| inviato il 13 Maggio 2019 ore 9:33
@ Ale Z... Altenmich... un topic arrivato alla fine, che hai riseumato portando, come sempre, spunti interessanti, intelligentemente. Molto è stato detto, per cui non c'è troppo da aggiungere a quanto scrivi, se non un paio di brevissime considerazioni. 1) Il ragionamento in generale e molte delle cose dette nel topic prendono spunto dal citato testo di Vilém Flusser. Come sempre in questi casi, le citazioni brevi e le estrapolazioni parziali hanno un valore molto relativo, e possono essere fuorvianti del senso compiuto di quel punto di vista. Quindi, essendo difficile andare oltre qui, per completare il ragionamento l'unica possibilità è leggere il Flusser stesso (per chi ne avesse voglia). 2) Mi soffermo solo su una delle cose che dici, ovvero “ il padrone è l'autore, dacché mette un apparecchio casualmente fotografico al servizio delle sue idee; e solo se, e solo quando un'idea gli nasce „ Qui bisogna essere cinici Credo che chiunque, interrogato al proposito, direbbe che vive e pensa secondo idee proprie. Ma allo stesso tempo, sono molti quelli che pensano alle "masse" come a qualcosa di ben poco indipendente e libero. E quindi il conto non torna Allora di solito si pensa "io sono furbo, mica sono la massa". Ma siccome poi lo pensano tutti, cioè i componenti della "massa", il conto continua a non tornare. Cosa voglio dire? Che, salvo le eccezioni che ci sono sempre state e sempre ci saranno, probabilmente la questione è che si seguono (apparentemente) le proprie idee, è vero. Ma ci si interroga poco sulla "provenienza" di quelle idee. Ed è probabilmente lì che non siamo propriamente liberi, anche se se ci sembra proprio di si |
| inviato il 13 Maggio 2019 ore 12:35
Ullallà, che rapidità! Però è bello potersi confrontare in tempi brevi. Ti ringrazio per la sollecitudine e passo all'argomento. Credo (perdona la precisazione) di aver interpretato correttamente Flusser, il cui pensiero si colloca nella più ampia corrente filosofica che si occupa del rapporto dell'uomo contemporaneo con la "Téchne" (dai filosofi già citati ad altri della Scuola di Francoforte, ed ad altri pensatori ancora, nostrani e vicini, che da quel pensiero han tratto le mosse: Gianni Vattimo, Emanuele Severino, Umberto Galimberti ed altri). Di Flusser avevo letto una traduzione ad uso privato di "Kommunikologie" e non registrerei in quanto ho scritto nella mia prima parte delle deviazioni dal concetto originale. Quanto al al secondo punto che tocchi, devo essermi espresso con poca chiarezza. Il mio scopo era di porre in evidenza un caso: quello di coloro che si pongono come riproduttori di interiorità "astratte" (sogni, dicevo per rendere l'idea): più difficilmente andranno in giro per il mondo al guinzaglio di macchine fotografiche che cercano di usarli per dei rapporti altamente condizionati dal mondo dei consumi. Avranno un rapporto più occasionale, più distaccato (così come più facilmente impiegheranno tecniche "extra fotografiche"). Pur inseriti in una società che comunica per immagini, useranno l'apparecchio solo alla bisogna, considerandolo mero strumento; proprio come i pittori del passato (pre-società strutturata sulla Téchne) - grandi o ingenui che fossero - consideravano tela e pennello. Cosa dovremmo dire delle loro opere appese nelle chiese? I condizionamenti epocali esistono e riguardano tendenze di massa, ma non è obbligatorio interpretare qualsiasi fenomeno alla loro luce, persino nella massificata società di oggi. Quale esempio (modestissimo, ma è il primo che mi era venuto in mente, poiché personale) avevo usato la mia vicenda: una volta resomi conto dell'inefficacia di quella mia comunicazione visiva, me ne sono estraniato. La tecnologia della macchina fotografica non mi aveva sedotto. La fotocamera non era padrona di me. E sulla base delle mie trascorse frequentazioni devo testimoniare che quell'esperienza non era solo mia. Ben diverso è il discorso più generale di "quella pericolosa deriva": come penso avrai capito da un paio di commenti precedenti, sono completamente allineato con il concetto. Forse, per riassumere, non sono così convinto che la Fotografia ne sia necessariamente e così compiutamente l'emblema . Può essere oppure essere meno, occasionalmente non essere; sempre tenendo a mente la differenza fra T ecnica, t ecnica e tecnologia. Per quanto ovvio, tutto ciò prescinde dal ritenersi o no di ciascuno "più libero o più furbo della massa". “ Credo che chiunque, interrogato al proposito, direbbe che vive e pensa secondo idee proprie. „ Su questo non sono proprio d'accordo, a meno che tu non ti riferisca a dei "chiunque" molto poco avvertiti. Quanto alla "provenienza" delle idee, per usare la tua efficace sintesi, è un tema infinitamente più ampio, come sappiamo. Chiudo dicendoti (mi correggerai se sbaglio) che tu stesso, pur incline al reportage, non mi sembri così tanto immerso nel vortice del consumismo delle immagini; tant'è che usi tantissimo (e positivamente) la parola. Nè, da quel che io avrei capito da qualche tuo intervento, nel consumismo del materiale tecnologico. Che, poi, usare uno strumento di adeguata efficienza per uno scopo predeterminato e deciso da un sè non del tutto plagiato dalla cultura dominante non mi sembra essere un andare alla deriva. Saranno nicchie? La mia opinione: meno di quel che si pensi, in ambiti che tendano (a prescindere dai risultati) all'espressione artistica, riproducibile o non che sia. Ma non scomodiamo Walter Benjamin... Se non ho ben interpretato le tue note, fammi sapere. E'sempre piacevole dialogare con te. AGGIUNTA POSTUMA: nel riportare il mio passo hai tralasciato la premessa fondamentale: in quel secondo caso (cioè solo in quello). |
| inviato il 13 Maggio 2019 ore 13:06
Bel dilemma in effetti. Per me è la macchina sicuramente,ognuna ha vita propria e passa le vacanze in posti diversi pensandoci. Il libro invece di solito, dovrebbe starsene buono e buonino sul comodino, senza digitare troppo sulla tastiera se non è un tascabile da viaggio. Alla mia macchina(questa) piace andare al mare(credo) non contenta e stanca di restare ferma, a forza di dai e dai è scivolata in acqua, oppure voleva fare almeno un tuffo quel giorno ma senza la muta adatta faceva freddo. C'è da dire che siamo abituaiti a pensare ad animali e cose da un punto di vista umano. Serve un progetto e studio... |
| inviato il 13 Maggio 2019 ore 13:12
Francesco, in realtà ho letto solo il tuo post di apertura e quindi mi scuso con tutti coloro che nel percorso della discussione hanno espresso il loro parere. Io francamente non sono così pessimista riguardo alla fotografia come "emblema" dell'asservimento dell'uomo alle macchine. Mi pare vi siano ben altri contesti "emblematici" che evidenzino come la pervasività della tecnologia abbia comportato, ad esempio, la "meccanicizzazione" dei processi del pensiero insieme ad una conseguente loro semplificazione e impoverimento. Con tutte le conseguenze del caso sui rapporti interpersonali, sociali (e politici). Però queste discussioni mi stimolano sempre, perché mi portano a riflettere sulla mia posizione personale, sul mio atteggiamento rispetto al mondo quando in mezzo si interpone la fotografia. Non credo che questo possa essere interessante per nessuno... se non per me. Ma penso invece che sarebbe interessante per ognuno sviluppare una piccola riflessione personale sull'argomento. Cosa che forse non tutti fanno. Con una sintesi eccessiva potrei dire che, con un apparato fotografico in mano, io "prendo" o "proietto". Ma questi due processi quasi sempre si ibridano tra loro. In ogni caso, il "programma" diventa uno strumento che io devo conoscere per indirizzare verso il mio fine. |
| inviato il 13 Maggio 2019 ore 13:47
Ammetto di aver letto e non aver capito. Sarà per un mia personale necessità di semplificare le cose. Amo la tecnologia? Non lo so. Mi piace pensare che me ne servo. Me ne servo e di conseguenza mi asservo ad essa? Può essere. Mi piace pensare di me che sono pigro. E che la tecnika fotografica é un concetto sopravvalutato. La macchina è l'estensione del mio occhio. Va lì dove le chiedo di andare. Se il risultato è diverso da quello che ho immaginato, ho sbagliato a servirmene. Se il risultato è migliore di quanto avevo guardato, ho sbagliato a vedere. La rete ci fa schiavi? Non lo so. Veicola la mia vanità di fotoamatore; mi traccia nuove rotte commerciali da foto rivenditore. Alla fine l'uomo è un animale sociale; così mi sembra di aver letto. Sennò mi basterebbe riguardare in solitudine le foto che ho fatto. Anziché proiettare il mio ego verso l'esterno. Tornando alla tecnologia. Aiuta realmente a fare foto migliori? Non lo so. Magari foto più belle. Belle nitide quantomeno. E l'estetica che peso ha nella fotografia? Per me tanta. Quindi una foto bella nitida è una bella foto? No, non necessariamente. E quanto lo sfocato rende migliore la foto? Dipende. Se lo usi e ti piace, funziona. Se funziona per me. Lo uso. |
| inviato il 13 Maggio 2019 ore 14:15
Ringrazio tutti i nuovi intervenuti, in un topic che pensavo fosse arrivato alla sua fine "fisiologica". Gli spunti di Alten, sempre interessanti per molti buoni motivi, le considerazioni portate da Caputo, le tue ultime Ale... Visto che è normale ogni intervento si snodi non in due righe, non credo sia importante io risponda a ogni considerazione che avete portato, che ha la sua valenza di per sé. Vorrei però dire una cosa, che mi pare necessaria per mantenere un binario. Il tema centrale posto da Flusser, e che è alla base del topic, non è tanto legato all'evoluzione tecnologica in sé. Quella è accidentale, visto che lui vede come scopo dell'apparecchio (che distingue chiaramente dalla "macchina") il proprio miglioramento continuo. E quindi, a differenza di altri topic di questo periodo, non credo sia così rilevante la questione del peso (poco, giusto, troppo) della tecnologia. E ovviamente non è in discussione che la tecnologia dovrebbe avere lo scopo di migliorare la vita dell'uomo e non peggiorarla Ultima nota: anche se può sembrarlo, non credo il discorso sia "pessimista" Anzi: stabilire che hai la febbre è utilissimo, perché è quello che ti porterà a curarti nel modo giusto. Viceversa, negare che la malattia c'è, può portarti a guai seri... |
| inviato il 13 Maggio 2019 ore 14:23
PS: ho omesso Alessandro perché scriveva mentre scrivevo io.... Rimedio qui |
| inviato il 13 Maggio 2019 ore 14:29
Quanti nuovi interventi! Bello. @Alessandro Traverso: avevi fatto un interessante richiamo al fatto che certe cose contengono sia il male sia la cura. Poi hai ritirato il primo post, a cui però volentieri darei la mia risposta: certo, il rischio del male è grande poiché - parlando del web - si rischia , per dirla con Maldonado, di congedare l'intelligenza critica. Per più di un fattore, come sappiamo. Tuttavia, a partire dalle osservazioni che fai tu, mi sento di condividere una speranza che si fonda sulle molteplici caratteristiche dell'uomo. Magari non a breve… Non altrettanto fiducioso mi sento al riguardo della posizione di “funzionario della “Téchne” dell'uomo contemporaneo. In un sistema culturale, sociologico, economico e produttivo che non mi rassicura… brisa, come forse direbbe Francesco. Perché, intanto, oggi, la febbre mi dà i capogiri. Tornando al topic, cioè alla collocazione della Fotografia all'interno della comunicazione visiva o della comunicazione “artistica” considerate nella loro ruolo all'interno della “Età della Tecnica”, il discorso si fa, a mio avviso, più intricato. E, come vedi, opinabile, rischiando un eccesso di astrazione. |
| inviato il 13 Maggio 2019 ore 14:42
Caro Alten, per dare ancora più pepe alla cosa, sintetizzo (spero decentemente) un "giro" che mi pare Flusser sottintenda... 1) L'uomo crea l'immagine, che non è per definizione realtà. 2) Altri uomini vedono, apprezzano, lo rifanno. E dopo molti rifacimenti ci si convince che quella è realtà. 3) L'apparecchio (attraverso il progrettista) si migliora, nel senso di produrre meglio possibile quella non realtà. Tutto questo in un loop in cui non è più così certo ed evidente se: A) i paesaggi si volevano fare con 12 millimetri e allora sono arrivati i 12 millimetri, oppure se (invece) B) prima non interessava a nessuno ma, adesso che i 12 millimetri ci sono (perché il progettista li ha creati e l'industria li ha diffusi) sembra ovvio e naturale che sia così |
| inviato il 13 Maggio 2019 ore 15:22
E' proprio per questo che volevo evidenziare le potenziali differenze fra un paio di tipi di soggetto fotografante. Il primo usa la macchina fotografica (o, fuor di metafora, per uniformarci nella terminologia: l'apparecchio) come un ovvio tramite per partecipare al processo indotto del "così fan tutti": il "man" della vita inautentica di Martin Heidegger. E, proprio come nell'ultimo esempio che fai, partecipa al circuito B): culturalmente, funzionalmente e consumisticamente. Il secondo soggetto, animato da desideri artistici, cioè creativi (che ci riesca o no qui non rileva), prende ipso facto (consapevolemente o non) distanza dai modelli del "man". L'apparecchio fotografico si riduce a somma di strumenti tecnologici ed informativi. Ovviamente la linea di demarcazione è sfumata: talora io mi esprimo con delle categorie solo nel tentativo di esser più chiaro. Tuttavia, come ho scritto un pò più su: "... non sono così convinto che la Fotografia ne sia necessariamente e così compiutamente l'emblema". Ora, rileggendo, mi accorgo che avrei espresso meglio e meno frettolosamente la mia opinione scrivendo: "... tutta la Fotografia...". Ma l'avrai capito lo stesso. Lungi da me (l'avrai già registrato in passato) il non riconoscere un fenomeno generale come "quello là". Solo, nel descrivere le tendenze generali, si devono trascurare necessariamente fenomeni anche interessanti, di valore anch'esso storico. Come quello della creatività ( ), che esiste da sempre. E speriamo che non si estingua, sennò non ci passerà la febbre. [Mi avevi scritto che "creatività" è una parola che ami poco. Son certo che nel soprastante contesto l'accetterai] |
| inviato il 13 Maggio 2019 ore 15:26
Ho letto questo interessantissimo libro: https://www.amazon.it/Cromorama-colore-cambiato-nostro-sguardo/dp/8806 so che sembra non centrare una beneamata mazza, ma le considerazioni di Francesco mi riportano ad alcune cose dette li. Si fanno vari esempi per mostrare come comunque siamo influenzati da dove viviamo e dal contesto culturale, un esempio banale riguarda il fatto che per noi i colori hanno tutti lo stesso valore e sono una proprietà di un oggetto, ho un maglione rosso, ma posso averlo di qualunque altro colore, prima non era così. E' chiaro che il modo con cui ragioniamo influisce sul modo di costruire le immagini e sulle scelte che facciamo, ma non possiamo ragionare al di fuori del nostro contesto culturale, lo viviamo, ci siamo cresciuti, questo evolverà nel tempo e si faranno scelte diverse |
| inviato il 13 Maggio 2019 ore 15:38
Grazie del contributo Matteo: appropriato, come sempre sono i tuoi... Credo anche io che, seppure si tratti di due temi apparentemente distinti, si parli in fondo una lingua non dissimile. Non ho letto il libro, ma dalle cose che ne accenni se ne può intuire quantomeno la "direzione". E mi pare che, analogamente quindi alle faccende di cui stiamo parlando qui, l'idea che tutti pensiamo in modo apparentemente libero, ma in realtà molto più circoscritto di quel che riteniamo, si riproponga chiaramente... E che se ne possono trarre due semplici considerazioni: ovvero, la prima, che il contesto culturale (o chiamiamolo come vogliamo) è un motore potentissimo e decisivo. La seconda, che poterlo influenzare (tale contesto) può portare a revisioni anche rilevanti della percezione di ciò che è vero, reale. E' certamente una banalità, lo so. Ma per quanto banale, applicata al ruolo dell'immagine così come la viviamo ogni giorno non sembra poi così evidente... |
| inviato il 13 Maggio 2019 ore 15:57
Certo! Ma non affronterei il tema della natura della conoscenza. Sono almeno ottomila anni che l'uomo ci si affanna su; tre migliaia dalle nostre parti: dai filosofi greci sino alle odierne scienze cognitive; passando per teologi, neurofisiologi, filosofi, logici matematici, psicologi, persino la mia ex suocera... Come quello delle sue matrici, fra natura e cultura: lì mia suocera sembrava dimostrare il dominio del primo termine. Come ripeto sovente, sono diffidente dei topic. Questo, però, è stato così piacevole che, quasi quasi... Adesso vado a farmi un buon caffè. Ciao |
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