, mentre esiste la preparazione ed il metodo, ed il fotografo non fa altro che organizzare le cose, incluso sè stesso, per scattare quella fotografia che vuole scattare.

Vedi una bella inquadratura, che sarebbe migliore se ci fosse una persona, ed allora ti metti in attesa del soggetto giusto (uomo invece che donna o viceversa, vestito come si deve, etc) che arrivi e che si muova nella direzione giusta in quella inquadratura, lo aspetti mezz'ora e quando arriva, e quando è quello giusto, e quando è al posto giusto, ci scatti un paio di raffiche da venti immagini oggi, da 5 0 6 ai tempi di CB, così di sicuro una buona la becchi: ma di che attimo fuggente o attimo decisivo del razzo stiamo a parlare!

La bravura del fotografo è quella di "vedere" quella fotografia, e di realizzarla, con pazienze e metodo, e......di attimi fuggenti, ne hai a disposizione a decine, basta aspettare un altro soggetto giusto, se il primo non ti soddisfa proprio.

Quello hanno sempre fatto e fanno tutti quelli che hanno fatto belle fotografie: la poesia lasciamola ai bimbetti, la realtà è diversa.

Che cosa ne pensi di questo argomento?


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