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Naturalisti ed etica alimentare:vegetariani,vegan,onnivori?


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avatarsenior
inviato il 19 Ottobre 2016 ore 10:18

Lordcasco, sono perfettamente in accordo col tuo discorso; se il problema è di natura alimentare, allora coinvolge l'intera situazione dell'individuo: costituzione fisica, tipo di attività giornaliera e periodica ecc., persino la situazione ambientale e geografica in cui vive. La dieta non può seguire solamente le mode del momento o le spinte del mercato; prima di tutto deve soddisfare i reali bisogni del nostro organismo, compatibilmente (ma non esclusivamente) con l'appagamento del nostro gusto. Per questo anche il concetto di gusto personale va "costruito", soprattutto in età infantile (che mi pare sia quello che stai cercando di fare con i tuoi figli, anche se purtroppo sembra che per molti genitori sia diventata una prassi antiquata e inutile), perché ogni alimento che venga ingerito in quantità eccedenti il necessario finisce per portare ad accumuli controproducenti; quindi un ritorno ad un minor consumo di carne è comunque auspicabile, anche e soprattutto per chi non rinuncia ad essere onnivoro (che non deve significare mangiare senza criterio alcuno).
Però, la piega etica, e dunque per certi versi filosofica, è insita proprio nel titolo della discussione, in cui si chiede ai naturalisti di rendere conto del proprio regime alimentare in rapporto alle idee professate nei confronti della natura; quello che volevo chiarire è il fatto che ogni forma vivente, proprio perché tale, è necessariamente soggetta a ricevere ed elaborare "sensazioni" e, tra queste, soprattutto quelle sgradevoli, ma necessarie a percepire una situazione di pericolo (il dolore fisico percepito dagli animali serve proprio a questo); ne consegue che persino gli organismi unicellulari percepiscono questo tipo di sensazioni chimico-fisiche, solo che, non avendo recettori differenziati come avviene per gli organismi complessi, in questo caso non possiamo parlare di 5 sensi, ma di un unico sistema ricettivo, non ancora ben compreso, a cui è stato dato l'infelice nome di "irritabilità". Dove voglio arrivare con questo discorso? All'evidenza del fatto che anche le piante devono inevitabilmente possedere delle forme di sensazioni paragonabili al dolore fisico, altrimenti in quale altro modo un pino potrebbe rendersi conto di dover produrre più resina, e proprio nel punto esatto in cui ha subito una ferita nella corteccia?

avatarsenior
inviato il 19 Ottobre 2016 ore 10:38

Quello che non è ancora chiarito a livello di conoscenza scientifica, ed è il tema fondamentale del lavoro recente di parecchi biologi e botanici, soprattutto negli Stati Uniti e nel mondo anglosassone, ma anche in Italia, è il modo in cui gli organismi che non sono dotati di un organo funzionalmente deputato all'elaborazione delle sensazioni e all'impostazione delle adeguate risposte (negli animali superiori è il cervello), riescano effettivamente ad attivare meccanismi del tutto analoghi. L'unica differenza evidente tra questi meccanismi, è che negli animali si tratta quasi sempre di risposte di tipo fisico, che implicano movimenti, mentre nelle piante abbiamo soprattutto (ma non esclusivamente) risposte di tipo chimico, perfettamente in linea col fatto che l'evoluzione non le ha dotate della capacità di eseguire movimenti veloci (anche qui con le dovute eccezioni, vedi lo scatto delle foglie della Dionaea quando cattura gli insetti). Noi siamo cresciuti per secoli nella convinzione che solo il possesso di un cervello ben strutturato consenta di ricevere ed elaborare segnali dall'esterno, e ora che stiamo scoprendo che le cose non stanno così, questa convinzione è diventata una delle tante "teorie ingenue" difficili da sradicare e che causa irrigidimenti talebani altrettanto deleteri di quelli di chi non si cura minimamente degli animali perché pensa che "l'uomo è l'uomo e gli altri non sono un c...." come forse avrebbe detto il Marchese del Grillo.

avatarsenior
inviato il 19 Ottobre 2016 ore 11:09

Cos'è la natura di cui tanto si parla?

Non è che alla fine scopriamo che anche l'uomo fa parte della natura, pur con i suoi meccanismi culturali di interazine ambientale?

Partenda da tale considerazione (che, nota bene, è la più essenziale e paritaria che esiste, molto meno idealistica o preconcetta della superiorità dell'uomo per motivi di fede o del catastrofismo che vede l'uomo nemico della natura) tante cose cambiano aspetto.

Propongo solo un paradosso: i meteoriti sono natura, un meteorite molti milioni di anni fa ha causato in un attimo sconvolgimenti enormemente superiori rispetto a quelli causati dall'uomo in un milione di anni.

Oltre tutto, l'etica dicui si discute soffre di un forte limite di prospettiva: limita la natura al nostro piccolo, periferico, marginale pianeta. La natura è l'universo, e quello che succede qui è una goccia nell'oceano.

avatarsenior
inviato il 19 Ottobre 2016 ore 12:21

Noto il discorso sta diventando molto interessante, e intervengo con molto piacere.

Però una precisazione va fatta e cioè su quale piano vogliamo continuare, cioè l'uomo facente parte di un sistema più grande, sia spaziale che temporale, o il ruolo dell'uomo riferito alla sua temporanea esistenza qui?
I due concetti, per me, sono inconciliabili, perchè il primo non risentirà minimamente del secondo.

Noi sulla terra (e peggio ancora nell'universo tutto, come dice Andrea) rappresentiamo un puntino, nella sua storia, i più totali sconvolgimenti prepetrati dall'uomo passati e futuri sarebbero come una brutta ferita, una cicatrice nella storia del nostro pianeta, ma chi non ha cicatrici, si vive lo stesso e magari anche bene.

Potremmo essere la causa di un fortissimo inquinamento, che porterà all'autodistruzione della quasi totalità delle forme viventi compresa la nostra, ma la terra si rialzerà e ricominicerà il suo ciclo di vita, nè più nè meno del famoso meteorite che ha portato l'estinzione dei dinosauri, insiemi ad altri molti esseri viventi animali e vegetali, e comumque non è stato nell'unico nè il peggiore...qualche reminescenza del periodo dell'Università.

Quindi in questa visione, noi, non solo non siamo nessuno, ma per quanto male possiamo fare non sarà mai definitivo...tranne che non andiamo a bloccare definitivamente il flusso magmatico all'interno della terra, che è la vera ed unica molla vitale di un pianeta.

A questo punto però si entra in un relativismo così enorme che nulla avrebbe più senso, (tralascio il discorso religioso che aprirebbe porte a non finire).
Se il mio scopo è il bene del pianeta, ma so che qualsiasi cosa faccia, nè bene o nel male non avrà nessun tipo di ripercussioni in senso assoluto, non ha alcun senso che io le faccia più nulla.
Scarico liquami in mare, non mi indigno se vedo prendere a calci un animale e così via.

Se invece io riferisco tutto al mio vivere qui...allora le cose vengono intese in un modo molto più "elementare" diretto.
Il mio fare bene o male, ha delle ripercussioni, subito, nell'immediato.

Se io continuo impunemente a svuotare liquami in mare mio figlio, o mio nipote non vedrà mai dal vivo una balena, un delfino, perchè noi saremo i responsabili dell'estinzione di una determinata specie, se continuiamo ad inquinare ( che vuol dire, anche, continuare a consumare carne in modo sconsiderato, aumentando gli allevamenti intensivi e di conseguenza le emissionidi CO2 date dagli animali) magari, il mio pronipote dovrà andare in giro con la maschera a gas per sempre.

Ora, torniamo in qualche modo al soggettivo, io, come molti di voi per fortuna, sono per conservare al meglio il nostro mondo fino a che siamo qui, perchè non credo nell'aldilà, non credo in una vita futura e migliore, la nostra unica occasione è qui, adesso....

mamma mia sembra un discorso elettorale...votate per me alle prossime elezioni....MrGreenMrGreenMrGreenMrGreen
Ciao
LC

avatarsenior
inviato il 19 Ottobre 2016 ore 12:26

Daniele, assolutamente d'accordo, anche sul fatto delle sensazioni delle piante, ricordo una scena di un film o un documnetario o uno sceneggiato...non loso ero piuttosto piccolo...insomma, ricordo solo quasta scena, c'è questo studioso che inventa uno strumento per rilevare i suoni delle piante, e strappa una pianticella, e sente un rumore, tipo un gridolino di sofferenza, per andare avanti con lo studio, prende un'accetta e si dirige verso un albero secolare e da un colpo secco, e si sente un grido così cupo e lamentoso...insomma quella scena mi colpì molto.
Mi piacerebbe ritrovarlo e almeno sapere il nome del film.
Ciao
LC

avatarsenior
inviato il 19 Ottobre 2016 ore 12:34

Una cosa è essere contrari ai modi in cui l'uomo moderno alleva e uccide gli animali di cui si nutre, e qui penso che in tantissimi (spero) siamo d'accordo e ce ne dovremmo occupare maggiormente
Altra cosa è affermare che non dovremmo mangiare nessun animale; e perchè si esludono le piante? non sono esseri viventi?
Forse un giorno avremo la possibilità di nutrirci tramite 'pillole' che non deriveranno da alcun essere vivente, ed allora ci si porrà la domanda sul piano etico perchè forse avremo la possibilità di scegliere.

avatarsenior
inviato il 19 Ottobre 2016 ore 12:35

A questo punto, l'unica vera scelta etica possibile, che mette d'accrodo tutti sarebbe essere fruttariani, perchè il frutto è un espediente della pianta per riprodursi, quindi non vai a mangiare la pianta, ma un suo prodotto che già parte per essere mangiato e consumato...se dico a mia moglie che divento fruttariano mi spara, e poi mi lascia.
MrGreen
Ciao
LC

avatarsenior
inviato il 19 Ottobre 2016 ore 12:45

Noi non ci arriveremo di sicuro ma chissà se un giorno si rimpiangerà il tempo in cui si mangiava una bella insalata!!MrGreen

avatarsenior
inviato il 19 Ottobre 2016 ore 20:29

Il fatto è che, così come ci rendiamo conto che l'uomo è geneticamente un animale, dovremmo anche renderci conto che appartiene alla natura così come tutti gli altri esseri viventi; questo però dovrebbe portare a scindere il discorso di cosa mangiamo da quale debba essere il rispetto nei confronti degli altri organismi, indipendentemente dal fatto che siano animali, piante, funghi ecc.
Il leone è un carnivoro puro, tuttavia quando non è il momento di nutrirsi lo si può vedere all'abbeverata anche in presenza di quelle che dovrebbero essere le sue possibili prede; perchè queste ultime, pur tenendosi ad una certa distanza, non fuggono ma continuano a bere anche loro? Perché, tolto il momento in cui deve cacciare per alimentarsi, il leone non uccide e non maltratta gli altri; non ha né l'interesse né il desiderio di farlo (e gli altri lo comprendono, ecco perché non fuggono). Paradossalmente l'uomo, che rispetto al leone ha sviluppato un'autocoscienza e perciò il concetto di comportamento etico, segue due strade apparentemente opposte, ma comunque entrambe diverse da quella seguita dal leone: o preferisce tacitare la sua autocoscienza decidendo che gli altri organismi non hanno diritti (e perciò calpestandone anche le esigenze fondamentali), oppure si crea degli "alibi selettivi" che gli consentano di affrontare si il discorso etico, ma solamente nei confronti di alcuni organismi, non di tutti, così che gli altri si possano sempre e comunque mangiare e maltrattare; mi vengono in mente, ad esempio, le tantissime persone che acquistano l'azalea o la pianta di turno per la Ricerca sul cancro o su altre malattie, per poi gettarla nel cassonetto dell'immondizia non appena è sfiorita e ha perso qualche fogliolina (cosa normalissima a fine stagione); e talora si tratta persino di animalisti convinti. Non sarebbe la prima volta che mi capita di recuperare una di quelle piante e, personalmente, non ci vedo differenze etiche rispetto al maltrattamento degli animali.
Poi purtroppo arriva anche il momento in cui dobbiamo nutrirci, ma forse, indipendentemente dall'essere vegetariani o onnivori, dovremmo semplicemente imparare dal leone.

avatarsenior
inviato il 20 Ottobre 2016 ore 1:07

Nella natura noon c'è etica.
L'etica attiene alla sfera culturale, quindi è un concetto artificiale, contingente e relativo.
Popoli, culture, epoche differenti hanno elaborato differenti impianti etici.
Se andiamo a vedere le dinamiche che muovoono la vita in natura, dominano le logiche di autoconservazione, difesa della specie e competizioone per le risorse.
Siamo così anche noi. L'uomo però è particolare: deve nobilitare le leggi di natura con vesti culturali.
Così la fedeltà coniugale diventa un valore morale, mentre è frutto dell'evoluzioone che ha sancito vantaggioso per la specie accoppiarsi stabilemnte e in termini duraturi ed evitare le lotte intraspecifiche per la dominanza sessuale.
La vita è diventato un valore sacro e non negoziabile (NB, è diventato, non è sempre stato) perchè in una società che ha conseguito l'abbondanza è conveniente per la specie e la sua contunuazione. In situazioni di estrema povertà, è rimasta fino ai giorni nostri l'usanza di sopprimere le figlie femmine. Così come in situazioni di grave carenza proteica nelle risorse ambientali, si è sviluppato il cannibalismo alimentare (differente da quello rituale).
Se vogliamo vivere secondo determinati standard, dobbiamo disporre di grandi quantità di risorse necessarie a mantenere e sviluppare classi sociali non direttamnete produttive ma depositarie di scienze e culture senza le quali salterebbe tutto.
E allora la domanda è: chi sarebbe disposto, in nome del diritto di tutti gli animali di vivere liberi e in un mondo senza fitofarmaci, senza pesticidi, senza anticrittogamici, senza concimi chimici....dicevo, chi sarebbe disposto ad accettare che il proprio figlio muoia di influenza perchè non si producono i farmaci?
Perchè se vogliamo eliminare qualsiasi coompromesso, la questione arriva per forza a porsi in quei termini.
Certamente supereremo questo impasse prima che il prezzo pagato sia superiore ai benefici, ma lo faremo grazie allo sviluppo di una classe non direttamente produttiva, di scienziati e ricercatori, che abbiamo potuto creare, sviluppare e specializzare grazie all'abbondanza di risorse prodotte in un certo modo.

avatarsenior
inviato il 20 Ottobre 2016 ore 8:49

Andrea, hai centrato il punto sul discorso "etico" molto meglio di quanto sia riuscito a fare io. Il fatto stesso che l'etica sia costantemente cambiata nel tempo dovrebbe costituire un campanello d'allarme per avvisarci di non utilizzarla per smettere di porci interrogativi e credere di avere in mano la "verità assoluta", indipendentemente dalla parte della barricata che ci ospita.
Alcuni passaggi del tuo discorso mi hanno ricordato il fatto che, in natura, l'unica situazione di possibile equilibrio è legata al concetto di ecosistema, concetto a cui concorrono tutte le componenti sia biotiche che abiotiche e indipendente dal chi mangia chi. Ma poiché nessun ecosistema è perfetto e duraturo, basta che una sola condizione venga modificata (normalmente le prime modifiche si producono a livello delle componenti abiotiche, in particolare quelle climatiche), ed ecco che quelle
logiche di autoconservazione, difesa della specie e competizioone per le risorse
escono dalla condizione di equilibrio per instaurare una situazione conflittuale in cui intere specie potrebbero soccombere. Chi si vuole definire "naturalista" dovrebbe prima di tutto accettare questa cosa, per il semplice fatto che questa è la natura, non altro.
Potrà sembrare un paradosso, ma se non ci fosse chi mangia carne di manzo, non esisterebbe più un solo bovino in tutta l'Eurasia (o il Sudamerica, o l'Australia ecc.); e che dire della recente proposta di eliminare tutti i mustang selvatici americani per fare posto a campi coltivati? In quel caso non si tratta nemmeno di animali tipici, dato che furono introdotti dai conquistatori inglesi e francesi; qual'è in questo caso la giusta posizione etica?
Non sono interrogativi di poco conto, ma non possono essere affrontati da posizioni oltranziste, bensì in un'ottica di conservazione della specie, tenendo bene a mente che in natura conta solo la specie, non l'individuo: il concetto di diritti dell'individuo è una delle più tipiche espressioni del pensiero culturale umano. Dunque, chi è il vero naturalista: chi pensa all'individuo o chi pensa alla specie?
(Senza, ovviamente, che questo costituisca un alibi per maltrattare gli individui durante la loro vita)

avatarsenior
inviato il 20 Ottobre 2016 ore 11:44

@Andrea Ferrari
@Daniele Ferrari

molto belli i vostri interventi.
Dimostrano che l'argomento è molto vasto e complesso, basta fermarsi un attimo a riflettere.

Mi preoccupano invece coloro i quali si ergono a depositari di chissà quale verità, colti da una improvvisa illuminazione e che dall'alto del loro " è da un anno che non mangio più carne" si sentono i salvatori del pianeta e iniziano a sindacare sui comportamenti altrui, ma con troppa, troppa superficialità.

avatarsenior
inviato il 20 Ottobre 2016 ore 13:46

Mi rendo conto che le sto sparando grosse e altisonanti, ma senza addentrarsi in discorsi scolastici e contorti mi limito a segnalare come siano molto illuminanti (non dico risolutive perche ciascuno ha le sue convinzioni di base, ma di sicuro illuminanti) tutte le elaborazioni di Marx ed Engels relative alla "rottura epistemologica" su cui il loro pensiero è fondato, e sulla conseguente definizione del rapporto tra teoria e prassi. Chi sente di porsi certe domande seriamente e in modo approfondito, acquisirebbe molto nel prender visione di tali posizioni (se poi l'ha già fatto...amen.).

@Peppe550
Giuste considerazioni, ma mi sembra che per ora quella parte di popolazione stia ancora alla larga da questa discussione. Si intuisce peraltro che tu non sia alieno al fascino di una bella bistecca alla fiorentina, men che meno a quello dell'agnello a scottadito...MrGreenMrGreenMrGreen

avatarsenior
inviato il 20 Ottobre 2016 ore 14:22

@Andrea Ferrari
Il tuo intuito ha fatto centro!MrGreen

Tornando seri, tanti di coloro che mangiano ad es. soia, olii vegetali etc. in sostituzione di prodotti di origine animale, dovrebbero indagare sugli scempi compiuti per produrre tali quantità di prodotti sempre più richiesti dai mercati occidentali.
Io inquadrerei il discorso su un più ampio ragionamento sull'uso/abuso che l'uomo sta facendo di tutte le risorse del pianeta, del suo comportamento e del rispetto nei confronti delle altre forme di vita del pianeta che con noi convivono; che progetti abbiamo per il futuro, considerando che le risorse sono limitate e la popolazione aumenta.
Mi sembra alquanto facile dire "io non mangio più carne" e sentirsi a posto con la coscienza credendosi animalisti/ecologisti!!!
Chiediamoci quale ecosistema ha distrutto, per essere prodotta in quantità, la soia che arriva sulla nostra tavola, quali danni causa all'ambiente per essere trasportata dal continente di produzione a quello di vendita, e potrei continuare...
Ripeto, affermare di non mangiare carne pensando di fare chissà quale grande azione dal punto di vista etico o naturalistico, esulando questa azione da un contesto MOLTO più grande mi sembra, nel migliore dei casi, un comportamento ingenuo oppure un cercare di sentirsi a posto con la coscienza senza aver però fatto un minimo sforzo per informarsi un pò più a fondo sull'argomento!
Il tutto sempre secondo me, e senza voler generalizzare generalizzare.

avatarsenior
inviato il 20 Ottobre 2016 ore 16:18

Ribadisco che, a mio avviso, il problema di fondo del nostro rapporto con il pianeta e le sue risorse è indipendente da ciò che mangiamo (se ci limitassimo a non sprecare, questo aspetto sarebbe già in gran parte ridimensionato), ma riguarda il fatto che il numero di esseri umani ha ormai superato abbondantemente la soglia di equilibrio con qualunque ecosistema. Occorre escogitare un metodo razionale e non coercitivo di contenimento delle nascite; ad esempio, se ogni coppia che desidera avere figli si convincesse di metterne al mondo non più di due, considerando quelli che comunque non ne vogliono avere, quelli che sono affetti da problemi di sterilità ecc., avremmo già imboccato la strada della decrescita. Ci sono però alcuni ostacoli a politiche di questo tipo; me ne vengono in mente un paio: uno che riguarda i paesi occidentali e uno riferibile a quelli del Terzo Mondo. Il primo concerne il tanto sbandierato concetto di sviluppo (da non confondere, come spesso avviene, con il progresso), per cui si tende sempre ad incrementare produzione, investimenti, guadagni (di pochi, non certo dei lavoratori salariati) ecc.; questo concetto trova vigore nell'incremento della popolazione, con la prospettiva che si formino sempre nuovi settori di mercato da conquistare.
Il secondo problema riguarda tutte quelle popolazioni che per motivi di povertà, guerre perenni ecc. vedono nel maggior numero possibile di figli l'unico modo per non soccombere (aspirazione che rimane comunque sacrosanta e non può essere negata). Dunque il problema del rapporto dell'uomo con la Natura è anche, e soprattutto, un problema di rapporto con la sua stessa specie.



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