Bambini in Guerra
Bambini in Guerra, testo e foto by
Gerry888800. Pubblicato il 21 Novembre 2024; 4 risposte, 34782 visite.

Il nostro villaggio dormiva. Ricordo che il fumo del fuoco stava svanendo e il vento portava l'odore delle piante bruciate del campo vicino. Mia sorella dormiva accanto a me, stretta a una bambola di stracci che aveva costruito con mia madre. Poi sentirono i passi. Gravi, rapidi, come un tamburo di guerra.
Non furono le urla a svegliare tutti, ma il primo colpo di fucile. Era un suono che spezzava la notte, come un vetro infranto. Mio padre si alzò di scatto, ci guardò e ci sussurrò:
“Nascondetevi sotto il letto, non uscite per nessun motivo.”
Non lo vedemmo mai più.
I soldati erano già dentro. Io li sentivo, i loro stivali che spaccavano il pavimento di terra, la loro voce roca che urlava ordini. Gridavano in lingue che conoscevo, ma le loro parole sembravano vuote, come se fossero state svuotate di ogni significato umano. Sparavano a tutto: le pareti, le finestre, le persone. Una donna gridava fuori casa nostra. Gridava forte, come se potesse svegliare il cielo stesso. Poi silenzio. Il silenzio della morte.
Uno mi afferrò per un braccio e mi tirò fuori. Mia madre cercò di fermarli, ma non ci fu tempo. Un colpo, e lei cadde. Il sangue arrivò fino ai miei piedi. Non urlai, non piansi. Mi portarono via.
“Se scappi, sei morto,” mi dissero. Non scappai. Eravamo in tanti, presi come sacchi da raccogliere durante il raccolto.

Numeri dietro il terrore
Quella che avete appena letto non è una storia isolata. La Repubblica Democratica del Congo è solo uno dei tanti scenari dove i bambini vengono strappati alla loro infanzia e trasformati in macchine da guerra. Secondo i dati delle Nazioni Unite, nel mondo ci sono almeno 350.000 bambini soldato. L'Africa è il continente più colpito, ma questo orrore si estende anche all'Asia, al Medio Oriente e, in minor misura, all'America Latina.
Tra i paesi più segnati troviamo l'Uganda, con i tragici racconti dei rapimenti di massa da parte dell'Esercito di Resistenza del Signore (LRA) di Joseph Kony, e il Sud Sudan, dove le guerre civili hanno reso il reclutamento forzato una pratica comune. Anche in Afghanistan e Myanmar, la presenza di bambini armati è un segnale del fallimento della comunità internazionale nel proteggere i più vulnerabili.
Il Congo e i bambini nella guerra
Il Congo è un campo di battaglia dove i bambini vengono trasformati in soldati, schiavi sessuali, spie e facchini. Il paese è stato dilaniato da decenni di conflitti, alimentati dalla lotta per il controllo delle sue immense risorse naturali. Coltan, oro, diamanti: minerali che finiscono nei nostri dispositivi elettronici, spesso pagati con il sangue dei più giovani.
I gruppi ribelli come l'M23, ma anche le milizie Mai-Mai e altri eserciti irregolari, usano i bambini perché sono facilmente manipolabili, spaventati e, soprattutto, obbedienti. Non chiedono salari, non si ribellano. Per molti comandanti, sono perfetti strumenti di guerra.
Un rapporto di Human Rights Watch racconta che molti di questi bambini, spesso non più grandi di otto o nove anni, vengono drogati per abbattere le loro resistenze. I comandanti usano anfetamine o altre sostanze per renderli meno sensibili alla paura e al dolore. Ma la vera droga è la violenza: quando un bambino uccide per la prima volta, perde una parte di sé che non tornerà mai più.

Ora sono un soldato
Quel bambino che ho incontrato aveva 14 anni, ma nei suoi occhi sembrava aver vissuto cento vite. Mi raccontava con una voce dura e spoglia di emozioni la sua trasformazione da figlio a carnefice:
Mi dissero che sarei diventato un uomo. Mi misero un fucile in mano. Era freddo, pesante. Le mie dita erano troppo deboli per reggerlo. Mi gridarono addosso. Uno di loro mi diede un calcio al petto. Caddi, e lui mi prese per i capelli. 'Un soldato non è debole,' mi sussurrò nell'orecchio. 'Impara, o muori.'”
Il suo primo omicidio fu un atto di sopravvivenza. “Se non avessi obbedito, sarei stato io a morire,” mi disse. Ma c'era qualcosa in quella confessione che rivelava una crepa. Nonostante la sua apparente forza, era chiaro che il bambino dentro di lui non era completamente morto.
“Non abbiamo un'infanzia,” mi disse. “Qui muori se non sei forte. Io sono forte.

Un destino crudele
Dopo alcune settimane dalla nostra conversazione, ricevetti la notizia che il villaggio in cui si trovava era stato attaccato. Sake, ai confini con il Nord Kivu, era stato preso d'assalto durante la notte. Lui e altri bambini soldato furono schierati in prima linea. La resistenza fu inutile. Quando le milizie se ne andarono, i corpi dei giovani giacevano abbandonati, persi tra le macerie e il fango.
Non potei fare a meno di pensare a quello sguardo fisso, a quelle mani sporche di sangue che non avrebbe mai potuto lavare via.
La responsabilità del mondo
Ogni bambino strappato alla sua vita è una ferita aperta nel cuore dell'umanità. Possiamo continuare a ignorarli, a far finta che non ci riguardi, ma la realtà è che il sangue dei bambini soldato sporca anche le nostre mani. I minerali per i nostri smartphone, le politiche estere complici, il silenzio dell'opinione pubblica: tutto contribuisce a mantenere questa macchina di morte in moto.
Iniziative per il disarmo e la riabilitazione dei bambini esistono, ma sono spesso ostacolate dalla mancanza di fondi e dalla complessità delle situazioni sul campo. La strada per salvare questi bambini è lunga, ma non possiamo permetterci di ignorarla.
La sua storia mi perseguita ancora oggi. Forse perché rappresenta il fallimento di tutti noi. O forse perché, nonostante la sua giovane età, aveva già capito qualcosa che a noi sfugge: in un mondo dominato dalla violenza, la debolezza non è un'opzione. Eppure, nel suo sguardo, cercavo ancora quel bambino che non aveva mai avuto la possibilità di essere bambino.

L'essenza della fotografia: il bianco e nero Quando scattai queste fotografie, sapevo che ogni immagine sarebbe stata più di un ritratto. Non volevo solo mostrare un bambino con un fucile, ma raccontare un'intera storia, catturare la tensione, il dolore e la perdita di innocenza in uno scatto. Decisi di utilizzare il bianco e nero non per un senso estetico, ma per trasmettere qualcosa che il colore non avrebbe mai potuto evocare con la stessa intensità.
Il bianco e nero non distrae. Non ci sono tonalità vivaci a interferire con lo sguardo, nessun verde della foresta o rosso del sangue a sovrastare il volto del soggetto. Tutto si concentra su di lui: sugli occhi, sulla pelle lucida di sudore, sulla forma rigida delle mani che stringono un'arma troppo grande per la sua età. È un linguaggio universale che riduce la realtà all'essenziale, mettendo a nudo l'emozione e il dolore senza filtri.
Ogni fotografia ha una storia. Lo scatto frontale, con quel sguardo fermo e indomabile, è diventato il simbolo della resistenza e della fragilità insieme. Volevo che chi guardava queste immagini si sentisse destabilizzato, obbligato a interrogarsi non solo sul soggetto, ma su sé stesso. Il bambino soldato non è una storia lontana: è uno specchio delle nostre responsabilità come società globale.
Il linguaggio senza tempo del bianco e nero Il bianco e nero possiede una qualità senza tempo. È come se eliminasse l'elemento del presente, lasciando spazio a una riflessione più profonda. Queste immagini potrebbero appartenere a qualsiasi conflitto, in qualsiasi epoca, ma sono radicate nella brutalità di oggi.
Lo trovo il linguaggio più onesto per raccontare una realtà che non dovrebbe mai essere dimenticata. Quando ho osservato quel ragazzo attraverso il mirino della mia macchina fotografica, mi sono reso conto che il colore avrebbe attenuato il potere di quella scena. Il bianco e nero, al contrario, amplifica ogni dettaglio: la tensione delle labbra, il contrasto tra la pelle e il metallo dell'arma, l'ombra che disegna i contorni della sua giovane età.
L'intenzione dietro l'obiettivo Non si tratta solo di fotografia. Si tratta di testimonianza. Questi scatti non sono stati realizzati per estetizzare la sofferenza o per cercare consenso, ma per raccontare una verità cruda e brutale. Ogni immagine è un grido silenzioso, una denuncia contro l'ingiustizia e l'orrore.
Ho scelto di fotografare con il massimo rispetto per il soggetto. Ogni scatto è stato un momento condiviso, un atto di fiducia. Quando il ragazzo ha fissato l'obiettivo, ho capito che, per un attimo, non ero più un estraneo con una macchina fotografica, ma qualcuno a cui aveva concesso di entrare nel suo mondo, anche se per poco.
Il potere della Fotografia La fotografia è più di un'arte. È un atto di resistenza. È una testimonianza che sopravvive al tempo, una prova che non può essere cancellata. Questi scatti vogliono essere un monito: non possiamo chiudere gli occhi davanti all'orrore, non possiamo continuare a ignorare l'umanità spezzata che questi bambini rappresentano.
Guardare queste immagini può essere doloroso, ma è necessario. Sono un invito a riflettere, a reagire, a fare la nostra parte per cambiare una realtà che non possiamo accettare. E forse, solo forse, la luce che attraversa il bianco e nero di queste fotografie riuscirà a far breccia anche nei cuori più indifferenti.
Risposte e commenti
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| inviato il 02 Dicembre 2024 ore 19:42
Parole ed immagini che fanno davvero riflettere Ho trovato l'articolo molto interessante, ma anche molto triste. La fotografia esprime molto bene la durezza di quanto viene raccontato, decisa ed incisiva come lo sguardo del protagonista. Complimenti e grazie per averci proposto questo racconto e questa riflessione. Un carissimo saluto |
| inviato il 02 Dicembre 2024 ore 20:55
Grazie di cuore per le tue parole. Sapere che il mio lavoro ha suscitato una riflessione profonda è il miglior riconoscimento che potessi ricevere. Raccontare storie così dure attraverso immagini e parole non è mai facile, ma è essenziale per dare voce a chi troppo spesso rimane nell'ombra. Un caro saluto e grazie ancora per il tuo sostegno e per aver dedicato il tuo tempo a leggere e osservare. |
| inviato il 02 Gennaio 2025 ore 14:38
Ti ringrazio per questa cruda e così attuale testimonianza di un mondo così distante per interesse generale. Oggigiorno dovremmo condannare queste crudeltà e dovremmo informarci, come ben dici, da dove provengono i materiali per costruire gli apparecchi elettronici, ma globalizzazione, politica e indifferenza, mescolato ad un mondo che va di corsa, ha dato il via ad una corsa frenetica per aggiudicarsi l'ultimo smartphone o TV che sia. Ringrazio te e quei fotografi che oltre a fare delle belle foto, vanno oltre, denunciano una quotidianità scomoda, sporca, crudele, affarista che difficilmente si può digerire, che è purtroppo l'attualità di alcuni paesi di questo mondo. Mi auguro che articoli di denuncia come questi sensibilizzino le persone a capire anche che cosa ci sia dietro al nostro benessere. Lo sguardo intenso con le labbra tese, rappresentano molto bene l'anima sofferente di un ragazzo diventato uomo troppo giovane, capace solo di andare avanti, cercando di sopravvivere ad un orrore senza fine. Infine il bianco e nero, esalta in modo magnifico l'essenza di ciò che vuoi mostrare, senza distrazioni alcune. Complimenti, hai tutta la mia stima per il lavoro svolto, anche perché non penso sia semplice andare in quei posti "caldi" e pochi si rischierebbero di andarci. Un abbraccio Roberto |
| inviato il 11 Febbraio 2025 ore 14:36
La cleptocrazia, tipica forma di governo congolese e di altri Paesi, non solo africani, non si riferisce solo alla ruberia di beni materiali ma si sostiene esigendo dal popolo anche più di quanto esso possa dare e questo atto vandalico contro l'umanità non si ferma neppure quando i soggetti che vengono rapinati della loro ricchezza composta di sogni, di speranze e voglia di vivere, sono i bambini. Con affetto Paolo |