| inviato il 11 Febbraio 2021 ore 8:59
Andrea ho visto le tue foto. Secondo me ci sono foto buone o molto buone, ma la maggior parte dei dittici, onestamente, non funziona. Almeno per quello che ho visto io i dittici devono avere un forte elemento in comune o in contrasto tra le due foto che li compongono. Ad esempio: - una chiara assonanza formale (vedi illuminanche di rinko kawauchi ) rinkokawauchi.com/en/works/194/ - un chiaro contrasto formale - una figura retorica che lega o divide le due foto - la divisione di un immagine in due metà distinte (vedi la quarta foto nel banner di copertina su massimosiragusa.it) Insomma, per dirla in colori: - o fai blu e blu - o fai blu chiaro e blu scuro - o fai blu e giallo ma non fai blu e grigio, per capirci. Nei tuoi dittici, a parte qualcuno, i soggetti mi paiono poco legati tra di loro. |
user86925 | inviato il 11 Febbraio 2021 ore 23:14
si diceva che queste immagini "impassibili" usi come collante più il contenuto che una coerenza visiva... in questa serie "illuminanche" di rinko kawauchi non ci vedo una coerenza visiva tra le foto ma neanche un filo conduttore comune, percepisco invece un forte legame che unisce ogni singolo frame al successivo come un vagone che va attraversato per giungere al successivo, è un percorso tracciato che permette di compiere un esperienza visiva molto intima e personale in base al proprio vissuto e sensibilità... davvero interessante la sequenza, qui la narrazione trova forza nella connessione tra le singole foto... rinkokawauchi.com/en/works/194/ grazie Marco Palomar per lo spunto.... |
| inviato il 12 Febbraio 2021 ore 15:19
Dico la mia premettendo ( con un certo imbarazzo ) di non aver letto con molta attenzione tutti gli interventi di chi mi precede, per cui ciò che scrivo potrà anche apparire o fuori tema o calato dal cielo ( c minuscola ). Secondo me parlare di narrazione/racconto in Fotografia è molto arduo, se non pretestuoso. Ammetto che possano esistere le cosiddette 'serie' o qualche album che raccolga scatti per genere 'letterario'. Ma, davvero, si pensa che una o più foto collegate possano raccontare? Secondo me la vocazione della Fotografia è più evocativa che narrativa. E' vero, forse bisogna intendersi sui termini. La narrazione o racconto, in qualche modo, ha una sua legittima e doverosa impostazione, secondo cui il lettore 'deve' attenersi al testo dell'Autore o, al più, immaginare uno snodo diverso o un esito 'altro', rispetto a ciò che legge; ma ci sono ben poche possibilità di manipolazione. La più autentica vocazione, sempre secondo me, dell'immagine è, invece, evocativa, nel senso che essa colpisce la vista e, dato che i sensi sono in qualche modo tra loro collegati ed essi stessi connessi alla memoria, accade che spesso si spalanchino reazioni indicibili o inspiegabili sul piano razionale. E' vero che esiste il réportage, cioè la descrizione di un evento o di una serie di eventi, per immagini; ma credo che qui stiamo parlando d'altro. Le mie sono domande a voce bassa, tra me e me, ma una certa perplessità mi rimane. Ovviamente mi fa piacere conoscere le vostre opinioni i proposito. |
| inviato il 12 Febbraio 2021 ore 19:02
Ma sai il concetto di narrazione significa banalmente abbandonare l'idea dello scatto singolo "wow" e privilegiare invece il lavoro progettuale in cui l'interazione tra i vari scatti che compongono la serie aiuta ad ottenere una maggiore efficacia sia evocativa che descrittiva. |
| inviato il 12 Febbraio 2021 ore 19:24
Su questo sono d'accordo. Una 'sequenza' logica può somigliare anche al cinema. Che un signolo scatto possa essere narrativo mi lascia qualche dubbio: come già detto, preferirei considerarlo evocativo. Credo anche, specie nella Fotografia circolante nei social, che si sia insinuata una certa terminologia un po' approssimativa: se uno scatto non 'racconta', non riesce a farsi strada. Mi spiego: c'è molta cosiddetta street ( termine che prenderei con le molle ) che si riduce a una quantità di scatti rubati di volti, di spalle, di dettagli, prelevati in strada, ai quali viene aggiunto un titolo estratto quasi a forza dall'espressione di un viso, per combinare una...vignetta un po' accattivante, che magari si giova di super-sfocati con il soggetto a mo' di figurina in 3d. Cosa narra una foto come queste migliaia di esercizi estemporanei? Ben poco. Come giustamente dici, Marco, non c'è progettualità, non c'è un'idea forte alle spalle. Diversa è la Fotografia umanista, la quale non necessariamente nasce in studio o a tavolino, ma ha un suo perché e un suo valore documentario/narrativo. Mi fermo... |
| inviato il 12 Febbraio 2021 ore 20:31
“ La serie che sto fotografando nel quartiere attorno casa mia presenta tutte foto "inanimate" prese con la stessa luce invernale radente e con lo stesso obiettivo 35mm....... Inanimate è la parola chiave, che richiama concetti di metafisica. Perdonami ma secondo me tra l'intenzione e la realizzazione c'è una distanza siderale. |
| inviato il 13 Febbraio 2021 ore 0:00
@Marco: accostare foto in un dittico penso che sia uno degli esercizi più rischiosi e difficili, è molto probabile che le foto, se sono buone, anziché rafforzarsi a vicenda si sminuiscano e, se non sono buone, di sicuro non lo diventano perché accostate, Accostarle in modo sensato è difficile e tu Marco hai indicato alcuni criteri che si possono seguire, criteri coloristici e criteri "retorici" ma alla fine ciò che deve comandare è l'occhio, è quello che deve dire sì funziona no non funziona. Detto questo quando ho accostato le foto non ero partito con l'idea di realizzare una serie di dittici veri e propri, l'idea era più che altro di fare vedere delle foto di angoli urbani vicino ad alcune altre che avevano anche una presenza umana e mostrare un certo numero di foto senza costringere l'osservatore di juza a passare delle ore sfogliando una galleria sterminata. Comunque alcuni di questi a me pare che possano anche andare affiancati in un eventuale lavoro, mi riferisco alla 9 (probabilmente rifacendo la foto di dx senza presenza umana) alla 11 e alla 16. Gli altri probabilmente andrebbero sciolti e anzi alcune foto andrebbero proprio eliminate. @ Arconudo: ho usato l'espressione "inanimate" per intendere foto senza presenza umana, per distinguerle da quelle in cui appaiono delle persone. Avrei forse dovuto usare un altro aggettivo, di sicuro non era mia intenzione dare una connotazione metafisica, non penso proprio che ci sia in quelle foto né era mia intenzione mettervela. Ora le foto possono piacere o non piacere, in parte o in toto, (non tutte convincono neanche me), però non capisco cosa tu intendessi dire esattamente, cioè non capisco se tu ti aspettassi la metafisica e non ce la hai trovata o se pensassi che io ce la volessi mettere e non ci sono riuscito. O forse la tua critica voleva dire che proprio le foto non hanno anima, semplicemente trovi che siano foto che, come si usa dire in dialetto da queste parti, "né spuzzano né san di buono", il che può anche essere. Arconudo se riesci ad essere più esplicito e a darmi qualche consiglio più estesamente lo accetto di buon grado (puoi anche dirmi "butta via tutto e riparti da qui...), voglio dire meglio una sana critica che demolisce ed obbliga a ripartire da zero su una strada più giusta piuttosto che un complimento di circostanza. |
| inviato il 13 Febbraio 2021 ore 0:46
Innanzitutto apprezzo il tentativo di fare buona fotografia , senza per forza dover andare dall'altra parte del mondo. Perché basta uscire di casa senza allontanarsi troppo , a volte nemmeno quello, e si può fotografare all'infinito. Però qui mi perdo, non riesco a trovare un appiglio. Un perchè. Sono d'accordo con Nove. È lavoro molto intimo, ma che personalmente mi lascia abbastanza indifferente. Non cattura la mia attenzione, il mio interesse. Manca secondo una trama o perlomeno è rimasta in embrione. Comunque al di là del risultato e della mia opinione, che conta poco, questa è la strada della fotografia. |
| inviato il 13 Febbraio 2021 ore 8:44
Sulla evocazione eminentemente visiva e, per certi versi, prescindente da una vera e propria narrazione in molte serie fotografiche concordo con Paolo Longo. Eppure c'è un periodo ed un filone della fotografia che addirittura si chiama "narrative art". Sono però del parere (come Paolo, credo) che ben difficilmente la singola foto "narri" qualcosa ed anche la serie fatica a farlo. Non è un caso, sempre secondo me, che quando la foto vuole fare uno scatto di "grado" e diventare davvero narrativa e non solo evocativa o suggestiva è costretta a ricorrere alla parola, cosa che fa nella Narrative Art e nel reportage. Anche per questo che io trovo abbastanza fuori luogo e dettato dal bisogno attuale di volere trovare sempre una "parola d'ordine" il continuo ricorso al termine "storytelling". Piccola divagazione: mi sembra che la mania di trovare la parola magica (spesso americana) a cui tutto si deve conformare è tipica anche di altri contesti (come quello degli affari economici aziendali e politici) e finisce con il portare spesso a profezie autoverificantesi. D'altra parte è evidente che, lavorando per progetto e serie, le foto debbano avere un comune denominatore (che può anche solo essere visivo) ma il fatto che siano in serie e nascano da un progetto non trovo che di per sé conduca ad una narrazione a meno che si dia un significato estensivo alla parola narrazione, narrazione come flusso coerente di sensazioni visive. |
| inviato il 13 Febbraio 2021 ore 9:11
... nonostante ciò sono andato alla ricerca del recentemente uscito libro della Canon intitolato "storytelling" che, se non erro, era suggerito come ben realizzato da AleZ, lo ho cercato in edicola ben prima di natale e non c'era, lo ho ordinato e pare sia introvabile... |
| inviato il 13 Febbraio 2021 ore 14:52
Sono rimasto quasi due pagine indietro.... “ ma secondo voi la costruzione narrativa di un progetto va modificata per adattarlo ad una mostra, una presentazione web/sito internet, un libro o un portfolio ? „ Assolutamente si. Ogni media ha una sua impaginazione che influisce sull'ordine della sequenza "di base" e in qualche caso anche sulla scelta delle immagini. Ad esempio la doppia pagina aperta del libro mette inevitabilmente in relazione le due foto che mostra, che quindi in un certo senso vengono lette insieme. Di questo bisogna tener conto, soprattutto quando si devono fare alcuni passaggi difficili, tipo giorno/notte oppure esterno/interno. Nelle mostre esiste senz'altro la possibilità di una sequenza piana e lineare di stampe uguali, forse la più usata. Ma in mostre più importanti e di budget si vedono spesso allestimenti che sfruttano le caratteristiche degli ambienti che ospitano le fotografie, cambiando le dimensioni delle stampe e anche la disposizione in mostra. |
| inviato il 13 Febbraio 2021 ore 15:14
Le ultime due mi piacciono molto. ( sarà magari perché rispecchiano la mia concezione di Fotografia) Silenzio, solitudine; assenza di elementi eclatanti e disturbanti, dove...' less is more' |
| inviato il 13 Febbraio 2021 ore 15:16
“ Secondo me la vocazione della Fotografia è più evocativa che narrativa. „ Caro Paolo, io credo che alla fotografia come alla scrittura possiamo attribuire entrambe le potenzialità. In fondo quando leggo le pagine di un romanzo mi viene richiesta la capacità di costruire un'immagine mentale dell'azione narrata che indubbiamente è molto evocativa e si appoggia ampiamente sul mio vissuto. Da questo punto di vista anche la visione di una fotografia riporta in superficie qualcosa dalla mia esperienza, ma al tempo stesso mi impone un'immagine che è quasi sempre molto più ridondante dello stretto necessario costringendomi, tramite la riproduzione di un numero esagerato di informazioni, entro uno spazio di interpretazione molto più ristretto rispetto alla lettura di un testo. Quindi se non è narrativa la fotografia è senz'altro descrittiva. Usare questa forza per mostrare dei singoli "fatti" che insieme in sequenza costituiscono una "storia" è un'operazione possibile. Bisogna però vedere se nelle intenzioni e nella capacità dell'autore c'è questo obiettivo. |
| inviato il 13 Febbraio 2021 ore 15:35
D'accordo, Ale, specie sul secondo paragrafo del tuo intervento. Però mi chiedo: " vedo una Foto: o passo oltre ( nella maggior parte dei casi e non per spocchia, intendiamoci, ma perchè in essa non c'è nulla che mi 'punge') oppure mi soffermo. A quel punto, secondo me, si possono verificare due esiti, anche compresenti o immediatamente successivi tra loro: 1. mi colpisce, cioè mi scombussola perchè mi trovo davanti un 'quid' che scava e fa emergere qualcosa; 2. posso anche chiedermi di che cosa si tratta, passando così a una fase più analitica, del tutto legittima, ma non necessaria. Che un'immagine mi piaccia è un conto, che mi produca un'evocazione, anche confusa, è un altro. Piccolo esempio estemporaneo: la penultima foto prodotta ad esempio da Lastprince, prima mi colpisce, poi mi piace e infine posso anche chiedermi perché e cercare di esprimerlo a parole. Nel caso del progetto, invece, ci si mette di mezzo la coerenza formale e di contenuto, insomma, un certo 'filo' che è sempre frutto di una scelta ragionata: in questo caso si tratta di narrazione, che, in qualche modo, si avvicina allo statuto della cinematografia ( senza sminuire la dignità della Fotografia rispetto al Cinema e viceversa). |
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