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Chi mi aiuta ad apprezzare Ghirri?


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avatarsenior
inviato il 16 Agosto 2016 ore 20:18

Ah beh se a voi piacciono nulla, ognuno ha i suoi gusti...
Un po' come questi quadri, li userei per accendere la stufa




avatarsenior
inviato il 16 Agosto 2016 ore 20:28

un intervento illuminante.

avatarsenior
inviato il 16 Agosto 2016 ore 20:34

Ha parlato l'oracolo

avatarsenior
inviato il 16 Agosto 2016 ore 20:36

Io ho provato a dare una spiegazione a una domanda posta, mi chiedevo cosa aggiungesse tuo intervento a discussione , poi ho capito: niente.
A che opera di ghirri colleghi il quadro informale pubblicato?
Non ti convince idea che sta a base del dipinto o la sua realizzazione?
Non essendo un fan ne dell'informale ne di espressionismo astratto tranne per rare opere puoi dirmi chi è autore? Cosí capisco come relazionare intervento a discussione

user35763
avatar
inviato il 16 Agosto 2016 ore 20:37

Alle79 Io non avrò studiato, però porca vacca....


Direi che sembra un traslare fotograficamente le particolari cromie e stilemi compositivi di Juan Miro'.
Un dialogo tra fotografia e pittura,quasi un omaggio.

avatarsenior
inviato il 16 Agosto 2016 ore 20:52

Ho guardato le opere di joan miro, e penso la stessa cosa delle foto di cui sopra, a sto punto se uno non ama il genere in pittura credo che non lo ami nemmeno in fotografia.
E comunque io non li avrei collegati dalle poche immagini che ho visto.

user35763
avatar
inviato il 16 Agosto 2016 ore 20:54

assolutamente legittimoSorriso

avatarsenior
inviato il 16 Agosto 2016 ore 21:07

Labirint ha scritto: A che opera di ghirri colleghi il quadro informale pubblicato?
Non ti convince idea che sta a base del dipinto o la sua realizzazione?
Non essendo un fan ne dell'informale ne di espressionismo astratto tranne per rare opere puoi dirmi chi è autore? Cosí capisco come relazionare intervento a discussione


Non mi piacciono i quadri/foto dove non si capisce il significato, e anche se magari non sono proprio lo stesso genere, era per fare un esempio. In queste foto di ghirri (trovate su google) proprio non ci trovo nulla di "bello" e piacevole, penso che se le facesse uno sconosciuto non se le filerebbe nessuno.








avatarsenior
inviato il 16 Agosto 2016 ore 21:15

Guarda quadri di Rothko, la prima foto me lo richiama molto.
Il blu forse yves klein
Poi ovviamente in questi casi è ovvio che singolo scatto non può essere valutato solo.
È stesso discorso per fare esempio dei ritratti di ruff visti cosí magari dicono poco, è idea che compone opera che da valore alla stessa.
Ma ripeto non ti deve piacere per forza. Solo che ha un senso sua produzione

avatarsenior
inviato il 16 Agosto 2016 ore 22:08

Nel 1987, Ghirri scrive un articolo sul Corriere della Sera dedicato alla figura di Louis Daguerre, l'inventore nel 1837 della prima tecnica fotografica. In quelle righe osserva che, da allora, non uno «dei problemi e dei quesiti che accompagnano la fotografia ha avuto risposta». Nemmeno la pratica ormai planetaria sembra chiarire la natura dell'enigma che è la fotografia. «Daguerre, avvicinandosi per primo alla frontiera del già visto e contemporaneamente del mai visto, intuisce che da quel momento la vita degli uomini sarà accompagnata da questo doppio sguardo, da uno scarto, una specie di alone che abiterà persone e luoghi; un doppio sguardo sul mondo visibile presente o evocato e sul mondo visibile e fotografato». La fotografia, secondo Ghirri, si pone sul crinale di ciò che conosciamo ? e che spesso diamo per scontato ? e ciò che è completamente nuovo, o perché realmente inedito o perché mai guardato in quel modo. Attorno a questo pensiero si dipana tutta l'opera di questo artista che fotografando ha cercato di capire cosa fosse la fotografia.
Era nato a Modena nel 1943. Aveva studiato e lavorato da ragioniere. Poi venne rapito da un amore chiamato fotografia. Il colpo di fulmine capitò chissà quando. Forse in vacanza a Lucerna, in Svizzera, o a Brest, in Francia. Forse lungo la via Emilia, quando la linea orizzontale della nebbia sale dai campi e si ferma a mezz'aria. Una nuvola di fumo davanti al volto di una donna, marinai dietro un vetro satinato, turisti sotto la torre di Pisa, un abito appeso fuori da una finestra, la luna che sorge alle spalle di una chiesetta, una scala che scende a picco sul mare. Non sono le montagne innevate di Ansel Adams o il balzo riflesso nella pozzanghera di Henri Cartier-Bresson.

A prima vista le immagini di Ghirri sono di una banalità sconcertante. La sua poetica nasce in polemica con la tradizione del reportage classico, che aveva fatto del bianco e nero e della ricerca del momento decisivo, come lo chiamava Cartier-Bresson, i due dogmi della religione dei circoli di fotografia del Dopoguerra. Il milieu culturale in cui nasce la sua ricerca è quello dell'arte concettuale degli anni Sessanta e Settanta. I suoi compagni di viaggio degli inizi, infatti, sono un gruppo di artisti modenesi, preferiti al locale club di fotoamatori. Con loro condivide la riflessione sulla natura del linguaggio artistico. Scrive nel 1982, a proposito della serie intitolata Still life. Topografia-iconografia: «Potrei anche intitolare questo lavoro “Alla ricerca dell'originale perduto”, o un viaggio nel quale si fondono storia e geografia, nel quale si mescolano nozioni collettive e personali, nel quale si trovano fotografie volutamente banali accanto ad altre ben meditate, un viaggio nel perenne immutabile accompagnato da un vivo desiderio del miracoloso».

La passione per il perenne immutabile, potremmo dire anche lo stupore per la realtà così com'è, è legata in modo inestricabile al desiderio che qualcosa accada. Qualcosa di miracoloso. Ma sotto tutto questo, in Ghirri c'è la tensione a poter tornare a vedere quell'originale perduto. Scrive nel 1978: «Il senso che cerco di dare al mio lavoro è quello di verificare come sia ancora possibile desiderare e affrontare la strada della conoscenza per poter infine distinguere l'identità precisa dell'uomo, delle cose, della vita, dall'immagine dell'uomo, delle cose, della vita».

Nei primi anni, per Ghirri, non è più possibile puntare l'obiettivo della macchina fotografica direttamente sul volto di una persona o su un paesaggio. Lo sguardo si posa invece sui luoghi e i momenti in cui realtà e immagine della realtà convivono in modo ambiguo: una donna (finta) di un cartellone pubblicitario e il cielo (vero) sopra di lei; una coppia seduta a un tavolino del bar e il mare dipinto alle loro spalle; un cavallo disegnato dietro le maglie di una saracinesca. Col tempo, però, è come se l'occhio di Ghirri si riconciliasse con il paesaggio. Le periferie, la Bassa modenese, la via Emilia. Ma anche qui, spesso, coglie delle “inquadrature naturali”: la porzione di spiaggia e mare racchiusa nella cornice di una porta di calcio o la vista della campagna che si apre attraverso un enigmatico arco in mattoni. Queste aperture sono per lui «dei segni, dei traguardi, dei confini entro cui lo spazio si rappresenta. Sono la soglia di qualcosa, la soglia per andare verso qualcosa».
Nella seconda metà degli anni Ottanta si dedica a ritratti di esterni e interni di edifici. Ritrae la tomba della famiglia Brion, progettata da Carlo Scarpa, fotografa alcune opere di Aldo Rossi. Entra poi nell'atelier bolognese di Giorgio Morandi, lasciandoci immagini struggenti delle stanze del pittore, con i loro oggetti quotidiani e le loro bottiglie, le stesse che compaiono nelle indimenticabili nature morte dell'artista. Fa lo stesso con lo studio di Rossi e con il proprio. «È difficile dire perché una stanza, le pietre di una strada, un angolo di un giardino mai visto, un muro, un colore, uno spazio, una casa diventino improvvisamente famigliari, nostri», scrive nel 1989: «Sentiamo che abbiamo abitato questi luoghi, una sintonia totale ci fa dimenticare che tutto questo esisteva e continuerà ad esistere al di là dei nostri sguardi».

Una sintonia con i luoghi amati, una soglia per guardare oltre, la ricerca dell'immagine vera delle cose. Questo sembra essere fotografia per Ghirri. Ma non solo. È sempre nell'articolo su Daguerre che scopriamo fin dove si spinge la pretesa di cui egli investe la tensione del fotografo. «Credo che Daguerre davanti alla vertiginosa precisione dell'immagine delle sue conchiglie fossili non abbia visto una “natura morta”, ma probabilmente il sogno realizzato di ridare vita mediante la luce al mondo inanimato, e che questo strano groviglio di ragioni e misteri della natura, alchimie chimiche, leggi dell'ottica e della fisica fosse il magico evento per dare al nostro sguardo sul mondo uno sguardo successivo, per non dimenticarlo, per capirlo o, forse, solo per la gioia di rivederlo».


e

La fotografia descrive il frammentario, l'indeterminato, l'indefinito e l'incerto. La serie Kodachrome, suo capolavoro, pubblicata in un fotolibro nel 1978, ha valore di manifesto perché richiama il procedimento di stampa più diffuso all'epoca che egli aveva visto nei lavori dei fotografi suoi contemporanei d'America Friedlander, Winogrand, Meyerowitz in mostra a Parma nel 1971. In Kodachrome le immagini non sono traccia di un evento, ma icone di un mondo ormai già fotografato, la traccia di qualcosa già raccontato come foto di foto, vetrine, pubblicità, finestre, specchi, od oggetti incontrati nei suoi “viaggi domenicali minimi”. Con le raccolte fotografiche Catalogo (1970-72) e Colazione sull'erba (1972-74) Ghirri si interessa invece alle immagini delle periferie dei primi anni '70, dove il luogo diventa esso stesso architettura.
Più tardi nel 1976, scoprendo Shore ed Eggleston in occasione dell'esposizione di quest'ultimo al MOMA di New York, Ghirri invia al curatore dello stesso museo la raccolta Week- end con le immagini fotografiche racchiuse in una scatola di legno, nel quale mette anche la serie Passaggi di cartone.
Italia ailati è invece una denuncia degli stereotipi dell'industrializzazione e delle pecularietà della città italiana nel suo genere; le immagini sono realizzate tra Modena e Rimini. La realtà è ormai un colossale fotomontaggio dove la rappresentazione in scala e la copia sono usate come simbolo di quell'architettura da spettacolo contraddistinta da un certo kitsch: immagini di luna park, del circo di Modena, o l'Italia in miniatura sullo sfondo di Rimini. Ci sono poi le fotografie notturne, che arrivano fino agli anni '80, a evidenziare un carattere teatrale e irreale dell'illuminazione sulle scene ritratte (sempre in esterno) che evoca il fotografo Brassaï, e dove il mondo diventa scena, ossia l'architettura effimera e quella perenne della città si compenetrano fino a confondersi.
L'inizio dei rapporti tra Luigi Ghirri e l'architettura inizia nel 1983, quando Savi propone a Pierluigi Nicolin e Alberto Ferlenga, direttore e giovane redattore della rivista Lotus International, di far fotografare a Ghirri il risultato del lungo e travagliato cantiere del cimitero di Modena. Il fotografo non ha mai svolto un servizio di architettura destinato ad una rivista di settore. Ma Savi aveva intuito il suo potenziale artistico a una mostra sull'“abitare posturbano” a Bologna e non vedeva l'ora di metterlo alla prova con l'opera di Aldo Rossi, che egli considerava l'unico architetto capace di estendere la sua sfera d'azione all'infinito e cogliere la natura specifica e quella generica delle cose. Nicolin diventa il tramite tra Ghirri e l'architettura, tanto che molti altri progettisti pubblicati da Lotus contatteranno Luigi e si misureranno con il suo sguardo soggettivo, mentre Ferlenga sarà utile per individuare le assonanze meno ortodosse tra il fotografo e Rossi: come l'attenzione per gli interni degli studi milanesi dello stesso Aldo Rossi, o del pittore Giorgio Morandi, con la cultura del ritratto “per accumulo”, o le immagini del paesaggio americano, o ancora quelle di noti poeti e cantautori (come Dalla per esempio).
Ghirri arriva ai temi del paesaggio da un approccio concettuale. Egli comincia con le mappe Atlante (1973) e continua con paesaggi abitati da figure non riconoscibili, che diventano mediatori senza volto e che possono essere sia il fotografo che il visitatore. I soggetti sono quelli di tutti i giorni: isolati dal contesto abituale, vengono riproposti in un discorso diverso, ma carichi di un significato nuovo. Una parte della critica ha riscontrato anche la particolarità di Ghirri nel rappresentare nelle sue istantanee le persone di spalle, così da creare un senso di spaesamento in chi guarda e si trova di fronte ad un tipo di fotografia senz'altro inusuale.
Il paesaggio diventa un fatto quotidiano e ordinario, ma incompleto. Esso è quello che Ghirri vedeva a “tre chilometri di raggio” da casa sua, ossia a San Giacomo a Modena lungo la via Emilia. Qui vi era un'area di industrializzazione veloce e di urbanizzazione inarrestabile, ai margini nord-est della città, che non riesce a sostituire una nuova idea urbana a quella del vecchio insediamento. La fotografia mostra gli elementi che sono lì da sempre per mostrarci la loro difficile e intima bellezza. La nebbia, il buio, la neve compaiono a ricordarci quanto forte sia l'identità di quei luoghi a dispetto della loro trasformazione. La bellissima inquadratura dell'Alpe di Siusi con i due turisti che osservano l'orizzonte fa parte di progetti culturali ed editoriali legati per Ghirri allo stesso tema.
Con la mostra Viaggio in Italia del 1984 aperta alla Pinacoteca di Bari l'autore offre un melanconico saluto al paesaggio italiano del dopoguerra e dà il via ad una nuova fotografia del territorio italiano rivolta ad una condizione di autonomia espressiva che vede aprirsi nuove prospettive di mercato perché “a Napoli e Bari la fotografia comincia a vendersi”: infatti “il sud da questo punto di vista è sorprendente rispetto alle gosse città del nord più distratte”, come lui stesso raccontava già nel 1982.
Nel 1986 con la serie intitolata Esplorazioni sulla via Emilia diviene artefice principale di questa forma espressiva. Nella raccolta Profilo di nuvole affina l'idea di spaesamento che si nasconde nei dettagli di città che ci sono più familiari.
La vita culturale e artistica della città e della provincia di Modena si trasforma in uno studio all'aperto, un luogo di happening che si svolge tra le vie e le piazze dell'abitato, grazie all'intervento di artisti provenienti dall'Europa, dagli Stati Uniti e dal Giappone, crea lo spostamento del fare arte dal mondo accademico nelle gallerie pubbliche e private e suscita l'interesse per linguaggi che utilizzano la fotografia come mezzo visivo. Dagli anni '70, del resto, Ghirri aveva iniziato un'importante attività curatoriale in campo fotografico presso la Galleria Civica di Modena. Altro polo importante per il fotografo è Ferrara, città natale della sua compagna di vita Paola Borgonzoni, che dal 1974 condividerà i progetti culturali e le ricerche dell'autore accanto al direttore della vita culturale della città Franco Farina, che prediligeva il movimento metafisico con le sue contaminazioni (Surrealismo e Pop Art), ma favoriva anche nuovi linguaggi come il cinema e la fotografia.



avatarsenior
inviato il 16 Agosto 2016 ore 22:16

Caro Alle79 sono foto per intellettuali. Dove occorre che qualcuno ti spieghi per capire.
Far sentire tutti scemi davanti l'incomprensibile e spesso davanti al disgustoso, è il miglior modo per elevarsi a grande intellettuale/artista.
Per me le grandi foto (opere) sono quelle che emozionano che comunicano.
Queste mi sembrano foto fatte da fotografi che devono a tutti i costi differenziarsi per ritagliarsi un loro stile, dietro il quale far scivolare fiumi di parole/pensieri/dietrologie/stati d'animo/descrizioni per pompare ciò che altrimenti sarebbe banale se non infantile e comunque sterile.
Non me ne vogliano coloro che seguono questa corrente d'arte se così si può definire.
Apprezzo l'intervento di Roberto P l'"ignorantissimo"MrGreen
Saluti

avatarsenior
inviato il 16 Agosto 2016 ore 22:24

Che poi, uno non ci possa trovare interesse, non piaccia, va benissimo, ma a dire che ha fatto successo perchè aveva amici influenti, calci in culo, tanta fuffa e niente di concreto, bruciamo le sue foto, senza essersi sforzati un minimo di capire e fare due ricerche, o non credere che vi sia qualcosa oltre a ciò che si crede di sapere, mi pare un pò esagerato.
Ma giusto un poco

www.juzaphoto.com/galleria.php?t=1957898&l=it

user66165
avatar
inviato il 16 Agosto 2016 ore 22:25

Mi aggiungo anche io da buon estimatore di Luigi Ghirri.
Adoro le sue foto e anche la sua storia, per quel che ovviamente mi e' dato sapere....
A me piace moltissimo.
Come ogni cosa, c'e' a chi piace e a chi non piace, ma il problema qui secondo me non e' il "non piace" ma il "non saper guardare le cose semplici", che poi alla fine sono piu' complesse di quanto si possa immaginare.
Se guardate solo i colori e il contrasto di una foto, o con che macchina e' stata scattata allora non state guardando un fotografia ma solo i suoi colori e il suo contrasto, ignorando tutto e mortificando la fotografia stessa, e questo non e' ammesso da una persona che "fa foto".
Se le foto di Ghirri non vi piacciono (e non ha fatto solo quelle due foto nella sua breve carriera) mi chiedo cosa caspita guardate in una foto? Insomma quello che neanche il più profano dei profani della fotografia guarderebbe.....
E poi giudicare un fotografo per due foto.....bha....

Meno male che il mondo e' vario....

P.s. Alle79 pensa un po io accendere la stufa con le tue di foto!


avatarsenior
inviato il 16 Agosto 2016 ore 22:37

Grazie a Matteo Fiorelli perchè non conoscevo Amiel.
Uno scritto attualissimo e Vero.
Saluti

avatarsenior
inviato il 16 Agosto 2016 ore 22:38

Boh, se per apprezzare una foto bisogna studiare allora quella foto taglia fuori penso il 70% di chi le osserva. Comunque non credo che studiando avrei un'opinione diversa, se una cosa esteticamente non mi piace, non mi piace.



Vedi, la questione studio/conoscenza non è fondamentale per poter apprezzare una fotografia. Ovviamente.
Una veduta mozzafiato di Rio de Janeiro magari anche notturna, potrebbe essere una foto apprezzata da 7 miliardi di persone, almeno potenzialmente.

Ma quando invece si parla di apprezzamento o meno verso un autore e la sua opera, è cosa ben diversa e non può prescindere appunto dalla conoscenza, altrimenti il tuo parere varrà 1 su oltre 7 miliardi, per incidere pari a zero ;-) MrGreen

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