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Perché il soggetto della discussione non sono io. Ad essere innamorata della realtà è LA FOTOGRAFIA, per come la si è voluta trattare qui, "sensorialmente" come scrive Perazzetta Ettore poco sopra, e come "processo".
@Rfguvh_144
Io non ho fretta di concludere la mia sarchiatura dell'argomento, ma leggo sempre volentieri. Dicono i Mongoli che c'è un tempo per seminare le pietre ed un tempo per raccoglierle.
user204233
inviato il 08 Settembre 2023 ore 9:54
Io non ho ancora letto "La camera chiara", fondamentalmente perché, essendo un'opera datata, preferirei avvalermi delle infrastrutture pubbliche per una mia personale fruizione del testo.
Ma al momento, la biblioteca a cui faccio riferimento da un po', è chiusa per lavori di ristrutturazione ed adeguamento impianti.
Quanto ad Han, quale sarebbe il libro a cui fare riferimento in relazione ad una possibile connessione teorico/pratica con la fotografia?
Siamo proprio sicuri che per evolversi la fotografia (tutto attaccato) abbia avuto ed abbia bisogno del digitale?
Non è che per caso l'amalgamarsi alla fotografia (tutto attaccato) tradizionale serva alla foto-grafia digitale al fine di scrollarsi di dosso le origini video-ludiche ed elevarsi ad arte visiva?
E se domani si cominciasse a distinguere il processo fotografico (tutto attaccato) da quello foto-grafico forse, e dico forse, il mercato del settore ne risentirebbe?
@Rfguvh_144 Se vuoi leggere qualcosa di Han (in italiano) personalmente ti suggerirei di iniziare da questi libri:
- La società della stanchezza (centrato sugli aspetti sociologici) - Le non cose (centrato sulla s-materializzazione) - Nello sciame (centrato sul "vivere" on-line) - La scomparsa dei riti (centrato sulla de-ritualizzazione)
Poi ci sarebbe molto altro. Come in ogni filosofo troverai della ridondanza nei temi trattati, perché un filosofo non è un tuttologo e tende a tornare più volte sui temi che gli sono più cari esaminando da diverse angolature quello che poi è un discorso organico, che resituisce appunto una visione filosofica nella sua interezza. La fotografia viene scandagliata a più riprese, però mai in forma manualistica o stettamente "pratica".
Scrive Agamben: “È la sfrontata indifferenza che le mannequins, le pornostars e le altre professioniste dell'esposizione devono innanzitutto imparare ad acquisire: non dare a vedere null'altro che un dare a vedere (cioè la propria assoluta medialità). In questo modo il volto si carica fino a scoppiare di valore di esposizione […] Esibito come puro mezzo al di là di ogni concreta espressività”.
Tuttavia rendere un mezzo privo di ogni sua concreta espressività è il tipico terreno del “non-morto”, troppo morto per vivere e troppo vivo per morire e, non casualmente, Hegel sostiene che: “Qualcosa è vivente, soltanto in quanto contenga in sé la contraddizione, e anzi questa forza, di comprendere e sostenere in sé la contraddizione”. De Sade, infine: “Non esiste modo migliore per familiarizzarsi con la morte che di legarla a un'idea libertina”.
Venendo a ciò che invece è indiscutibilmente vivo: viva è la memoria umana, per mezzo della quale si chiarisce ciò che è già stato. Nella memoria umana ciò che è già stato si modifica continuamente: si tratta di un processo che avanza, vivo e narrativo. In “Lettere a Wilhelm Fliess” S. Freund scrive: “Come sai, sto lavorando all'ipotesi che il nostro meccanismo psichico si sia formato mediante un processo di stratificazione: il materiale presente sotto forma di tracce mnemoniche è di tanto in tento sottoposto a una nuova sistemazione in accordo con gli avvenimenti recenti, così come si riscrive un lavoro”.
Ma: “dove è il pericolo, cresce anche ciò che dà salvezza” (Holderlin). La fotografia analogica ha supportato - sin dalle sue origini - questo senso di salvezza, o quantomeno quel tipo di tensione verso qualcosa fuori di Sé, proponendosi alla memoria umana come ri-scontro interlocutorio, come aggancio al reale, cosa che la s-materializzazione figlia del digitale invece tende a mettere in crisi proprio perché talmente libertina da andare “al di là di ogni [sua] concreta espressività” come i “puri mezzi” tratteggiati da Agamben.
Nel conclusivo “qualcosa è cambiato” di Han (transizione analogico/digitale) si rimanda a segni che non capiamo, ma a cui apparentemente obbediamo, infatti : la fotografia “fotografa” anche dopo molto tempo essere stata scattata, come le rose “rosano” anche dopo molto tempo essere state piantate. Il dare-avere, l'attività di scambio con la memoria umana, il processo di riconoscimento, è un continuum spazio-temporale.
Analizzando la questione da questo punto di vista, l'imperativo “Sii libero!” sponsorizzato dalla s-materializzazione della fotografia digitale finisce con l'essere una bella zappata sui piedi per il giardiniere stesso con il risultato che le rose non “rosano” più, perché [a loro] è venuto a mancare il terreno sottostante, "in luogo e mondo".
Infine, per dirla con Marsilio Ficino: il cinghiale con le sue zanne ha ucciso il bel fanciullo Adone. Non voleva in alcun modo ferire Adone, ma soltanto accarezzarlo con le sue zanne erotizzate dal desiderio di possesso con il risultato però che il bel Adone è finito dentro una memory-card “senza tempo”, perfettamente imbalsamato ma privato di ogni [sua] vitalità cosale.
user204233
inviato il 08 Settembre 2023 ore 11:17
A me la nuova collana "Visionari" non convince del tutto, preferivo la precedente, che mi sembrava più prettamente "fotografica".
Ad ogni modo, già nell'ottocento, sembra che i parigini dedicassero, in media, circa quindici minuti al giorno alla "contemplazione di fotografie".
“ E se domani si cominciasse a distinguere il processo fotografico (tutto attaccato) da quello foto-grafico forse, e dico forse, il mercato del settore ne risentirebbe? „
@Perazzetta Ettore Questo tuo quesito mi sembra contenga anche gli altri due. A me pare che DISTINGUERE sarebbe una presa di coscienza "collettiva" importante financo essenziale. Ma chi lo deve fare per primo? Il filosofo? Il foto-amatore? Il fotografo professionista? Il produttore? cui prodest? a chi conviene?
user204233
inviato il 08 Settembre 2023 ore 11:49
Aveva ragione la Sontag?
La Arbus, dopo aver abbandonato la fotografia "commerciale e di moda...", fotografia che praticava per esigenze professionali, ma che non la rappresentava per nulla, rimase sconcertata quando "apprese" che, i soggetti da lei fotografati dopo l'abbandono del precedente "settore" di riferimento, non avessero alcuna coscienza del loro essere brutti ed orribili!
I soggetti da lei fotografati, credevano anzi, in virtù dell'attenzione loro dedicata dalla nostra simpatica "amica" suicida, l'esatto contrario!
A margine aggiungo che, forse, questa necessità di DISTINGUERE, oggi è socialmente più avvertita GRAZIE e non A CAUSA dell'avvento dell'intelligenza macchinica (AI) e delle sue applicazioni anche nella fotografia digitale. Volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, s'intende, la fotografia digitale è vittima della sua stessa digitalità, del suo essere essenzialmente un'infoma facilmente penetrabile, a tutto vantaggio del "processo fotografico" per come lo intendiamo in questa discussione. Però il mercato, a cui alludi tu, è un'altro discorso e risponde ad altre (incoerenti ma profittevoli) logiche: in un mondo s-materializzato, più gli applicativi connessi all'AI si svilupperanno, più grande sarà lo sforzo necessario per tenere in vita l'apparecchio "macchina fotografica" per come tradizionalmente intesa.
user204233
inviato il 08 Settembre 2023 ore 15:27
Ad esempio:
Quanti di questi qui avranno continuato, più o meno regolarmente, a fare fotografie negli ultimi cinque anni?
"Ad esempio:" di cosa ESATTAMENTE ????? Sei troppo avanti per me, al punto da risultarmi non intelleggibile.
user204233
inviato il 08 Settembre 2023 ore 17:43
Mah...
L'esempio era in relazione alla frase riguardante la possibilità di un'eventuale sopravvivenza della "macchina fotografica" tradizionalmente intesa all'interno dei circuiti di rete.
È corretto quello che si dice sul digitale, difatti, se la fruizione di un'immagine avviene su un qualsiasi tipo di supporto "non-fisico", la giustificazione del possesso di un apparecchio fotografico viene meno, o meglio, avrà un suo perché solo e soltanto quando la platea di riferimento sarà riconducibile all'universo "fotografico-amatoriale e/o professionale".
Se invece dovesse valere il "tutti fotografi!"... la motivazione alla base dell'esistenza delle fotocamere in senso stretto viene/verrebbe meno.
In un verso e nell'altro.
Poiché il semplice possessore di smartphone, abituato alla contemplazione di immagini tramite social media valorizzerebbe le produzioni delle fotocamere solo e soltanto in quanto non abituato alla loro fruizione e non perché queste foto abbiano un effettivo valore "artistico" in campo "fotografico".
Al tempo stesso, il fotografo amatoriale e/o il professionista, si troverà a "valorizzare" il contenuto prodotto dal possessore di smartphone poiché non abituato alla visione di tali contenuti...
Specialmente se avrà optato per la costruzione di una "bolla social" esclusivamente "fotografica".
Non sono "avanti", semplicemente sto scrivendo da smartphone e non mi va di quotare.
user204233
inviato il 08 Settembre 2023 ore 18:10
La Arbus mica era cretina, il suo percorso è perfettamente comprensibile.
La Arbus era una fotografa, la Sontag no...
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