| inviato il 16 Agosto 2023 ore 12:19
@Simone Rota, forse stiamo parlando della stessa cosa, ma con due metri differenti. Non serviva riportare la storia della foto di Capa, storia che per altro tutti quelli che seguirono per un po' negli anni '70-80 conoscono; il punto non era la veridicità di "quella" foto in particolare, ma se la realtà "fisico-ottica" di ciò che stai inquadrando sia il vero quid della realtà fotografica. Il fatto che fosse stata messa in discussione la foto di Capa non ha importanza di per sé, ma perché fece emergere un problema spesso taciuto o sottovalutato, ovvero che, effettivamente, una ricostruzione fatta ad arte per scattare la "buona" foto NON può mai essere la realtà dell'episodio che pretende di ricostruire, nonostante rispetti tutti i crismi "fisico-ottici" del caso. Va da sé che se ritrai l'evento "reale" e non la sua ricostruzione, devi ritrarlo rispettando anche quei crismi, ma è evidente che quest'ultimo aspetto non sia più quello primario, ma ne diventi soltanto un sia pur imprescindibile corollario; l'aspetto primario è la realtà dell'evento in sé. Ho il sospetto, infatti, che gran parte della disinvoltura con cui in epoca recente si è diffuso il fake fotografico, almeno prima delle facilitazioni del digitale e dell'AI, sia dovuta proprio al fatto ci si poteva sempre nascondere dietro all'alibi della "realtà" fisico-ottica portato all'estremizzazione. Un esempio banale: oggi, anche i polli sanno che le foto pubblicitarie dei prodotti alimentari ritraggono spesso "oggetti" che di alimentare non hanno nulla, ma intanto si è resa necessaria una legislazione internazionale che obbligasse a "far notare" che quelle foto avevano solo la funzione di "presentare" il prodotto (dove la "finesse" di quell'espressione è il frutto di una mediazione dopo un lungo braccio di ferro con i produttori di quei prodotti, che erano anche i committenti di quelle foto). In precedenza, però, quei set ricostruiti avevano raggiunto un tale livello di "elaborazione" che molte delle foto che ne derivavano erano una reale frode nei confronti del consumatore, nonostante la loro assoluta realtà fisico-ottica; questo perché il tutto nasceva, fin dalla committenza, proprio per ingannare il consumatore. Allora, se si tratta di immagini artistiche, illustrazioni di libri Fantasy, o di Fantascienza, o simili, non ho alcun problema a stimare tanto il fotografo che sia riuscito a costruire una scena di fantasia senza ricorrere alla post o all'AI, quanto chi invece ne abbia fatto uso a man bassa, ma quando si tratta di reportage o comunque di presentarmi la cosiddetta "realtà" di un fatto, allora non accetto né l'uno, né l'altro, con buona pace della realtà fisico-ottica di quello scatto. |
| inviato il 16 Agosto 2023 ore 12:34
Lasciando perdere immagini chiaramente manipolate e lontane dall'aspetto del soggetto fotografato (immagini adatte alla pubblicità o all'editoria) mi domando questo: se fotografo una mia amica non in una situazione particolare, ma una semplice foto posata che la mostri per come la conosco, e le tolgo un brufolo che la settimana prima non c'era e la settimana prossima non ci sarà più, ho falsificato la realtà? E se ha un capello fuori posto e lo faccio sparire? Mah... Non so se si possa dire così, ma a me pare che da parte di qualcuno ci sia un realismo che definirei 'sano', rispettoso della verità, ma senza essere bigotto, e da parte di altri ci sia qualcosa di morboso, che verrebbe voglia di chiamare 'feticismo della realtà'. |
| inviato il 16 Agosto 2023 ore 13:33
@Miopiartistica A mio parere nel tuo discorso ci sono 2 questioni: il piu' importante e' la destinazione dello scatto. Se x uso personale..puoi fare tutto cio' che vuoi a tua discrezione. Se la foto fosse x il passaporto (documentazione) non la puoi modificare, ma del resto nemmeno avrebbe senso. La seconda questione e' quella dell'entita' delle modifiche. Se la foto dovesse essere mandata x esempio ad un concorso come foto che dichiaratamente vuole rappresentare la realta', togli un brufolo ok, un capello ok, un micro- timro clone al labro invece no ? Cioe' chi stabilisce dov'e' il limite ? @Daniele credo che siamo d'accordo: realta' fisico-ottica non e' sufficiente a definire una foto "di reportage", anche una foto creata sul set rispetta la realta' fisico - ottica, puo' raccontare anche di piu' della foto- documento. Alcuni hanno anche un giudizio estremo che va oltre il reportage comunemente accettato. Lo stesso Barengo ad esempio ha fatto fotoreportage nelle case o nelle fabbriche, i soggetti sapevano di essere ripresi, magari in alcuni casi diceva anche loro dove posizionarsi. Si trattava comunque di soggetti reali, che sappiano di essere ripresi e' evidente quindi non c'e' inganno. Il fotogafo non necessariamente dev'essere sempre invisibile come viene intesa normalmente oggi la street photography |
| inviato il 16 Agosto 2023 ore 13:54
Non solo sembravano incastonate tra i canali quindi ma quasi quasi lo erano davvero. Lunghi fuochi non mi risulta siano stati necessari a Barengo, egli ci riporta quello che vedono i suoi occhi e il mirino della sua Leica. **************************************************** Leica M per la precisione. Quindi si, l'uso del tele influenza la visione della scena e con essa anche il nostro approccio alla stessa, come peraltro fa anche il grandangolo, ma un 35 mm non esaspera la prospettiva come un 15 allo stesso modo in cui un 100 mm non comprime i piani come un 600... e qui il Gardin, per forza di cose, non può essere andato oltre il 135 mm |
| inviato il 16 Agosto 2023 ore 14:09
Lasciando perdere immagini chiaramente manipolate e lontane dall'aspetto del soggetto fotografato (immagini adatte alla pubblicità o all'editoria) mi domando questo: se fotografo una mia amica non in una situazione particolare, ma una semplice foto posata che la mostri per come la conosco, e le tolgo un brufolo che la settimana prima non c'era e la settimana prossima non ci sarà più, ho falsificato la realtà? E se ha un capello fuori posto e lo faccio sparire? Mah... **************************************************************** Togliere un brufolo da un viso, o aggiustare un capello che casomai si sarebbe potuto riavviare con un semplice gesto della mano mentre si stava fotografando è un discorso... cancellare delle persone da fotografie, anche storiche, perché nel frattempo sono cadute in disgrazia, e casomai sono anche morte nei gulag senza nemmeno uno straccio di processo beh... direi che sono due cose un tantinello diverse! |
| inviato il 16 Agosto 2023 ore 14:21
Io ho tolto ringhiere, cavi della corrente e lampioni, ma pure aggiunto nonne alle foto: perché limitarsi? |
| inviato il 16 Agosto 2023 ore 14:29
@Simone Rota: ovviamente lascerei fuori dal discorso le foto di carattere scientifico e strettamente documentario, per le quali vale il discorso "fotografo quel che ho davanti agli occhi nel posto tale alle ore tali del tal giorno" e non interengo su quello che il sensore registra. Io parlavo invece di quelle foto che documentano la realtà, ma in modo direi più discorsivo e "giornalistico", se vogliamo: quelle che mostrano i fatti per come si presentano, ma senza l'ossesione della fotocopiatura e del dettaglio brutto e inutile. |
| inviato il 16 Agosto 2023 ore 14:55
La fotografia è uno srtumento di comunicazione al pari del linguaggio. Essendo la sua forma "statica" la potremmo paragonare ad un testo scritto. Quindi dal momento stesso in cui un evento accade esso perde il suo valore RERALE perchè l'unico modo per divulgarlo è con qualcosa che sia trasferibile ed a quel punto qualsiasi "strumento" si usi (vocale, scritto, grafico ecc..) diventa per forza di cose un'interpretazione soggettiva dell'evento stesso. Per questo l'autore entra a far parte direttamente della REALTA' TRASFERIBILE. Lo stesso identico evento potrebbe essere raccontato in più lingue differenti quindi anche la lingua diventa una caratteristica stessa dello strumento. Arrivati fino a qui entriamo nel campo degli postulati e delle categorizzazioni: Lingua - Parlata (linguaggio italiano, inglese ecc..) - Scritta (linguaggio italiano, inglese ecc..) Rappresentazione grafica - Grafica, fotografia, pittura, scultura ecc.. Nel primo caso la catalogazione è più semplice ma svolge la stessa funzione anche nel secondo caso (quello delle rappresentazioni grafiche). Oggi a qualcuno dispiacciono queste catalogazioni perchè si trova in terre di mezzo però non sono altro che un modo per poter comprendere ed interpretare meglio il messaggio che ci viene trasmesso. Quindi ci saranno dei fotografi che sparano a bomba con la post che si imbelinano se chiami le loro opere come rappresentazioni grafiche oppure che arte grafica piuttosto che come fotografia. Io sono per la corrente che delimita un pò l'ambito in cui una grafica possa essere definita Fotografia soprattutto per un aspetto un pò nostalgico e per la consapevolezza dell'estrema sfida e divertimento che si ha quando i mezzi sono "limitati". Lo stile fotografico di Gardin per me rientra assolutamente nell'ambito della Fotografia anche se come interprete della realtà fornisce il suo soggettivo punto di vista. Ma la cosa non mi disturba perchè so a priori che è così. Ci fosse stato un altro fotografo in quell'istante a rappresentare la realtà avrebbe ottenuto un risultato diverso... quindi dove sta la realtà? Non c'è... c'è stata è passata e non resta che raccontarla ognuno a modo suo. Diversi sono i limiti di interpretazione postumi all'atto del fermo immagine. In quel caso, come ebbi modo di dire in altro post, per me subentra un fattore personale autorale. Se si compie uno stravolgimento della scena l'autore dovrebbe essere coerente ed inserirlo autonomamente in una catalogazione differente. Quindi io credo che l'unico atto di onestà vada fatto nei confronti di se stessi. Quindi per me l'arte grafica è tutto ciò che va troppo oltre l'utilizzo dello strumento fotografico stesso (includo anche gli sviluppi successivi in camera oggi permessi). Ovviamente i limiti sono "discrezionali" e quindi salvo che uno non stia facendo un concorso può mentire anche agli altri oltre che a se stesso e nulla accade, l'importante è trarre piacere da ciò che si fa. |
| inviato il 21 Agosto 2023 ore 21:31
Citando fontcuberta: Dobbiamo andare oltre. Sì, è vero, qualcosa è successo davanti alla macchina fotografica, ma quello che ci interessa è sapere che diavolo sia successo, come interpretarlo. Dobbiamo chiederci quanto questa informazione visuale serva per aumentare la nostra conoscenza, la nostra capacità di prendere decisioni su alcuni aspetti della realtà. |
| inviato il 21 Agosto 2023 ore 22:12
<<Il mio pensiero corre sulla "IMPOSSIBILITA' MATERIALE" di modificare la Diapositiva che, perciò, rappresenta l'unica strada per coglier ed ammirare la realtà.>> L'impossibilità materiale di modificare non è assolutamente sinonimo di Realtà. Al massimo è il punto di vista di chi ha vissuto quel momento, ma ci sarebbero state mille mila opzioni per raccontare quello stesso identico attimo con risvolti magari anche opposti. Un'immagine potrà rappresentare sempre e solo un unico punto di vista. Non si tratta di filosofia ma di logica ;) Comunque condivido la tua posizione e il limite del mezzo non è altro che da stimolo per vivere la nostra passione con ancora più impegno e dedizione. |
| inviato il 22 Agosto 2023 ore 7:03
Curioso comportamento, il tuo...Paolo caro; in altra discussione avevi tenuto atteggiamento esattamente uguale al mio. Infingardello?MrGreen ************************************** Veramente l'unico atteggiamento curioso è il tuo Proteo... |
| inviato il 22 Agosto 2023 ore 8:50
È la verità, vista esattamente da questa angolazione e con questa durata di esposizione, con questo dettaglio. Quello che c'era prima, dopo, dietro, intorno o sotto, non lo sappiamo e rimane una questione di interpretazione. Tutto ciò che il fotografo può fare è essere onesto e sperare che questa intenzione venga creduta. Sempre che sia importante per lui. (Ops, ho già risposto dopo aver letto la prima pagina. Quindi potrebbe essere stato superfluo. ) |
| inviato il 22 Agosto 2023 ore 9:20
La realtà suscita emozioni e l'occhio del fotografo ne individua alcune ( stupore, sdegno, geometrie, colori , etc) cercando di fissarle e trasmetterle, usando i mezzi di riproduzione con cui ha una larga confidenza. La sua "visione" non è la sola possibile e se riesce a trasmettere il senso della sua emozione allora ha compiuto un passo verso la perfezione artistica. |
| inviato il 22 Agosto 2023 ore 10:16
“ Il mio pensiero corre sulla "IMPOSSIBILITA' MATERIALE" di modificare la Diapositiva che, perciò, rappresenta l'unica strada per coglier ed ammirare la realtà. „ Allora continua pure a fotografare piccoli parallelepipedi di balsa, "fintamente" impanati e "fintamente" fritti, spacciandoli per "bastoncini di pesce Findus". Se non riesci a capire quanto poco ci vuole a mentire nel campo della comunicazione, anche senza alcuna "manipolazione fotografica postuma", significa che hai un concetto estremamente ristretto e settorializzato di cosa sia la realtà. Tra l'altro, trovo alquanto pericoloso questo modo di pensare, perché è quello che più facilmente può essere usato come alibi per mentire: ci si compiace di quanto si sia "bravi" nel costruire una finzione scenica prima dello scatto, pensando che la "realtà" materiale di quella finzione ci assolva dalla menzogna vera che, paradossalmente, è la stessa di chi tarocca le foto digitali con Photoshop: far credere all'osservatore che stia guardando una situazione diversa da quella che gli viene presentata. Ho anche già spiegato che l'onestà intellettuale del fotografo stia nel mostrare la realtà autentica, non una sua ricostruzione posticcia, e che questo presuppone "anche, ma non "solo", che lo scatto non venga stravolto in post, indipendentemente dalla tecnologia utilizzata; se però una tecnologia mi consente "comunque" di piazzare il tarocco a monte dello scatto, allora tutta la diatriba sul fatto che la DIA sia o non sia l'unica strada per cogliere e ammirare la realtà è solo aria fritta, perché viene in ogni caso a mancare quel "... ma non solo" di cui sopra. A quel punto tutto si riduce al classico "chi ce l'ha più grosso": quello che riesce a montare un palcoscenico sia pur credibile, ma di cartapesta come quelli di Cinecittà e quindi tarocco, prima dello scatto, o quello che che è così bravo in post da rendere altrettanto credibile il tarocco fatto al computer dopo lo scatto? Se invece lo scopo di quell'immagine "non" è mostrare la realtà, allora tutto è giustificato e apprezzabile in base al grado di credibilità e verosimiglianza raggiunto. La validità di "come" si comunica qualcosa dipende solo da "cosa" si voglia comunicare. |
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