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Ma si tratta semplicemente di decidere cosa fare? Avere qualcosa da dire non credo sia una roba che si decide. Senza contare il fatto che districarsi da condizionamenti culturali (vale per i vecchi come per i giovani) e fare un percorso individuale è il problema più enorme. Che diventa comunque "naturale" (seppur difficile) dal momento che se ne sente la necessità. Ma il punto è che questa necessità, il più delle volte, non c'è. Il limite un po' ingenuo nel "condannare" l'ignoranza generale è che non basta pensare che andando per mostre e seguendo gli autori storici si diventa migliori. Voglio dire, affidarsi solo a questo può essere utile per capire i danni della fotografia democratica nell'epoca dei social, ma non è che sia sufficiente per "avere qualcosa da dire". Anzi, a volte potrebbe anche fare l'effetto opposto, cioè la volontà di imitare un autore solo perché ha fatto storia (vedasi McCurry, per dirne una). Questo discorso ha senso se si valuta la figura del fotoamatore o comunque del fotografo circoscritta alla sua funzione "espressiva". Ma c'è l'essere umano alla base...e i problemi più complessi e radicati derivano da quello.
Ho visto il film al cinema ieri perfect days ,fotografava una pianta ogni giorno e ogni volta era diversa la luce ,uno che pulisce i bagni a Tokio e fotografa ogni tanto a tempo perso
“ Ho visto il film al cinema ieri perfect days ,fotografava una pianta ogni giorno e ogni volta era diversa la luce ,uno che pulisce i bagni a Tokio e fotografa ogni tanto a tempo perso „
Non è una novità : abbiamo anche " smoke " girato 30 anni fa circa
e un libro premiato di cui abbiamo parlato in questo forum ( meglio dire con i 4 gatti che seguono questo blog ) dove l'autore fotografa per giorni una tavolo da ping-pong.
Bello l'intervento di Rombro. In parte mi ha ricordato la vecchia distinzione tra l'homo faber e l'homo patiens, risalente a prima della seconda guerra mondiale. Mentre il primo si autovalutava secondo le coordinate ottocentesche del successo/insuccesso il secondo lo faceva secondo quelle, relativamente più moderne, dell'appagamento/insoddisfazione. Incrociati su un grafico i due tipi di «homo» se ne ricavava che l'homo patiens potesse dirsi pienamente appagato anche in una condizione di palese insuccesso, se letta con gli occhi dell'homo faber.
il tema della discussione collima perfettamente con questo video che mi è capitato casualmente di vedere oggi ve lo riporto in quanto il cammino intrapreso da questo nostro "collega" mi ha colpito particolarmente
@Logan, ti ringrazio per il video, che ho rivisto con piacere, conosco Piero e ho avuto il piacere di lavorare per lui ad un evento.. ammiro da sempre il suo modo di fare Fotografia. Sergio
Non è vero che fotografi non cambiano mai. Basta sapere in quale direzione guardare, dove guardare. E' pieno in giro di progetti e di fotografi che propongono una fotografia contemporanea.. Anche perché se si afferma che la fotografia sta cambiando, dietro ci sono anche dei fotografi che la stanno cambiando
“ Come ha giustamente scritto Arconudo, la Fotografia si divide sempre tra quelli che hanno qualcosa da dire e chi no. „
Concordo, ma è sempre stato così da 150 anni a questa parte. Indipendentemente dal mezzo, dalle diavolerie tecnologiche e dalla PP, ciò che conta è il messaggio, il contenuto, ciò che il fotografo riesce a trasmettere attraverso l'immagine all'osservatore.
beh ogni cosa ha un suo ciclo vitale, onestamente la fotografia oggi fa parte integrante nella vita delle persone più che in passato, se i fotografi non comprendono il cambiamento e le necessità sociali (consivisibili o meno) rimane un problema di questa categoria... in tanti lavori si arriva ad essere obsoleti e non è una novità...
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