| inviato il 06 Aprile 2020 ore 19:10
Libro molto interessante. |
| inviato il 07 Aprile 2020 ore 0:36
La "post-fotografia"... , un grande testo, quello di Joan Fontcuberta, indicato da Matteo Groppi. Un pregevole lavoro di sociologia della comunicazione con ineludibili implicazioni sui piani Estetico, Etico, politico e filosofico ... Un lavoro serio, di ricerca storica e teorica, l'autore del resto... Un'opera che da sola meriterebbe un thread di serrata discussione e confronto sull'attualitá del valore delle immagini ... "Decalogo Post-fotografico" * [ Pag.37 ] 1. Sul ruolo dell'artista: non si tratta piú di produrre opere, quanto di creare situazioni che prescrivano un senso. 2. Sull'attività dell'artista: l'artista si fonde con il curatore, il collezionista, il docente, lo storico e il teorico… tutti questi aspetti sono camaleonticamente autoriali. 3. Sulla responsabilità dell'artista: s'impone un'ecologia del visibile che penalizzerà la saturazione a favore del riciclo d'immagini. 4. Sulla funzione delle immagini: la circolazione dell'immagine prevale sul suo contenuto. 5. Sulla filosofia dell'arte: i discorsi sull'originalità sono delegittimati e divengono consuete le pratiche di appropriazione 6. Nella dialettica del soggetto: l'autore si mimetizza o si disperde in una nuvola condivisa. Nascono modelli alternativi di autorialità: coautorialità, creazione collaborativa, interattività, strategie d'anonimato, lavori senza una paternità specifica. 7. Sulla dialettica sociale: superamento delle tensioni fra pubblico e privato. L'intimità diventa una reliquia. 8. Sull'orizzonte dell'arte: si darà piú spazio agli aspetti ludici a spese dell'anedonia (il solenne + il noioso) nella quale è solita rifugiarsi l'arte dominante. 9. Sull'esperienza dell'arte: saranno privilegiate pratiche creative che abituano a rinunciare alla proprietà: condividere è meglio che possedere. 10. Sulla politica dell'arte: non arrendersi né al glamour né alle logiche commerciali per muoversi verso un attivismo che scuota le coscienze. [in nota: Por un manifiesto postfotográfico, in «Cultura/s», settimanale del giornale «La Vanguardia», Barcellona, 11 maggio 2011.] ***** " [ ... ] concentriamoci sull'umanesimo digitale, formulato fra gli altri da Milad Doueihi, che si oppone alle teorie sulla singolarità di teorici come Eliezer Yudkowsky e Ray Kurzweil. I suoi postulati affermano che la tecnologia digitale, nella sua dimensione globale, va oltre l'ambito della tecnica e diventa una cultura: una cultura che inaugura una nuova civilizzazione e che si caratterizza, a differenza degli umanesimi 'aristocratici' che ci hanno preceduto, per la tendenza allo scambio di tutte le conoscenze. La sua essenza risiede prima di tutto nella condivisione e questa idea di ripartizione riguarda inevitabilmente il sociale e il politico. Il digitale inaugura un nuovo spazio fra reale e virtuale, fra il concreto e l'immaginario, e in questo spazio ibrido s'installa un nuovo modo di creare comunità. [...] Se c'è un modo in cui la cultura digitale trasforma l'essere umano, questo avviene essenzialmente nella misura in cui condiziona le nostre relazioni con la memoria, facendoci credere che la memoria equivalga al semplice accesso alle informazioni o a una forma di disponibilità dei dati. L'esperienza del passato però dipende sempre dalla prospettiva dalla quale è interpretata, cioè da un'interfaccia che non è mai neutra e nemmeno innocente. Perché questa interfaccia sia efficiente, dobbiamo essere dotati della capacità di dimenticare, e le macchine non dimenticano: sono capaci solo di cancellare. Per innovare ed evolversi, per vedere il mondo in maniera differente, bisogna poter e saper dimenticare. La capacità di dimenticare è quindi una premessa necessaria per l'umanesimo digitale, forse in sintonia con l'indifferenza che la postfotografia mostra verso la funzione mnemotecnica e il compito di ricordare. Se la prima rivoluzione digitale è avvenuta portando con sé il discredito di un certo regime di verità, con la seconda è stato il turno della memoria. In questa prospettiva, ancora disorientati dalla dissoluzione della verità e della memoria, dobbiamo dire grazie a selfie come quelli del macaco di Slater che ci aiutano a capire la postfotografia come pratica che si impadronisce dell'immaginario dominato dalla propaganda, dall'industria dei media e dal consumo. [...] " [excerpt dal capitolo settimo : "La postfotografia spiegata alle scimmie", paragrafo III : "L'umanesimo come antidoto", pp.74-76] *************** L' autore dell'opera intervistato da Artribune : Teoria e pratica della fotografia. Intervista con Joan Fontcuberta www.artribune.com/arti-visive/fotografia/2019/06/intervista-joan-fontc Cordialmente, Ben-G |
| inviato il 07 Aprile 2020 ore 8:25
“ Sull'attività dell'artista: l'artista si fonde con il curatore, il collezionista, il docente, lo storico e il teorico… tutti questi aspetti sono camaleonticamente autoriali „ il problema è che oggi tutti questi sono a loro volta fusi con il banchiere |
| inviato il 10 Aprile 2020 ore 1:02
cdn.shopify.com/s/files/1/0035/7439/9040/files/Per_strada_Guido_Guidi_ mackbooks.co.uk/products/per-strada “E' un modo di inchinarsi di fronte alle cose. E' questo l'aspetto religioso, una sorta di rispetto per le cose – per il filo d'erba – e la volontà di volerle restituire per mezzo di una fotografia precisa, dove l'esecuzione del dettaglio è perfetta, assoluta, con assenza di grana. La fotografia deve essere assoluta, trasparente e non può essere corretta o riveduta successivamente. Come dice Didi-Huberman per gli antichi pittori del 1400, l'atto di imitare o di copiare la natura è in se stesso un atto di devozione. Non necessariamente un atto di maestria o virtuosità tecnica ma un atto di devozione verso le cose, “le cose che sono nulla” diceva Pasolini. “ Guido Guidi |
| inviato il 13 Aprile 2020 ore 14:08
Visto che si è parlato di post fotografia facciamo un accenno anche all'ante fotografia:
 Peter Galassi, "Prima della fotografia" Bollati Boringhieri, fuori edizione, in biblioteca probabilmente si trova |
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