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filosofia del ritocco


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avatarsenior
inviato il 17 Ottobre 2014 ore 22:38

Se ti riferisci ad essere capaci di spostare cursori, hai ragione, ma se parliamo di SAPERE come intervenire su di un immagine, su luci, ombre, colori, nitidezza, etc. etc. il campo si restringe, e non di poco.
Oggi come oggi la fotografia è certamente cambiata: una volta il fotografo si limitava (termine inadatto...) a scattare e riportare allo stampatore cosa voleva tirarne fuori, oggi il fotografo deve conoscere anche il "come" tirar fuori ciò che vuole da uno scatto; paraddossalmente secondo me la cosa richiede più conoscenze.

Quoto abbondantemente....

avatarsenior
inviato il 17 Ottobre 2014 ore 22:56

Non c'è scritto niente da nessuna parte: qualsiasi forma di comunicazione per immagini è un processo complesso che prevede imprescindibilmente percezione sensoriale, elaborazione soggettiva, formalizzazione tramite tecniche e supporti specifici. Non vale fare dei distinguo categorici, si possono solo fare valutazioni quantitative e quindi del tutto opinabili. Si può discutere (nel famoso "campo delle cento pertiche") se un certo livello di ritocco sia accettabile o eccessivo, ma non che ci sia un ritocco: il primo ritocco a un'immagine riprodotta è insito nella differenza tra com'è e come la vede l'occhio del reporter. Già la percezione produce alterazioni soggettive, quindi è vuoto parlar del resto in termini categorici.

user35763
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inviato il 18 Ottobre 2014 ore 8:57

Quando si parla di postproduzione,spinta ed eccessiva che sia,o di "fotoritocco",elaborazione grafica di un immagine ecc,cio' che ci si deve chiedere(e che in definitiva conta)è:l'immagine ha le prerogative tecniche necessarie ad un uso professionale?L'immagine puo' essere acquistata da aziende per una campagna pubblicitaria? Da privati per docorare casa?Ci potrai pagare l'affitto e le bollette?Quando con le immagini ci si lavora professionalmente tutte le "pipparolate" sull'etica,verita',eccessività,realta' e pali e paletti e codicilli vari non si pongono,sembra assurdo pure soffermarcisi a pensarle,sembrano forme incongrue di masturbazione mentale;le uniche cose che servono sono che l'immagine possa piacere ai clienti,che c'e ne sia richiesta di quel genere,che trasmetta quel che serva trasmettere per quel determinato prodotto,idea o concetto, e-cosa fondamentale-sia realizzata tecnicamente in maniera perfetta e assolutamente professionale. Che sia facile e alla portata di tutti non credo e non mi sembra.

avatarsenior
inviato il 18 Ottobre 2014 ore 21:07

il primo ritocco a un'immagine riprodotta è insito nella differenza tra com'è e come la vede l'occhio del reporter. Già la percezione produce alterazioni soggettive, quindi è vuoto parlar del resto in termini categorici.
Sempre prensato

avatarsenior
inviato il 19 Ottobre 2014 ore 19:27

Ok, Silvano, ma penso che anche a livello professionale ci sia qualcosa di più. Qualche mese fa si è scatenata una discussione accesissima a partire dall'espulsione da un'agenzia fotografica, di un reporter pluripremiato che aveva ritoccato una foto di un reportage di guerra. Mi pare che anche National Geographics respinga le foto ritoccate in postproduzione. Quindi la questione esiste e non può essere liquidata semplicisticamente in funzione della vendibilità. Alcuni dei principali market-maker del settore la pongono, evidentemente perchè ne fanno una questione dirimente sulla credibilità del messaggio fotografico e di conseguenza sullo sviluppo e sul futuro dell'attività. Secondo me il dibattito è più che motivato e legittimo e lo sforzo più costruttivo è quello di individuarne i corretti punti di equilibrio. IMHO, l'esperienza insegna che nonostante quanto possa sembrare con una prospettiva più o meno miope, un'impresa senza fondamenti etici prima o poi va a sbattere!!

user35763
avatar
inviato il 19 Ottobre 2014 ore 20:03

Nella fotografia e nelle arti visive in genere,saro' psicopatico,ma sta cosa dell' etica riferita alle tecniche usate non la capisco,non capisco che volete dire,non ci arrivo,è un mio limite e carenza,son peccatore senza speranza alcuna,e perdonami,manco voglio capirlo non c'e la farei a farcela. Per me l'etica va riferita a questioni e situazioni assai diverse,perdonami ancora.Sorriso

avatarsenior
inviato il 19 Ottobre 2014 ore 20:24

Primo, non hai nulla da farti perdonare. Almeno spero, e di certo non delle opinioni differenti...La prendo alla lontana: essendo il complesso delle arti visive (e la fotografia è una delle più multiformi, consente sicuramente più sbocchi e più finalità della pittura o della scultura) riconducibile al tema vastissimo della comunicazione (un po' di tempo fa un intellettuale di cui non ricordo il nome, sfidato a dare un definizione di arte, ci pensò un sacco e non trovò nulla di meglio di "arte è tutto ciò che comunica"), mi sembra ovvio che ci si possano porre delle questioni di etica...E siccome la tecnica non è fine a se stessa ma funzionale al risultato globale, sta benissimo nelle discussioni. Se non si vuole parlare di etica, via libera alla pornografia, ai video dell'ISIS con barbare esecuzioni in diretta, alle telecronache delle esecuzioni capitali, a chi più ne ha più ne metta, magari alle mistificazioni tipo false invasioni di alieni alla Orson Welles. Dove poi sia opportuno stoppare l'etica perchè diventa un esercizio sterile, ognuno ha la sua opinione. Rispetto la tua, ma anche quella di National Geographic e delle agenzie che pretendono per contratto che le foto non siano ritoccate. Forse il tuo "non arrivarci" giustifica vieppiù che se ne discuta.

avatarsenior
inviato il 19 Ottobre 2014 ore 20:29

Aggiungo una chiosa, rubata da un post precedente: essendo l'arte - e quindi la fotografia - un rapporto basato su un implicito patto di fruizione tra un proponente (il fotografo) e un destinatario (il pubblico), l'unità di misura per la liceità delle manipolazioni è il livello di rispetto del patto. Le manipolazioni sono lecite e magari opportune, nella misura in cui sono trasparenti e vanno incontro alle legittime aspettative del pubblico, che dobbiamo sempre rispettare e considerare il soggetto preminente della dialettica comunicativa.
Per esempio, differente è la prospettiva tra una foto still life (in cui il pubblico cerca il "bello") e un reportage giornalistico (si cerca il "vero").
Per esempio, se un malato terminale prestasse la sua immagine (come in effetti è già successo) per portare il focus sul dramma del cancro o dell'AIDS, sarebbe lecito draganizzare le foto per accentuarne il pathos?

user35763
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inviato il 19 Ottobre 2014 ore 20:43

Ho scritto di tecniche non di messaggio e contenuti,di significante non di significato.
Ma che importa,l'ho detto prima,son perso,non voglio neanche capire,troppa fatica e io nasco accidioso e ignavo,e ci voglio pure morire,che son peccatore e me lo merito tutto.M'arrendo.
Arriperdonami ancora,e abbi pietà di me e prega per la mia povera anima smarrita e condannata.Sorriso

user35763
avatar
inviato il 19 Ottobre 2014 ore 20:57

Andrea,hai tutte le ragioni per discutere di etica,e credimi,la mia suddetta è fatta bonariamente.
Ma non appena sento solo la possibilità di discorsi polemici-i tuoi non lo sono-lascio subito perdere,passo di qua ogni tanto nei fine settimana per un po di relax,uno stacco,qualche novità tecnologica sfuggita,il mercatino,qualche consiglio o una chiacchera senza alcuna pretesa,e piu' in la non voglio arrivare,discorsi piu' seri e approfonditi sono quasi impossibili nei forum,quindi stavolta non perdonarmi,ma scusami se senza alcuna reale intenzione ti sono parso offensivo.Sorriso

avatarsenior
inviato il 20 Ottobre 2014 ore 12:36

Per esempio, se un malato terminale prestasse la sua immagine (come in effetti è già successo) per portare il focus sul dramma del cancro o dell'AIDS, sarebbe lecito draganizzare le foto per accentuarne il pathos?


Spesso l'Espresso usa foto abbastanza draganizzate per i suoi reportage, ad esempio.


avatarsenior
inviato il 20 Ottobre 2014 ore 13:53

Silvano, le persone offensive sono fatte in un'altra maniera....
Shambola, il mio punto di vista è che stiamo parlando di una questione tutt'altro che definita e facile da definire: il fatto che anche tra grandi operatori della comunicazione per immagine ci siano differenze antipodali di orientamento e atteggiamento vuole dire che in prima istanza sono pienamente ammissibili tutti i comportamenti e che un po' di sano e civile dibattito continua a non guastare.
Alla fine non ci illudiamo di andare a condizionare comportamenti e scelte di portatori di grandi interessi in gioco, ma forse di maturare e crescere come destinatari della comunicazione visiva, un pochino si...
Aggiungo che a questo fine servono di più delle domande difficili che restano senza risposta, piuttosto che delle risposte facili a domande sciocche. IMHO.

avatarsenior
inviato il 20 Ottobre 2014 ore 14:20

Andrea: Non volevo dire che se lo fanno loro allora è giusto. Crollerebbe il mondo all'istante se bastasse questo a legittimare.

Dico, loro lo fanno, e questo è un fatto.
E la cosa non mi è sempre gradevole, qui sta la mia opinione invece.

Di certo è più accordata una situazione di pathos se resa in una tonalità cupa. Anzi, se la morte in foto avesse i colori fluorescenti di Lachapelle probabilmente parleremmo di gesto dadaista, atto di denuncia, provocazione, ecc ecc.

Ma Toscani lo fa. Anche questo è un fatto, e anche qui non mi è sempre gradevole....




avatarjunior
inviato il 20 Ottobre 2014 ore 15:04

Una premessa: non ho letto tutti i commenti del post ma solo alcuni ( oltre al post iniziale).

Al fine di sostenere la tesi secondo la quale la post produzione è quanto di più ovvio ci sia sempre stato ( il che è pure vero ma...) , giù a raccontare le "schiarite" e le varie "maschere" che si attuavano in fase di stampa casalinga; come se al tempo della pellicola TUTTI i fotoamatori sviluppassero e stampassero le loro preziosissime e costosissime pellicole a casa propria, esattamente come adesso si post producono le immagini ( la maggioranza delle quali da vedere rigorosamente a monitor) della nostra brava schedina.
Per la mia esperienza nel periodo analogico non era esattamente così: tra tanti appassionati di fotografia ( con signore macchine analogiche e signori obiettivi ) molti, bravissimi e con produzioni degne di nota, si limitavano a portare il tutto dal loro fotografo di fiducia con al massimo alcune indicazioni di stampa e per i più "esperti" anche di sviluppo ma in ogni caso, solo dopo aver visionato i provini a contatto che il fotografo di fiducia si premuniva di fornire. "Altri" si attrezzavano per fare tutto da soli in BN ( e molti di questi pasticciavano terribilmente); pochissimi ( i più ricchi) si attrezzavano anche per il colore ( e chi se lo poteva permettere andava sul costosissimo "quasi sicuro" Cibacrome per diapositiva).

Diciamo che la post-produzione ai tempi della pellicola non era così facilmente fruibile da tutti ( a parte i professionisti-ma non tutti per la verità), così come lo è adesso; anche per le sole ragioni economiche.

Digitale, diffusione dell'uso del PC e programmi di sviluppo e fotoritocco; sarà una banalità ma è questo che è veramente cambiato oggi. E i ragionamenti che facciamo dovrebbero sempre tenere conto di tutto ciò.

Dunque, non trovo affatto strano o superfluo che molti pongano in discussione "quanta" e "quale" post-produzione si possa ritenere "accettabile" o quanto meno "indispensabile" visti i mezzi a disposizione. Il tutto ovviamente tenendo conto del fatto che oggi il "negativo" è il RAW il quale, essendo semplicemente un file con molte "informazioni" in bit per essere "letto" ha bisogno di essere convertito ( esattamente lo sviluppo della vecchia pellicola). Trovo invece strano che ci si ingegni a sostenere che in post produzione in definitiva TUTTO è possibile ( certo, chi ce lo impedisce?), che è una "questione di gusti personali" e che dipende da "cosa si intende per fotografia" o altre amenità simili. Tuttavia, nessuno che dica: non è detto che non si possa portare un dischetto con i "negativi" RAW al fotografo professionista, farglieli "convertire" e farglieli stampare in un provino ( ovviamente non a contatto), esaminare insieme il risultato e scegliere quali stampare nel formato che vogliamo, magari dando pure qualche indicazione di correzione tipo: "schiariscimi un po' queste ombre" , "correggimi l'esposizione", fammi un HDR che non sembri un HDR", "toglimi il rumore senza piallare " ecc ecc.. Pensiamo forse che un bravo professionista con la post produzione non tiri fuori un lavoro più che perfetto come i tanti "standard" che ad esempio si vedono su questo forum (ad esempio, ma non solo, nei paesaggi) ? Aggiungo: certamente , mio avviso, vedremmo meno pasticciacci.

Dunque, se esiste giustamente una certa "cultura" della ripresa abbastanza consolidata e "riconosciuta" anche dai neofiti (imparare bene l'esposizione, la PDC, la composizione ecc.) e "arrivata" dai grandi maestri del passato , non vedo perché non possa esistere ( o tentare di individuare) una cultura della post produzione che in primo luogo dovrebbe servire, a mio avviso, proprio a non inficiare la stessa "cultura della ripresa" e in fin dei conti l'essenza stessa della fotografia. ;-)

avatarsenior
inviato il 20 Ottobre 2014 ore 15:57

Dunque, se esiste giustamente una certa "cultura" della ripresa abbastanza consolidata e "riconosciuta" anche dai neofiti (imparare bene l'esposizione, la PDC, la composizione ecc.) e "arrivata" dai grandi maestri del passato , non vedo perché non possa esistere ( o tentare di individuare) una cultura della post produzione che in primo luogo dovrebbe servire, a mio avviso, proprio a non inficiare la stessa "cultura della ripresa" e in fin dei conti l'essenza stessa della fotografia.

Bel pensiero, quoto!;-)

Che cosa ne pensi di questo argomento?


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