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Il dubbio, il kitsch, l'arte.







avatarsenior
inviato il 26 Febbraio 2015 ore 17:58

Lorenzo... ho detto "ognuno di noi ne ha una certa..." ;-)

avatarsenior
inviato il 27 Febbraio 2015 ore 9:18

Lorenzo, attento, perché se sposti il discorso sulla massa si torna nel campo dei "fenomeni sociali" in cui ogni gruppo elabora le proprie regole, che sono perfettamente legittime all'interno di quel gruppo.
Se, come suggeriva anche Pdeninis, si deve rimanere nel campo delle scelte personali, ogni singolo deve scegliere in quale gruppo stare ed elaborare una coscienza critica "ad hoc".
Non credo che esista una coscienza critica di valore universale, ma solo sulla base delle regole che accetti di seguire. Semmai la domanda è: "seguo quelle regole come una pecora, perché lo fanno tutti, oppure le ho accettate coscientemente?"; non è ciò che fanno gli altri quello che conta, ma come tu decidi di rapportartici

avatarsenior
inviato il 27 Febbraio 2015 ore 12:42

la fotografia come mezzo di comunicazione e non necessariamente come forma d'Arte


Non capisco, l'arte è sempre stata una forma di espressione, non vedo perchè la fotografia, per le sue caratteristiche non vi possa rientrare

avatarsenior
inviato il 27 Febbraio 2015 ore 15:03

Matteo, il mio riferimento era al kitsch inteso come "smania" di produrre qualcosa di artistico a tutti i costi anche su immagini che semplicemente "descrivono" una situazione, e che magari sono unicamente descrittive solo perché a monte dello scatto è mancata (ovviamente nel fotografo, non nella fotografia come mezzo espressivo) una capacità di creare arte; e allora daje con gli orpelli e gli "abbellimenti" (che dimostrano quanto continui a mancare quella capacità artistica nel tizio in questione)!!!
Il mio era un suggerimento di ripartire dalle basi della comunicazione, reimparare a fare una semplice "descrizione", poi, piano piano risalire (se ci sono le capacità per farlo)

avatarsenior
inviato il 27 Febbraio 2015 ore 15:11

Un ottima considerazione Daniele.
Lo stato attuale della "condivisione", la massa immane di immagini che vengono non solo prodotte, ma soprattutto divulgate in rete, costituisce una spinta difficile da contrastare, a cui resistere.
Una spinta a dover stupire, inventare, creare forzatamente.
E siccome non è che sia così semplice, oggi, inventarsi qualcosa e farlo pure bene, ecco che certi eccessi, che sembrano l'unica via per avere più visibilità o consenso, si diffondono inevitabilmente, coi risultati ovviamente conseguenti, nella maggioranza dei casi.
Si, credo anch'io che spesso, un piccolo passetto indietro, possa essere una discreta medicina, per ognuno di noi.
Ma da promuoversi non come critica "all'altro", ma come passaggio da compiersi noi, per primi Sorriso

Un caro saluto
F

avatarsenior
inviato il 27 Febbraio 2015 ore 15:17

Ma da promuoversi non come critica "all'altro", ma come passaggio da compiersi noi, per primi

Esatto

avatarsenior
inviato il 27 Febbraio 2015 ore 16:23

@daniele

comprendo ciò che dici e condivido, credevo stessi parlando in generale.

avatarsenior
inviato il 03 Marzo 2015 ore 14:02

Un'altra piccola (!) considerazione.

Il termine del titolo che sembra meno problematico è "arte". Invece stiamo parlando di un concetto che nei secoli si è evoluto molto profondamente.

Il fatto che un giudizio su opere d'arte sia basato su criteri estetici non è per nulla scontato, come appare forse a noi che siamo cresciuti nella tradizione dell'ottocento ancora ai nostri giorni.

Probabilmente il senso che ne ha proposto l'autore del topic è quello che il termine ha assunto a partire dal tardo '700. È il senso per cui il termine "bello", che accomuna un po' tutti gli oggetti che riguardano, appunto, l'arte, non ha più il significato di canone estetico riferito prettamente allo stile classico e classicista (come opposto a quello di altri periodi, p. es. "meraviglioso", "sublime") - ed infatti allora si parlava di "bello caratteristico", includendo alle volte persino il "brutto" come momento parziale - ma più generalmente quello di distintivo di appartenenza al "regno dell'arte", di qualsiasi periodo o stile, un'appartenenza per cui l'arte, svincolata da obblighi funzionali, è divenuta autonoma. Arte per l'arte, come si diceva: intendendo che l'opera fosse priva di qualsiasi finalità extra-estetica.

Questa nuova (per allora) vita del concetto di arte la distingueva da ciò che era stato arte precedentemente. Nel concetto anteriore arte non distingueva l'artigianato dall'arte (quello che si sarebbe inteso con il termine nell'800): li comprendeva in modo indifferenziato. Tutta l'arte aveva come criterio di appartenenza un giudizio di tipo funzionale. Si valutava la sua "rispondenza" alla funzione per cui era stata pensata. In altri termini, il giudizio di rispondenza alla funzione era l'omologo del giudizio estetico nel vecchio... regime.
Perché un'opera fosse facilmente valutabile si faceva ricorso ai cosiddetti "generi", un sistema normativo robusto e consolidato: migliore era l'aderenza al genere, maggiore la sua riuscita. E, naturalmente, ciò che veniva tramandato era piuttosto il genere che non l'opera, stabilendo ancora una volta il primato della funzione.

Questa concezione mostra immediatamente tutta la sua diversità dal concetto classico-romantico di arte: qui l'originalità dell'opera, affrancata dalla finalità funzionale, era il requisito più importante e, semmai, l'aderenza ai criteri di genere era sentita piuttosto come un vincolo, un impaccio alla creatività.

La terminologia che ha adottato la critica d'arte del modello classico-romantico - quello cui ipotizzo ci stiamo attenendo in questa discussione (ma smentitemi se ho intuito male!) - è stato mutuata in parte da categorie religiose. Si parla di "creazione" - un termine ai confini con la blasfemia - di "devoto raccoglimento", di "golfo mistico", di "contemplazione". L'aspetto "meccanico" (tecnico, diremmo oggi) dell'arte, benché presupposto indispensabile, doveva esser tenuto nascosto; e per due ragioni. La prima, ché non poteva rendere conto del motivo per cui l'opera era "arte", della sua "poeticità" quindi; la seconda, ché parlare di tecnica sarebbe stato sentito quasi come scurrile. Il potere ineguagliabile dell'opera d'arte era quello di farci intuire la "poesia" (seconda accezione del termine, più generica, con la quale si intendeva l'elemento distintivo dell'artisticità, valido per tutte le arti): il fatto di far ricorso a descrizioni di dettagli formali e tecnici poteva solo distruggere l'aura da cui la poesia scaturiva.

In questo primo periodo di vita dell'arte riconosciuta in base al giudizio estetico la critica si serviva di parafrasi estetizzanti (un po ' quel genere di commento critico che alcuni di noi sono stati abituati a fare al liceo quando si studiavano poesie o poemi, con la differenza che a scuola si mirava più al cosiddetto "contenuto" fattuale e si trascurava in genere l'aspetto estetico).

Questo modello di critica d'arte ha avuto fortuna fin quasi all'inizio del '900, quando ha iniziato ad essere avvertito come svuotato e troppo spesso banale: si stava aprendo una nuova era. Ciò che ora veniva riconosciuto come portatore del carattere di "artisticità" non era più la "poeticità" ma la "struttura" dell'opera. La critica apriva dunque le porte allo Strutturalismo, e con esso alle analisi (con tabelle e grafici).
(C'è da dire come curiosità che in alcune prove d'esame, normate dal '918 al '930 e tuttora in vigore - non so ancora per quanto - nei Conservatori di Musica Italiani, il tipo di analisi estetica dei primi dell'800 è ancora richiesta, e gli studenti imparano tutt'oggi a farla).

Nel frattempo tutte le arti erano andate incontro ad un destino comune: a partire dal fine secolo per giungere intorno al primo decennio del '900, si era consumata la cosiddetta crisi dei linguaggi. Con la fine del determinismo in campo scientifico, crisi di valori a spettro molto ampio, con la scienza che si preparava ad accogliere la teoria della relatività, con l'irruzione del subconscio (Freud) nella coscienza collettiva, anche tutte le arti avvertivano l'esigenza di una ricostruzione dei linguaggi. Il fenomeno, partito forse dalla Russia con il pittore Malevic, ha dato la stura alla stagione delle avanguardie storiche, alla nascita del cubo-futurismo dapprima e poi di tutte le altre avanguardie.

Cosa era accaduto? Era venuto meno il principio costitutivo del concetto di arte classico-romantico, quel "comune sentire" quella condivisione di orizzonti estetici che sono stati realmente esistenti e persistenti solo nel momento della nascita del concetto stesso e per qualche decennio. Ora, (1913) gli artisti teorizzano che l'arte deve proporre il proprio linguaggio al pubblico che non lo conosce e che deve esserne educato.

Questa vera e propria frattura credo non sia stata ancora del tutto metabolizzata dal pubblico più generale. "Le vacanze intelligenti" - film con A.Sordi che tutti ricorderanno con affetto - ha posto una pietra tombale sul rapporto pubblico-arte moderna, e sulla diffusa disaffezione e incomprensione. Come ha ricordato qualcuno, in diversi hanno teorizzato la morte dell'arte.

A parte il giudizio che ciascuno di noi possa avere sull'arte contemporanea in genere, quello che non possiamo trascurare è il fatto che il concetto di arte è nuovamente mutato. Il criterio estetico non guarda più alla "rispondenza" funzionale e nemmeno alla "bellezza": si è imposta la categoria di "adeguatezza" e di "autenticità". Sono concetti di ardua comprensibilità e fanno riferimento all'adeguatezza della struttura tecnico-compositiva alle esigenze della prospettiva storico-filosofica. Un'opera d'arte può dirsi "autentica" soltanto a condizione che la sua struttura tecnico-compositiva sia adeguata alla prospettiva storico-filosofica. Il contenuto di un opera che ha valore non dipende dal suo aspetto empirico ma dal significato che può rivestire per la coscienza dell'uomo (ma anche per il suo inconscio). La tecnica compositiva può essere vista come un segno storico-filosofico.

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Perché ho fatto questo riassunto in pillole?
Perché non conosco l'orizzonte di riferimento entro il quale ciascuno di noi si muove, e nel quale dovrei muovermi io stesso.

Mi chiedo: a quale concetto di arte ciascuno di noi fa riferimento implicito? Sentiamo di aver assimilato tutti questi passaggi e di partecipare all'intellighenzia internazionale che li ha determinati oppure, come me p. es., li studiamo da osservatori ma la nostra fruizione rimane ancorata a principi fuori dal tempo?





avatarsenior
inviato il 03 Marzo 2015 ore 14:59

La risposta alla domanda che poni, credo sia già nascosta nelle pieghe di questa frase:
Ora, (1913) gli artisti teorizzano che l'arte deve proporre il proprio linguaggio al pubblico che non lo conosce e che deve esserne educato.

il pubblico non è mai stato educato, almeno in Italia!
Ora, il problema è: dopo un secolo da quella teorizzazione, c'è qualcuno in grado di prendersi l'onere di educare il pubblico?
In fondo, gran parte del problema del kitsch dilagante è legato proprio a questo fatto

avatarsenior
inviato il 03 Marzo 2015 ore 15:06

Siamo allora di fronte ad un nuovo punctum dolens della nostra era: La crisi di rappresentatività.

Nella concezione classica dell'arte il conferimento della delega di artisticità veniva fatto dal pubblico, non dalla committenza. La critica costituiva una specie di rappresentante autoproclamatosi del pubblico stesso: alla fine i fischi erano inequivocabili così come gli applausi.

Ora è l'artista che pretende di assumersi l'onere di educare il pubblico: ma chi allora stabilisce chi sia artista? Come può un pubblico educato dall'artista a riconoscere la sua arte decidere cosa sia arte e cosa no? Non c'è rischio di autoreferenzialità?

Non è forse la stessa ignoranza da parte sua - del pubblico - un giudizio negativo?

Non è che così l'arte finisce con l'omologarsi alle tante lobbies che funestano il nostro paese?

Ma ritorniamo al kitsch, ed al suo contraltare: l'arte. Ma... quale?



avatarsenior
inviato il 03 Marzo 2015 ore 15:39

Pdeninis, credo che tu abbia fatto centro!
Quando si parla di "perdita di valori" non ci si rende conto che questo significa semplicemente che non sappiamo più chi debba educare chi; ciascuno finisce col credere ciò che gli pare e valutarlo di conseguenza. In questa situazione tutto è Arte e tutto è kitsch, dipende solo dall'osservatore e da ciò che lui intende per cultura. Mi domando se, dal Relativismo in poi, anche questo non abbia una base filosofica di qualche tipo.


avatarsenior
inviato il 03 Marzo 2015 ore 15:49

Ma alla fine, il kitsch non è forse l'ostentazione di qualcosa in cui non viene riconosciuto alcun tipo di valore?

user46920
avatar
inviato il 03 Marzo 2015 ore 17:25

La borsetta di Armani sfoggiata per originale, penso sia considerato kitsch da chi se la può permettere ... ed il concetto si può portare anche alla cultura, all'arte, ecc ...

avatarsenior
inviato il 03 Marzo 2015 ore 19:22

Comunque c'è sempre anche un problema di contesto e di consapevolezza
La borsetta di Armani sfoggiata per originale, penso sia considerato kitsch da chi se la può permettere

nella vita di tutti i giorni è verissimo, ma se Salvador Dalì avesse dipinto i baffi sulla gioconda autentica...

avatarsenior
inviato il 03 Marzo 2015 ore 19:24

Spunti interessantissimi!
Complimenti a tutti, in particolare a Pdeninis il cui "riassunto in pillole", come lo chiama lui, è tra le cose migliori che ho letto sul forum (non solo questo).
Si argomenta, si discute, ma alla fine esce sempre la domanda a cui non siamo in grado di dare una risposta: cos'è l'arte? Cosa distingue le opere dell'uomo in artistiche e non?
Credo che l'arte sia un mistero. Ma la discussione, lo studio, il confronto delle idee è l'unica strada - e può essere esaltante! - per tentare di avvicinarci all'impossibile soluzione.
E' quello che, con estrema modestia, stiamo tentando di fare qui.

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