| inviato il 15 Settembre 2023 ore 11:36
“ @Juan Luca Facile è il nuovo nero. „ Ermetismo alla Ungaretti? |
| inviato il 15 Settembre 2023 ore 15:06
>Semplice non significa facile così come complesso non vuol dire difficile. Non significa concettualmente, hai ragione, ma nel mondo reale lo è quasi sempre. |
| inviato il 15 Settembre 2023 ore 15:55
[appunti… sull'avere] Come siamo messi oggi con l'avere? Il digitale, anche in questo, si è rivelato essere portatore d'un cambiamento di paradigma e non solo di "supporto". In ogni dove proliferano community e condivisione al punto che la sharing economy dovrebbe sostituire sempre più l'economia della proprietà: “Sharing is caring” (Condividere è prendersi cura) recitava la massima d'un romanzo di Dave Eggers. Ma, mettendo pure da parte la letteratura, anche i saggisti alla Jeremy Rifkin [vedi il suo: La società a costo marginale zero] annunciano la fine del capitalismo vecchia maniera ipotizzando una società globale organizzata in modo comunitario nella quale la condivisione avrà più peso del possesso. Meno entusiasti sono alcuni filosofi, attenti per mestiere ai dietro le quinte. Il passaggio dal possesso all'”accesso”, tanto celebrato da Rifkin, - sostiene Han - non ci modernizza affatto liberandoci dal capitalismo per il semplice motivo che chi non ha soldi non ha neppure accesso allo sharing oppure ne ha accesso soltanto a tempo determinato. La sharing economy condurrebbe inoltre ad una commercializzazione totale della vita visto che, il recensirsi a vicenda, il contarsi numerico tra stelline e cuoricini, altro non sarebbe che commercializzare persino i rapporti umani, come l'amicizia. In poche parole: la sharing economy farebbe diventare “merce” persino il comunismo [in senso lato, naturalmente] . Altri autori vanno oltre e intravedono nella paventata “società trasparente” dello sharing sia una società del controllo spietato [ma su base volontaria e gratuita] sia il ritorno ad un sistema propriamente feudale. Il dispositivo della trasparenza, inoltre, emanerebbe una coazione al conformismo ed all'appiatimento totale, anziché stimolare la libera espressione di Sé con le modalità che si ritengono più opportune. Oggi come oggi non si tortura né costringe più nessuno, è vero, ma “per esistere” l'individuo deve sottostare comunque alle leggi del feudo a cui, in piena autonomia ed in pieno autosfruttamento, decide di aderire. In seno alla fotografia digitale TUTTO è stato stravolto rispetto all'analogico: dagli strumenti digitali di produzione (pensiamo ad Adobe) agli strumenti digitali di condivisione (pensiamo ad Instagram). Adobe e Istagram, presi solo a titolo d'esempio, rappresentano due tipici neo-feudi del paradigma digitale che promettono la massima libertà d'azione, se zappetti all'interno del loro orto, ma nello stesso tempo ti privano sia del possesso sia della possibilità di maturare/aver successo secondo le tue attitudini e tempi biologici. Cambia il paradigma anche del valore culturale che, anziché rimanere ancorato all'esistenza di un'opera, finisce con il legarsi principalmente alla sua esposizione perpetua. L'insistenza a produrre “per esistere” genera pressione psicologica a qualsiasi livello e, ad esempio, in campo lavorativo è noto il crescente fenomeno del “burnout” che però non è, in sé per sé, una malattia del lavoro bensì proprio della prestazione. Un processo molto simile può essere riscontrato nella fotografia digitale vissuta all'interno dei feudi digitali stessi. Scrive Han: “I feudatari digitali ci danno la terra e ci dicono: è gratis [o quasi] per voi, ora aratela. E noi ariamo all'impazzata”. La fotografia liquida, s-materializzata, accelera senza dubbio i processi sia decisionali che condivisivi ma si riduce alla fine ad una democrazia del “mi piace” inteso come “bisogno sociale”. La fotografia analogica [come processo] viveva invece di luce propria, all'interno del suo stesso rito. Non era trasparente né ambiva ad esserlo [zero trascendenza da sharing economy] ma irradiava una sua singolare luminosità sul mondo. Era inoltre oppositiva cioè “altro da noi” in ogni sua fase. Non era “data in pasto” al feudatario digitale affinché egli la degradasse ad informa da sottoporre ad un calcolo algoritmico. TUTTO, nella fotografia analogica, stimolava invece il possesso e l'avere, concreto e sensuale. Uno strumento "della presenza" che veniva solo occasionalmente affidato "per gentile concessione" come riproduzione di sé. |
| inviato il 15 Settembre 2023 ore 20:38
Capisco, ma non condivido questa idea che gli individui siano tutti fessacchiotti che si fanno "portare a spasso" dal sistema e basta. Non lo condivido perché il passo successivo è una forma di paternalismo peloso per cui si limita la libertà dell'individuo in nome di un " so io cosa è giusto per voi". Miseria dello storicismo... |
| inviato il 15 Settembre 2023 ore 21:14
“ Fotografare non è prendere la realtà per oggetto, ma farla diventare oggetto, è riaggregare una a una tutte le sue dimensioni: il rilievo, il movimento, l'emozione, l'idea, il senso e il desiderio per rendere meglio e più reale il tutto, vale a dire al meglio simulato, che è un controsenso in termini di immagine „ |
| inviato il 15 Settembre 2023 ore 21:22
@MaxVax La speculazione è - per definizione - fine a se stessa altrimenti non si chiamerebbe speculazione ma in altro modo. Smontare e guardare dentro la fenomenologia del mondo, visibile ed invisibile, è espressione del pensiero logico che vuole discernere anziché "credere" ed è tipica dell'approccio filosofico dalla notte dei tempi: l'amore di porsi domande in un mondo di risposte. @Valgrassi Grazie |
| inviato il 15 Settembre 2023 ore 21:34
@Nocram citazione (non consentita) da "Caro Avedon" (2020) di Oliviero Toscani, lettera a Richard Avedon. Ho appena fatto partire il 3d "Sciascia, Scianna, Toscani", chi mi ama mi segua! |
| inviato il 16 Settembre 2023 ore 3:16
@ Valgrassi Allora la tua citazione del Toscani-fotografo ricalca abbastanza da vicino l'approccio sociologico di Marshall MacLuhan secondo il quale: "The medium is the message". Ovvero: il medium non è un mero "supporto" al reale ma è realtà in sé per sé. Il medium non è un recipiente neutrale per il trasporto di un qualsivoglia "contenuto" [immagine] , al contrario ogni nuovo medium crea un contenuto particolare, e quindi una nuova percezione. Fatte salve le accuse di "misero storicismo" ed i sommari processi alle intenzioni, una visione che abbraccia diverse sensibilità e professioni sull'asse temporale, da MacLuhan a Toscani, mi sembra degna d'essere tenuta in giusta considerazione davanti alla metamorfosi analogico/digitale. |
| inviato il 16 Settembre 2023 ore 14:07
“ @Nocram Il medium non è un recipiente neutrale per il trasporto di un qualsivoglia "contenuto" [immagine] , al contrario ogni nuovo medium crea un contenuto particolare, e quindi una nuova percezione. „ Hazz...... trovo questo molto interessante, anche perchè un pò si scontra con il detto ricorrente: "l'mportante è il risultato ....... , tutto il resto è noia". |
| inviato il 16 Settembre 2023 ore 15:21
Ahahaha ma io non "ho accusato" nessuno, ho solo detto che il rischio è quello. D'altra parte io sono per formazione culturale un evoluzionista. Per me "il futuro è aperto" ... |
| inviato il 16 Settembre 2023 ore 15:22
Ho un presente e un passato. Ho un futuro che è dio e fa la cameriera. Cit. CCCP |
| inviato il 16 Settembre 2023 ore 15:25
@juan sei un aoristo (edit) |
| inviato il 16 Settembre 2023 ore 15:34
@Perazzetta Ettore Se, come accade oggi, ci si accosta al "risultato" come unica espressione del proprio lavoro, ecco che esso perde il proprio specifico valore ontologico e non rappresenta piú una forma esistenziale autonoma e piú elevata, riducendosi a mero derivato del lavoro stesso. È molto triste ma, come ho già scritto, quando l'artista ed il critico si fondono in un'unica figura di "sola prestazione" profanano sia il lavoro che il risultato. D'altra parte, persino la sacralità del meritato riposo viene sequestrata dalla produzione, oggigiorno, e degradata a "tempo libero", a pausa per riprendersi, e tornare subito competitivi. |
| inviato il 16 Settembre 2023 ore 15:39
Come si leggeva nel capitello del tempio di Apollo a Delfi. gnôthi seautón Ma cosa si trovava scritto sulle colonne? |
| inviato il 17 Settembre 2023 ore 7:09
Con le ultime note sull'avere credo d'aver esaurito i miei argomenti ed è tempo di congedarmi dalla discussione. Come ultimo appunto lascio l'indicazione, per chi vorrà, d'un romanzo di Yoko Ogawa: “L'isola dei senza memoria”. Io l'ho appena terminato di leggere ed è carino. In breve, racconta la storia di un'isola giapponese molto particolare, in cui una Polizia Segreta di stampo orwelliano costringe la popolazione a dimenticare, di volta in volta, alcune cose. Quando si tratta di oggetti concreti essi vengono prima raccolti casa per casa e quindi distrutti, infine rimossi dalla memoria collettiva. La stessa parola che li descriveva smette di avere senso e nessuno più ricorda di cosa di trattasse: una rimozione psichica completa, oltreché fisica. Sfortuna vuole, per la Polizia Segreta intendo, che non tutti gli abitanti siano genericamente compatibili con queste rimozioni forzate dal Sistema. Alcuni conservano il ricordo delle cose “sparite” a causa di una particolare predisposizione genetica e quindi la Polizia Segreta inizia a condurre tutta una serie di analisi a campione del DNA per individuare chi sopprimere e chi lasciare in vita sull'isola. Naturalmente arriva il giorno in cui la Polizia Segreta ordina di dimenticare che cosa sia la “FOTOGRAFIA”… Io però mi fermo qui. Au revoir! |
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