| inviato il 08 Giugno 2016 ore 15:25
Tenendo conto delle condizioni e delle difficoltà teNNiche, direi che va bene così, altrimenti ci tocca sputare pure sopra la foto del miliziano di Robert Capa neh! (anzi dovremmo sputare sopra a tante foto di Capa, però io non lo farei). Visto che se ne parla, riporto le caratteristiche teNNiche della macchina fotografica usata per la foto ad Armstrong: "La tecnologia fotografica Come già accennato, le circa 20.000 fotografie scattate durante le missioni Apollo furono ottenute tutte usando pellicole fotografiche: all'epoca non esistevano le fotocamere digitali. Le pellicole usate per le foto scattate sulla Luna dagli astronauti furono principalmente Kodak Ektachrome MS ed EF a colori, in formato 70 mm, con sensibilità di 64 e 160 ISO rispettivamente, e Kodak PanatomicX in bianco e nero, sempre in formato 70 mm, con sensibilità di 80 ISO (nella documentazione d'epoca delle missioni lunari la sensibilità delle pellicole è riportata in ASA, che equivalgono esattamente ai valori ISO odierni). Queste pellicole erano inserite in caricatori sigillati rimovibili (la parte posteriore della fotocamera in Figura 5-1) e derivavano dalle pellicole usate per le ricognizioni fotografiche in alta quota, che dovevano sopportare temperature fino a -40°C. Il loro speciale supporto di poliestere Estar aveva una temperatura di fusione di 254°C. Questo supporto, più sottile di quelli normali, permetteva inoltre di contenere in ciascun caricatore un numero di pose superiore alla norma: 160 a colori e 200 in bianco e nero. Per le foto a colori fu scelto di usare pellicola di tipo invertibile, ossia che produce diapositive, anziché la normale pellicola che genera negativi. Questa scelta può sembrare strana, dato che la pellicola per negativi ha una maggiore tolleranza alle condizioni di luce difficili e alle sovra e sottoesposizioni, ma fu dettata dal fatto che usando dei negativi sarebbero sorti problemi di fedeltà dei colori. Nelle foto scattate nello spazio o sulla Luna, infatti, sarebbe mancato spesso qualunque oggetto familiare da usare come riferimento per i colori, come si fa sulla Terra, e quindi i tecnici dei laboratori fotografici avrebbero avuto difficoltà nel regolare il procedimento di stampa dei negativi per ottenere i colori reali. La pellicola per diapositive non ha questo problema. Le fotocamere usate per quasi tutte le fotografie scattate durante le escursioni sulla Luna furono delle Hasselblad 500EL motorizzate, con esposizione e messa a fuoco manuale e obiettivo a lunghezza focale fissa, quindi senza zoom. Le missioni dalla 11 alla 14 portarono sulla superficie lunare solo un obiettivo Zeiss Biogon grandangolare (60 mm); dall'Apollo 15 in poi fu aggiunto un teleobiettivo da 500 mm. L'avanzamento della pellicola era gestito automaticamente dal motore elettrico della fotocamera. La messa a fuoco era guidata da indicazioni sulle ghiere dell'obiettivo ed era agevolata dalla notevole profondità di campo (intervallo di distanze alle quali gli oggetti fotografati sono nitidi) offerta dall'obiettivo grandangolare e dalla regolazione piuttosto chiusa del suo diaframma per via della forte illuminazione solare: i valori consigliati erano f/5.6 per i soggetti in ombra e f/11 per gli astronauti in pieno sole. L'obiettivo era dotato di levette di regolazione maggiorate per consentirne l'azionamento anche con gli spessi guantoni della tuta spaziale. Anche il pulsante di scatto era molto più grande del normale per lo stesso motivo. L'esposizione era regolata a mano: sul caricatore c'erano dei promemoria per le regolazioni del diaframma e del tempo di posa. La mira era approssimativa, perché non c'era un mirino vero e proprio, che sarebbe stato inutilizzabile attraverso il casco della tuta spaziale: gli astronauti puntavano la fotocamera guardando lungo il suo asse, assistiti dall'ampiezza dell'inquadratura dell'obiettivo grandangolare (circa 49° in altezza e larghezza, 66° in diagonale). Le fotocamere usate per le escursioni erano argentate per riflettere la luce e il calore del sole e ridurre il rischio di surriscaldamento; quelle usate a bordo erano nere. " (fonte: "Luna: sì, ci siamo andati?", Paolo Attivissimo) Sempre dallo stesso libro sappiamo che questa foto in realtà è stata modificata aggiungendo spazio (in tutti i sensi) sopra la testa di Aldrin, perché Armstrong, non potendo mirare, aveva sbagliato un po' a comporre ... insomma ha rischiato di decapitarlo. Rimane la foto di un'epoca di grandissime aspettative al netto di ogni errore. EDIT: chiedo scusa, grazie alla segnalazione di Albi mi sono reso conto che avevo fatto un errore madornale, sbagliando completamente il credit e invertendo di fatto i ruoli fotografo/soggetto. Errore mio. Nel libro di Attivissimo, per fortuna, questo scambio non è avvenuto. Oh si invecchia neh! |
| inviato il 09 Giugno 2016 ore 8:50
Io invece vado verso un diverso tipo di fotografo philip lorca dicorcia
 "La fotografia è una lingua straniera, che tutti pensano di parlare". La fotografia di Philip-Lorca diCorcia (Hartford, Connecticut 1953) combina la tradizione documentaristica alla finzione del cinema e della pubblicità, creando immagini che oscillano tra la realtà, la fantasia e il desiderio. Il fotografo statunitense ha creato uno stile unico che mescola con maestria foto rubate ad accurate composizioni sceniche, l'illuminazione reale a quella artificiale, dettagli simbolici a colori de-saturati. Philip-Lorca diCorcia ha sviluppato l'interesse per la fotografia mentre frequentava l'Università d'Arte di Hartford nei primi anni 70. Continuati gli studi presso la Scuola del Museum of Fine Arts di Boston nel 1975, si è laureato a Yale, con un Master of Fine Arts in Fotografia nel 1979. Trasferitosi a Los Angeles, ha lavorato nel settore della cinematografia prima di tornare a New York City, come assistente di noti fotografi commerciali. Le fotografie di Philip-Lorca diCorcia conferiscono una qualità inquietante all'immaginario comune che l'artista altera. Rappresentazioni fatte di artificiosità, perfezione formale e valorizzazione del dato estetico, che non rinunciano mai all'istintiva immediatezza del dettaglio rubato. Catturando momenti che sembrano arrestare il flusso caotico del mondo, congelandolo e isolandolo dal resto che scompare, il fotografo americano pone interrogativi sulla verità documentale delle stesse immagini, inventando vie alternative per esplicare e rappresentare la realtà. La tensione psicologica della sue messa in scena, ora totalmente pianificata, ora raggiunta attraverso la sorpresa nel nascondere luci nella pavimentazione, tali da illuminare un soggetto casuale in modo speciale, conduce alla costruzione di un nuovo mondo, ricco di pathos, all'interno del quale i personaggi si muovono anonimi attraversano uno spazio delimitato. Avvalendosi dell'uso di Polaroid, diCorcia miscela sapientemente l'illuminazione artificiale alla naturale, riuscendo a cogliere la fugacità dei dettagli e delle espressioni. Immagini ricche di pathos, rappresentazioni teatrali che dipingono il senso della realtà come fosse appeso a una soglia, incerta, instabile, ma in ogni caso altamente poetica. |
| inviato il 09 Giugno 2016 ore 10:43
 Ansel Adams; "Alfred Stieglitz at his Desk at an American Place", New York 1938 ca. Sulla parete in primo piano è visibile un dipinto di Georgia O'Keeffe, moglie di Stieglitz. Questa fotografia di Ansel Adams può sembrare anomala, visto che lo associamo ai magnifici paesaggi dello Yosemite Park, dell'High Sierra e delle Montagne Rocciose in generale. Della sua amicizia e sodalizio con Stieglitz (in cui ebbe parte la comune opzione per la "street photography" e l'opposizione al "pittorialismo") e dei suoi frequenti viaggi a New York si legge in questo che è una sorta di sito ufficiale su Ansel Adams: www.anseladams.com/ansel-adams-information/ansel-adams-biography/ "Adams's star rose rapidly in the early 1930s, propelled in part by his ability and in part by his effusive energy and activity. He made his first visit to New York in 1933, on a pilgrimage to meet photographer Alfred Stieglitz, the artist whose work and philosophy Adams most admired and whose life of commitment to the medium he consciously emulated. Their relationship was intense and their correspondence frequent, rich, and insightful. Although profoundly a man of the West, Adams spent a considerable amount of time in New York during the 1930s and 1940s, and the Stieglitz circle played a vital role in his artistic life. In 1933 the Delphic Gallery gave Adams his first New York show. His first series of technical articles was published in Camera Craft in 1934, and his first widely distributed book, Making a Photograph, appeared in 1935. Most important, in 1936 Stieglitz gave Adams a one-man show at An American Place." |
| inviato il 09 Giugno 2016 ore 13:50
Mimmo Jodice: "Ho cercato di trasmettere a chi guarda il mio lavoro il senso di solitudine e di angoscia che non mi abbandona mai. Ho cercato di esprimermi fotografando le persone- ribadisco che per me non sono solo statue e rovine- che ho incontrato nei miei viaggi; persone che esprimono ansia, amore, dolore, avidità, tenerezza. Non sono sentimenti del passato ma nostri, nel presente e nel futuro" Volto virile da Ercolano.
 PS: Lo so, siamo al limite dell'OT. La propongo qui come ritratto in relazione alle parole di Jodice che introducono l'immagine. |
| inviato il 09 Giugno 2016 ore 14:05
Frederick Sommer, ritratto a Max Ernst (1946)
 Si tratta di una stampa fatta sovrapponendo due negativi: uno il ritratto al pittore, l'altro una foto ad un muro di cemento. Il risultato è decisamente surreale, in perfetta sintonia con il soggetto ripreso. p.s. a Sommer non piaceva del tutto il ritratto che aveva fatto all'artista perché aveva alcune parti mosse, decise di fondere i due negativi insieme ed oplà un piccolo capolavoro. |
| inviato il 09 Giugno 2016 ore 21:52
Meraviglioso quest'ultimo ritratto. E' la materia del mondo il corpo dell'artista. Simbolico. |
| inviato il 09 Giugno 2016 ore 22:16
Chet Baker (foto di Jay Maisel)
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| inviato il 09 Giugno 2016 ore 23:35
Grazie per questa iniziativa stupenda. Io andrei con Herb Ritts che fotografa Glenn Close
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| inviato il 10 Giugno 2016 ore 0:14
Un'altra fotografia ottenuta con la stampa di due negativi sovrapposti. L'avevo in mente anche perché me la ricorda un famosissimo ritratto, realizzato invece con la tecnica della doppia esposizione, che magari proporrò domani tornando così per la seconda volta su uno dei fotografi che adoro... Wanda Wulz, Io + gatto , 1932
 it.wikipedia.org/wiki/Wanda_Wulz |
| inviato il 10 Giugno 2016 ore 8:43
Direi che non può mancare Cindy Sherman
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| inviato il 10 Giugno 2016 ore 9:11
Sempre a proposito di ritratti iconici:
 Andreas Feiniger, "The Photojournalist", 1951 Si tratta del ritratto dal giovane collega Dennis Stock, a sua volta, negli anni successivi, autore di ritratti iconici (nei prossimi giorni ne posterò qualcuno). Feininger realizzò questa foto per "Life" in occasione dell'assegnazione a Stock del primo premio in un concorso per giovani fotografi nel 1951. L'autore di questo blog lo ha definito "cortocircuito fotografico": pegaphoto.com/2014/03/17/cortocircuito-fotografico-13-dennis-stock-fot Su Pinterest ho trovato i provini a contatto di questa sessione: s-media-cache-ak0.pinimg.com/736x/67/a6/fd/67a6fdf5afde2dc6ade3de62b53 |
| inviato il 10 Giugno 2016 ore 13:58
Questo topic è una meraviglia di stimoli continui, voglio fare i complimenti ad IronLuke per l'idea e le regole imposte, e complimentarmi con tutti gli altri per quello che stanno tirando fuori: ci sono immagini che ho rivisto con piacere e altre che proprio non conoscevo. Tra l'altro, ormai entrato di brutto nel gioco e per cercare sempre nuove immagini da proporre, mi sto risfogliando tutti i miei libri di fotografia che purtroppo non sono molti e molti sono monografie, ma con l'occasione li sto riguardando con più attenzione, riscoprendo in alcune enciclopedie autori che forse non avevo considerato abbastanza, come Joel Peter Witkin, un fotografo a dir poco disturbante. Donna dal Capello Blu, Joel Peter Witkin (1985)
 Il soggetto ritratto è Jackie Tellafian, affetta da un handicap che la costringe sulla sedia a rotelle e per la quale il fotografo ha costruito una scena molto particolare. Ricorda quel piccolo capolavoro "Freaks" di Tod Browning. "ONE OF US" Qualcosa ricorda anche di Bellmer e le sue bambole rotte. p.s. siccome purtroppo questo topic finirà alla 15esima pagina, sarò attentissimo a pubblicare un solo post al giorno con una sola foto. Ogni tanto quasi mi scappa di commentare le foto proposte dagli altri, ma correrei il rischio di rompere il ritmo e allora mi trattengo. È dura però. |
| inviato il 10 Giugno 2016 ore 15:12
“ p.s. siccome purtroppo questo topic finirà alla 15esima pagina, sarò attentissimo a pubblicare un solo post al giorno con una sola foto. Ogni tanto quasi mi scappa di commentare le foto proposte dagli altri, ma correrei il rischio di rompere il ritmo e allora mi trattengo. È dura però. „ Se dovesse proseguire così fino alla quindicesima pagina, credo non ci sarebbero problemi ad aprirne una seconda parte, ma semmai più avanti chiederò a Juza. Riguardo agli eventuali commenti, l'idea iniziale era che valesse la pena di correre il rischio. È vero che adesso si è preso un certo abbrivio, ma su quello secondo me non è il caso di sentirsi troppo vincolati. |
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