user46920 | inviato il 21 Maggio 2016 ore 14:14
“ Si ha una confusione babelica,tutti vogliono comunicare la loro visione ed essere capiti ma nessuno è in grado di fermarsi per coglierla e comprenderla. „ c'è approccio e approccio! e un approccio anche secondo me interessante, potrebbe essere proprio il “ rendere più libero, più "nostro" il modo di vivere la fotografia. „ con la consapevolezza. |
| inviato il 21 Maggio 2016 ore 14:24
Caro Occhio, avendolo scritto, ovviamente ne sono convinto Qualcuno ha capito, dalla mia frase, che io intendessi che è "meglio A rispetto a B". Che il tema sia tecnologia vs arte, attrezzature antiche contro ultimo modello. Non è così. Personalmente ho rispetto di ogni modo di vivere le cose. Ma trovo che non ci possa essere libertà se non ci rendiamo conto, perlomeno in minima parte, di quello che sentiamo e facciamo. Per chiarire, a chi ha compreso che si voglia sostenere qui che un approccio è meglio di un altro, dico che apprezzo che sceglie un'ottica per il gusto solo di possedere quell'oggetto, così come chi se ne strafrega di cosa sta usando perchè quel che gli preme è solo la fotografia finita, come oggetto comunicante. Ma troppo spesso l'approccio è determinato soprattutto dal bisogno di essere accettati, riconosciuti, di poter "far parte del gruppo". E allora non è più libero, non è più nostro. E quando è così, e questa è naturalmente solo mia opinione, non permette di produrre cose buone |
| inviato il 21 Maggio 2016 ore 14:59
Fotografare è come guardare il mondo con i paraocchi, non è detto in senso negativo. Qualcuno ha detto "conosciamo ciò che i sensi ci consentono di conoscere". Partendo da questo concetto che condivido in parte, perché c'è anche il modo in cui elaboriamo ciò che i sensi ci trasmettono, quindi l'approccio e, aggiungo, l'esperienza, io uso la macchina fotografica come un amplificatore dei sensi, non solo della vista. Sono consapevole del come fare, non lo sono del cosa faccio. Perché la fotografia gioca sporco, fa credere al cervello che sta osservando attraverso i sensi, in realtà prende il sopravvento su di essi ed introduce un segnale subliminale, nascosto, camuffato, di cui non siamo consapevoli, ma che condiziona il modo in cui il cervello conosce le informazioni che gli arrivano. Non è difficile capire il senso della frase " vedi la pagliuzza nell'occhio del prossimo e non vedi la trave che è nel tuo". Pertanto la critica del lavoro altrui è un esercizio degno di apprezzamento quando è costruttivo, l'autocritica è quasi impossibile se trascuriamo il fatto che tutto ciò che facciamo necessita dell'approvazione altrui. |
| inviato il 21 Maggio 2016 ore 15:01
Caspita... |
user92328 | inviato il 21 Maggio 2016 ore 15:03
Ilcentaurorosso: “ ma oggi come oggi non comprerei mai una bridge soprattutto per migliorare il mio approccio alla fotografia rispetto al cellulare „ (Ilcentaurorosso, ti garantisco che, al momento dell'acquisto della bridge, in base alle mie "esigenze del momento" è stata la scelta perfetta per me...) Ma a parer mio il punto è proprio questo, "le esigenze del momento" e di quanto siano realmente concrete e reali, o invece si è più che altro sopraffatti dagli stimoli esterni che, oggi più che mai, internet è fortemente capace di dare..... Sono stra sicuro che, avessi preso questa bridge 20 anni fa, quando internet non era cosi vitale come ora, io non avrei neppure lontanamente pensato, a 2-3 mesi dall'acquisto della macchina, di prenderne una seconda "più performante", ne sono certo, quindi che lo si voglia ammettere o meno, a mio vedere, siamo tutti succube e prede del sistema, oggi più che mai.... |
| inviato il 21 Maggio 2016 ore 15:15
Non ci pensare proprio, sapessi quante riviste di fotografia compravo, la prima cosa che leggevo era la posta, poi i test, finalmente cercavo le foto d'Autore (Photo era il Louvre cartaceo della fotografia, c'era tutto dai dagherrotipi fino a H.N.) ed infine la galleria dei lettori con il giudizio del "critico" che cestinava e salvava con tanto di voti e bocciature. Dovevi inviare la diapositiva in busta affrancata, con gli "exif" scritti a parte sul foglio, aspettavi un mese e più per vedere la tua foto stampata male in formato miserabile e bocciata per i mtotivi più futili. Nessuna possibilità di replica. I requisiti richiesti per fare il critico dovevano essere: un patologico delirio di onnipotenza ed un inguaribile narcisismo; miscela esplosiva, impossibile da immaginare per i frequentatori di internet. |
| inviato il 21 Maggio 2016 ore 15:18
Ora faccio la stessa cosa su nternet, sono proprio bacato |
user92328 | inviato il 21 Maggio 2016 ore 15:21
Gerr.nat le riviste le compravi tu perché avevi una fortissima passione, ma fai parte di quella minoranza di appassionati puri, mentre la maggioranza è altra cosa...!! |
| inviato il 21 Maggio 2016 ore 15:31
Ti ringrazio, gli amici pure apprezzavano e volevano che gli insegnassi che li accompagnassi a comprare la K1000, ma sulle foto che facevo e piacevano a me loro sorvolavano, mentre sbavavano sui refusi. Forse ho imparato più quando stampavo le loro foto che le mie. |
| inviato il 21 Maggio 2016 ore 17:11
Nel 1971 avevo 16 anni e una macchina fotografica, ma non ero "fotografo consapevole". Sono stato sempre il più piccolo del mio giro, gli altri avevano quasi tutti la ragazza o coltivavano quel tipo di interesse. Amavo il cinema, ci andavo spesso anche da solo. Una sera vidi Arancia Meccanica, e fui fotografo ed amai la musica. Stanley Kubrick era già famoso e lo avevo messo nel mio gotha per 2001 Odissea nello spazio, ma non era ancora un mito, lo divenne con il film che ho citato ma questo l'ho saputo molto tempo dopo. Pertanto non era questione di fascino per il mito di Kubrik, era questione di fotografia. Per quanto mi sforzi non riesco a ricordare una sequenza video, visualizzo solo dei frame, una serie di fotogrammi ma non una sequenza, in sostanza ricordo immagini fotografiche. Amo sempre il cinema, ma vivo di fotografia anche se non è il mio pane. Secondo voi esiste una qualche specie di imprinting per il fotografo, un modo di apprendere per esposizione ad un determinato contesto storico-sociale-antropologico-culturale-ambientale? L'approccio alla fotografia di cui si parla qui può essere condizionato dall'imprinting, imparare a fare le cose in un certo modo perché hai visto che fanno tutti così? L'approccio si evolve nel tempo, nel senso che si emancipa dal primo impulso che lo spinge verso una forma di interesse? Può, deve e riesce ad evolversi? Molti usano la locuzione "cambiare approccio". A qualcuno è successo? A me no, ergo non sum consapevole. |
user92328 | inviato il 22 Maggio 2016 ore 16:59
Gerr.nat, “ Per quanto mi sforzi non riesco a ricordare una sequenza video, visualizzo solo dei frame, una serie di fotogrammi ma non una sequenza, in sostanza ricordo immagini fotografiche. „ Strana se pur al contempo affascinante questa modalità di immagazzinare ricordi, mai sentita prima.....!! “ L'approccio alla fotografia di cui si parla qui può essere condizionato dall'imprinting, imparare a fare le cose in un certo modo perché hai visto che fanno tutti così? „ Dal mio punto di vista, credo che dipenda da quanta capacità di critica ognuno di noi abbia sviluppato, cioè, chi ha meno consapevolezza generale viene influenzato fortemente dalla moda del momento, chi invece ha sviluppato una buona capacità di critica, credo vada per la sua strada "ispirandosi/copiando" solo quello che lo affascina maggiormente.... A riguardo "L'approccio si evolve nel tempo, etc etc...." sinteticamente, dico di si... ma senza emanciparsi totalmente dal primo impulso, come dici tu.....! |
| inviato il 22 Maggio 2016 ore 17:20
“ Strana se pur al contempo affascinante questa modalità di immagazzinare ricordi, mai sentita prima.....!! „ In effetti non riusciamo ad immagazzinare i ricordi neppure come "immagine eidetica" i dettagli non riusciamo a ri-vederli, il ricordo annulla la temporalità, il movimento, e ricostruisce un'immagine virtuale, non solo delle scene filmiche ma di tutto il vissuto, reale o immaginario che sia. |
| inviato il 22 Maggio 2016 ore 17:28
“ L'approccio alla fotografia di cui si parla qui può essere condizionato dall'imprinting, imparare a fare le cose in un certo modo perché hai visto che fanno tutti così? „ Per chi non lo conosce, suggerisco il testo di Vilém Flusser, "Per una filosofia della fotografia", che continuo a trovare il più interessante e acuto sull'argomento, nonostante abbia ormai una certa età (magari solo perchè non ho ancora incontrato di meglio... ). Però penso che il livello sia più sottile: cioè... non è tanto questione del "fanno tutti così", che tutto sommato può anche risultare la via per una buona pratica (che so, per esempio: "tutti prima di pubblicare una fotografia street, si chiedono se lede la dignità di una persona riconoscibile, per cui lo farò pure io"). Ma piuttosto il fatto che si mutui inconsapevolmente un particolare senso di bello e brutto, di giusto e sbagliato, entrando in quella condizione solo apparentemente "libera", per la quale ho usato in questo topic la definizione di conformismo. Vi pare plausibile che a intere generazioni di fotografi sia importato poco o nulla di cose che viceversa oggi sembrano (universalmente) imprescindibili? E penso che proprio su quel fronte dovremmo essere particolarmente vigili e attenti, non accontentandoci di dire "io faccio così perchè a me piace così". Anche se in genere è comodo e certamente si fa prima |
| inviato il 22 Maggio 2016 ore 17:32
“ ...nonostante abbia ormai una certa età „ Chi tu o il testo? Io sono per un approccio giovanile... |
| inviato il 22 Maggio 2016 ore 17:33
Centauro.... in entrambi i casi.... dipende dal punto di vista Nello specifico, però, intendevo il testo |
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