| inviato il 26 Novembre 2016 ore 8:44
Il vetrino di messa a fuoco, Claudia, ha un preciso riferimento e può essere montato solo dal verso corretto. O entra o non entra e se il fermo non scatta, cade sullo specchio. Purtroppo, è un problema più diffuso di quanto si pensi, ma in pochi se ne accorgono, perché si affidano all'autofocus e questo può essere comunque corretto con la microregolazione. Sostanzialmente, ritengo sia un assemblaggio del gruppo specchio (mirror box) un po' frettoloso nella necessaria taratura. Parliamo di scostamenti nell'ordine di centesimi di millimetro, ma sufficienti a manifestare il problema se monti un vetrino per la messa a fuoco di precisione e verifichi a tutta apertura, con ottiche luminose, sul live view. Se usi zoom f/4 non te ne accorgi. Nelle mirrorless il problema non esiste perché lo schermo di messa a fuoco coincide con il sensore. |
| inviato il 26 Novembre 2016 ore 9:40
Rispondo velocemente a Claudia: si, come dice Giampaolo il verso è obbligato o comunque è difficile confondersi visto che c'è una parte in plastica nella parte inferiore destra del vetrino che serve per poterlo prendere facilmente con la pinza e usato come riferimento; siccome è presente anche nel vetrino che si toglie prima, è veramente difficile confondersi... poi comunque il foglietto illustrativo me lo ero spulciato per bene prima di iniziare ;) |
| inviato il 26 Novembre 2016 ore 9:54
Giampaolo, grazie veramente tanto per l'intervento! Era la conclusione a cui sono arrivato pure io, ma mi rincuora sapere che il mio non è un caso eccezionale (in particolare se succede pure per le 1D)! La cosa che mi fa più rabbia è che probabilmente mi arriverà il Milvus lo stesso giorno in cui dovrò far partire la 6D, mi voglio imporre altresì di non provarlo in questa situazione poiché perderei entusiasmo e non godrei della sua peculiare perfezione della messa a fuoco! Mi "limiterò" a testarla sulla 5D e magari ne approfiterò per vedere la resa anche sulla 1V con il Portra 400. Indubbiamente questo tipo di difetto fa riflettere ma non mi stupisce più di tanto (su 6D, un pochino sulla serie 1 si invece) infatti è il sintomo di una perdita di un certo modo di lavorare meticoloso per ottenere i grandi numeri! Insomma, per fare un esempio, nel 2008 comprai una chitarra elettrica fender deluxe americana, indubbiamente costosa ma di ultra qualità... l'ho suonata fino al 2015 amandola ed odiandola fino a quando mi sono deciso ad andare da un liutaio specializzato: il settaggio era completamente "sballato" già dal giorno in cui era uscita dalla fabbrica, tanto che il luitaio mi disse "hai mai suonato una fender che non fosse questa? No? Allora non hai mai suonato una fender!" Oramai non c'è da potersi affidare al 100% nemmeno dei grandi marchi.......... nella speranza che almeno Zeiss rappresenti "l'eccezione che conferma la regola"!!!!! |
| inviato il 26 Novembre 2016 ore 10:38
Per curiosità, cosa c'era da regolare che non andava nella Fender? |
| inviato il 26 Novembre 2016 ore 10:43
Gabriel, mi fa davvero piacere leggere la tua replica. È un problema globale, del tramonto di una certa cultura. Ma ne parliamo nel pomeriggio con calma, perché adesso la famiglia mi chiama. A più tardi. |
| inviato il 26 Novembre 2016 ore 11:51
Ok Giampaolo, gradisco tantissimo questa tua volontà di approfondire l'argomento ;) |
| inviato il 26 Novembre 2016 ore 11:57
controlla la ghiera delle diottrie |
| inviato il 26 Novembre 2016 ore 12:02
Windof, ho avuto un bel po' di chitarre ed ho imparato a regolarle da me con pazienza e meticolosità, ma con la fender mi è sempre stato impossibile: di solito il settaggio si regola semplicemente con una vite che regola il tiraggio (e quindi la curvatura) del manico e un paio di viti che regolano l'altezza del ponte in corrispondenza del fulcro della leva (pivot); insieme conferiscono un'action (altezza tra corde e manico) più o meno fluida, con differenze anche nella timbrica. Il problema è che questi settaggi erano perfettamente inutili visto che il manico era stato fissato indubbiamente male al corpo attraverso delle viti nascoste e da regolare micrometricamente al principio di tutto! Un lavoro fatto bene da un palermitano che ha fatto un paio d'anni di specializzazione presso fender e tutto ok, ma ho dovuto uscire dei bei soldini per risolvere un problema causati da un operaio americano indubbiamente specializzato e con anni di esperienza alle spalle, ridotto a mera macchina produttiva! |
| inviato il 26 Novembre 2016 ore 12:03
Ciao Massimiliano! In mezzo a tutta quella valanga di parole ho scritto che è stata la prima regolazione che ho fatto ;) |
| inviato il 26 Novembre 2016 ore 12:05
ok, mi spiace allora ma pare più seria allora. Ciao e buona giornata |
| inviato il 26 Novembre 2016 ore 16:24
Eccomi qua Gabriel! Vorrei raccontarti due aneddoti. Quando negli anni '60 Zeiss volle cercare di contrastare l'avanzata imperiosa delle reflex giapponesi, mise in campo i migliori uomini e mezzi per realizzare quella che sarebbe dovuta diventare la fotocamera definitiva, indistruttibile, una regina assoluta, da qui il nome Contarex. Furono utilizzati i materiali più pregiati, gli strumenti di calcolo ottico più potenti, i macchinari più precisi e le maestranze più qualificate per un assemblaggio che doveva raggiungere lo stato dell'arte. Qualcosa di mai tentato prima. Le ottiche stesse furono studiate tenendo conto di una correzione estrema di tutte le aberrazioni fino agli angoli del fotogramma ed in varie condizioni di luce ( test mtf in luce colorata e non, come fanno alcuni produttori oggi, in luce campione per far rendere al meglio le proprie ottiche). Il nocciolo ottico, quindi, venne inglobato da un insieme di ghiere lavorate con una tale precisione che a distanza di 50 anni, si rimane ancora sbalorditi dalla dolcezza e fluidità di funzionamento. La fotocamera che ne risultò poteva lasciare la fabbrica solo se ogni singolo componente lavorava entro i restrittissimi parametri di progetto. Il tempo necessario a conseguire questi parametri non era importante. Nonostante il prezzo di vendita astronomico, la Zeiss per ogni fotocamera venduta ci rimetteva, se ben ricordo, l'equivalente di 500.000 lire. Per salvare le sorti dell'azienda destinata al tracollo finanziario, agli inizi degli anni '70 fu stipulato un'accordo con la giapponese Yashica per la produzione dei corpi e la produzione delle ottiche spostata in Giappone ove Zeiss faceva da sempre numeri importanti dai tempi bellici dell'asse Berlino-tokio. Le tolleranze progettuali furono mitigate per garantire un aumento della produttività ed un contenimento dei costi, ma sempre entro standard di qualità superiore e di costanza di qualità di assoluto riferimento. E questo lascia intendere quanto avanti si fossero spinti col progetto Contarex. Il secondo aneddoto mi è stato raccontato dal simpatico Sig.Watanabe, titolare di Newoldcamera a Milano, autentico tempio della fotografia. L'ingegnere capo della Zeiss, responsabile del laboratorio di progettazione, aveva il compito inquisitorio di verificare che ogni ottica destinata alle fotocamere Rollei medio formato rientrasse nelle severissime tolleranze ottico-meccaniche richieste dalla Rollei stessa. In caso di malaugurato esito negativo, l'ottica doveva essere distrutta!!! Sul retro del laboratorio vi era il "muro del pianto" -mi fa male a scriverlo- contro il quale queste ottiche sfortunate venivano schiantate. I miseri cocci, venivano raccolti, catalogati e spediti alla Rollei per confermare l'avvenuta distruzione. Per volere della casa, neppure le viti dovevano essere recuperate. Ironia della sorte, se quelle stesse ottiche fossero state prodotte per Hasselblad, che richiedeva parametri meno restrittivi, sarebbero state graziate. Oggi tutto questo mondo non esiste più. Da estimatore ed utilizzatore delle ottiche Zeiss fin dai tempi della pellicola, non posso che apprezzare la scelta del Milvus e della messa a fuoco manuale, ma non posso non rimpiangere la "cristallina acutanza" dei mirini Contax. Ogni volta che torno a metterci l'occhio dentro, mi chiedo a cosa serva l'autofocus. Purtroppo oggi che la fotografia è diventata fenomeno di massa, abusata e consumata (prescindendo dalle enormi potenzialità del digitale da gestire sempre " cum grano salis ") le fotocamere, pur nella loro evoluzione, sembrano consapevolmente farcite di compromessi qualitativi e/o funzionali dettati, non da limiti tecnologici, ma piuttosto da logiche di marketing per generare, nell'utilizzatore, progressiva inappagatezza e conseguente smania compulsiva del nuovo acquisto. Ormai è un'assioma presente ovunque: introdurre ad arte problemi, da risolvere sempre attraverso soluzioni temporanee e costose. E così anche il piacere creativo di fotografare deve pagare il dazio. |
| inviato il 26 Novembre 2016 ore 18:16
Ho letto le due storie e le trovo affascinanti! Sulla Zeiss ho visto un bel sevizio su "marchi di fabbrica" mi pare su dmax o focus: ricordo di essere rimasto a guardare molto volentieri visto il fascino della precisione che traspariva in ogni singolo passaggio tra le mani di una singola persona! Altro esempio invece, di una fretta di uscire dalla fabbrica, è per l'appunto la Sigma: nonostante la progettazione dei modelli con caratteristiche srmpre più performanti, ho notato che guardano più alla "forma" che al "cuore"; il risultato è quello che il pubblico attuale vuole, ossia massima nitidezza, niente aberrazioni ma niente carattere da aggiungere alla foto. Ovviamente poi, anche se è vero che il perfetto accoppiamento tra obiettivo e corpo macchina è dovuto al giusto compromesso tra gli errori concessi dalle tolleranze di uno con quelle dell'altro che sommate danno risultato intormo a zero, è anche vero che Sigma da un margine veramente troppo elevato (per accelerare i costi e ridurre le spese) alla tolleranza, e poi fa la faccia da furbetta con i docking station che dovrebbero regalare ed invece sfruttano la non volontà di rimandare indietro l'obiettivo con il proprio corpo macchina! Capiamoci:non sono mica fessi, ed i loro prodotti, sulla carta, sono migliorati da fare paura, ma io non ci vedo un'anima, non vedo quel carattere che ti fa dire "cacchio! È un trioplan!" o ti fa fermare a cercare di capire come quell'obiettivo ti trasmette quelle sensazioni! Per me non trasmettono nulla: la nitidezza, il contrasto e la pulizia delle aberrazioni non sono quello che Zeiss ha fatto per "evolvere il Planar a Milvus" eppure comprerei 20 Zeiss e un sigma (che già ho)... Il sigma in questione è il 24 art, preso per 6D che consente la microregolazione! Effettivamente sono riuscito a renderlo precisissimo, ma spesso decide lui arbitrariamente ciò che deve mettere a fuoco (e lo farebbe anche con la docking station)! Mi dispiace ma Sigma deve fare ancora tanta strada, almeno per noi che sappiamo cosa hanno dato i Veri Obiettivi nella storia della fotografia! |
| inviato il 24 Dicembre 2016 ore 16:37
Grazie per tutti quelli che mi hanno supportato: la mia 6D è rinata dopo qualche giorno di assistenza! Adesso ho ritrovato il piacere di fare foto in manuale, enfatizzato dal fatto che c'è il mirino "superprecision", alla fine hanno dovuto cambiare una parte del "gruppo mirino" e relativa taratura! Adesso riesco a fare le foto! Arrivata ieri, oggi primo giorno di belle soddisfazioni! Grazie ancora e buone feste a tutti! |
| inviato il 24 Dicembre 2016 ore 17:57
Tutto è bene quel che finisce bene! Era abbastanza scontato che la tua 6D avesse un problema, io più la utilizzo e più mi piace! Buone feste a te! |
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