| inviato il 27 Dicembre 2014 ore 14:27
Ah dimenticavo, molti fotoreporter ormai solo "embedded" che rischiano la pelle nel documentare le varie guerre , hanno sempre un occhio nel mirino (della fotocamera) e l'altro sui vari premi cui aspirano, tipo il Pulitzer e simili. Volete che un ritocchino non lo facciano? Ovviamente non tutti. |
| inviato il 27 Dicembre 2014 ore 17:39
@ Adolfo: concordo che ora è più facile manipolare ma semplicemente perchè gli strumenti sono alla portata di tutti. Le foto sono state sempre manipolate. Ho visitato una mostra un paio d'anni fa (di cui purtroppo non ricordo il nome) in cui erano esposte innumerevoli esempi in analogico di manipolazione dell'immagine. Quando per motivi politici, quando per costume o per castigare... tutta la mostra verteva su questi "falsi" mostrando spesso quanto si è visto e gli originali. Quindi concordo al 100% che non è cambiato nulla. |
| inviato il 27 Dicembre 2014 ore 18:05
E' forse cambiato il fatto che la PP alla portata di tutti può dare fastidio a molti? (é una specie di rivoluzione comunista..ben riuscita ah ah ah ) Ciao |
| inviato il 27 Dicembre 2014 ore 18:11
Infatti... spesso mi trovo a discutere con fotografi che nascondono la testa sotto la sabbia dicendo che ora tutti ed una volta nessuno... non è cambiato nulla se non la facilità di accedervi. |
| inviato il 28 Dicembre 2014 ore 12:58
Quando Marcel Duchamp, negli anni '20 del secolo scorso, si faceva ritrarre dall'amico Man Ray travestito da donna, immedesimandosi nell'affascinante e mai esistita avventuriera Rrose Sèlavy non cercava originalità o divertissement. Il suo scopo era provare la possibilità di sostenere, tramite il mezzo fotografico, la reale (falsa!) esistenza di quella donna misteriosa. Perché Duchamp, universalmente conosciuto come artista ma molto meno come fotografo, sceglie proprio la fotografia per rendere credibile il suo alter ego? Semplicemente perché la fotografia è da sempre il più efficace attestato dell'esistenza reale di cose o persone. Roland Barthes indicava ciò come il "noema" della fotografia, cioè la sua essenza profonda. Se c'è una sua fotografia, allora Rrose Sèlavy esiste davvero! Anche oggi, in era digitale, bisognerebbe tenere conto di questo aspetto quando utilizziamo un mezzo che, per sua natura, fornisce attestazioni del reale tanto efficaci, quanto facilmente contraffabili. In campo documentaristico e di reportage è perciò ampiamente condivisibile quanto sostenuto da Michele Smargiassi nell'articolo linkato. Parimenti condivisibile quando si legge che "Il problema è che la veridicità dell'immagine va considerata in relazione alle sue funzioni e finalità, e non al suo status filosofico». Nulla di sbagliato o ingannevole dunque nel produrre immagini fortemente elaborate, con fotomontaggi e quant'altro, quando ci si rivolge al mercato e/o al pubblico dell'arte. Sarà la forza della poetica, delle soluzioni espressive ed estetiche (ammesso che ci siano!) a giustificare qualunque intervento. Ma la fotografia non si limita a questi generi. Ogni giorno nei forum si vedono immagini di paesaggio, ritratto, moda, nudo e quant'altro che puntualmente accendono discussioni pro e contro Photoshop. Diatribe sterili e spesso surreali tra presunti "puristi" e altrettanto presunti sostenitori del "moderno". Personalmente ritengo che i programmi di elaborazione siano degli strumenti straordinari ed utili ai fotografi. Il problema, come dice Smargiassi, è l'uso che se ne fa. Chiediamoci piuttosto se il fotoritocco è coerente con funzione e finalità, con la "mission" delle nostre immagini. Cerchiamo una risposta non banale alle domande: "perché l'ho realizzata così?" "a che pubblico voglio ambire?". Prendiamo ad esempio un fotografo di successo come Marc Adamus (credo che qui lo conoscano e lo apprezzino in molti). La sua spettacolarizzazione del paesaggio, l'enfasi dei colori, la ricerca ossessiva della bellezza della natura operata, come ammette lui stesso, attraverso l'ampio uso di strumenti di fotoritocco, è coerente con la "funzione" e "finalità" delle sue immagini? Personalmente non amo i suoi lavori, ma credo che la risposta alla domanda sia affermativa. A patto di tener presente, appunto, funzioni e finalità. Le sue sono fotografie in cui la mancanza di una poetica espressiva originale viene sostituita da effetti speciali, tecnicismi e soluzioni estetizzanti di maniera e di clichè. Un pensiero banale, debole, ma pur sempre funzionale ad una fotografia per i palati facili a cui, appunto, si rivolge. Niente a che vedere con i paesaggi rurali di Giacomelli (che oggi definiremmo molto photoshoppati) o, semplicemente, con i lavori documentaristici di Berengo Gardin. Solo livelli diversi: suggestive "patacche" vs. opere d'arte. La differenza sta nella poetica, nella forza e nell'originalità del pensiero espressivo. Credo sia importante capire il distinguo, anche per il nostro percorso fotografico e critico. Ora una foto di Adamus fa da sfondo al nostro desktop, la troviamo su una rivista patinata, campeggia in qualche ufficio o sala d'attesa, ma tra 20 anni nessuno si ricorderà di lui (accetto scommesse). Viceversa, dopo quasi un secolo, si discute ancora di Man Ray che "photoshoppava" due intagli di violoncello sulla schiena nuda di Kiki De Montparnasse. È solo una questione di gusti? O di fotoritocco? |
| inviato il 29 Dicembre 2014 ore 11:55
@Adolfo Mazzetti : i russi. O almeno, è quel che ho sentito dire a Scianna in una serie di occasioni. |
| inviato il 29 Dicembre 2014 ore 13:47
“ ma tra 20 anni nessuno si ricorderà di lui (accetto scommesse) „ Non è valido! probabilmente fra 20 anni sarò morto...o con l'Alzeimer.  |
| inviato il 29 Dicembre 2014 ore 14:13
"se scurisco un cielo fino trasformare il giorno in crepuscolo o in notte, ho cambiato l'ora della giornata in cui dico di aver visto quella scena, dunque ho alterato un'informazione determinante nell'interpretazione di un evento. In fondo, il limite da non superare è questo: non imporrò alla mia immagine alcuna modifica che ti induca in inganno, che ti faccia credere quel che non è, o non è stato. Clonazioni, messinscena, staging, desaturazioni, non c'è poi tanta differenza, nessuno di questi interventi è il male in sé, lo diventano quando si passa il limite dell'inganno non riconoscibile. Se scelgo di passare quel limite, senza mai dirtelo chiaramente, senza darti gli strumenti per capire quel che ho fatto davvero, allora non c'è altro possibile giudizio: sono uno che mente sapendo di mentire. Photoshop non c'entra più. C'entra quell'accessorio umano la cui mancanza è sempre una colpa: l'onestà intellettuale. Alla fin fine, neanche la fotografia c'entra più così tanto." Io sottolinerei questo, e questo è quanto io vado dicendo da un pò. |
| inviato il 29 Dicembre 2014 ore 14:18
Il problema non sono le foto dichiaratamente manipolate, ma quelle a cui credo si riferisse l'articolo del titolo, cioè il reportage soprattutto di guerra o di cronaca. A questo non ci sarà forse mai soluzione perchè non tutti i fotografi sono disposti a dichiararla (la manipolazione). Tempo fa mi era giunta la notizia che qualcuno stava studiando un software molto sofisticato che avrebbe dovuto riconoscere un falso fotografico mediante le comparazione della luce nei vari settori del fotogramma, e che i primi usufruitori sarebbero stati proprio i tribunali. Non so che fine abbia fatto sto programma, oppure era una bufala. Nel caso di foto paesaggistiche non mi porrei il problema perchè il pubblico ama vedere cose insolite come cieli improbabili, e poi i gusti cambiano col tempo. P:S: Tramite un amico, ho inviato un mio fotomontaggio da stampare su tela in una tipografia e che fa solo questo servizio ai fotografi; dopo alcuni giorni mi chiama al telefono il titolare e mi chiede appunto se trattasse di un fotomontaggio, perchè non gli tornavano alcuni parametri della stampatrice, (non so quali). Dopo mezzo secondo di sgomento ho dovuto confessare che era si un fotomontaggio, e di procedere comunque. Vi assicuro che a monitor non lo si rileva assolutamente. Quindi lo si può scoprire anche con i mezzi odierni l'inghippo! Giornali e riviste dovrebbero capirlo! Perchè poi non lo facciano.... ciao |
| inviato il 02 Gennaio 2015 ore 17:01
“ Quando Marcel Duchamp, negli anni '20 del secolo scorso, si faceva ritrarre dall'amico Man Ray travestito da donna, immedesimandosi nell'affascinante e mai esistita avventuriera Rrose Sèlavy non cercava originalità o divertissement. Il suo scopo era provare la possibilità di sostenere, tramite il mezzo fotografico, la reale (falsa!) esistenza di quella donna misteriosa. Perché Duchamp, universalmente conosciuto come artista ma molto meno come fotografo, sceglie proprio la fotografia per rendere credibile il suo alter ego? Semplicemente perché la fotografia è da sempre il più efficace attestato dell'esistenza reale di cose o persone. Roland Barthes indicava ciò come il "noema" della fotografia, cioè la sua essenza profonda. Se c'è una sua fotografia, allora Rrose Sèlavy esiste davvero! Anche oggi, in era digitale, bisognerebbe tenere conto di questo aspetto quando utilizziamo un mezzo che, per sua natura, fornisce attestazioni del reale tanto efficaci, quanto facilmente contraffabili. In campo documentaristico e di reportage è perciò ampiamente condivisibile quanto sostenuto da Michele Smargiassi nell'articolo linkato. Parimenti condivisibile quando si legge che "Il problema è che la veridicità dell'immagine va considerata in relazione alle sue funzioni e finalità, e non al suo status filosofico». Nulla di sbagliato o ingannevole dunque nel produrre immagini fortemente elaborate, con fotomontaggi e quant'altro, quando ci si rivolge al mercato e/o al pubblico dell'arte. Sarà la forza della poetica, delle soluzioni espressive ed estetiche (ammesso che ci siano!) a giustificare qualunque intervento. Ma la fotografia non si limita a questi generi. Ogni giorno nei forum si vedono immagini di paesaggio, ritratto, moda, nudo e quant'altro che puntualmente accendono discussioni pro e contro Photoshop. Diatribe sterili e spesso surreali tra presunti "puristi" e altrettanto presunti sostenitori del "moderno". Personalmente ritengo che i programmi di elaborazione siano degli strumenti straordinari ed utili ai fotografi. Il problema, come dice Smargiassi, è l'uso che se ne fa. Chiediamoci piuttosto se il fotoritocco è coerente con funzione e finalità, con la "mission" delle nostre immagini. Cerchiamo una risposta non banale alle domande: "perché l'ho realizzata così?" "a che pubblico voglio ambire?". Prendiamo ad esempio un fotografo di successo come Marc Adamus (credo che qui lo conoscano e lo apprezzino in molti). La sua spettacolarizzazione del paesaggio, l'enfasi dei colori, la ricerca ossessiva della bellezza della natura operata, come ammette lui stesso, attraverso l'ampio uso di strumenti di fotoritocco, è coerente con la "funzione" e "finalità" delle sue immagini? Personalmente non amo i suoi lavori, ma credo che la risposta alla domanda sia affermativa. A patto di tener presente, appunto, funzioni e finalità. Le sue sono fotografie in cui la mancanza di una poetica espressiva originale viene sostituita da effetti speciali, tecnicismi e soluzioni estetizzanti di maniera e di clichè. Un pensiero banale, debole, ma pur sempre funzionale ad una fotografia per i palati facili a cui, appunto, si rivolge. Niente a che vedere con i paesaggi rurali di Giacomelli (che oggi definiremmo molto photoshoppati) o, semplicemente, con i lavori documentaristici di Berengo Gardin. Solo livelli diversi: suggestive "patacche" vs. opere d'arte. La differenza sta nella poetica, nella forza e nell'originalità del pensiero espressivo. Credo sia importante capire il distinguo, anche per il nostro percorso fotografico e critico. Ora una foto di Adamus fa da sfondo al nostro desktop, la troviamo su una rivista patinata, campeggia in qualche ufficio o sala d'attesa, ma tra 20 anni nessuno si ricorderà di lui (accetto scommesse). Viceversa, dopo quasi un secolo, si discute ancora di Man Ray che "photoshoppava" due intagli di violoncello sulla schiena nuda di Kiki De Montparnasse. È solo una questione di gusti? O di fotoritocco? „   Per quanto mi riguarda non c'è altro da aggiungere. Bravo. |
| inviato il 02 Gennaio 2015 ore 17:27
Molto interessante anche la discussione successiva alla pubblicazione del post di Smargiassi. |
| inviato il 02 Gennaio 2015 ore 17:53
“ se tolgo un rametto perché mi sta impallando la macro , va bene , se tolgo un fucile da una scena di guerra magari no... „ concordo con chi dice che l'immagine ha una funzione in relazione allo scopo della stessa. (In certe foto a mio avviso anche l'errore di composizione non va assolutamente corretto. Uno dice... butta la foto... Invece no! Perché proprio quell'errore potrebbe essere determinante al fine del contenuto dell'immagine stessa) C'era un'immagine che per anni girò FALSA, ergo tolsero il palo che sembrava spuntare dalla testa della ragazza (che nientemeno era la compagna dello studente morto ammazzato e stecchito da colpi di arma da fuoco). L'immagine era falsa perché appunto tolsero il palo che sembrava essere conficcato nella testa della stessa. In realtà non era vero ovviamente ma il PALO rappresentava il confine oltre il quale NON potevano spostarsi. Uomo avvisato mezzo salvato ma...in questo caso purtroppo l'avviso non è bastato. Ma il palo...mitico errore di composizione del classico palo che spunta dalla testa in questo caso faceva la differenza ai fini della vera comunicazione della fotografia stessa. “ Come dice Scianna ancora una volta la foto "mostra e non dimostra"... Dall'analogico al digitale non è cambiato niente, se non che è più facile manipolare. „ concordo! In ogni caso dico la mia.... Non è colpa della fotografia se NOI siamo dei ladroni bugiardi. (questa frase è mia e se dovessi averla rubata a qualcuno me ne scuso in anticipo per averla partorita dopo di lui spacciandola per mia) |
| inviato il 09 Marzo 2015 ore 15:18
UPPO, visto che il discorso mi pare tornato in auge. |
| inviato il 09 Marzo 2015 ore 15:24
Il caso di Troilo è recentissimo.... |
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