| inviato il 31 Gennaio 2018 ore 8:14
Il caso della ragazza afgana di McCurry è "l'altra metà della mela" del reportage, come suggerisce anche Vincenzo quando scrive: “ Il reportage è un racconto fotografico con scatti rubati altri in posa. „ Cosa voleva mostrarci McCurry con quella foto: un gesto, una scena di vita, il contesto in cui viveva quella ragazza? No, voleva mostrarci semplicemente il ritratto di una ragazza afgana: ci sta o non ci sta che ce la voglia mostrare concedendole il beneficio di riprenderla con tutti i crismi della ritrattistica, anche se quella foto verrà (giustamente) inserita in un reportage? I miei dubbi sorgono solamente quando le due metà della mela vengono mescolate insieme, quando si applicano le tecniche di posa ad immagini che poi verranno presentate come "rubate" alla vita quotidiana; ci sono casi in cui la cosa può anche funzionare, ma in molti casi si rischia comunque di falsare il racconto, anche senza scopi particolari o "ideologici"; è qui che il fotografo non dovrebbe mai chiudere gli occhi per non vedere la spia luminosa che si accende a ricordargli l'etica professionale. Tra l'altro, questa cosa è ben presente nella frase con cui A. M. Ahad (guarda caso un fotoreporter professionista) chiude il servizio linkato all'inizio del 3d: “ Il Bangladesh non è per persone come queste che vengono a rovinare l'etica dei fotografi professionisti per la fame di premi „ |
| inviato il 31 Gennaio 2018 ore 8:43
Daniele non potevi scrivere meglio. Una cosa è fotografare. Un'altra è pubblicare una foto. Ci sono diversi modi di fare la prima, diversi modi di fare la seconda, e diversi modi di associare le due. Il comportamento etico è funzione del fine di queste tre operazioni e di come vengono gestite insieme, almeno per come la vedo io. |
| inviato il 31 Gennaio 2018 ore 9:19
L'argomento di cui volete parlare è il fotogiornalismo e le sue derive oppure capire se la fotografia può raccontare e racconta una verità? Sono due cose differenti secondo me, perché fotogiornalismo è solo una specializzazione in ambito fotografico e sconfina appunto nel giornalismo oggi più noto per le "fake news" che per una seria indagine conoscitiva e a chi si sorprende per i cacciatori di premi che mettono in posa i loro soggetti ricordo le parole di Umberto Eco. Internet ha dato voce agli imbcilli e purtroppo questa voce è sempre più forte. |
| inviato il 31 Gennaio 2018 ore 9:52
@AngeloPrinzo, la fotografia dovrebbe sempre raccontare qualcosa o essere comunque parte di un racconto; che quel racconto sia "la verità" è sempre opinabile, in quanto esistono sempre diverse verità secondo le differenti interpretazioni che diamo di un fatto, senza contare i tarocchi veri e propri. Il problema, riguardo al fotogiornalismo come a tutti i generi che fanno (o dovrebbero fare) della documentazione il proprio scopo primario, è se sia chiara la differenza tra interpretare e ricostruire e, in seconda battuta, fino a che punto si possa giungere a mescolare le due cose senza cadere nel fake |
| inviato il 31 Gennaio 2018 ore 10:34
“ I reportage di Raghu Rai (ho un suo libro sull'India) indicano proprio che occorre approfondire, non decontestualizzare, non frammentare come dice nell'intervista: fotografare l'ago senza dimenticare il pagliaio, con mente aperta. „ Solo che se per avere i like o vincere il concorso devi postare le foto "singolarmente"... allora l'ago è più "pungente" del pagliaio. L'ago deve "farsi pavone" per bucare ( ) lo schermo... Per la questione "finzione-reportage"... La foto sono "simboli" e non è detto che un portfolio staged ben pensato racconti meno, o sia meno centrato, di foto reportagistiche. Esattamente come un film su un certo argomento alle volte è "più significativo" che 100 telegiornali. Ma appunto se prendi uno spezzone del film e me lo fai passare come fatto di cronaca... Credo comunque che ormai, anche se la fotografia mantiene sempre la sua caratteristica peculiare di essere agganciata al referente, lo spettatore/osservatore debba essere educato al fatto di cosa può nascondersi dietro a uno scatto "vero". Un po' come va educato alle fake news. Non credo in fondo che all'epoca della pellicola ci fossero meno "taroccamenti" erano diversi certo... Penso che alla fine gli unici fotografi che riescano davvero a tirarsi fuori da questa melma siano paradossalmente quelli che dichiarano esplicitamente la costruzione delle immagini. Anche per le foto di Ragu Rahi sul quale personalmente ho piena fiducia non c'è comunque la matematica sicurezza che non siano costruite.... Alla fine... non rappresentano comunque una descrizione "veritiera" del nostro tempo, pure se sono totalmente costruite a tavolino, le immagini di Gursky o quelle di Jeff Wall? Non ci fanno comunque riflettere? Come un buon film appunto... |
| inviato il 31 Gennaio 2018 ore 11:50
Indubbiamente chi dichiara esplicitamente la costruzione delle sue foto è onesto e inequivocabile; l'equivoco credo che però rimanga se una foto completamente costruita continuiamo a chiamarla reportage. Quando le notizie erano accompagnate da disegni, come accadeva sulle riviste ottocentesche, era chiaro per tutti che quei disegni non potevano essere fedeli al fatto che pretendevano di illustrare, al punto che spesso i disegnatori fornivano appositamente rappresentazioni caricaturali o, all'opposto, auliche per enfatizzare il senso che l'editorialista aveva deciso di dare all'articolo; quei disegni erano cioè puri esercizi accademici destinati non a documentare l'accaduto, ma a rafforzare una sua interpretazione, e nessun osservatore, nemmeno il più sprovveduto, li avrebbe interpretati diversamente. Con l'avvento della fotografia di reportage si avverò la tanto agognata possibilità (non la certezza assoluta, che non potremo mai avere) di "registrare" un fatto mentre si stava svolgendo, pur con tutte le possibilità interpretative sottintese all'inquadratura, taglio ecc. L'immagine poteva cioè diventare veramente il documento di un fatto, sia pure con un legittimo margine di dubbio; e ci sono foto di reportage più che famose in questo senso. Credo che abdicare in toto a favore della fotografia costruita trasformi il reportage in un mero esercizio accademico, ma è anche vero che ormai accade sempre più di rado che il reporter che viene beccato, mentre tenta di spacciare una costruzione di posa per un istante reale, venga espulso con ×a dal mondo del giornalismo, che sarebbe invece l'unico modo per continuare a sperare di ottenere un minimo di etica. Sinceramente, dopo grandi stagioni nel passato, vedo un futuro abbastanza piatto per il fotoreportage, magari pieno di immagini WOW, ma culturalmente piatto |
| inviato il 31 Gennaio 2018 ore 13:54
Un reportage non s'improvvisa, si pensa a tavolino, si studia un progetto, si valutano i rischi, i permessi necessari, le associazioni che lavorano sul posto e le autorità locali. C'É sempre un contatto sul posto che ti permette di accedere in luoghi dove le persone sono diffidenti (poi è la bravura del reporter coinvolgerli e ottenere la fiducia). Alcune immagini vengono preparate ma non per queste false, altre naturali. Dire il falso in un servizio vuol dire perdere credibilità e non penso che la carriera duri a lungo (hai preso in giro tutti quindi professionista poco serio). Ormai le testate giornalistiche difficilmente commissionano servizi come succedeva anni fa per cui se investi in progetti di poco interessanti per i media si rischia di aver sprecato tempo e soldi. Le immagini "costruite" se vogliamo così definirle sono intese come soggetti in posa o consapevoli della presenza del fotografo per cui anche se non sono scatti "rubati" non stanno raccontando cose non veritiere. Questo è per quanto riguarda il lavoro dei professionisti seri. Si scattano tante foto ma se ne selezionano circa una quindicina anche meno. Quest'ultima fase forse è la più complessa e non si scelgono le immagini tecnicamente più belle ma quelle che messe insieme creino il racconto/documento. Questa è l'idea che mi son fatto seguendo alcuni lavori di amici. Non nascondo che ho avuto la possibilità di collaborazioni ma valutando le spese da sostenere e un guadagno oggi giorno misero e non sicuro ( perché potrebbe non interessare a nessuno il lavoro svolto) ho preferito allo stipendio da dipendente e momentaneamente sicuro. Posso solo dire a chi voglia fare questa professione di evitare il fai da te e fare un bel po' di esperienza con un vero professionista esperto. Meglio investire seguendo uno del mestiere che investire in un workshop... c'è tanto ma tanto da imparare. |
| inviato il 31 Gennaio 2018 ore 14:26
“ Credo che abdicare in toto a favore della fotografia costruita trasformi il reportage in un mero esercizio accademico, „ Si su questo sono d'accordo anch'io. Ma penso che ormai abbia poco senso documentare qualcosa quando gli amatori di turno hanno già immesso 100.000 foto e 1000 video sui social a un'ora dall'avvenimento di cronaca. E anche il reportage di approfondimento non è che goda di buona salute. Concordo in toto sull'intervento di Vincenzo ... A questo punto credo che l'unica sia quella di metterla sull'interpretazione artistica/autoriale (dove come interpretazione intendo più stile o contenuto del messaggio che "falsificazione"); era questo quello che intendevo quando dico che al girono d'oggi chi "prepara" ha una marcia in più. Oppure si può cercare di scovare qualcosa di davvero particolare cui il normale fotoamatore abbia difficoltà ad accedere... Un esempio di grandissimo fotografo che interseca "arte" e reportage creando dei racconti personali ma basati comunque sulla documentazione secondo me è Alec Soth. Vedi "Niagara", "Sleeping By the Mississippi" ecc. Avete presente? |
| inviato il 31 Gennaio 2018 ore 15:19
L'esempio di Opisso è calzante. Per capirci meglio ai termini di falso e vero dovremmo aggiungere “finto”. Il falso nel codice penale è un reato, intendendo per falso un'alterazione della realtà con scopi delinquenziali. La finzione è tuttaltro. Alec Soth costruisce dei mondi finti per mostrarci realtà che spesso sfuggono all'attenzione delle masse come può essere la vita lungo il Mississipi.. Gli esempi sono moltissimi, penso anche a Thomas Demand che costruisce modelli (finzioni) di manufatti esistenti nella realtà per poi fotografarli. Potremmo allungare l'elenco con svariati esempi. Attraverso la finzione è possibile costruire quindi un reportage che però ci porta ad una lettura della realtà che ci era sfuggita. Quindi non c'è nessun inganno e nessun trucco, ma un invito/costrizione a riflettere. La foto di Doisneau (il bacio all'Hotel de Ville) è anch'essa una finzione ma ci mostra la realtà di una Parigi festosa e allegra per la fine del conflitto. Che poi sia la visione parziale e personale del fotografo, questo è un altro aspetto e non dimentichiamo che, come ci insegna picasso, l'arte è la menzogna che ci permette di conoscere la verità.. |
| inviato il 31 Gennaio 2018 ore 16:09
Il bacio di Dosineau è un po' un caso limite in quanto "presentato" come scatto rubato. Per cui siamo proprio nella borderline tra finto e falso. Nelle foto di Alec Soth invece traspare chiaramente un'interazione col fotografo (penso soprattutto a Niagara) che in qualche modo facendo posare i soggetti modifica comunque qualche cosa (quanto poi sia la "percentuale" della messa in scena si può solo supporre). Ma sono questioni di lana caprina, per il resto concordo perfettamente. Molto azzeccata la distinzione di termini falso/finto. Thomas Demand non lo conoscevo. Quando riesco gli do un'occhiata. |
| inviato il 31 Gennaio 2018 ore 16:59
@Vincenzo: "per cui se investi in progetti di poco interessanti per i media si rischia di aver sprecato tempo e soldi." Ecco questa per me è l'origine della deriva. Se ciò che guida il reporter oggi è la ricerca del ritorno sull'investimento non c'è digitale che tenga. Non giudico gli individui, è anche un sistema culturale che ha spostato gli incentivi, ma capisci bene che se il motore è quello chi come me ha un concetto di reportage guidato dalla scoperta e dalla denuncia si trova poco d'accordo. |
| inviato il 31 Gennaio 2018 ore 17:35
Fabrizio purtroppo di materiale che sia valido o meno se ne trova a quantità idem di fotoreporter. In Italia che io sappia è difficile lavorare e poco pagati, molti si sono spostati o si rivolgono a testate non italiane. Per un noto giornale italiano uno di questi amici si era spostato in Russia per un servizio (no reportage). Il compenso percepito pietoso. Purtroppo se non accetti ci sono tanti lupi affamati pronti a soffiarti il lavoro. Per quanto si possa essere attenti su cosa documentare c'è il rischio che ti rimanga tutto il lavoro sullo stomaco. Penso che chiunque voglia cimentarsi in questo mestiere deve mettere in conto molte cose e soprattutto mirare non al mercato italiano. La cosa che trovo più ingannevole sono i Workshop che ti dicono "fai della tua passione una professione".Non si tratta di essere pessimista ma realista. Chi vuole dedicarsi al fotoreportage come professione penso che debba valutare molte cose. |
| inviato il 31 Gennaio 2018 ore 19:31
Ma la foto fatta e finita, del tizio sul treno, si può vedere o è ancora in produzione? |
| inviato il 31 Gennaio 2018 ore 23:57
Vincenzo ben venga dire le cose come stanno. Meglio che raccontarsi frottole. Istruzione. Libertà di stampa. Sanità. Sicurezza. Quando non c'erano abbiamo lottato per averle. Ora che le abbiamo non gli diamo più valore. Resto convinto che il reporter sia una professione pilastro e che se non la sappiamo remunerare e indirizzare non è un bel segno. La tua testimonianza denuncia qualcosa che va ben oltre il topic di questo thread sui concorsi. |
| inviato il 01 Febbraio 2018 ore 11:09
“ La tua testimonianza denuncia qualcosa che va ben oltre il topic di questo thread sui concorsi „ sono due facce della stessa medaglia; tra i "lupi affamati" a cui si riferiva Vincenzo, ce ne sono probabilmente parecchi che sono già passati per la "fase premi" o che da quella stanno solamente aspettando l'occasione per inserirsi nel settore del reportage professionistico vero e proprio, magari ostentando come portfolio proprio le foto "premiate" |
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