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Linguaggio fotografico, tra analogico e digitale cosa è cambiato?


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user33434
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inviato il 14 Marzo 2020 ore 15:43

@Bergat non ho capito se dal tuo punto di vista sono due linguaggi differenti in cui uno ha spazzato via l'altro oppure se uno è una lingua morta e l'altro ne ha preso il posto.

Dicevo semplicemente che con il digitale si puo' fare fotografia nel filone classico, o nei filoni classici, con risultati che forse non saranno identici a quelli ottenibili con la pellicola ma comunque che possono essere apprezzabili.
Salgado, dopo indecisioni e a causa della maggior praticita' d'uso ha completato il suo progetto Genesi in digitale, non mi pare sia venuto male... anche dal punto di vista dei puristi della pellicola penso.

Non discutevo la qualità ottenibile, in Genesis possiamo trovare quel punto di contatto cui facevo riferimento prima, le foto sono quasi tutte concepite con un'estetica molto formale, sembra un trattato di fotografia, i due mezzi si conciliano molto bene in mano ad un grandissimo fotografo nella sua maturità. Ma se volessimo inserire delle foto scattate con il digitale in Other Americas (per puro paradosso temporale), potrebbero trovare posto? Lì dove la grana spesso esplode a sottolineare una ruvidezza nei tempi e negli spazi in cui si trovano i soggetti?

avatarsenior
inviato il 14 Marzo 2020 ore 16:03

La conoscenza di un linguaggio è la condizione necessaria per ottenere una forma di comunicazione: occorre cioè conoscere l'insieme di modi e mezzi a nostra disposizione per esprimere correttamente il concetto che abbiamo in testa.

Il linguaggio fotografico è il codice di comunicazione della fotografia.

Sinteticamente possiamo dividere l'operazione di produzione di una immagine in tre fasi, la fase dell'invenzione o progettuale (in cui si trovano le idee), la fase della ripresa e dello sviluppo (in cui si concretizzano queste idee attraverso scatto e sviluppo dell'immagine ) e la fase della diffusione (in cui si fanno conoscere le idee espresse fotograficamente).

Tra digitale e analogico direi che sono cambiate sostanzialmente la fase due e tre.

Un elemento soggettivo del linguaggio fotografico è di carattere personale: la nostra educazione, le esperienze, il carattere, la formazione professionale, la sensibilità, la cultura e di conseguenza il modo esclusivo di comunicare le nostre opinioni.
Questo ci caratterizza non solo in qualità di fotografi, ma soprattutto di esseri umani: riguardano il nostro intimo sul quale abbiamo accesso soltanto noi. Qui direi che il mezzo non può e non deve cambiarci.

Ci sono poi elementi oggettivi, esterni al nostro intimo, ma che dipendono ancora dal fotografo la scelta del genere fotografico (lo still-life, il ritratto in studio, il ritratto ambientato, la foto di moda, il paesaggio, la foto di architettura, la street). Sono tecniche che bisogna conoscere, tenendo presente il soggetto da affrontare e di conseguenza l'attrezzatura da utilizzare.
Questo è cambiato abbastanza radicalmente con l'avvento del digitale, indubbiamente è più facile oggi trovare soluzioni facili a problemi complessi, e qualsiasi fotocamera moderna, anche economica, può affrontare quasi tutte le situazioni e i generi.

Infine gli elementi del linguaggio fotografico di carattere generale, questi secondo me non sono cambiati tra analogico e digitale.
Prima di tutto capire che tipo di messaggio inviare. In secondo luogo decidere come inviarlo.
Prima di fare click è essenziale dunque disporre idee, sensazioni, opinioni in relazione al tema scelto, in modo da organizzarle ed essere concisi e selettivi nella loro esposizione, evitando di inquinare con orpelli marginali il filo conduttore principale. Occorre poi trovare un nesso logico tra un concetto e l'altro ed infine costruire una sequenza e dare unità di stile ai contenuti.
Non sempre facile, qui il digitale proprio non ci aiuta o, peggio, a volte ci confonde con le sue infinite possibilità che a volte ci portano a disperdere le energie e perdere di vista l'obbiettivo.

Considerando gli elementi che caratterizzano un'immagine fotografica possiamo così sintetizzarli, anche se in modo non esaustivo:

La luce,
La tonalità,
Il punto di ripresa,
L'inquadratura,
I piani,
I soggetti,
Il taglio, simmetrico o asimmetrico.
La sensazione di dinamismo o staticità.

Un modo infallibile per apprendere il metodi di analisi di una fotografia e capirne il linguaggio è osservare le immagini, quante più possibili e possibilmente di grandi fotografi o ritenuti tali, sulla base di questi elementi. È un esercizio ginnico per la mente e l'occhio del fotografo.
La diffusione di così tante immagini digitali anche qui può essere di ostacolo, troppe e a volte troppo mediocri, per questo personalmente preferisco ancora oggi i libri e le mostre.

avatarsenior
inviato il 14 Marzo 2020 ore 16:19

Mauro, probabilmente il risultato potrebbe non essere lo stesso.
Uno strumento, per quando duttile difficilmente puo' portare agli stessi identici risultati offerti da quello originale in caso li si voglia imitare.
Come gia' avevo detto si puo' comunque fare fotografia aderente ai dettami della tradizione anche col digitale.
Non ho mai detto ne' pensato che sia un sistema migliore in assoluto, e' semplicemente quello che preferisco in quanto permette di esprimersi in piu' linguaggi, oltre ad avere tutti i vantaggi di costo e praticita' ben conosciuti.
Personalmente di solito non mi interessa imitare gli effetti della pellicola, cerco di sfruttare le potenzialita' del digitale.
Chi continua con la pellicola e fa ottimi lavori ha tutta la mia stima e approvazione, gli strumenti sono al servizio della creativita' non viceversa.

avatarsenior
inviato il 14 Marzo 2020 ore 17:00

@Bergat non ho capito se dal tuo punto di vista sono due linguaggi differenti in cui uno ha spazzato via l'altro oppure se uno è una lingua morta e l'altro ne ha preso il posto.


Secondo me dipende dall'uso.

Se l'analogico non è stato vissuto nei tempi dovuti, la persona che oggi lo ricerca e lo attua anche inconsapevolmente lo fa come una moda.
Fatto lo testimonia che colui che usa oggi l'analogico, non lo fa nella sua interezza, non lo fa personalmente, e talvolta ne fa un uso misto. Va a scannerizzare il supporto per trasporlo poi in digitale. Chi è nato col digitale, non puo' capire l'analogico , le sue sfaccettature espressive e la volontà di raggiungere un risultato che allora era difficie, e oggi e' alla fruizione di chiunque, se si frutta il digitale.

Coloro i quali invece hanno convissuto con l'analogico, sanno effettivamente sfruttare tutto il processo che arriva fino poi alla stampa finale. Sono cose che si sono apprese in un'epoca e non si tratta solo di nozioni, ma di una capacità appresa con la pratica e con le difficoltà e gli insuccessi . Come fai ad insegnare ad un bambino ad andare in bicicletta solo con la parola?

Ecco l'analogco è una lingua morta per chi vuole accedervi adesso, è cultura e capacità per chi l'abbia vissuto.

avatarsenior
inviato il 14 Marzo 2020 ore 17:13

Nonostante ora sia digitale, quando scatto ragiono ancora in analogico, mi è difficile, ad esempio, scattare foto "tanto dopo le cancello.

avatarsenior
inviato il 14 Marzo 2020 ore 17:17

www.keblog.it/foto-bianco-nero-anni-cinquanta-vintage-dopoguerra/

avatarsenior
inviato il 14 Marzo 2020 ore 17:18

Chi ha vissuto l'analogico come esperienza di scatto, sviluppo e stampa potrebbe essere portato a mantenere lo stesso rigore anche nel digitale, evitando PP estreme, poco naturali e cercando di valorizzare piuttosto "il linguaggio e il racconto".

avatarsenior
inviato il 14 Marzo 2020 ore 17:30

BanG
E si apre cosí un'aspetto fondamentale e trasversalmente storico: quello d'una percezione diffusa e ristretta (elitaria?) del bello ... chi, o cosa, riduce questa forbice?
Stica...
Queste si che son domande.

Tommaso, benvenuto in questa gabbia di matti.

Il fatto é che discorrere di queste cose secondo me, aiuta a farsi un'opinione e soprattutto, a volte, saltano fuori nomi interessanti ^^

G
"L'arte non riproduce ciò che è visibile,
ma rende visibile ciò che non sempre lo è."

Paul Klee
***
“Quale sarà il futuro dell'immaginazione individuale in quella che si usa chiamare la «civiltà dell'immagine»? Il potere di evocare immagini in assenza continuerà a svilupparsi in un'umanità sempre più inondata dal diluvio delle immagini prefabbricate? Una volta la memoria visiva di un individuo era limitata al patrimonio delle sue esperienze dirette e a un ridotto repertorio d'immagini riflesse dalla cultura; la possibilità di dar forma a miti personali nasceva dal modo in cui i frammenti di questa memoria si combinavano tra loro in accostamenti inattesi e suggestivi. Oggi siamo bombardati da una tale quantità d'immagini da non saper più distinguere l'esperienza diretta da ciò che abbiamo visto per pochi secondi alla televisione. La memoria è ricoperta da strati di frantumi d'immagini come deposito di spazzatura, dove è sempre più difficile che una figura tra le tante riesca ad acquistare rilievo.
Se ho incluso la Visibilità nel mio elenco di valori da salvare è per avvertire del pericolo che stiamo correndo di perdere una facoltà umana fondamentale: il potere di mettere a fuoco visioni a occhi chiusi, di far scaturire colori e forme dall'allineamento di caratteri alfabetici neri su una pagina bianca, di pensare per immagini. Penso a una possibile pedagogia dell'immaginazione che abitui a controllare la propria visione interiore senza soffocarla e senza d'altra parte lasciarla cadere in un confuso, labile fantasticare, ma permettendo che le immagini si cristallizzino in una forma ben definita, memorabile, autosufficiente, «icastica»”.
Italo Calvino, Lezioni americane, ed. Mondadori, Milano 1993, pag. 102-103
Ben-G


mi fai nascere un pensiero (e di questo ti ringrazio)

Ci sará sempre il, permettetemi il termine senza accezione negativa, la persona ignorante che andrá a vedere la mostra di fotografia od i musei vaticani e coglierá solo marginalmente ció che vedrá. Si soffermerá su quello che gli piace e salterá dove non trova riscontro di piacere visivo. Ci sará altresí sempre colui che va e ha una cultura tale da comprendere molto di piú quello che sta vedendo. Gli dará probabilmente un valore diverso e magari si soffermerá sulle cose che trova piú interessanti piú che non solo davanti a ció che gli da un piacere puramente visivo.

Ed allora chi sará a modificare i linguaggi in maniera piú forte e forse anche duratura?
Probabilmente Alec Soth influirá su un certo tipo di fotografi ma soprattutto di utenti finali che guarderanno con curiositá ed interesse ad un certo tipo di approccio mentre il buon Steve McCurry invece agirá sulla massa in maniera piú vasta, il suo pubblico sará sicuramente 10 se non 20 ma che dico 100 volte maggiore di quello di Soth. (ovviamente ho preso i primi due che mi sono venuti in mente, potremmo fare svariati esempi)

ed allora il linguaggio cambierá di piú a causa del primo o del secondo? Quanto l'interesse economico guiderá le scelte artistiche e quindi di conseguenza i cambiamenti nei linguaggi?
Questo attiene ad una sorta di "etica"?

Bergat
Concordo con Sandaig. La foto scaturisce dal nostro cervello, dall'idea che abbiamo e che vogliamo realizzare. Ci approcciamo ad essa e la realizziamo con lo scatto. Cio che la macchina ci traduce, si, puo' essere migliorata con la postproduzione, ma sono piccoli aspetti parziali rispetto alla nostra idea originale, perchè l'immagine che ci appare davanti non è proprio la nostra idea originale, QUELLA che volevamo fissare, e quasi sempre, per non dire sempre, il prodotto che ne scaturisce, per chiunque tranne che per noi, non ha alcuna valenza artistica.


Attenzione peró. La foto che scaturisce dal cervello puó essere molto vicina alla scena che si ha di fronte o anche molto diversa. Ci sono menti che immaginano molto che inventano e quindi "usano" la realtá per rappresentare le proprie visioni. C'é anche chi semplicemente guarda, gli piace e scatta. Sono due cose molto diverse che portano a risultati totalmente differenti.
Non é detto che ci siano poci aspetti parziali a fare la differenza.
Ci sono molti esempi a dimostrarlo.

avatarsenior
inviato il 14 Marzo 2020 ore 17:45

A mio parere, per me che che vengo dalla fotografia degli anni 60', il linguaggio è cambiato nella misura in cui è cambiato il modo di fare fotografia.

Questo ha avuto grandi ripercussioni sul risultato finale, e quindi sul linguaggio, ma non per scelta, ma perchè sono cambiate le tecnologie.

Così come Tazio Nuvolari andava più forte degli altri in auto perchè aveva inventato, senza saperlo, la tecnica della guida in sovrasterzo, ma oggi se vuoi andare forte con tutta l'elettronica che c'è a bordo devi essere il più pulito possibile, nella fotografia mentre per fare certe cose un tempo si impazziva oggi è la cosa più semplice di questo mondo.

Il risultato è che l'asticella si è alzata e così la distanza tra analogico e digitale è aumentata.

Faccio foto sportive da più di 50 anni.
Ai miei tempi, negli anni 60', c'era la raffica. Ma era la scarica di fucileria: per fare la raffica si andava in 3 o 4 fotografi e si scattava grosso modo insieme. Uno almeno la centrava la foto.
Oggi fai 10/20 FPS da solo senza problemi per secondi e secondi ...
Per non dire della messa a fuoco, che nello sport è sempre stato un problema: oggi c'è l'auto focus, con buona pace di tutti.

Foto che una volta con l'analogico neanche si pensavano di fare, oggi si fanno senza problemi.
Basti pensare alle foto al buio.
Una volta fotografare in un ambiente come una sala dove si suonava jazz di notte era un problema, adesso è la cosa più facile di questo mondo. Ci sono fotocamere come la SONY A7S.2 che vedono la dove i nostri occhi non vedono nel buio a 400.000 ISO ...

Quindi il linguaggio si è modificato, perchè si è alzata l'asticella.

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Un paio di anni fa ho fatto una prova.

Ad una delle tante gare di sci dove facevo i miei servizi mi sono presentato con la mia fotocamera di oggi, da 10 FPS, AF, e tutte le diavolerie odierne e l'ultima reflex dell'ultimissima generazione a pellicola, prima che la casa passasse al digitale.
Ho cambiato l'ottica che avevo sulla digitale e l'ho montata sull'analogica (essendo compatibile) dove avev0 su una HP5 da 400 ISO.

Quindi scontro colore digitale contro BN analogico.

Scontro abbastanza alla pari pensavo: l'analogica viaggiava comunque sui 6-7 FPS, aveva l'autofocus a più punti, ecc. Era del resto la top di gamma dell'ultima generazione analogica.
Ma il risultato è stato disarmante.
Non c'era proprio paragone, soprattutto perchè era la resa della pellicola che non stava neanche lontanamente vicino a quella dei file digitali.

In questi termini è cambiato il linguaggio, semplicemente perchè con il digitale sono aumentati a dismisura i vocaboli del linguaggio, le possibilità espressive. Insomma la facilità di esprimersi.

Poi, quando uno sa parlare bene, si può esprimere bene tanto con una LEICA III°b del 39', così come con una ML FF di ultimissima generazione, od uno smartphone.
Ma che fatica con la LEICA III°b (che uso spesso) ...

Ripeto oggi sono aumentati i vocaboli, è aumentata la proprietà del linguaggio, si è alzata l'asticella, insomma.

user90373
avatar
inviato il 14 Marzo 2020 ore 18:11

Ripeto oggi sono aumentati i vocaboli, è aumentata la proprietà del linguaggio, si è alzata l'asticella, insomma.


M'illumino d'immenso. G. Ungaretti

avatarsenior
inviato il 14 Marzo 2020 ore 18:42

Attenzione peró. La foto che scaturisce dal cervello puó essere molto vicina alla scena che si ha di fronte o anche molto diversa. Ci sono menti che immaginano molto che inventano e quindi "usano" la realtá per rappresentare le proprie visioni. C'é anche chi semplicemente guarda, gli piace e scatta. Sono due cose molto diverse che portano a risultati totalmente differenti.
Non é detto che ci siano poci aspetti parziali a fare la differenza.
Ci sono molti esempi a dimostrarlo.


Ognuno di noi,con consapevolezza o meno, da sfogo alle proprie visioni durante lo scatto.
Cos'è in fondo la realtà se non innumerevoli realta' per innumerevoli menti che l'osservano?

I risultati sono infiniti, ma la valenza di ogni foto ha la medesima dignità e valore. Il valore del risultato è imposto solo dalle regole in cui vogliamo racchiuderlo e cio' non e' corretto.

In fisica quantistica potremmo dire che le infinite foto fatte all'interno di un museo, potrebbero attraverso opportuni algoritmi rivelare le generalità del direttore del museo.

user33434
avatar
inviato il 14 Marzo 2020 ore 21:25

In fisica quantistica potremmo dire che le infinite foto fatte all'interno di un museo, potrebbero attraverso opportuni algoritmi rivelare le generalità del direttore del museo

Da non scienziato chiedo, parli della conservazione dell'informazione?

Una volta fotografare in un ambiente come una sala dove si suonava jazz di notte era un problema, adesso è la cosa più facile di questo mondo

Sicuro che era un problema e non un opportunità per poter sfruttare alcuni limiti tecnici a fini creativi?
www.designplayground.it/2012/07/the-jazz-loft-project-eugene-smith

Ci sará sempre il, permettetemi il termine senza accezione negativa, la persona ignorante che andrá a vedere la mostra di fotografia od i musei vaticani e coglierá solo marginalmente ció che vedrá. Si soffermerá su quello che gli piace e salterá dove non trova riscontro di piacere visivo. Ci sará altresí sempre colui che va e ha una cultura tale da comprendere molto di piú quello che sta vedendo. Gli dará probabilmente un valore diverso e magari si soffermerá sulle cose che trova piú interessanti piú che non solo davanti a ció che gli da un piacere puramente visivo.

Credo che tu abbia ragione ma ai musei vaticani praticamente ogni essere umano troverà qualcosa che lo colpisce e quantomeno un'interpretazione la troverà. Quando invece uno ignorante come me si trova di fronte di fronte un opera d'arte informale ha bisogno che qualcuno lo indirizzi alla lettura dell'immagine, non ci trovo nulla di male, l'importante e mantenersi curiosi ma di fatto l'autore ha messo, anche inconsapevolmente, una distanza tra me e lui.
La visione elitaria dell'arte non credo possa far altro che spaccarla, allontanare un pubblico che inizierà a delegare agli artisti le analisi più raffinate della psiche umana senza però esserne più partecipe. L'arte diventa quindi materia per critici che però alla fine ne rimangono gli unici fruitori, per gli altri ci sono i musei vaticani, è accettabile?

avatarsenior
inviato il 14 Marzo 2020 ore 21:55

Da non scienziato chiedo, parli della conservazione dell'informazione?
L'informazione come noi la intendiamo ha tutt'altro valore nel mondo quantistico, in cui la realtà è perennemente mutevole e non certa I centinaia di miliardi di fotoni catturati dai diversi sensori attraverso un processo di convoluzione potrebbero ricreare informazioni inesistenti nell'accezione comune e incongruenti col mondo reale, ma evidenti nel sottoinsieme quantistico.

avatarjunior
inviato il 15 Marzo 2020 ore 12:29

ai musei vaticani praticamente ogni essere umano troverà qualcosa che lo colpisce e quantomeno un'interpretazione la troverà. Quando invece uno ignorante come me si trova di fronte di fronte un opera d'arte informale ha bisogno che qualcuno lo indirizzi alla lettura dell'immagine, non ci trovo nulla di male, l'importante e mantenersi curiosi ma di fatto l'autore ha messo, anche inconsapevolmente, una distanza tra me e lui.
La visione elitaria dell'arte non credo possa far altro che spaccarla, allontanare un pubblico che inizierà a delegare agli artisti le analisi più raffinate della psiche umana senza però esserne più partecipe. L'arte diventa quindi materia per critici che però alla fine ne rimangono gli unici fruitori, per gli altri ci sono i musei vaticani, è accettabile?





Prassitele, Afrodite Cnidia , 364-363 a.C., copia romana in marmo, Città del Vaticano, Museo Pio-Clementino

No! Caro Mauro, siccome sei una persona intelligente non cadere nel classico trappolone "riconosco qualcosa, quindi ho capito". Millenni di arte figurativa stanno a dimostrare come per comprendere un qualsiasi atto espressivo sia necessaria una formazione e un apprendimento. Altrimenti quello che di fronte alla copia dell' Afrodite Cnidia di Prassitele vede un bel nudo e pensa "Ammazza, che culo!" avrebbe trovato una sua strada per avvicinarsi all'opera. Purtroppo non è così. Per capire la radicalità di quell'opera dovrebbe almeno sapere che è il primo esempio di una dea rappresentata nella sua nudità; che l'eccezionalità dell'opera convinse gli abitanti di Cnido a modificare l'architettura del tempio nel quale fu posta aggiungendo un secondo ingresso per poterla cogliere da tergo; che Prassitele mise in scena un teatro erotico sofisticatissimo -la dea è immaginata sola, intenta a lavarsi, quando qualcuno entra nella stanza e la coglie nuda, dal che il gesto di coprirsi il pube e di prendere un panno- che pone chiunque si trovi davanti alla statua ad immedesimarsi nell'occasionale intruso. Per tacer del resto; postura a "S", morbidezza del modellato, patina colorata (presente sicuramente nell'originale perduto). Gran parte dei nudi che l'hanno seguita, compresi quelli fotografici, si rifanno ancora a quel modello di bellezza femminile.
E' un banalissimo esempio, ma quanto detto vale per ogni opera, anzi, in questo caso abbiamo qualche "certezza", in altri siamo ancora a lambiccarci su senso e significato; una per tutte, la Flagellazione di Cristo di Piero della Francesca.

avatarsenior
inviato il 15 Marzo 2020 ore 13:27

@Degas,

La mia stima nei Suoi riguardi era sino a poco fa abbastanza alta...ora senza rischio di piaggeria alcuna, certo qual sono della mia sinceritá, ... è volata alle stelle !!! ;-)

Ben-G

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