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Il segno nella fotografia digitale


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avatarjunior
inviato il 18 Maggio 2024 ore 23:05

TROMBE

Peirce suggerisce che la nostra "conoscenza di sé" è sostanzialmente simile a quella del non vedente dinnanzi al colore rosso: trombe! I processi sono del tutto simili: introspezione e intersoggettività sono null'altro che dinamica semiotica - ergo - la conoscenza di noi stessi e degli altri è sempre "mediata" dai segni. Non fa alcuna differenza se il sé interpretante [vedi voce INTERPRETANTE] si trova in un altro tipo di corpo o se è “quell'altro sé” – il nostro stesso sé psicologico – “che sta appunto venendo alla vita nel flusso del tempo”. In entrambi i casi, un segno viene interpretato da un segno successivo, in un processo semiotico attraverso cui emergono i pensieri, le menti e il nostro stesso essere in quanto sé.

La critica all'analitica di Negel - tanto tradizionalista quanto dualistica - pertanto è assolutamente fondata: invece di rendere impossibile la conoscenza dei sé "pipistrello", la mediazione semiotica è alla base della sua concreta possibilità. Invece, ciò che è palesemente narcisistico, nonché ridicolo, è immaginarsela con "occhi umani", li è l'errore. Saremmo come il cieco che pretende di vedere "per davvero" il colore rosso non sapendo che neppure noi che abbiamo gli occhi "buoni" non ne vediamo che una rappresentazione [aggiungo: pure mutevole nel tempo] .

Conclusioni: non esiste nulla di assolutamente “inconoscibile” come non esiste nemmeno niente di assolutamente incommensurabile. Possiamo sapere qualcosa di come viene esperito il rosso da una persona cieca, oppure di cosa si prova a essere un pipistrello, indipendentemente da quanto queste comprensioni siano mediate, provvisorie, fallibili o fragili. I sé si relazionano nello stesso modo in cui si relazionano i pensieri: o siamo tutti pensieri viventi che crescono, o siamo tutti fiocchi di neve che cadono intrappolati dalla non-crescita. La fotografia digitale? Beh, di sicuro non è una nevicata.

avatarjunior
inviato il 19 Maggio 2024 ore 10:59

UN SISTEMA APERTO

Il linguaggio ed i suoi relativi "regimi" discorsivi che condizionano il nostro pensiero e il nostro agire non sono chiusi. Anche se dobbiamo essere molto attenti sui modi in cui il linguaggio naturalizza le categorie di pensiero, possiamo - anzi, dovremmo - spingerci a parlare di qualcosa come la vita “in sé” senza essere completamente vincolati dal linguaggio che ci permette di esprimerlo. I sé- viventi (che "crescono") non-umani possiedono delle proprietà ontologicamente uniche associate alla loro natura costitutivamente semiotica. Tali proprietà, in una certa misura, sono per noi conoscibili, e differenziano i sé dagli artefatti puri e crudi. In quest'ottica, trattare il "pensiero computazionale" in maniera generica – raggruppando indiscriminatamente le "cose" e gli "esseri" – non ci permette di osservarlo filosoficamente.

A mio avviso, l'approccio dominante, che è squisitamente utilitaristico e che mira ad espandere il campo delle scienze sociali [vedi la sociologia] per includervi il non-umano è il piú grande limite degli studi sulla tecnologia. Questi studi collocano l'umano ed il non-umano nella stessa cornice analitica, attraverso una forma di riduzionismo [vedi voce NIENT'ALTRO CHE] che mette da parte i concetti di agentività e di rappresentazione. Di conseguenza, le istanziazioni tipicamente umane di questi concetti diventano il modello di ogni agentività e di ogni rappresentazione. Ciò è un errore perchè il risultato è una forma di dualismo in cui umani e non umani si vedono entrambi attribuire un miscuglio di proprietà inerenti alle cose e di proprietà inerenti all'umano.

Naturalmente, chi studia la semiotica, si rende perfettamente conto che è molto difficile, partendo dai quadri sociologici contemporanei, comprendere il mondo tecnologico come qualcosa che è costituito da pensieri viventi. Le macchine, in quanto oggetti materiali, sono mezzi per raggiungere dei fini che per definizione e progetto sono esterni a esse. Quando osserviamo una macchina fotografica tradizionale siamo soliti mettere tra parentesi i fini che sono di fatto intrinseci al suo essere, ovvero il fatto che è stata costruita da qualcuno per un determinato fine. Tuttavia: applicare questa stessa logica meccanicistica novecentesca al mondo della fotografia digitale che è "naturalmente" innestato sull'intelligenza scientifica [vedi voce INTELLIGENZA SCIENTIFICA] e vedere la natura-mondo derivante come una "macchina" governabile con gli stessi occhi di sempre [quelli del FOTOGRAFO] implica la stessa operazione del mettere i fini tra parentesi.

Ciò è del tutto folle. Significa approcciare al visore spaziale domani, come allo smartphone oggi, come ci si approccia ad una lavastoviglie! Il perpetuarsi del cieco dualismo [FOTOGRAFO vs NON FOTOGRAFO] sarà uno dei risultati di questa messa tra parentesi, anche se il destino di questo approccio ottuso e ridondante è chiaramente destinato ad essere sempre più marginalizzato in quanto sempre meno adeguatamente "corrispondente" alla realtà quotidiana [anche come futuro-presente] . Un altro risultato è quello di perdere completamente di vista i fini che sono clamorosamente cambiati rispetto al tempo in cui la macchina fotografica tradizionale - un mezzo "stupido" per definizione - ci consentiva di generare il MEDIUM [interprete] fotografico.

avatarjunior
inviato il 20 Maggio 2024 ore 16:32

SEMPREVERDE

Foucault, negli anni sessanta del Novecento, scrisse che: “determinati concetti diventano pensabili solo all'interno di specifici contesti storici, sociali o culturali”. Una massima sempreverde da mandare a memoria, a mio modesto avviso. Latour, trent'anni dopo, collocando umano e non umano nella stessa cornice analitica, finisce con l'attribuire l'agentività sia a ciò che può essere rappresentato sia a ciò che resiste ai nostri tentativi di rappresentazione. Ciò che sembrò teoreticamente “molto moderno” in Latour nel 1990, tuttavia, oggi evidenzia alcuni limiti perché quel preistorico mondo digital-macchinico appena agli esordi si è evoluto, nel frattempo, logaritmicamente [e la semiosi conseguentemente ad/con esso] . Peirce invece definirebbe “secondità” sia l'attualità sia la bruta fattualità (superando Latour) perché ogni cosa può potenzialmente resistere alla rappresentazione o essere rappresentata. La verità è che, mentre la teoria semiotica è anch'essa un “sempreverde”, con la “modernità” di Latour abbiamo ancora, da un lato, la materia (ora agentificata) e, dall'altro, gli umani (ora diventati meno sicuri della loro onniscienza) che, a seconda dei casi, rappresentano le cose in modo corretto o errato.

avatarjunior
inviato il 20 Maggio 2024 ore 20:00

AGENTIVITÀ 2.0

Leggendo Latour scopriamo che, per esempio, le “sostanze” subiscono le “tribolazioni” degli esperimenti e poi che il pistone di un motore è piú affidabile di un operatore umano, “poiché, tramite la camma, è direttamente interessato, per cosí dire, alla corretta sincronizzazione del flusso di vapore. Di certo, è piú interessato di qualunque essere umano”. Ed anche che gli scienziati, da parte loro, usano “un insieme di strategie per aggregare e per interessare gli attori umani, e vi è un secondo insieme di strategie per fare la stessa cosa con gli attori non umani”.

Quest'approccio latouriano all'agentività non umana trascura il fatto che alcuni non umani, nello specifico quelli “viventi”, sono dei sé. In quanto sé, non solo sono rappresentati, ma rappresentano anche. E possono farlo senza dover “parlare”, né hanno bisogno di un “portavoce” perché, come abbiamo detto fino allo sfinimento la rappresentazione eccede il simbolico, e quindi anche il linguaggio umano. Nonostante sia del tutto evidente che noi umani rappresentiamo gli esseri viventi non umani in una serie di modi “specifici” – il che ha sicuramente i suoi effetti sia per noi che per gli esseri rappresentati –, viviamo anche in mondi in cui può diventare di vitale importanza cogliere come questi sé ci rappresentano.

Traduciamo? Che idea si farà di noi il pensiero computazionale? Come “ci vede”? Come “ci pensa”? Sono i sé a qualificarsi come agenti, non le cose, in semiotica e quindi la resistenza alla rappresentazione differisce dall'agentività. Inoltre: contrariamente a quanto affermato sempre da Latour la “materialità” non conferisce necessariamente vitalità. I sé sono il prodotto di una dinamica relazionale che implica l'assenza, il futuro e la crescita, nonché una certa attitudine alla confusione. Tutto ciò emerge perfettamente con i “pensieri viventi” e pertanto costituisce una loro specificità.

Morale? Non si può - ne dovrebbe - parlare dell'agentività in relazione all'ntelligenza artificiale oppure al pensiero computazionale in senso generale, per mezzo di teoremi sociologici, perché queste entità non esistono in “senso generale” ma “vivono” esclusivamente in seno ad una loro assolutamente specifica realtà localizzata. Ancora più da “capre” è interessarsene solo per la loro utilità apparente - del preciso momento storico o tecnologico - visto che significherebbe essere totalmente ciechi dinnanzi al fatto che, frequentare questi sé, in prospettiva dinamica, implica necessariamente un dare-avere [agentivo] ed un evolvere [semiotico] .

avatarjunior
inviato il 20 Maggio 2024 ore 22:44

IO-TU e LUI

Il linguista Émile Benveniste osservò che i pronomi "io e tu" posizionano gli interlocutori in maniera intersoggettiva attraverso un "reciproco" [interpellarsi] , e di conseguenza li considera come i veri pronomi “personali”. La terza persona (lui/lei), invece, sarebbe essenzialmente una “non persona” perché si riferisce a "qualcosa" che è fuori dall'interazione discorsiva. Interessante notare come l'inglese "it" sia proprio posizionato alla terza persona [non-persona] . Facciamoci caso: come per la zecca di cui abbiamo parlato in precedenza, il modo in cui si rappresentano gli altri esseri trasforma gli esseri in generi ed il genere di essere che si diventa ha sempre una certa importanza nelle relazioni. È importante anche capire che lo status "mutato" per mezzo dei generi si trasla in nuovi contesti creando nuove possibilità. Quindi l'osservazione di Benveniste ha molto peso nel nostro discorso perchè è un modo per dire che - io e tu - siamo entrambi un genere di "io" – che siamo entrambi delle "persone" - mentre "lui" lo è un pochino di meno.

avatarjunior
inviato il 20 Maggio 2024 ore 23:17

PROSPETTIVISMO

Nel nostro sistema di cose tale posizione presuppone una fondamentale similarità tra i sé, ovvero che tutti i generi di sé siano degli "io" [io-tu] . Ciò implica due ipotesi interconnesse: la prima è che tutti gli esseri senzienti vedono se stessi come "persone". La seconda è che, sebbene tutti gli "esseri" vedano se stessi come persone, i modi in cui sono visti dagli altri esseri dipendono dal genere di essere che osserva e che viene osservato. Esempio un poco estremo per capirsi meglio: quello che noi percepiamo come l'olezzo di una carogna in decomposizione è per un avvoltoio il succulento profumo che proviene da una pentola fumante di pasta al ragù. Gli avvoltoi, a causa degli "abiti" e delle disposizioni specifiche della loro specie, abitano un mondo differente dal nostro. Tuttavia, poiché il loro punto di vista soggettivo è quello di una "persona" [di un "io"] , vedono questo mondo differente nello stesso modo in cui noi vediamo il nostro. Ergo: la tendenza "generale" [terzità] a vedere le cose in maniera "prospettica" permea la vita dei sé-viventi [tutti] . Provocazione: e voi, invece, state ancora a fare le liste di "In&Out" da tramandare ai posteri?

avatarjunior
inviato il 20 Maggio 2024 ore 23:43

SPAVENTAPASSERI

Il prospettivismo, come terzità, come "abito", potremmo definirlo come "culturalmente estetico" ed il richiamo all'estetica ha strettamente a che fare con le icone [segno] . La definizione può risultare ardita se pensiamo all'avvoltoio che sbrana la sua carogna però fateci caso: un formichiere infila la sua lingua nel formicaio, le formiche la scambiano per un ramo e la percorrono tutte fiduciose. Cosa è successo? È successo che il formichiere ha adottato, in qualche modo, la prospettiva delle formiche per ingannarle. Le formiche hanno "confuso" [indistinzione] . Si è prodotta semiotica. Ok, un esempio umano: cosa è successo quando l'uomo si è inventato lo "spaventapasseri"? Senza bisogno di spiegarlo per filo e per segno, se siete arrivati fino a qui, potete fare tutte le connessioni da soli. Rigiratevi mentalmente questo spaventapasseri non solo dal punto di vista dell'uomo, ma anche da quello del passero ovviamente. In breve: i sé-viventi hanno un punto di vista, o più d'uno. Questo è ciò che li rende "animati" ed è quest'animazione che incanta il mondo. L'uomo non avrebbe mai pescato un solo pesce, se le cose stessero diversamente da così.

avatarjunior
inviato il 21 Maggio 2024 ore 7:40

DISPOSIZIONE DOPPIA

Ora che abbiamo introdotto il prospettivismo con un paio di esempi terra-terra urge fare un passo a lato di esso per coglierne le dinamiche, visto che la "possibilità" di essere prospettivisti non è che nasca dal kaos, non è una cosa che ci succede e basta ma - anzi - è il prodotto di una ben precisa [ordinata] disposizione che manifesta altrettanti ordinati concatenamenti. Uso il lessico di Bateson: il prospettivismo è reso possibile da una "cosa" chiamata "disposizione doppia" e questa disposizione doppia è ciò che accomuna tutti i sé-viventi. Bateson, infatti, si chiede: “Quale struttura connette il granchio con l'aragosta, l'orchidea con la primula e tutti e quattro con me? E me con voi? E tutti noi con l'ameba da una parte e con lo schizofrenico dall'altra?”. Io aggiungo: e noi con lo "spatial computing"? Un poco alla volta ci arriviamo.

avatarjunior
inviato il 21 Maggio 2024 ore 8:02

UN CAPANNO

Figuriamoci un capanno silvestre con il tetto bucherellato e noi, in cima ad esso, intenti nel ripararlo in modo che non ci piova più dentro. Siccome il capanno al suo interno è buio, dal nostro "punto di vista" è estremamaente difficile vedere tutte le fessure tra le foglie che mimetizzano la struttura. Allora cosa facciamo: chiediamo ad un'altro di entrare nel capanno e - da dentro - di far passare un bastoncino attraverso tutti i fori che a lui, dal suo punto di vista, risulteranno chiaramente visibili, visto che è in controluce. Questa azione coordinata dentro-fuori ci semplificherà enormemente il lavoro. Ma, sul piano teorico e speculativo, cosa abbiamo fatto? Un allineamento di "punti di vista" e questo è risultato molto "pratico". Tutto qui? Non proprio. Come uno "sciamano" abbiamo simultaneamente preso "coscienza" di entrambi i punti di vista e del modo in cui questi siano collegati da qualcosa di piú grande che li comprende.

avatarsenior
inviato il 21 Maggio 2024 ore 8:09






Immagino che ti riferisci a luì.

avatarjunior
inviato il 21 Maggio 2024 ore 8:31

@Rocco Vitali
Si, esatto.

ANIMISMO

Importantissimo: l'azione di essere simultaneamente coscienti di differenti punti di vista ci "accade" un attimo prima che "scatti" la trappola del simbolico-umano, prima cioè che - nella nostra mente - s'inneschi la dinamica a "generalizzare" [analiticamente] questa condizione. Questo è indiscutibile e lo prova il fatto che di "disposizione doppia" siano capaci anche tutti quei sé incapaci di simbolismo, come la zecca o il formichiere. Chiaro? Non serve essere umani per essere capaci di "disposizione doppia". Più che di "pensare" dobbiamo figurarcela come una "sensazione di pensare" e questa sensazione, evidentemente, è comune tanto a noi quanto agli altri sé. Dalla notte dei tempi l'umanità ha cercato di verbalizzare, con il linguaggio, questa strana condizione ma, ad onor del vero, non siamo mai andati molto oltre il descriverla come animismo e sciamanesimo: stati di trance multi-naturali che poi siamo stati capaci di stimolare artificiosamente con l'uso di droghe psico-attive.

avatarjunior
inviato il 21 Maggio 2024 ore 8:57

COORDINAMENTO

Il Bateson già citato, negli anni ottanta del Novecento, descrive la "disposizione doppia" attraverso l'esempio della visione binoculare: ogni occhio, fisiologicamente, vede singolarmente ma il cervello "interpreta" via similarità-confronto questi due input come parte di qualcosa che, ad un livello logico superiore, risulta piú inclusivo. Emerge qualcosa di nuovo: la percezione della profondità. Penso sia chiaro, sono cose molto note. Peirce, nel 2000, offre invece l'esempio di due mani tese in avanti parallelamente che, roteando in direzione opposta, formano delle traiettorie circolari. Per realizzare questo movimento in modo regolare e prolungato nel tempo abbiamo bisogno di coordinamento cioè di allineare più "cose" per generarne una terza di livello, in qualche modo e misura, "superiore".

avatarjunior
inviato il 21 Maggio 2024 ore 9:32

UN PASSO IN AVANTI

Cosí come la sensazione di profondità "emerge" quando il cervello compara la duplicazione differenziale della prospettiva oculare - allo stesso modo - un granchio in quanto organismo [sé] "emerge" nel tempo evolutivo come interpretazione corporea di una duplicazione di zampe che si differenziano gradualmente e che gli consentono di camminare lateralmente. Entrambi i processi implicano una "descrizione doppia". Entrambi i processi "accadono" al di fuori del simbolico. E la stessa dinamica riguarda l'aragosta tanto quanto la forma generale dell'orchidea o della primula (ognuna adattata ai propri impollinatori, ovviamente). Quando - poi - compariamo i modi in cui tutti i sé-viventi usano la descrizione doppia vediamo che anche la nostra forma di pensiero è analoga al mondo biologico e proviene da esso. Potrebbe essere diverso? Inoltre, la stessa descrizione doppia "emerge" come "oggetto concettuale" [terzità] grazie a questa descrizione doppia di ordine superiore.

Una sintesi? Non vi è nulla di rizomatico in questi processi. Sviluppiamo descrizioni-doppie a partire da descrizioni-doppie che si manifestano nel mondo, e lo facciamo "naturalmente" affinché queste descrizioni-doppie diventino evidenti, e si sottraggano dalla "confusione", dall'indistinzione tipica delle icone. Questa modalità generativa della mente, ci permette di fare ulteriori esperienze di cosa significhi "pensare" con la descrizione doppia che opera nel mondo. Ecco perché è corretto affermare che il prospettivismo sia qualcosa di "culturalmente estetico" ed ecco anche perché, antropologicamente parlando, non sia fuori luogo fare un link diretto allo sciamanesimo, non tanto per l'animismo sott'inteso [che mettiamo da parte] quanto per ricollegarci a quel particolare stato della "coscienza" che rende possibile l'allineamento multi-naturale al di fuori del simbolico.

avatarjunior
inviato il 21 Maggio 2024 ore 10:38

PER CHI SI È PERSO (2)

Un secondo piccolo recap: il mio obbiettivo, qui, non è indicare una "forza essenziale" che tutto possa spiegare in seno all'evolversi della fotografia digitale o, peggio, di creare un nuovo dualismo che s'aggiunga a quelli già esistenti e di cui pullula sia questo forum di "foto-amatori" che la vita in generale. L'obiettivo è piuttosto comprendere alcune delle proprietà particolari dei pensieri, che restano "occultate" quando esseri-umani e non-umani, e le loro interazioni, vengono teorizzati in termini puramente materialistici o sulla base dei nostri assunti (spesso celati) riguardanti la relazionalità linguistica fondata sul simbolico.

Per me è chiaro che "le differenze producono differenze" ed il fatto che la semiosi, come approccio teoretico, indaghi chiaramente tutte le differenze in modo "dinamico" la rende particolarmente adatta a studiare "processi" di cui sappiamo l'inizio ma possiamo solo indovinarne la fine. Allo stesso tempo, sostengo che il pensiero non sia tutto: il modo in cui i sé si relazionano non è necessariamente analogo a quello in cui le parole si relazionano tra loro in quel sistema che chiamiamo linguaggio. Ho già esplorato, qui, in maniera molto veloce e sommaria il processo che precede quello che di solito identifichiamo come "differenza" o "similarità" e che dipende - alla base - da una forma di confusione.

Comprendere il ruolo che la confusione [o l'indifferenza] gioca nel pensiero vivente può aiutare a sviluppare un senso critico un pochino più consapevole e maturo dinnanzi alla tecnologia digitale che avanza velocissima senza che nessuno, a nessun livello fuori dalle accademie, si sia preoccupato di reclamare una sorta di "carta dei diritti" tutelativa per l'ignaro utlizzatore-consumatore finale lasciato all'esperienza "visiva" come si lascia un analfabeta dinnanzi alla Divina Commedia. E pensare che oggi come oggi, anno 2024, persino gli alberi hanno una loro "carta" [che non manca di contemplare cose misconosciute quanto fraintese come l'agency] . Del resto, non voglio neppure creare allarmismi, o tantomeno fare la morale a qualcuno. Sarebbe un di più.

avatarjunior
inviato il 22 Maggio 2024 ore 15:15

DISSOLVENZE

Se l'inizio della vita sulla Terra è quel momento in cui “qualcosa” è diventato “qualcuno” (la definizione è di Jesper Hoffmeyer) ciò non significa che le cose non esistessero prima che ci fossero degli “esseri” in grado di percepirle, ma piuttosto che, prima che i pensieri viventi emergessero su questa Terra, niente era mai stato in “relazione” con un sé in quanto “oggetto” oppure in quanto altro “sé-vivente”. Questo vale per la vita semiotica. E per la morte semiotica come funziona? La seità vivente è localizzata attorno a corpi fragili ed effimeri. Tuttavia, dire che un sé è “localizzato” non significa dire che si trova necessariamente o esclusivamente all'interno di un corpo, “rinchiuso in una scatoletta di carne e sangue”, per usare i termini molto polemici di Peirce stesso. Abbiamo già affrontato, qui, il tema della morte “catastrofica” individuale ed anche quello delle meno drammatiche “piccole morti” quotidiane [vedi voce MORTE e FINITUDINE] ma ora è tempo di trattare quelle che, per comodità, potremmo figurarci come delle “dissolvenze” visto che oltre la morte individuale c'è una sorta di vita. E in effetti la generalità della vita, la sua potenzialità di estendersi nel futuro, dipende dagli spazi aperti, da queste morti singolari, che sono le dissolvenze stesse.

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