| inviato il 21 Marzo 2024 ore 23:44
@Ivo6767 intervento decisamente interessante! “ La domanda che mi ponevo invece, e in merito alla quale mi piacerebbe sentire più opinioni possibile è questa: Il digitale fornisce indubbiamente grandissime possibilità di manipolare le immagini, molto più di quando non sia possibile fare con l'analogico (anche se pure con quello si può fare parecchio). Intendo "manipolare" in senso buono, nel senso di esercitare il controllo su moltissimi parametri che creano l'immagine. Non pensate che tutta questa libertà oltre che un vantaggio per chi sa servirsene possa essere una trappola per chi invece ci annega dentro? „ Prima alcuni parametri erano fissati una volta scelta la pellicola, pertanto al fotografo restava principalmente la parte dello scatto mentre sviluppo e stampa era quasi sempre rimandato ad un altro professionista (o macchinario...), che nel peggiore dei casi il lavoro di solito lo faceva discretamente. Ma ancora oggi può essere così anche nell'ambito del digitale: basta fissare gli ISO, impostare il bilanciamento del bianco, lo stile di elaborazione della foto (+/- contrasto, +/- saturazione etc.), disattivare le correzioni in camera e scattare in JPEG. Si fissano gli stessi limiti e si impara a fotografare proprio come una volta ma a costo nullo. La fotografia finale sarà fondamentalmente diversa, il processo di stampa anche ma l'approccio allo scatto è il medesimo. |
| inviato il 22 Marzo 2024 ore 0:09
Ivo6767: contributo molto interessante, grazie. |
| inviato il 22 Marzo 2024 ore 1:37
“ Non mi pare che sia cambiato molto se affrontiamo questo discorso da questa visuale. Anche prima molti annegavano. Forse prima era meno noto perché non c'era internet, per cento che iniziavano dieci andavano avanti spediti venti si dannavano, quaranta si creavano atroci dubbi ma non mollavano e trenta vendevano tutto come succede oggi con le reflex e le mirrorless e quanti tornano alle compatte. Sono solo cambiati i tempi, le abitudini e le usanze, il commercio ha sempre fatto ottimi affari su tutti e così si va avanti ancora per altri orizzonti da oltrepassare. „ Definitivo! |
| inviato il 22 Marzo 2024 ore 6:14
Per ragioni di lavoro ho seguito fin dal 1981 il passaggio dall'analogico al digitale. Si perché nel 1981 esisteva a Londra il primo studio in cui dopo la digitalizzazione di un fotocolor veniva trasferito tutto su nastro e poi tramite un elaboratore che si chiamava Quantel e che costava un paio di miliardi delle vecchie lire si realizzavano ritocchi fotografici ad alto livello per la pubblicità. Poi ho seguito tutta la sua evoluzione con l'introduzione dei primi mac (quadra) nelle aziende grafiche per impaginare ed iniziare a fare le prime elaborazioni con photoshop 1 fino all'anno 2020 quando mi sono ritirato da quel mondo ed ora sono pensionato. Per la mia esperienza, posso affermare che un fotografo sia professionale che amatoriale, di base nel passaggio da un sistema all'altro ha dovuto imparare a vedere in modo diverso e quindi ad usare un linguaggio diverso per poter tradurre la sua esperienza in un altro sistema. Per fare un esempio, nel sistema tradizionale del ritocco di immagini e nella correzione del colore si usavano pellicole positive e negative a tinta continua nel formato esatto del formato che serviva. Quindi il cromista che era la persona che oggi si chiama colorist, ragionava in CMYK e non in rgb. Aveva quindi 4 pellicole a tinta continua in B/N che abbinate poi corrispondevano al colore. Quindi con una sostanza chiamata ferro-cianuro con un pennello scioglieva praticamente i granuli di argento pian piano su ogni pellicola corrispondente a un colore. Capite quindi che aveva nel cervello uno spettrometro e solo la sua esperienza era il mezzo per avere una stampa corretta. Poi una volta finita la cromia si metteva la pellicola in tinta continua a contatto con un retino che creava i punti ad una precisa inclinazione per ogni colore che una volta stampata dava il famoso effetto a rosetta e creava l'immagine a colori. Con l'avvento del digitale i cromisti hanno dovuto imparare a vedere il lavoro già retinato e di conseguenza ragionare coi numeri. Vedere che aprivano i file in CYMK in bianco e nero e controllavano la percentuale di ogni zona e ogni colore avendo nel cervello il risultato a colori e vederli usare le curve al posto del pennello e creare maschere di scontorno per riservare alcune zone, vi assicuro che era ancora quasi una questione di alchimia. Oggi è cambiato tutto, si ragiona in rgb e tutto è più veloce e intuitivo, si è persa la magia dell'alchimia, ma si è guadagnato in altre cose. Quello che però conta è la creatività di chi crea immagini e tornando ai fotografi professionisti oggi possono elaborare le loro immagini cosa che prima era cosa impossibile. Questo gli permette di essere più precisi nel comunicare tramite una loro immagine in modo più personale e intimo del termine. I fotoamatori prima dovevano dipendere per il colore dai laboratori, per il B/N era diverso si faceva tutto in casa. Oggi elabora le sue immagini e se acquista una stampante digitale si stampa le sue foto a casa. Questo gli permette come ai fotografi professionisti di essere più precisi nel comunicare tramite una loro immagine in modo più personale e intimo del termine. Se poi parliamo di arte fotografica allora il discorso è un poco più complesso ma anche più appassionante. Buona luce a tutti. ********************* SPLENDIDO caro Ivano... in un unico intervento hai condensato cinquant'anni di Storia della Fotografia, e perché no anche della Tipografia. I miei complimenti, Paolo. |
| inviato il 22 Marzo 2024 ore 9:15
Ivo6767 parole sagge, non c'è altro da aggiungere |
| inviato il 22 Marzo 2024 ore 9:19
“ Non mi pare che sia cambiato molto se affrontiamo questo discorso da questa visuale. Anche prima molti annegavano. Forse prima era meno noto perché non c'era internet, per cento che iniziavano dieci andavano avanti spediti venti si dannavano, quaranta si creavano atroci dubbi ma non mollavano e trenta vendevano tutto come succede oggi con le reflex e le mirrorless e quanti tornano alle compatte. „ Vero, ma io pensavo alla mia esperienza di fotoamatore, simile, immagino a quella di altri. Con l'analogico facevo soprattutto diapositive, quasi sempre Kodachrome. Bene, una volta capito quali erano i soggetti illuminati nel modo giusto, scelta la pellicola, capito come avrei dovuto regolare l'esposizione (quello stop o mezzo stop in meno per saturare i colori) e scelto delle ottiche capaci di darmi una resa che mi piacesse (Zeiss per C/Y) la cosa finiva lì: scattavo, al limite facendo delle varianti di composizione ed esposizione (ma non troppe, la pellicola costa...) e la cosa finiva lì. Quando mi tornavano le dia sviluppate tenevo quelle che mi piacevano e buttavo le altre. Magari ne stampavo anche qualcuna, ma anche lì l'unica cosa possibile per un fotoamatore era trovare un laboratorio che stampasse in maniera decente, e poi ti tenevi le stampe come erano. Oggi la parte dello scatto non è cambiata molto, salvo per il fatto che, siccome so già che avrò un certo margine di recupero dell'esposizione, conoscendo quel che fa il sensore, non espongo più in funzione della resa finale ma espongo in modo da avere un buon raw, se poi l'immagine finale sarà in low o hight key in fase di scatto non importa più, si fa dopo. Quindi scatto un po' come sempre, ma poi, quando vado a casa dallo stesso raw comincia un'avventura che potrà portarmi a produrre una buona immagine, gradevole ed interessante, oppure una ciofeca inguardabile. Oppure anche diverse versioni, magari pure tutte abbastanza valide, dello stesso scatto. E' a questa grande libertà che mi riferivo nel titolo, che mi permette di fare cose che con l'analogico non avrei potuto fare se non, forse, avendo a mia disposizione uno stampatore col quale fare diverse prove prima di arrivare alla stampa definitiva (ma era fantascienza, col colore, per un fotoamatore), ma che mi può anche portare ben fuori strada. E forse da questa libertà, quando le cose non funzionano, viene la tentazione di scappare. Mi ricordo una scena alla quale ho assistito anni fa, nel periodo in cui molti passavano al digitale: in un negozio di fotografia il titolare, un po' avanti con gli anni, che smadonnava perchè con lightroom non riusciva a ottenere immagini decenti... |
| inviato il 22 Marzo 2024 ore 9:41
Vero, ma io pensavo alla mia esperienza di fotoamatore, simile, immagino a quella di altri. Con l'analogico facevo soprattutto diapositive, quasi sempre Kodachrome. Bene, una volta capito quali erano i soggetti illuminati nel modo giusto, scelta la pellicola, capito come avrei dovuto regolare l'esposizione (quello stop o mezzo stop in meno per saturare i colori) e scelto delle ottiche capaci di darmi una resa che mi piacesse (Zeiss per C/Y) la cosa finiva lì: scattavo, al limite facendo delle varianti di composizione ed esposizione (ma non troppe, la pellicola costa...) e la cosa finiva lì. Quando mi tornavano le dia sviluppate tenevo quelle che mi piacevano e buttavo le altre. Magari ne stampavo anche qualcuna, ma anche lì l'unica cosa possibile per un fotoamatore era trovare un laboratorio che stampasse in maniera decente, e poi ti tenevi le stampe come erano. ********************* Il nocciolo della questione è proprio questo amico mio: quello che per TE è il limite della diapositiva, quello cioè di restituirti sempre la stessa identica (e noiosa?) resa, per ME è il suo maggior pregio, perché mi mette al riparo da impreviste e, per questo, spesso anche sgradite, sorprese. |
| inviato il 22 Marzo 2024 ore 9:55
... quasi sempre Kodachrome. Bene, una volta capito quali erano i soggetti illuminati nel modo giusto, scelta la pellicola, capito come avrei dovuto regolare l'esposizione (quello stop o mezzo stop in meno per saturare i colori)... ******************* Ritorno su questo punto per una piccola nota a margine: in quegli anni ('70/'80) la diapositiva Kodachrome, nelle sue due declinazioni: 25 e 64 asa, era la pellicola di riferimento nel mondo dell'editoria, dove era apprezzata per le sue caratteristiche, non ultima la bassa saturazione cromatica. In quegli stessi anni viveva il suo periodo d'oro, soprattutto nei circoli fotografici, la proiezione di diapositive e ovviamente i fotoamatori prediligevano quelle che erano le emulsioni del professionisti, quindi Kodachrome, soprattutto la 64 asa, oppure la relativamente meno costosa Ektachrome 64 asa. Come ho premesso le Kodachrome, in modo particolare ma lo stesso valeva anche per le Ektachrome, in chiave di proiezione abbisognavano di una sottoesposizione anche marcata, circa 1/3-1/2 stop per le Ektachrome e 1/2-2/3 per le Kodachrome che, di fatto, era considerato lo standard esposimetrico ideale per la proiezione. Nel 1990 Fuji immise sul mercato quella che sarebbe divenuta la pellicola più amata e/o odiata, ancorché incompresa della Storia, la Velvia 50: una pellicola che per le sue doti di grana fine unita a una elevata Risoluzione in breve tempo soppiantò sia le Kodachrome che la Ektachrome. Una pellicola eccezionale che però non conquistò mai del tutto i cuori dei suoi tanti utenti i quali, memori della piuttosto scarsa saturazione delle Kodak, per anni andarono avanti esponendola come se fosse appunto una Kodachrome per poi lamentarsi del fatto che la Velvia 50 non era una 50 asa ma una 40 asa... se non addirittura una 32 asa |
| inviato il 22 Marzo 2024 ore 10:07
“ Miopiartistica: Magari ne stampavo anche qualcuna, ma anche lì l'unica cosa possibile per un fotoamatore era trovare un laboratorio che stampasse in maniera decente, e poi ti tenevi le stampe come erano. „ Fotografare e stampare immagini sono due cose diverse. Io scatto (anche) foto su pellicola e, non potendo pagare nessuno che faccia il lavoro in camera oscura per me, digitalizzo i negativi e poi ho le stesse possibilità che ho con le foto della fotocamera digitale. Quindi la questione non si pone per me in questo modo. E sì, si possono buttare via le diapositive non correttamente esposte se si vuole solo proiettarle. Dopo la digitalizzazione, si può ancora recuperare qualcosa. |
user207727 | inviato il 22 Marzo 2024 ore 10:08
Poi c'è chi fa come me: faccio foto a pellicola, scannerizzo e post produco a piacimento... |
| inviato il 22 Marzo 2024 ore 10:37
Quindi secondo voi una pellicola scansionata - quasi sempre alla carlona - ha le stesse possibilità di manipolazione di un file digitale nativo? Siamo a posto |
| inviato il 22 Marzo 2024 ore 10:56
Però c'è da divertirsi, chi scatta a pellicola per poi ottenere una stampa digitale che somigli ad una chimica e chi, invece, scatta in digitale per poi stampare argentico con caratteristiche "pellicolare". Vantaggi pochi, smaronamenti molti. |
| inviato il 22 Marzo 2024 ore 10:56
“ Vero, ma io pensavo alla mia esperienza di fotoamatore, simile, immagino a quella di altri. Con l'analogico facevo soprattutto diapositive, quasi sempre Kodachrome. Bene, una volta capito quali erano i soggetti illuminati nel modo giusto, scelta la pellicola, capito come avrei dovuto regolare l'esposizione (quello stop o mezzo stop in meno per saturare i colori) e scelto delle ottiche capaci di darmi una resa che mi piacesse (Zeiss per C/Y) la cosa finiva lì: scattavo, al limite facendo delle varianti di composizione ed esposizione (ma non troppe, la pellicola costa...) e la cosa finiva lì. Quando mi tornavano le dia sviluppate tenevo quelle che mi piacevano e buttavo le altre. Magari ne stampavo anche qualcuna, ma anche lì l'unica cosa possibile per un fotoamatore era trovare un laboratorio che stampasse in maniera decente, e poi ti tenevi le stampe come erano. Oggi la parte dello scatto non è cambiata molto, salvo per il fatto che, siccome so già che avrò un certo margine di recupero dell'esposizione, conoscendo quel che fa il sensore, non espongo più in funzione della resa finale ma espongo in modo da avere un buon raw, se poi l'immagine finale sarà in low o hight key in fase di scatto non importa più, si fa dopo. Quindi scatto un po' come sempre, ma poi, quando vado a casa dallo stesso raw comincia un'avventura che potrà portarmi a produrre una buona immagine, gradevole ed interessante, oppure una ciofeca inguardabile. Oppure anche diverse versioni, magari pure tutte abbastanza valide, dello stesso scatto. E' a questa grande libertà che mi riferivo nel titolo, che mi permette di fare cose che con l'analogico non avrei potuto fare se non, forse, avendo a mia disposizione uno stampatore col quale fare diverse prove prima di arrivare alla stampa definitiva (ma era fantascienza, col colore, per un fotoamatore), ma che mi può anche portare ben fuori strada. E forse da questa libertà, quando le cose non funzionano, viene la tentazione di scappare. Mi ricordo una scena alla quale ho assistito anni fa, nel periodo in cui molti passavano al digitale: in un negozio di fotografia il titolare, un po' avanti con gli anni, che smadonnava perchè con lightroom non riusciva a ottenere immagini decenti... „ @Miopiartistica ho capito quello che intendi, ma vedi nell'analogico già avevi un approccio di compromesso nel scegliere il materiale fotografico con cui scattare. Vengo al dunque, se scatti in Kodacrome poi sviluppi un positivo, se poi vuoi delle stampe devi fare un cibacrome ovvero stampare da positivo e non da negativo. Questa cosa a livello professionale è un suicidio. Ti posso assicurare che il Kodacrome (a proposito di Kodacrome andate a vedere il film che è veramente illuminante per capire il mondo dei fotografi dell'analogico) lo conoscevo come le mie tasche. Per lavoro negli anni 90 andavo a Catalina per fare shoting di costumi da bagno e si scattava tutto in Kodacrome, all'inizio il Kodacrome era sviluppato solo a New York in modo professionale e mi facevo Catalina New York solo per sviluppare e poi a Milano in agenzia. Ma torniamo al positivo e negativo, se vuoi avere una gamma dinamica da poter far sognare chi vede le tue foto oggi, ha ragione Paolo si ha solo con la proiezione. Questo è dovuto al fatto che come ho già detto gli scanner che possono ridare la vera sensazione del Kodacrom, ma anche della Velvia non ci sono più. Vediamo adesso il lato tecnico di fotografare in analogico in dia, scattare in positivo a colore si ha il maggior risultato se si guarda per trasparenza, quindi in sintesi additiva ovvero in rgb per trasparenza dove la somma dei valori 255+255+255 risulta essere bianco. Da questo fatto dipende tutta la tecnica di costruzione della pellicola per avere la massima resa. Ora vediamo il modo di scattare in negativo in analogico. Scattare in negativo ha tutto un altro percorso per arrivare a vedere quello che ho fotografato. Vediamo la differenza, scatto in negativo colore dove ho tra parentesi più possibilità di controllo e correzione per arrivare alla fine in una stampa su carta o altri materiali. Una stampa si guarda per riflessione il colore, quindi in modo in sintesi sottrattiva ovvero devo togliere colore per avere il bianco. Tutto questo fa capire come sia completamente diversa la costruzione di una pellicola positiva da una negativa. Per rendere meglio il concetto, quando si usavano gli scanner a tamburo professionali si applicava la dia su un rullo di vetro e si metteva un olio speciale tra il film e il vetro in modo da avere la gelatina appiccicata al vetro senza micro-bolle d'aria e per poi poter rimuovere il film senza rovinare la gelatina che doveva essere messa a contatto del vetro. Questo permetteva di avere un fuoco perfetto e una programmazione dello scanner che portava ad avere una qualità di nitidezza senza confini. Difatti si doveva sempre rilavare il film perché altrimenti si sarebbero visti gli aloni che l'acqua lasciava sul film e non visibili a occhio umano. Bene ora se si doveva partire da un negativo non si metteva il negativo sul tamburo in vetro, (come qualcuno sosteneva un negativo è un positivo un poco meno denso) ma si faceva una stampa fotografica di formato adeguato per l'ingrandimento finale della scansione. In genere due o tre volte più grande per perdere la grana sulla carta ingrandita rispetto al negativo. Questo era dovuto alla completa diversità della densità e gamma dinamica tra un positivo e un negativo che non correggi in digitale. Ora tutto questo è solo per far comprendere che è sbagliato intellettualmente parlando considerare un professionista la voce veritas e un amatore un mediocre che vuole stare al pari del professionista o peggio rubargli il lavoro. Sono solo due realtà diverse con problemi diversi, entrambi devono trovare il compromesso migliore per stare nel loro budget e arrivare al risultato a cui ambivano. Quello che distingue i due mondi sono la differenza di problematiche tecniche da superare, il professionista deve essere eccellente sia creativamente che tecnicamente, l'amatore per via del suo budget fortemente penalizzato rispetto al professionista deve cercare una narrazione diversa per poter dare il massimo anche a livello tecnico. Credimi ho visto tanti professionisti più ignoranti di un amatore ed anche meno creativo, come ho visto tanti amatori atteggiarsi a professionisti solo perché avevano un'attrezzatura da professionista, che poi se si andava a vedere non sapevano usare per avere il massimo. Di vero è che il digitale e l'analogico sono due mondi diversi, viaggiano su binari che sono paralleli ma non si possono incontrare nemmeno all'infinito. Poi che il digitale ha portato molta più gente ad avvicinarsi al mondo della fotografia è vero, come è vero che con il digitale siamo arrivati ad un punto molto avanzato in fatto di qualità, però questo è il progresso. Se devo fare una riflessione su cosa ha veramente determinato una facilità nello scattare foto tecnicamente valide, non è di certo il sensore rispetto alla pellicola o i megapixel e altre storie che hanno origine nel marketing e non nella tecnica. Quello che oggi fa veramente la differenza è il modo della messa a fuoco, perché una foto sfuocata si buttava prima e si butta adesso. Per fare un esempio se si fosse mantenuto la pellicola e i corpi macchina analogici e si fosse sviluppato la messa a fuoco nei corpi macchina a pellicola oggi il digitale sarebbe una nicchia. Porgo una domanda per poter far capire tutto il mio discorso, secondo voi perchè canon ha sfornato la R6 che poi ha un sensore di derivazione da una vecchia ammiraglia a 20 megapixel e con una messa a fuoco da paura? Ma ancora meglio vediamo la correzione con la R6 MK II 24 Megapixel e migliorie in ambito video. Non è che 24 megapixel possono far stampare un A0 con qualità visiva ottima? Allora oggi il vero passo successivo è la possibilità di fare video con qualità fotografica. Canon più di dieci anni fa aveva detto tra le righe che tendenzialmente nel 2024 la fotografia poteva diventare superata dal video (ovviamente non a livello professionale per progetti altamente di qualità) di fascia media. E concludo questo poema dicendo: "ma secondo voi perché sto valutando di passare da una 7D ad una R6 MK II? Buona luce a tutti... |
| inviato il 22 Marzo 2024 ore 11:24
“ Vorrei... ma nn ce la faccio a leggere tutta sta roba MrGreen MrGreen Eeeek!!! „ Pensa a quando devi leggere il manuale di un nuovo corpo macchina, o quando devi leggere un manuale per capire una tecnica.   |
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