| inviato il 15 Gennaio 2025 ore 22:01
“ un medico che rianima in mezzo alla pista non racconta nulla di più di quanto si può descrivere a parole. „ hai sicuramente ragione da una parte, ma dall'altra le più grandi fotografie, quelle che raccontano la storia, sono quelle proprio dove il fotografo, per un motivo o per un altro, ha abbandonato la morale. | 
| inviato il 15 Gennaio 2025 ore 22:04
Non mi risulta, anzi. Quel che sembra amorale è raramente l'elegia di ciò che rappresenta (anzi, praticamente mai). | 
| inviato il 15 Gennaio 2025 ore 22:10
“ Non mi risulta proprio. Anzi, può solo sembrare. „ scusa è in risposta al mio intervento? Io immagino foto tipo il monaco tibetano che si da fuoco (non posso postare le foto per ovvie ragioni), oppure il bimbo in africa con l'avvoltoio, il generale sud vietnamita che spara al prigioniero, e chissà quante altre. In quel momento IO non avrei scattato, ma sarei rimasto a guardare impietrito, loro hanno scattato. | 
| inviato il 15 Gennaio 2025 ore 23:15
“ Tuttavia, ho notato che alcuni colleghi hanno scattato senza esitazione, anche durante l'applicazione di un collare e il suo spostamento sulla barella. Questo mi ha fatto riflettere: sono io che mi faccio troppi scrupoli o ci sono situazioni in cui sarebbe meglio mettere la fotocamera da parte per mostrare un po' più di umanità? Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate. Dove tracciate il confine tra il documentare e il rispettare un momento? „ sono d'accordo con te e la tua scelta. Il confine è soggettivo ma per me è più o meno dove lo hai posto tu a meno che documentare l'evento e perdere 3 secondi prima di soccorrere una persona o animale non abbia la funzione di evitare altra sofferenza. Molti sono ormai alienati dalla vita stessa e si sono autoconvinti che riprendere scene di vita fingendo di non farne parte sia quasi una missione. Non lo concepisco neanche in certe situazioni naturali in cui un animale sta per ucciderne un altro senza peraltro che ne abbia una reale necessità. E la cosa più × che sento dire è "ma bisogna lasciar fare alla natura".. parlando di animali costretti a vivere in riserve miserabili perché gli esseri umani hanno occupato tutto il resto dell'habitat possibile e pretendono di non avere certi animali intorno. Allora se l'uomo si pone da dio nei loro confronti decido io chi salvare e quando. Ma questo va oltre il tema. poi c'è un altro tema: anche non potendo aiutare chi sta soffrendo, fargli vedere che sei lì opportunisticamente a riprenderlo come se non avessi mezzo briciolo di empatia è orribile. Poi è sempre una questione di misura non lo ridurrei ad un si o no. | 
| inviato il 16 Gennaio 2025 ore 0:10
Sperando di non andare offtopic mi piacerebbe dire che mi capita spesso, soprattutto in periodi in cui la fotografia mi prende meno, di rendermi conto che certe cose è meglio guardarle che fotografarle. Chiaramente non parlo di atleti infortunati ma magari scene che in fotografia non sono capace a riprendere. In questi casi spengo la macchina e mi godo lo spettacolo. A volte è meglio una bella(o brutta) immagine in testa che Nell hard disk. Spero di aver fatto un intervento consono alla tua domanda. Buona serata :) | 
| inviato il 16 Gennaio 2025 ore 1:03
“ di rendermi conto che certe cose è meglio guardarle che fotografarle „ totalmente con te. chi non è in grado di capire quando spegnere la macchina non credo sia neanche in grado di trasmettere molto con le foto. | 
| inviato il 16 Gennaio 2025 ore 1:05
Susan Sontag nel suo libro "Sulla fotografia" racconta l'episodio di un cronista di guerra, un fotoreporter che sta per assistere ad un'esecuzione e scatta una foto di cui poi in seguito racconterà le circostanze più o meno in questo modo: "stavano per ammazzarle, io dissi 'aspettate un attimo', scattai la foto, mi voltai e sentii il mitragliatore sparare". | 
| inviato il 16 Gennaio 2025 ore 6:45
Grazie a tutti per gli interventi, davvero molto interessanti. Io continuo a leggervi! | 
| inviato il 16 Gennaio 2025 ore 9:02
" e il mio primo istinto è stato spegnere la fotocamera" Intanto e per prima cosa, bravo per aver aperto una discussione su questo serissimo argomento di educazione e di etica, sia etica fotografica che etica comportamentale. Io disprezzo profondamente, come fotografo e come uomo, chi sfrutta le disgrazie altrui per farci dei soldi o trarne del plauso. E' facile fare colpo (.....e soldi!) con foto fatte su disgrazia altrui, ma non è etico, la gente sa benissimo che cosa è una guerra, o una disgrazia, chi le fotografa per farci dei soldi è solo un vile mestierante che sfrutta la curiosità morbosa dei bifolchi. Dunque, secondo me, hai fatto benissimo a non fotografare un atleta in difficoltà. | 
| inviato il 16 Gennaio 2025 ore 9:14
Non è etico, ma è comunque verità. È un discorso davvero complicato XD | 
| inviato il 16 Gennaio 2025 ore 10:06
documentare un evento sportivo significa lasciare traccia di ogni avvenimento rilevante. cadere, farsi male, fa parte dello sport. Inoltre anche a livello di documentazione una foto di un momento del genere potrebbe essere improtanti ai fini della ricostruzione di una certa dinamica. Le fotografia hanno tanti scopi, non solo quelle di essere belle e piacevoli. l'ago della bilancia è se eri li per tuo diletto o per coprire professionalmente l'evento. A seconda dei casi è abbastanza evidente che la cosa cambia. | 
| inviato il 16 Gennaio 2025 ore 10:18
“ uno scatto del genere può essere complementare in un articolo oppure in un audiovisivo. „ Secondo me, soprattutto per soddisfare l'avidità di sensazioni che i consumatori di tutti i tipi di media sono stati educati ad aspettarsi. E l'avidità dovrebbe essere ancora un peccato. Ma naturalmente non posso giudicare la situazione da lontano, ma probabilmente non avrei nemmeno scattato alcuna foto. Se siete stati mandati all'evento sportivo per fornire foto sensazionali, probabilmente vi aspettano proprio scene del genere. La cattiva reputazione dei fotografi deve avere origine da qualche parte. | 
| inviato il 16 Gennaio 2025 ore 10:23
“ A volte è meglio una bella(o brutta) immagine in testa che Nell hard disk. „ Sì, è proprio così. Le foto migliori sono quelle che non avete scattato perché non eravate pronti o non avevate con voi la macchina fotografica, ma che esistono comunque nella vostra immaginazione. | 
| inviato il 16 Gennaio 2025 ore 10:41
Ciao, tema sempre scottante e interessante! Io avrei scattato sicuramente, per l'insieme di ragioni già emerse: 1. sei lì come fotografo dell'evento 2. non puoi comunque sostituirti ai soccorsi, che già ci sono. 3. Meglio aver scattato e poi decidere di non pubblicare invece che non aver scattato nulla. Secondo me il fattore tempo è la chiave. Una volta che c'è la foto, poi si decide cosa fare. Mi è capitato così per esempio nel caso dell'incidente di Eivind ,in un servizio di luglio scorso: in 3h avrò scattato 300 foto. www.juzaphoto.com/me.php?pg=357519&l=it mi sento in colpa quando scatto, ma ho anche una responsabilità nei confronti del committente e degli stessi partecipanti, che pagano (anche) per avere un servizio fotografico. Ma soprattutto: 1. quando lavoro cerco le storie dei partecipanti, quindi magari li conosco già e posso intuire se preferiscono non avere foto in un determinato contesto 2. in ogni caso, se un/una atleta non vuole, basta un cenno con la mano o uno sguardo per capirsi. Es. Nelle gare di ultracycling, ho una leggera passione per le foto nei bagni dei checkpoint, dove succede laqualunque: ci si lava, si dorme, si mangia, si resetta il vestiario e la bici. Quasi tutti i partecipanti sono indifferenti/contenti, se poi capita quello che non vuole essere fotografato me lo dice e finisce lì. Alla fine, al di là dei criteri teorici generali, è una situazione che si può valutare caso per caso. | 
| inviato il 16 Gennaio 2025 ore 10:59
Mi viene in mente questa foto (tra l'altro bellissimo l'articolo che ne racconta la storia) ********** ********** Bellissimo l'articolo? Può darsi di si, ma è decisamente poco accurato. La fotografia di Kim Phuc (ritratta da Nick Ut) infine è splendida pur nella sua infinita drammaticità, riprende infatti un epidodio accaduto durante l'Offensiva di Pasqua del 1972, ma non so se renda l'evento quanto quella di Eddie Adams, Pulitzer nel 1969, che immortala l'istante in cui Nguyen Ngoc Loan, comandante della Polizia Sud Vietnamita, fredda il capitano del Vietcong Nguyen Van Lem per le strade di Saigon, era il primo Febbraio 1968... il secondo giorno dell'offensiva del Tet. |
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