| inviato il 12 Aprile 2019 ore 9:19
Seguendo un master in fotografia documentaria, mi sono appuntato un po' di nomi interessanti, al più presto li porto |
| inviato il 12 Aprile 2019 ore 10:54
Ivo Saglietti l'ho conosciuto 2 settimane fa, in una sua conferenza/intervista in previsione di un suo workshop. Sinceramente, dando per scontato la qualità dei suoi scatti, ha avuto qualche uscita un poco sui generis. Tipo "A me non hanno mai sparato quando facevo le foto in zone calde perchè non mi mettevo il giubbotto antiproiettile e l'elmetto", "il bianco e nero è assolutamente la consacrazione della fotografia rispetto al colore", "l'analogico è nettamente meglio del digitale". Alla mia domanda : "lei intende che preferisce il bianco/nero & analogico per una questione di feeling personale, un gusto personale, oppure è nettamente convinto in maniera assoluta che ci sia una netta superiorità?", lui rispose che "Sì, c'è oggettivamente superiorità". Poi, non essendo l'unico che è rimasto un po' così, all'insistenza degli altri, ha detto che "sono molto pigro, il bianco e nero mi leva vari problemi". Ah, ecco. Nel senso, come per Gardin, figli di un'era diversa da questa, hanno le loro convinzioni particolari figlie proprio di tale era. Poi per le foto, chapeau. |
user39791 | inviato il 12 Aprile 2019 ore 11:03
Ha quasi 20 anni in meno di Berengo Gardin ma come lui è rimasto ancorato quasi solo alle Leica M analogiche. www.nikonschool.it/sguardi/45/saglietti.php Qua una interessante intervista. |
| inviato il 12 Aprile 2019 ore 11:35
Articolo di Pierpaolo Ghisetti su di un suo colloquio con Ivo Saglietti: www.wetzlar-historica-italia.it/saglietti.html Visto il profilo di Ghisetti come storico degli apparecchi fotografici e il taglio del sito "Historica Wetzlar Italia", l'articolo è incentrato sull'atrezzatura usata da Saglietti, ma ci sono comunqe interessanti notizie sui suoi riferimenti e sul suo approccio alla fotografia: "Come abbiamo visto, si tratta di un'attrezzatura abbastanza semplice, niente di particolarmente sofisticato né nei grandangoli né tantomeno nei teleobiettivi, del tutto assenti, non amati da Ivo alla pari degli zoom. Ivo non ama la postproduzione digitale né il rifilare il negativo in camera oscura: l'inquadratura per lui deve nascere già compiuta nell'occhio del fotografo, quanto più possibile 'naturale', ammesso che questo aggettivo abbia senso in fotografia. Parliamo naturalmente dei grandi autori che si sono impegnati in reportage sociali, tra cui Dorothea Lange, di cui ha una foto in studio, e di Eugene Smith, che ammira molto, e che, col famoso e commovente lavoro di Minamata, lo ha convinto ad intraprendere la carriera di reporter; ed anche della grande illusione della sua generazione di fotografi, cioè di aver creduto, proprio come Eugene Smith, che la fotografia potesse veramente cambiare la realtà, forse addirittura migliorarla e non solo esibirla." |
| inviato il 15 Aprile 2019 ore 10:58
Decisamente urbex Chiaramonte, no? Anche se con scatti pescati dall'archeologia (storica e industriale) pure. |
| inviato il 16 Aprile 2019 ore 10:06
“ smargiassi-michele.blogautore.repubblica.it/2012/06/28/fra-le-macerie- „ questo articolo mi fa commuovere e tremare perchè io sono proprio di quelle parti ed ho sperimentato il terremoto sulla pelle |
user39791 | inviato il 16 Aprile 2019 ore 11:27
Immagino |
user39791 | inviato il 18 Aprile 2019 ore 8:40
Negli anni Cinquanta Bourdin è stato il primo fotografo di moda a dare più importanza all'immagine che al prodotto. Come dire: "Le scarpe possono essere nella foto ma la foto non è una foto delle scarpe". Una rivoluzione che ha cambiato la maniera di intendere la pubblicità, su cui ha costruito il suo successo il mensile Vogue, che a Bourdin diede spesso carta bianca. Indimenticabile una delle sue prime foto pubblicate, nella quale una modella posa in haute couture sotto numerose teste di vacche macellate. Guy Bourdin ha dimostrato al mondo che la moda non è solo consumo ma soprattutto arte. www.google.com/search?q=guy+bourdin&safe=off&client=ms-android-samsung |
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