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Il segno nella fotografia digitale


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avatarsenior
inviato il 15 Maggio 2024 ore 4:45

ARRENDETEVI .
Quando si deve crescere e migliorarsi come unico scopo nella vita "VINCERE" a discapito di tutto il resto che sembra non esistere.
Ciao buona giornata. ;-)

avatarsenior
inviato il 15 Maggio 2024 ore 5:12

Mi sono ripassato tutti i post come ben ricordavo non c'è "VINCERE" .
Mi piacerebbe sapere la tua opinione in merito se ti va .
Grazie.

avatarjunior
inviato il 15 Maggio 2024 ore 9:58

@Rocco Vitali

Dalla rivoluzione industriale in poi, in Occidente, siamo abituati a legare la parola VITTORIA a quella di SUCCESSO e quindi al concetto di PRESTAZIONE, ma - anche all'interno del simbolico - non è stato sempre così. Fatto è che, essendo i pensieri ed i modi di pensare vivi in sé per sé, la fotografia - come medium/interprete figlio del pensiero positivista - non ha avuto la possibilità di correlazionarsi, se non molto marginalmente e sporadicamente, ai modi di "sentire" precedenti che invece circondano, con un'aura quasi mistica, ancora oggi la pittura ove la si osservasse sotto la lente d'ingrandimento semiologica. Detto in sociologia: la pittura è figlia di quella forma-mentis "aristocratica" che si fa beffe di tutto l'utilitarismo borghese post-1789. Mascherarsi per il solo gusto di mascherarsi, teatralmente, senza altro fine oltre il gioco delle "apparenze" è il telos-naturale, il bagaglio storico-concettuale che quest'arte si trascina appresso. Con la fotografia ed il Novecento cambiano le relazioni tra mezzi e fini, le aspirazioni, gli scopi, gli intenti, le funzioni e la significanza. La fotografia "emerge" [quando è emersa] in un mondo di pensieri viventi [anche sottoforma di futuro-presente] già molto oltre il telos-naturale "aristocratico", e lo ha fatto attraverso modalità che non si esauriscono completamente nei nostri tentativi [troppo umani] di definirle e controllarle. Guarda caso: oggi come oggi, tra tutte le discipline umaniste, la sociologia è quella più in crisi - talvolta del tutto abbandonata - proprio perché, accademicamente, non si crede più al fatto che essa possa "rappresentare" altro che sé stessa, in modo del tutto auto-referenziale per come è andata, man mano, "fissandosi" quasi esclusivamente, nonché meccanicisticamente, sul gruppo dualistico "intenzioni-significati".

p.s.
Ciò non significa che si debba ignorare tutto quel lungo percorso d'indagine che ci ha portato a conoscere prima il darwinismo e poi, in sociologia appunto, il "darwinismo sociale" che è il contesto nel quale tu, probabilmente, inquadri la parola VITTORIA con una tipica accezione negativa. Lo è? Non lo é? Ed in che misura è una e/o l'altra cosa? Come vedi si ricade nell'etica, nei “valori” [che sono abiti] e quindi nel dualismo.

avatarjunior
inviato il 15 Maggio 2024 ore 17:40

DARWIN

Come gli esercizi di matematica ci allenano, fin da piccoli, a risolvere problemi sempre più complessi anche gli esercizi di semiotica applicata hanno lo scopo di farci impratichire con questa teoria speculativa che ha ben poco senso conoscere nei minimi dettagli se, poi, non viene applicata mai nel quotidiano. Il lato più divertente e mondano della dinamica semiotica, se vogliamo, è anzi proprio questo: superato lo scoglio iniziale del “pensare per astratto” (un fatto comune a qualsiasi analitica filosofica) la semiotica non solo si può pensare e dibattere ma si può anche “vedere” ed anche per questa ragione la trovo particolarmente adatta al nostro contesto. Per cominciare sfrutterei proprio il riferimento poc'anzi fatto al darwinismo, naturalmente privandolo da ogni referenza “politica” [vedi voce ALTER-POLITICA] ma cercando di inquadrare comunque la logica dell'adattamento evolutivo all'interno d'una prospettiva squisitamente semiotica.

avatarjunior
inviato il 15 Maggio 2024 ore 23:55

FORMICHIERE

Prendiamo come esempio un formichiere gigante, così abbiamo a che fare sia con un essere "animato" sia con una forma a suo modo "eterea". I formichieri giganti, come sappiamo, si nutrono di formiche e lo fanno infilando i loro musi allungati nei tunnel dei formicai. La specifica forma del muso e della lingua del formichiere "coglie" determinate caratteristiche del suo ambiente, ovvero la forma dei tunnel delle formiche. I perché scientifici possiamo metterli da parte, non essendo di nostra pertinenza.

Tuttavia, l'adattamento evolutivo, in semiotica viene interpretato come un segno nella misura in cui la generazione successiva di formichieri lo interpreta (in modo molto fisico) rispetto a ciò che il segno riguarda (ovvero, la forma dei tunnel delle formiche). Questa interpretazione, a sua volta, si manifesta nello sviluppo del corpo del successivo. Questo corpo (con i suoi adattamenti) funziona a sua volta come un nuovo segno che rappresenta le caratteristiche dell'ambiente, nella misura in cui sarà a sua volta interpretato come tale dalle successive generazioni di formichieri.

Di generazione in generazione, i musi dei formichieri sono arrivati a rappresentare sempre con maggiore precisione le caratteristiche geometriche dei formicai, perché, allo stesso tempo, tutti quei lignaggi di proto-formichieri, i cui musi e le cui lingue avevano "colto" in modo meno accurato le caratteristiche ambientali, non sono sopravvissuti e si sono estinti. In questo senso, a vincere, è stata unicamente la crescente [emergente] "appropriatezza" semiotica [vedi voce COMES TO FIT] .

La crescita [vedi voci VITA e SFIDA] della specie "formichiere gigante" ci sembra rientrare perfettamente in quella dinamica shock-adattiva in cui il segno è definito come "qualcosa che sta a qualcuno per qualcosa sotto qualche aspetto o capacità" ovvero: i musi allungati e le lingue stanno a un futuro formichiere (un “qualcuno”) per qualcosa che riguarda l'architettura di un formicaio.

Ma fermiamoci un attimo a regionare bene sulle parole che stiamo usando: la rappresentazione basicamente "diadica" del segno come "qualcosa che sta per qualcos'altro" con Peirce viene arricchita da una variabile di cui facilmente non si tiene conto [passa "inosservata"] ed invece è di centrale importanza perché, con Peirce, i segni stanno per qualcosa in relazione a QUALCUNO. E chi diamine è questo qualcuno? Ecco: quel qualcuno è un sé, è una seità.

Questo “qualcuno” – un sé – non è necessariamente umano e non deve implicare forzatamente una referenza simbolica, una soggettività, un senso d'nteriorità, oppure una coscienza o una consapevolezza che spesso associamo alla "rappresentazione" perché valga come tale. Il "qualcuno" di Peirce è, in effetti, qualsiasi cosa purché sia, in sé, "sia l'origine che il prodotto di un processo interpretativo". Questo "qualcuno" è, quindi, una tappa della semiosi stessa e può "dimorare" tanto in un corpo, come in molti corpi, tanto nell'animale, quanto nel vegetale, financo nell'inanimato sotto forma d'abito oramai "fissato" con tendenza all'infinito.

In semiotica, che si tratti di un formichiere o di quello che volete voi, dimentichiamoci di cose come la Natura, del Supremo Orologiaio, di Evoluzione, di Spirito Vitale, di Scatole Nere che ci parlano da dentro ma al-di-fuori dell'algebra semiotica stessa: non c'è un fuori, non c'è un oltre, non ci sono eccezioni. Per questo è opportuno considerare, filosoficamente parlando, anche il non-umano come un sé e la vita stessa come un processo signico, sebbene possa essere un processo profondamente incarnato (vedi il formichiere) ed affatto simbolico.

Ma andiamo oltre, con un altro esempio semplice.

avatarjunior
inviato il 16 Maggio 2024 ore 1:27

FIOCCO DI NEVE

Siccome siamo umani, esseri dominati dal simbolico, siamo anche inguaribilmente romantici ed abbiamo la tendenza a vedere "individualità" anche laddove questa difetta del tutto. Il più scolastico dei casi è quello dei fiocchi di neve. Visto che - al microscopio - non ne esistono due uguali siamo disposti concedere loro una sorta di privilegio individualistico persino rispetto a dei veri sé-viventi dei quali neppure ci accorgiamo che esistano. Ma vediamo meglio il tutto.

Del formichiere abbiamo parlato in relazione alla sua "evoluzione". Ma del formichiere possiamo ancora parlare, semioticamente, in relazione alla memoria: ogni formichiere è una rappresentazione iconica dei suoi antenati e, nello stesso tempo, essendo solo una somiglianza rispetto al suo predecessore (una sorta di memoria di esso), presenta anche delle differenze. In sintesi, il modo in cui il formichiere di oggi ricorda o rende nuovamente presenti le generazioni precedenti è “selettivo”. Fermiamoci qui, ora non ci serve sapere di più.

Possiamo dire la stessa cosa dei fiocchi di neve? No, perché nei fiocchi di neve il "gioco" del ricordare e del dimenticare è del tutto assente. Sebbene la particolare forma che assume un dato fiocco di neve sia un prodotto contingente della sua interazione con l'ambiente, la particolare forma che aveva assunto in un dato momento non viene mai ricordata selettivamente in un momento successivo. Spiace per loro ma i fiocchi di neve "non imparano" e la loro forma - per quanto individualmente unica - non incide affatto su quella che assumerà un qualsiasi successivo fiocco di neve quando inizierà a cadere.

Ora, se è vero che Peirce intuisce l'importanza di assoggettare anche "le cose" inanimate alla dinamica semiotica lo fa seguendo due strade e non una soltanto, il che spesso genera confusione e fraintendimenti: da un lato invoca una soglia zero, che chiama AUTO-ORGANIZZAZIONE della forma e, dall'altro, stabilisce che l'incapacità a cambiare "abito" ovvero la "fissità" equivalga alla condizione di un sé intrappolato dalla non-crescita. Due cose diverse quindi, che descivono [rappresentano] due condizioni simili, ma non uguali. La "fissità" d'abito è in relazione alla vita, l'auto-organizzazione è in relazione alla forma. Possiamo imbatterci in una, nell'altra ed in entrambe.

avatarjunior
inviato il 16 Maggio 2024 ore 8:41

INSTANZIAZIONE

Figuratevela come un fastidioso, petulante, irriducibile "ditino alzato".
Le instanziazioni sono più d'una semplice richiesta bensì sono: "le esigenze di una società o di una determinata categoria, in quanto abbiano carattere di necessità, di urgenza, e richiedano provvedimenti atti a soddisfarle". A voi pare che i fiocchi di neve pongano instanziazioni verso qualcosa o qualcuno? No, non lo fanno. Ed i formichieri invece? Vediamo.

I formichieri, abbiamo detto, di generazione in generazione, rendono nuovamente presenti le precedenti "rappresentazioni" di tunnel di formiche che si sono prodotte all'interno del loro lignaggio, ma non sono - non diventano mai - loro stessi dei tunnel di formiche. Why? Perché non la fanno "più semplice" trasformandosi essi stessi in un formicaio? Perchè In qualche modo la "forma" - pur corrispondendo sempre di piú al mondo che la circonda - mostra anche una certa chiusura circolare che le permette di mantenere esattamente un'identità con se stessa.

Con il formichiere siamo evidentemente oltre la soglia dell'auto-organizzazione, siamo piuttosto dinnanzi a delle dinamiche entropico-fisiche di livello [soglia] superiore le quali pongono instanziazioni nella misura in cui questa "forma" si impegna [vedi voce SFIDA] a mantenere la propria forma, agendo per se stessa. Il sé-vivente, quindi, che sia “confinato nei limiti della sua pelle” o piú distribuito, è ed ha come locus naturale ciò che chiamiamo agentività [vedi voce AGENTIVITÀ] . Il fiocco di neve, viceversa, non manifesta alcuna agentività, non "accoglie" nessuna sfida.

Pertanto, sebbene la semiosi sia legata ai corpi di qualsiasi livello, riguarda sempre anche qualcosa in più dei corpi stessi. E cosa? Di nuovo, qualcosa di assente: un futuro "ambiente" semioticamente mediato, che è potenzialmente simile all'ambiente a cui si è adattata una generazione [rappresentazione] precedente. Solo a questo punto - siamo nella vita - Peirce introduce la nozione di "abito" dicendoci che un sé-vivente [segno] è una previsione dello stesso. In altre parole: è l'aspettativa di una regolarità, di qualcosa che non esiste ancora ma che probabilmente esisterà. E, naturalmente, alcune previsioni possono risultare del tutto sbagliate.

avatarjunior
inviato il 16 Maggio 2024 ore 9:40

INTELLIGENZA SCIENTIFICA

Nel nostro schema di cose l'origine della vita – di ogni vita – costituisce anche l'origine della semiosi e del sé. Ogni vita mostra spontaneamente questa dinamica incarnata, localizzata, rappresentazionale e predittiva del futuro, che "coglie", amplifica e fa proliferare in future istanziazioni di se stessa la tendenza ad assumere abiti e quindi regolarità. In altri termini: qualsiasi "entità" che vada a costituire un locus del “riguardare qualcosa”, per la semiosi, può legittimamente essere considerata viva. Ciò ci spinge incedibilmente oltre il modo in cui noi siamo abituati [cartesianamente] ad intendere la vita ma ci avvicina altrettanto incredibilmente a "visualizzare" [rappresentare] non "come funzioni" ma "cosa sia" l'intelligenza non-umana. Un bel tiro di fionda.

Anni luce prima che qualcuno potesse anche solo ipotizzare l'esistenza di cose come il machine-learning ed il pensiero computazionale il signor Peirce, filosofo e matematico, coniò il termine di "intelligenza scientifica". Con “scientifica” non intendeva - ovviamente - un'intelligenza umana, cosciente o persino razionale, ma semplicemente un'intelligenza “capace di apprendere attraverso l'esperienza”. Intuite perché, chez Samsung e chez Apple, lo conoscono questo signore? E sanno di cosa stiamo parlando quando parliamo di semiotica e dei suoi "applicativi" potenziali?

I sé-viventi, al contrario dei fiocchi di neve, possono apprendere attraverso l'esperienza, che è un altro modo per dire che attraverso il processo semiotico possono "crescere". E questo, a sua volta, è un altro modo per dire che i sé-viventi pensano. E questo, cari miei, è un altro modo per dire che dispositivi-mutanti-tecno-scentifici e fotografia contenuta al loro interno "pensano". E poi arriva Daniel Dennett, filosofo modernissimo ed attualissimo (è morto appena un mese fa), che aggiunge: "Attenzione: tale pensare non deve necessariamente aver luogo nella scala temporale che sciovinisticamente chiamiamo tempo reale". Perfetto! L'intelligenza scientifica - giustamente - non è in alcun modo CONDIZIONATA da un corpo (il mio) che vivendo muore, dal tempo della vita di un individuo e neppure dal simbolico Supremo Orologiaio.

Per ora vi saluto con una provocazione: figuratevi che, quando trasferite lo status-integrale da un obsoleto iPhone ad uno più recente voi non state facendo una "installazione" meccanica ma una vera e propria "instanziazione" generazionale. Sono balle, sono apparenze descrittive, chiamarle INIZIALIZZAZIONI. Quantomeno per il modo di intendere della semiotica più recente. Ci chiediamo, ritenendo di essere nel giusto a farlo, perché non la si voglia raccontare tutta la storia: da un lato la dinamica semiotica viene palesemente industrializzata, dall'altro - fuori dall'ambito speculativo - non ci si sforza neppure un poco di spiegare cosa ci sia sotto ed intorno. Sarà mica perchè, tanto, alla fin fine, noi siamo visti esclusivamente come inconsapevoli "consumatori" ?

Buona riflessione.

avatarjunior
inviato il 18 Maggio 2024 ore 8:58

PATTERN

Il modo in cui i diversi "esseri" rappresentano e vengono rappresentati da altri "esseri" definisce i modelli [pattern] che assume la vita [patterning] . Esempio concreto: il tannino è una difesa chimica che molte piante da terreno povero hanno sviluppato contro gli erbivori. Poiché i microrganismi non possono scomporre facilmente il fogliame ricco di tannino, questo composto finisce con l'infiltrarsi nei fiumi diventando tossico anche per i pesci e per molti altri organismi. Di conseguenza, gli ecosistemi associati ai fiumi che drenano ampie estensioni di terreni sabbiosi non sono in grado di sostenere molta vita animale. Questo concatenamento a cascata origina un pattern, un modello, e questo modello evidenzia come - se i sé sono pensieri e la logica attraverso cui interagiscono è semiotica - allora la "relazione" stessa è "rappresentazione". Detto altrimenti: la logica che struttura le relazioni tra i sé è la stessa di quella che struttura le relazioni tra i segni.

avatarjunior
inviato il 18 Maggio 2024 ore 11:37

VICOLO CIECO

Il "pettern", di per sé, non è un concetto nuovo ma, il problema, è che noi umani siamo abituati a riconoscerlo quasi esclusivamente attraverso il "filtro" simbolico e ciò accade anche in tema di "relazioni". Chi studia la materia tecnologica, a questo punto, ha trovato diversi escamotage per superare questo scoglio: Latour conia il temine di "attanti" mentre Haraway quello di "intra-azione costitutiva". Sono entrambi buoni tentativi se non fosse che, entrambi, passano dal filtro del linguaggio, che a sua volta è simbolico. Successivamente, intorno al 2010, John Law, rielabora l'agency, introducendo il concetto di "semiotica materiale" e dicendo che: "all'interno della semiotica materiale un'entità conta se - come attore - fa sensibilmente la differenza. Le entità attive sono relazionalmente collegate tra loro attraverso reti [webs] e fanno la differenza le une per le altre". Ciò è interessante però non intravedete in questa definizione la stessa dinamica simbolica del linguaggio? Sono le parole che si riferiscono reciprocamente un "significato"! Allora questa "semiotica materiale" estende quest'intuizione oltre il linguistico affermando che le entità si conferiscono reciproncamente l'essere: si mettono reciprocamente, come dire, "in scena". Non ci convince questo dualismo: estendere la relazionalità linguistica ai non umani proietta narcisisticamente l'umano su ciò che si trova al di là di esso. Nel frattempo, vengono occultate altre proprietà che potrebbero consentire una maggiore comprensione della relazionalità. Dobbiamo spiegare la semiotica relazionale oltre i limiti del linguaggio [simbolico] e le sue condizionanti [troppo umane] logiche. Ci aiuteremo con una zecca, molto famosa, e molto poco "capita".

avatarjunior
inviato il 18 Maggio 2024 ore 16:46

ZECCHE E GENERI

Le zecche, secondo l'esempio accademicamente classico di von Uexküll, percepiscono i mammiferi a cui succhiano il sangue dall'odore dell'acido butirrico, dal calore e dalla capacità di rilevare le zone scoperte della pelle. Il loro mondo [come rappresentazione] è limitato unicamente a questi tre parametri. Per von Uexküll, come per altri studiosi che hanno ripreso il suo lavoro e tra i quali figura anche il famoso Agamben, il mondo esperienziale della zecca è chiuso e “povero”, nel senso che la zecca non opera nessuna distinzione tra le differenti entità. Tuttavia questa descrizione genera una palese semplificazione, che invece è centrale per i pensieri viventi e per le relazioni che emergono tra i sé che ne sono il prodotto. Le zecche non distinguono i differenti mammiferi? Va bene! Ma: anche se questo fosse vero - oggettivo - tale incapacità di discriminare cos'è? Semplice, è una forma di confusione, che ovviamente ha i suoi limiti, non è “assoluta”. Se la zecca confondesse tutto con tutto, non ci sarebbe pensiero né vita; la confusione “produttiva” della zecca è tale in quanto è vincolata. Per dirla in termini peirciani - tramite i segni - per la zecca un [ogni] mammifero è iconico di un altro. Qui alludo ad una proprietà iconica cruciale – spesso fraintesa – che sta alla base di tutta la semiosi: per la zecca i mammiferi sono equivalenti semplicemente perché non nota le differenze tra gli esseri che parassita. Ma in ciò non vi è alcuna “povertà”. Tutt'altro: questa confusione iconica è estremamente produttiva perché contribuisce alla creazione dei “generi” e cioè fa emergere una classe “generale” di esseri i cui membri sono collegati gli uni con gli altri grazie al modo in cui vengono notati dalle zecche che non operano nessuna distinzione tra loro. L'emergenza [emergente] di questa classe “generale” [terzità] è decisiva per tutti gli esseri coinvolti, e non solo per le zecche. Visto che la zecca confonde gli esseri a sangue caldo, i parassiti possono viaggiare da un mammifero all'altro. È cosí, infatti, ad esempio che la malattia di Lyme si trasmette dai cervi agli umani. Con buona pace dell'homo-sacer di Agamben.

avatarsenior
inviato il 18 Maggio 2024 ore 16:53

Continuo a seguire anche se non intervengo.
Non ho nulla da obbiettare MrGreen

avatarjunior
inviato il 18 Maggio 2024 ore 18:06

@Rocco Vitali
Allora sono lieto di contarti tra chi segue l'evolversi della cosa Sorriso

VIOLENZA

Tutti a sputare addosso ai cacciatori, che ammazzano un animale alla volta dalla notte dei tempi, senza rendersi conto che non c'è peggior forma di violenza di quella “concettuale” che ammazza in un colpo solo l'unicità di tutti quelli che vengono “categorizzati”. Ancora una volta siamo dinnanzi al potere [simbolico] del linguaggio umano che risiede nella sua capacità di staccarsi dal locale, dal qui e ora, il che produce inevitabilmente una minore “sensibilità” ai dettagli, cosa che non può accadere - invece - a cacciatore e preda nel loro etereo gioco di “morte nella vita”. Su questo vorrei aggiungere un pezzetto di Hugh Raffles, abbastanza inerente al tema: “Dopo averne collezionati per tanti anni ora ha sviluppato pure lui occhi da insetto, e nella natura vede ogni cosa dal punto di vista di un insetto. Ogni albero è un mondo a sé stante, ogni foglia è differente. Gli insetti gli hanno insegnato che i nomi generali come insetti, alberi, foglie e soprattutto natura distruggono la nostra sensibilità ai dettagli. Ci rendono concettualmente e fisicamente violenti. Diciamo: - Oh, un insetto! -, vedendo solo la categoria e non l'essere in se stesso”. Tornando a noi: i sé-viventi non sono affatto “memoriosi” come chi è incapace di dimenticare i tratti distintivi di “ogni foglia di ogni albero di ogni bosco”. Questo non è il pensare che appartiene alla vita. La vita dei pensieri dipende invece proprio dalla confusione – una sorta di “oblio” della differenza, ed è per questo che noi sputiamo addosso indiscrinatamente a tutti i cacciatori. Altroché “nobiltà” d'animo!

avatarjunior
inviato il 18 Maggio 2024 ore 22:14

NAGEL vs PEIRCE

Thomas Nagel, con un suo lavoro piuttosto noto del 2013, chiede al mondo filosofico che “Cosa si prova ad essere un pipistrello?” La risposta che ottiene dalla sua analitica è senza appello: anche se esiste sicuramente un modo di sentire cosa si prova ad essere un pipistrello in quanto seità noi non lo sapremo mai. Siamo semplicemente troppo diversi. Anche se ammettessimo che le forme di vita non umane sono dei sé, c'è una “rottura abissale” che ci separa da esse e la loro esistenza dovrebbe essere pensata come “un'esistenza che rifugge da ogni concettualizzazione”. Queste “alterità”, in parole povere, sono come il leone di Wittgenstein e cioè - anche se potessero parlare - chi li capirebbe? Come potrebbe apparire, allora, una teoria della “relazione” che non partisse dalla ricerca di una conoscenza “certa” degli altri esseri? Alterità assoluta, differenza irriducibile, incommensurabilità – sono questi gli ostacoli che le nostre teorie sulla relazione dovrebbero superare. Ma le cose stanno davvero così?

Non secondo Peirce: il fatto che esistano differenze radicalmente inconcepibili – differenze talmente inimmaginabili da essere “inconoscibili” - tutto questo - implica il suo opposto e cioè che la conoscibilità si basa su un'auto-similarità intrinseca. Occhio, siamo di nuovo di fronte a qualcosa di “auto” che implica di nuovo qualcosa come un “essere in sé”. Semmai il problema è che, la similarità come la differenza, diventano - sempre - posizioni interpretative con potenziali effetti sul futuro. Inoltre, visto che i sé sono dei locus di pensieri viventi – tappe effimere ed emergenti in un processo dinamico – non c'è nessun sé realmente unitario. Non si può mai “essere” una sola cosa, e Peirce dice : “[…] una persona non è un individuo nel senso pieno del termine. I suoi pensieri sono ciò che egli va 'dicendo a se stesso', ovvero ciò che va dicendo a quell'altro se stesso che sta appunto venendo alla vita nel flusso del tempo”.

avatarjunior
inviato il 18 Maggio 2024 ore 22:33

ROSSO

Cosa significa tutto questo? Significa che, secondo Peirce, il cogito cartesiano, l'“io penso”:
1) non è esclusivamente umano;
2) non è neppure situato nella mente;
3) non può afferrare in maniera "non mediata" il suo oggetto piú intimo: quel "sé" che riteniamo l'unico responsabile dei nostri pensieri.

Se il punto 1 può essere accettato anche dalla analitica di Nagel senza problemi e se il punto 2, con un piccolo sforzo astrattivo, può essere digerito anche da chi la filosofia non la mastica per nulla quando arriviamo al punto 3 - è lì - che inizia la semiosi ed è lì che bisogna cambiare marcia per potersela "rappresentare".

Peirce illustra il processo chiedendo di immaginare come appaia "agli altri" il colore rosso. Egli sostiene che, non essendo un fenomeno privato, è qualcosa che possiamo certamente immaginare. Possiamo persino farci un'idea di cosa sia il colore rosso per un cieco che non ha mai potuto vederlo, ma deduce dagli altri che assomiglia... al suono delle trombe! Proprio così: un non vedente, dopo aver sentito raccontare mille definizioni di cosa sia il "colore rosso" conclude che deve essere qualcosa di simile al suono delle trombe. Cosa è successo? Perchè rosso=trombe?

Che cosa ne pensi di questo argomento?


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