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Stai fotografando i tuoi preconcetti?


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avatarsenior
inviato il 26 Gennaio 2020 ore 23:32

leggete Penone… Giuseppe Penone.
Rovesciare gli occhi

….Chiudevo gli occhi allo sguardo ma nello stesso tempo proiettavo all'esterno le immagini che avrei dovuto ricevere. Dalle immagini che un artista riceve a occhi aperti nasce il lavoro. In questo modo era come rimandare immediatamente il lavoro all'esterno ( …) è l'idea del riflettere quanto si vede normalmente…..


….Molti artisti hanno compiuto esperimenti sulla percezione visiva. E l'esperimento di cui parliamo qui è forse il più estremo e singolare di tutti.
Corre l'anno 1970. Il giovane artista Giuseppe Penone ordina a un ottico di fiducia delle lenti a contatto specchiate. Gli servono per un esperimento artistico che lui chiama Rovesciare i propri occhi.
Durante la performance Giuseppe viene fotografato mentre indossa quelle lenti a contatto specchiate.
Le lenti specchiate nascondono lo sguardo dell'artista, gli impediscono di vedere. Nelle foto a lui scattate, i suoi occhi restano invisibili. In compenso noi spettatori guardando le foto osserviamo tutti i paesaggi, i gesti e gli uomini riflessi nelle lenti. Gli scatti ci consentono di notare il panorama di cui l'artista si è privato.
Nelle opere d'arte tradizionale vediamo il mondo rappresentato attraverso la sensibilità di un artista. Con Rovesciare i propri occhi invece vediamo il mondo riflesso sulle lenti specchiate.
L'artista incapace di vedere perde la sua funzione di tramite. La sua sensibilità non conta nulla. Conta solo la capacità delle lenti, di riflettere in modo efficace. Le lenti, mezzi meccanici che obbediscono a leggi fisiche, si sostituiscono agli occhi del creatore d' arte.
Rovesciare i propri occhi è un esperimento più filosofico che scientifico, una meditazione sul ruolo dell'artista nel mondo. fatta attraverso mezzi ottici….

user90373
avatar
inviato il 26 Gennaio 2020 ore 23:36

@ Nessunego
La fotografia non é assolutamente neutrale e oggettiva e non lo sarà mai.

La fotografia non è oggettiva, e va bene, ma la fotocamera su che dati si basa per compiere il proprio lavoro, oggettivi o soggettivi?

avatarsenior
inviato il 26 Gennaio 2020 ore 23:43

Soggettivi, infatti se fotografi la stessa identica scena con diversi sensori e/o diverse ottiche ottieni immagini differenti per gamma dinamica, rumore, risoluzione, profondità di colore, dimensione, colore (pensa ai sensori monochrome che leggono solo in bianco e nero o alle fotocamere modificate per infrarosso).
Insomma, mettere di mezzo la tecnologia non dá alcuna oggettività, perché la tecnologia é progettata e costruita dall'uomo in base ad uno scopo e ad una visione della realtà ed é quindi assolutamente soggettiva.
In più da sola la tecnologia non fa nulla e siccome a usarla é sempre un essere vivente, la soggettività si moltiplica.
In più ogni fotografia costituisce una forma di realtà per un osservatore che la guarda, e quindi entra in campo anche la soggettività percettiva di chi la fotografia la guarda.
Quindi, ricapitolando: soggettività nella progettazione del mezzo fotografico, soggettività nell'utilizzo del mezzo fotografico, soggettività nella percezione della fotografia.
In generale, una qualsiasi realtà oggettiva non esiste e se esiste non é a noi percepibile come tale.

avatarsenior
inviato il 26 Gennaio 2020 ore 23:55

Lange parla di fotografare ciò "che isitintivamente gli procurava una reazione ", il che, a rigore, non significa scattare d'istinto

Beh, de facto è ad istinto ;-)
Però questo è comunque, almeno in parte, in contrapposizione con questo:
sapere in anticipo che cosa stai cercando significa che stai solo fotografando i tuoi preconcetti, cosa che è molto limitante

Questo paio di righe sembrano una critica non tanto al progetto fotografico, ma alla previsione di ciò che si fotograferà; banalmente: vado in India a fotografare il vecchio sdentato e il bambino...

In effetti è una questione interessante e complessa, non liquidabile con facilità.

Beh, rientra nell'epistemologia: ci sono solo quasi tre millenni di filosofia che si interrogano su questo :-P

user90373
avatar
inviato il 26 Gennaio 2020 ore 23:59

@ Nessunego

L'ultima curiosità: quando vado a scegliere uno strumento fotografico lo faccio certamente in base ad una mia soggettività ma per individuarlo mi baso su dati che dovrebbero esser ogggettivi, iso max., pixel, tempi, modi di exp., lunghezza focale, apertura ecc., si potrebbe quindi parlare di una preferenza soggettiva basata su dati oggettivi?

avatarsenior
inviato il 27 Gennaio 2020 ore 0:10

In un mondo ideale sí.
Poi però scopri che gli ISO misurati differiscono dagli ISO dichiarati e che gli ISO misurati differiscono tra test diversi per via dell'impiego di diversi strumenti e metodi di misura.
Scopri che il valore di apertura f non rappresenta effettivamente la luce che arriva sul sensore, che é rappresentata invece dal valore t e che anche la misura dei valori f e t dipende dagli strumenti impiegati e dal metodo utilizzato. Scopri che la lunghezza focale dichiarata di un obiettivo corrisponde in realtà ad un'altra (24mm con lunghezza focale effettiva di 26mm)
E così via...

avatarsenior
inviato il 27 Gennaio 2020 ore 6:23

Credo che la Lange parlasse soprattutto per se stessa, perché se dovessimo giudicare i miliardi di scatti fatti "istintivamente" (tra virgolette) e "senza preconcetti" (tra virgolette) da miliardi di persone credo che il suo assunto cadrebbe immediatamente.
Anche io in passato ho assunto la sua posizione, che in alcune circostanze ancora mantengo, ad esempio quando vado a fotografare un luogo preferisco non saperne nulla e lasciare che sia la mia sensibilità a guidarmi verso scelte fotografiche, banali o meno che siano.
Oggi ho una posizione più matura, più democristiana: è ovvio che quando si fanno fotografie ci sia una parte di istintività e un'altra di ricerca o conferma di qualcosa che si conosce a priori, la famosa progettualità. Senza istintività si rischia di produrre dei campionari, magari meravigliosi come quelli dei Becher; senza progettualità si rischia di non uscire neanche di casa oppure di portare a casa delle miscellanee, ad esempio avendo, su un immaginario rullino da 36 pose, una macro, un ritratto, un paesaggio, una street e una foto di denuncia: cioè in definitiva di non ottenere nulla. Soggettività e oggettività sono separati solo nella mente di persone scisse.
Forse l'affermazione della Lange va intesa come un invito a mantenere la mente aperta quando si fotografa, a non lasciarsi condizionare eccessivamente dai pregiudizi, a mantenere bassa la soglia dello stupore. Cosa che va fatta anche quando si studia per un progetto, nel senso che quello che veniamo a sapere apprendendo può ribaltare i nostri preconcetti.
Faccio un esempio: mi è capitato, durante delle passeggiate di esplorazione del paesaggio urbano, di trovarmi di fronte a realtà umane e sociali difficili, sulle quali avevo già un forte preconcetto e un coinvolgimento morale/emotivo. In quel caso ho dovuto cercare di allontanarmi psicologicamente e come inquadrature da quelle realtà, sia perché rischiavo di travisare l'oggetto delle mie esplorazioni, sia perché facendomi coinvolgere troppo rischiavo di creare delle immagini "a tesi", delle opere chiuse che avrebbero fornito all'osservatore un solo punto di vista. Sempre durante quelle passeggiate, al contrario, mi è capitato di "vedere" questa foto www.juzaphoto.com/galleria.php?l=it&t=3004267, perché evidentemente già risuonava nella mia testa: non c'entra nulla con il mio tema progettuale di allora, ma quando ti trovi di fronte una "tua" foto devi scattare, anche se non c'entra nulla e anche se fa rabbia sapere che una foto nata dal caso possa essere migliore e più apprezzata di tante scattate con fatica.
Concordo con Francesco Merenda sul fatto che siccome la fotografia è sempre un po' una proiezione del subconscio, in fondo quando si esce sono le foto a venirti incontro, perché già ce le hai in mente; e concordo anche con la posizione di AleZ sul fatto che, nello svolgimento di un progetto, ci sia il rischio di fare solo le foto che confermano la nostra tesi assunta a priori, un po' come avviene con la "bolla virtuale" che ci creiamo su internet, con lo zampino dell'intelligenza artificiale, che ci esclude dal contatto con idee diverse dalle nostre.

avatarjunior
inviato il 27 Gennaio 2020 ore 6:23

spunto da un'affermazione di Dorothea Lange che ritrovo nel saggio " L'infinito istante " di Geoff Dyer- Einaudi, 2007, che sto lentamente rileggendo.
A pag.6 l'autore riporta alcune frasi di Lange:
" sapere in anticipo che cosa stai cercando significa che stai solo fotografando i tuoi preconcetti, cosa che è molto limitante". Seconco lei era bene che un fotografo lavorasse " completamente senza pianificazione" e che fotografasse solo " ciò che isitintivamente gli procurava una reazione ".


buonagiornata, come in tutte le cose penso che la via di mezzo sia spesso la soluzione migliore, questo non toglie che comprenda bene cosa vuole dire Lange nelle sue parole, in pratica è giusto avere dei progetti precisi in mente (fotograficamente parlando) ma se seguiamo solo quelli quando usciamo per fotografare ci precludiamo tante idee fotografiche che in un primo momento non ci sono passate per la testa.Faccio un esempio pratico che come location ha sempre il centro di Roma.Primo caso, io esco con un progetto fotografico in mente preciso, per esempio una cliente mi ha chiesto dei ritratti che comprendono anche dei ritratti ambientati nel centro storico, io tornerò a casa con quel tipo di foto e soggetto, al massimo avrò avuto delle ispirazioni in tema che non avevo mai avuto, ma non mi discosterò di molto dal progetto iniziale.Secondo caso, (mi succede di frequente) ho all'improvviso solo 2 ore di tempo libero o poco più, scelgo la fotocamera (tipo la dp1 Merrill) o Reflex e un ottica fissa (esempio il 200 mm) senza un perchè, come se mi chiamasse e mi dicesse oggi prendi me, non so cosa andrò a fotografare ma so che quel giorno voglio usare quel tipo di attrezzatura, è come, per capire un confronto tra primo e secondo caso, se un giorno voglio uscire con un amico perchè voglio parlare del viaggio che dobbiamo fare oppure dico stasera voglio andare a mangiare con un amico in particolare senza sapere l'argomento della discussione, nessuno dei due casi è sbagliato ma sicuramente nel secondo caso mi troverò a parlare di argomenti completamente inaspettati.Da cosiderare che quando esco con un ottica fissa (anche la Merrill ha un ottica fissa), io non porto una seconda ottica nello zaino anche se potrebbe entrarci, io quel giorno ho deciso per quell'ottica, non mi interessa usarne un altra.Quando esco senza un idea precisa, ma solo il luogo e l'attrezzatura molto specifica per foto aspecifiche, che sembra una forte contraddizione, mi puo capitare di tutto, di fotografare sconosciuti, sconosciuti che poi diventano amici, di fotografare set cinematografici con attori del calibro di Anthony Hopkins,giochi di luce su parti della mia città che non si ripeteranno più e tante altre cose che mi gratificano come fotografo e come essere umano.Va bene uscire con idee precise per lavoro o per allenamento tecnico(faccio un esempio riallenarsi a riprendere la visione in bianco e nero o fare foto tenendo conto del flusso e dell'uso dei colori), ma la fotografia è anche emozione, e quale emozione è più grande della sorpresa, soggetti inaspettati che ti trovi di fronte come un regalo inaspettato di mamma o papà da piccolo, rispetto ai regali che nei giorni "canonici" rappresentano solo una parziale sorpresa, a volte nemmeno quella visto che era già descritto nella lettera di Babbo Natale.Penso che sia questo quello che voleva intendere, e se non lo è pazienza, io la vivo così la fotografia e così ne traggo nutrimento per il mio essere.

Saluti Roberto M.


avatarsenior
inviato il 27 Gennaio 2020 ore 6:26

giusto roberto

user177356
avatar
inviato il 27 Gennaio 2020 ore 7:30

quando vado a fotografare un luogo preferisco non saperne nulla e lasciare che sia la mia sensibilità a guidarmi verso scelte fotografiche, banali o meno che siano


Io fotografo solo luoghi, le persone (quando ci sono) "servono" solo per dare un senso al luogo. Per questo, quando fotografo luoghi che non conosco moto bene (perché fanno parte della mia esperienza quotidiano o che ho comunque frequentato a lungo), mi preparo in modo ossessivo: guardo tutte le foto possibili che sono state fatte, dai maestri fino all'ultimo utente di Flickr, studio la posizione del sole (o della luna) per determinare l'orario migliore, visualizzo l'effetto delle possibili condizioni di luce, etc. Quando sono sul posto ho in testa il "catalogo" di foto che devo fare, e le faccio, tutte.

A quel punto è come se avessi assolto un compito, e mi rilasso. Inizio ad osservare angoli diversi, cambio prospettiva, sperimento, esploro. E alla fine tiro fuori, quando va bene, la mia foto di quel posto. Che magari è simile a qualcosa che ho già visto, oppure è completamente diversa (o almeno, ritengo che sia tale, visto che potrei aver dimenticato di aver visto qualcosa di simile - non creiamo mai nulla di veramente originale).

Questo è quello che funziona per me: per liberare l'istinto ho prima bisogno di aver esplorato tutte le possibilità "razionali". In altri termini, per liberami dei preconcetti devo averli sperimentati tutti.

avatarsenior
inviato il 27 Gennaio 2020 ore 7:59

“ mantenere bassa la soglia dello stupore...”
Può anche essere che sia la strada giusta, non so, ma sicuramente è una strada terribile.
Senza stupore non fotograferei nemmeno.
L'equilibrio e la moderazione di cui parli secondo me dovrebbero intervenire in fase di elaborazione e gestione della parte emotiva che muove dallo stupore. Quello dovrebbe esserci e rimanere inalterato.
Molto bella la foto.

avatarsenior
inviato il 27 Gennaio 2020 ore 8:55

Leggo il commento di TheRealB e sorrido perché ogni tanto faccio così anch'io. Mi preparo meticolosamente e poi sul posto finisce sempre che "aggiungo altro"...
Forse dev'essere così...
Sorriso

user90373
avatar
inviato il 27 Gennaio 2020 ore 9:26

Esco e porto con me la/e fotocamera/e solo quando ho voglia di fotografare, altrimenti lascio a casa l'ambaradam e mi faccio qualche spritz in compagnia. Se un posto mi piace, ed è a portata festiva, mi riprometto di tornarci "armato" di mezzi e delle mie prime impressioni, niente ricerche teoriche perchè "io son io, gli altri no.".
Gli scatti validi non li cerco nelle mia mente li trovo davanti a me.

avatarsenior
inviato il 27 Gennaio 2020 ore 9:32

Bella discussione, con molti punti di vista interessanti, a cui aggiungerei una faccenda.
La Lange parla di pregiudizio. Ovvero di qualcosa che per definizione è differente dall'idea di giudizio (poco o tanto critico).

In molti passaggi mi pare che le due cose si siano un po' sovrapposte, ma credo che la distinzione resti importante.
E che la stessa Lange, che lascia intendere il pregiudizio come qualcosa da evitare, non sia proprio portatrice di una fotografia priva di giudizio.

La cosa che aggiungerei è quindii questa: cercare di rifuggire il pregiudizio è una cosa in genere positiva, ma non è affatto detto che si debba poi cercare di fotografare in modo variamente "neutro".

Cioè, detto che il concetto della Lange è interessante, io trovo corretto, se non auspicabile, accostarsi alla fotografia esprimendolo, un qualche punto di vista.

Sono stati fatti esempi personali e ne faccio anche io un paio: un certo lavoro, sviluppato nel tempo, sul "muro dopo il muro" a Berlino, piuttosto che uno più specifico su un luogo di detenzione della STASI (per chi non lo sapesse, parliamo dei poco simpatici servizi della DDR), o ancora la zona di Nowa Huta a Cracovia, che fu un "dono" dello stalinismo alla Polonia sovietica, li ho "visti" sicuramente attraverso un certo filtro, e così volevo rappresentarli.
Chiaramente (per le cose già dette) non è facile capire dove finisce il giudizio (che è voluto) e dove comincia il pregiudizio (che è "subito").

Ma quel che volevo dire è che trovo non solo normale, ma del tutto giusta una rappresentazione evidentemente soggettiva.
Semmai, per chi poi svolge con la fotografia una qualche funzione sociale, è magari importante l'onestà di rendere chiare le cose, chiaro quello che fa.

avatarsenior
inviato il 27 Gennaio 2020 ore 9:34

Trovo la frase di Lange, letta cosi', limitante.
In qualche modo, sembrerebbe costringere il fotografo a diventare un semplice esecutore che reagisce ad uno stimolo.
Da quello che vedo passeggiando per strada, in fondo e' quello che fanno tutti coloro che estraggono il cellulare dalla tasca, e scattano, un tramonto, un monumento o qualsiasi altra cosa li "colpisca".
Penso che la fotografia richieda invece una relazione piu' profonda tra soggetto e fotografo, una interazione bidirezionale.
Naturalmente questa interazione puo' venire meno anche con un "progetto", quando si decide di piegare il tutto al fine che il fotografo si pone.
Per quel che riguarda la pianificazione di uno scatto, penso che in fondo, non sia altro che il tentativo di iniziare una conversazione con il nostro soggetto.
Un modo per iniziare a conoscerlo. Poi naturalmente, una volta sul posto, interagendo direttamente con il soggetto, tutto potrebbe cambiare, e la pianificazione andarsi a fare benedire.
Concludendo, a me piace pensare che la fotografia sia una relazione piuttosto intima.

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