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Il segno nella fotografia digitale


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avatarjunior
inviato il 25 Maggio 2024 ore 12:55

SEDURRE

Dice: "La gente vede solo ciò che vuole vedere". L'affermazione è corretta solo all'interno di un sistema dualistico e cartesiano ma, al di fuori di esso, si scontra fragorosamente con la rappresentazione "realistica" e dinamica offerta dall'approccio semiotico dove, piuttosto, diremmo che la gente vede solo ciò che è indotta a vedere e questa azione dell'indurre - una volontà - la possiamo rappresentare con il verbo "sedurre". Ci arriveremo un poco alla volta a trattare la seduzione ed a capire come il manifestarsi di questo "concetto" sia possibile - nella vita cosmica dei sé - solamente grazie alla possibilità d'inversione tra i ruoli del predatore e quello della preda. Nella seduzione ha un ruolo iniziatico importante anche la temporanea "cecitá dell'anima" già trattata ma vedremo come tutti i concetti fino a qui esposti altro non siano che strumenti-soglia, innestati uno sull'altro, in un sistema di cose tipicamente arborescente ad affatto rizomatico.

avatarjunior
inviato il 25 Maggio 2024 ore 15:34

DENTI

Iniziamo dai denti, così sarà più semplice “vedere” il processo semiotico . I denti hanno una doppiezza interessante: da un lato, nella cornice di un bel sorriso, ci seducono cognitivamente ma, dall'altro, sono i tipici e più caratteristici strumenti di morte del predatore in natura. Pensate a come i denti canini siano diventati a tal punto rappresentativi del predatore stesso da esserne, per noi umani, il simbolo con funzionalità d'amuleto. Questa significanza dei denti per i predatori tuttavia non ci deve ingannare: già Linneo si trovò di fronte al problema di categorizzare un genere di predatori strani, in quanto sdentati, che lui chiamò, in latino, “Edentata”. Gli armadilli, ad esempio, non hanno dei veri e propri denti da predatore eppure lo sono. Allo stesso modo i bradipi hanno dei pioli “vestigiali” al posto dei denti ed i già citati formichieri - pur essendo sprovvisti di denti - sono dei formidabili predatori al punto che i giaguari - predatori con denti da predatore - li temono e li evitano quanto più gli è possibile. Quando all'assenza di denti si aggiunge un'indole apparentemente pacifica, ad esempio come quella dell'armadillo, questa “condizione” rappresentativa finisce con il non corrisponderci facilmente e direttamente al ciclo ecologico predatore/preda, in cui l'auto-perpetuazione passa attraverso la creazione di oggetti.

avatarjunior
inviato il 25 Maggio 2024 ore 16:33


ANACONDE E AMULETI

Se, come abbiamo osservato, esistono predatori anche in “assenza” di denti ne esistono degli altri ancora più difficili da rappresentare in quanto tali. Prendiamo in questo caso l'esempio dell'anaconda che è, usando una citazione famosa: “il predatore che tutti i cacciatori vorrebbero essere”. A differenza dello sdentato formichiere, o dell'apparentemente bonario armadillo, l'anaconda è un predatore che all'inizio non è riconosciuto come tale e cattura le sue prede attraverso un processo di attrazione. Le vittime vagano descrivendo dei cerchi sempre piú stretti, fino a ritrovarsi nel punto esatto in cui si nasconde l'anaconda in attesa di stritolarle con il suo abbraccio.

Questo modus-operandi ricorda molto da vicino la funzione degli amuleti di caccia o d'amore: si desidera [volontà] attrarre qualcosa verso di sé sostanzialmente per mezzo di un “inganno” che però deve essere inteso, come direbbe Nietzsche, al di là del bene e del male. Stiamo infatti molto attenti al potente simbolismo del verbo “ingannare” giacché - nel nostro sistema di cose - l'inversione da predatore a preda si realizza attraverso una dinamica “seduttiva” che non ha alcuna implicazione etica. La seduzione “coglie” i modi “non sempre equivalenti” in cui i soggetti e gli oggetti si creano reciprocamente attraverso le trame cosmiche di predazione.

avatarjunior
inviato il 25 Maggio 2024 ore 18:00

IETTATORE

Giunti come siamo agli amuleti sforziamoci di credere, per un attimo, ai loro effettivi poteri “incantatori” e vediamo un caso d'inversione che ha sempre affascinato gli uomini e la cultura. La figura dello iettatore è, a tutti gli effetti, un amuleto-vivente che può essere “usato” allo scopo di danneggiare qualcuno, negli affari come in amore. Quando ingaggiamo uno iettatore e lo mandiamo a far danni, ad esempio, nell'azienda di un nostro avversario d'affari anzitutto gli facciamo indossare un'abito di credibilità che nasconda la sua vera funzione. Il nostro avversario, cieco rispetto alla vera funzione dello iettatore, non accorgendosi di nulla lo scambia per un potenziale nuovo cliente o nuovo fornitore e quindi lo considera come un “qualcuno” su cui far valere il suo stesso essere predatorio. Ma la preda, in realtà, è a sua volta un predatore per interposta persona e sotto mentite spoglie ed il suo gioco - il suo farsi “oggetto” ai nostri fini - permette l'inversione preda/predatore di cui abbiamo fino a qui parlato. Ciò che è importante sottolineare qui è che le “relazioni” predatore-preda sono sempre innestate e anche questo è un fattore importante per l'efficacia degli amuleti, in quanto “concetti”. Quella che, ad un determinato livello, è un'inversione delle relazioni tra oggetto e sé è innestata all'interno di una relazione di livello superiore che reindirizza il verso della predazione. Nessuna magia neppure qui, ma pura logica se si ha la capacità di “vedere” oltre il simbolismo di questa tragicomica figura teatrante del menagramo.

avatarjunior
inviato il 25 Maggio 2024 ore 19:22

VELOCITÀ

Se l'idea che lo scopo degli amuleti sia quello “di fare in modo che” dei sé perfettamente intenzionali vadano verso le intenzioni [volontà] di altri sé è corretta allora sorge spontanea una conseguente domanda che poi è anche una verifica in itinere : gli amuleti hanno uguale effetto su tutti i sé? La risposta è un sonoro e deciso: no! L'efficacia di un amuleto sarebbe direttamente proporzionale all'intenzionalità del sé che viene “sottoposto” al suo potere incantatorio. Attenzione, perché qui con il termine “intenzionalità” si sott'intende, in un certo senso, una “velocità di reazione” che viene attribuita a tutti quei sé capaci di grande ed evidente “agentività”. Ergo: unicamente gli esseri molto mobili – cioè quelli con un'intenzionalità molto evidente – possono essere sedotti. È la loro grande agentività, evidenziata dalla loro capacità di agire da predatori, che permette a questi sé - divenuti “prede” - di essere sedotte più facilmente di altre. Detto molto prosaicamente: la carne di selvaggina deve essere viva prima di poter diventare morta.

Lo stesso Carl Gustav Jung, facendo tutt'altri percorsi conoscitivi legati alla psicanalisi, giunse alla medesima conclusione quando esortò, metaforicamente, ad andare in collina per “meglio cogliere” i problemi apparentemente irrisolvibili che colpiscono la città. Per sottrarsi al potere della seduzione non bisogna andare più veloci, o entrare più dentro, ma al contrario adottare un punto d'osservazione estraneo e molto meno dinamico di quanto siamo soliti pensare. E su questo ultimo punto propongo una nuova provocazione: la velocità degli upgrade hardware/software tecnologici e la loro onnivoracità rappresentativa sostenuta, facilmente, dal supporto digitale consente a qualcuno - che non sia e non viva da perfetto eremita - di estraniarsi del tutto e rallentare a proprio piacimento il dinamismo della s-materializzazione del mondo in cui viviamo?

avatarjunior
inviato il 25 Maggio 2024 ore 22:28

ERRANTE

Siamo abituati a pensare che quando "usciamo" dalla nostra cultura lo facciamo perché desideriamo esplorare ed "entrare" in una nuova o diversa cultura. Questa rappresentazione ha ragion d'essere esclusivamente all'interno del pensiero dualistico cartesiano che non sa immaginare altro che "contenitori stagni" nei quali noi transitiamo liberamente. L'approccio semiotico, non essendo dualistico, ritiene palesemente riduzionista ed arbitraria questa rappresentazione del mondo e non per niente, negli ultimi trent'anni, tutte le scienze influenzate dalla semiotica hanno pesantemente rimesso in discussione il ruolo, a volte nefasto, che ha avuto il positivismo "occidentale" e l'aspirazione di esportare e trapiantare i nostri "modelli" in culture totalmente estranee alla nostra. In semiotica non esistono "contenitori culturali" ma termini come la defamiliarizzazione [vedi voce DEFAMILIARIZZAZIONE] e l'erranza antropologica. Questi due concetti non si basano sul viaggiare verso una cultura differente, ma sull'adozione di un altro corpo. Secondo questo stato di cose sono "le nature" a diventare estranee, e non "le culture". I corpi, quindi, sono molteplici e mutabili ed il corpo umano è solo uno dei tanti che un sé può abitare. Come link si riveda anche la voce PROVINCIALIZZARE già trattata a pagina 4.

avatarjunior
inviato il 25 Maggio 2024 ore 23:44

CONSAPEVOLIZZARE

L'estremo interesse della semiotica a situare dinamicamente "le differenti prospettive" favorisce un'attenzione "consapevole" - oserei dire quasi zen - al preciso stato d'essere di ognuno [di ogni sé] in ogni dato momento. Questa possibilità è del tutto preclusa a qualsiasi forma di pensiero dualistico dove ci sarà sempre un punto di vista preferenziale di partenza [un-locus-temporale-privilegiato] che ridurrà tutti gli altri punti di vista a dei "nient'altro che". La ragione per la quale, istintivamente, ci riesce più facile pensare dualisticamente non va ricercata nel fatto che la realtà così ci sembra più "realistica" ma piuttosto nel fatto che, così facendo, essa ci "appare" più rassicurante. Ciò ha un peso psicologico non indifferente: pensiamo dualisticamente come meccanismo di protezione [illusorio] .

Ad esempio: immaginare come si viene visti dagli occhi di un altro essere in un momento molto privato è profondamente fastidioso. È una forma di defamiliarizzazione tutto sommato semplice ma già inquietante, perché mette in luce la natura vulnerabile di un sé isolato, ridotto a se stesso – cieco dell'anima, come abbiamo detto – separato dagli altri ed esposto ad un potente "predatore" che non vediamo ma "sentiamo" [come sensazione] esistere. Non ci piace, per forza. La difficoltà a consapevolizzare la semiotica è perche essa ci defamiliarizza: con una pedata nel fondo schiena ci "sbatte" fuori dal nostro locus abitudinario.

Non basta: non ve lo auguro ma, se mai vi capitasse di essere "mangiati vivi" sappiate che, in quanto preda, paradossalmente sareste incapaci di farne esperienza da una prospettiva soggettiva. Non potreste restituire lo sguardo [io-tu] al vostro predatore. Al contrario, potreste solo fare esperienza della vostra scomparsa da una posizione esteriore e disincarnata. In altre parole: potreste solo dedurre logicamente di essere feriti, e di essere dunque mangiati vivi, dagli effetti fisici che quest'azione produce sul vostro "corpo" diventando completamente “ciechi” a voi stessi in quanto sé.

Insensibilmente inerti: questa l'unica consapevolezza, per quanto percepita debolmente, di un "mangiato vivo". Questo, cari amici foto-amatori, è solo un assaggio distopico di un mondo in cui l'agentività finisce per separarsi da un sé che sente, un sé intenzionale, pensante, incarnato e localizzato. In altre parole è l'ultima frontiera della seità: una radicale cecità dell'anima, un accenno ad un mondo privo di sé, senza anime e senza futuri, ovvero un mondo di soli effetti. Ma, per nostra grandissima fortuna, non è questo che hanno in programma i nostri predatori naturali. Viceversa, smetteremmo anche di essere consumatori paganti. Non sia mai.

avatarsenior
inviato il 26 Maggio 2024 ore 4:48

Nocram

"Ma per nostra grandissima fortuna, non è questo che hanno in programma i nostri predatori naturali. Viceversa, smetteremmo anche di essere consumatori paganti. Non sia mai."

Su quest'ultimo punto spero tanto che tu abbia ragione.


Buona giornata.

avatarjunior
inviato il 26 Maggio 2024 ore 7:00

@Rocco Vitali

Ciò non è opzionalmente possibile perché - figurativamente parlando - è il medium fotografico [il vecchio '"interprete" plastico, di derivazione analogica] - ad essere "mangiato vivo" dalla s-materializzazione digitale ma essendo questo solamente un "abito" nell'incedere del processo dinamico non cogliamo altro che una progressiva dissolvenza del suo "soffio vitale" e la rarefazione di un "sapere" ad esso collegato. Ma ci arriveremo, anche se qui il focus è comprendere più ciò che emerge nel futuro-presente. A questo proposito trovo fortemente rappresentativo il modo di dire: "Si inizia a mangiare con gli occhi". Se è vero allora prendiamo consapevolezza anche del fatto che non tutti i livelli del "mangiare" includono necessariamente la digestione ed il cacare vera merda - come non tutti i predatori sono tali in quanto provvisti di denti da predatore.

Lato cittadino-consumatore anche su questo direi che possiamo dormire sonni tranquilli in quanto la frittata è già stata fatta: è bastato sostituire progressivamente il "diritto di proprietà" con il "diritto di accesso" (si veda, come esempio, la politica commerciale di Adobe, di tutto il mondo degli acquisti in-app da smartphone e del "cloud" stesso come concetto) per agganciare a tempo indeterminato l'utenza fotografante a delle piattaforme che non sono più un nostro - ma un loro - locus (aziendale) esclusivo. Questo aspetto della faccenda ha mandato letteralmente "in trip" tutta la sociologia economica mainstream ma, anche su questo, ci sono possibilità di speculazione originali, come quella della cosiddetta "scuola austriaca di economia". Forse ci sarà tempo e modo di darne qualche cenno, soprattutto in connessione al manifestarsi di fenomeni di resilienza versus la digitalizzazione tout-court.

Buona domenica anche a te.

avatarjunior
inviato il 27 Maggio 2024 ore 8:55

FORTUNA

Martin Buber, il filosofo dell'intersoggettivitá, scrisse: "Il tu non confina. Chi dice tu non ha alcun qualcosa, non ha nulla, ma sta nella relazione". Scrisse anche: "In principio è la relazione". C'è da sapere che Buber non ebbe mai nulla a che fare con la semiotica di Peirce e che la sua analitica filosofica mosse, piuttosto, da una fiera opposizione al crescente individualismo otto-novecentesco. Allora è curioso osservare come una rappresentazione del mondo pragmatica, psudo-scientifica, matematica, e profondamente americana come quella offerta dal semiotica collimi con i proponimenti fondamentali di un pedagogismo tipicamente europeo come quello di Buber. È curioso si, ma in definitiva non sorprendente perché "la fortuna" della semiotica - la sua piena sfruttabilità e la sua adeguatezza ai nostri tempi - è solo, come si suol dire, il piano che c'è dietro: "Poiché dove è qualcosa, è un altro qualcosa" (cit. Buber). Da non confondersi, neppure per sbaglio, con il benaltrismo che popola le discussioni fatte di "secondo me".

avatarjunior
inviato il 27 Maggio 2024 ore 10:45

CRISI

Dice: "Ma, allora, come possiamo sapere?". Se tutto stà in "relazione" a tutto, se nulla "si confina" in sé stesso, se ciò che è morto pensa di essere vivo e ciò che è vivo lo è solo proiettivamente... ciò provoca una crisi epistemologica! Certamente, dico io, altrimenti avremmo solo perso tempo! Questa crisi è fondamentale perché senza crisi non ci sarebbe alcuna possibilità di prendere coscienza di un problema che altrimenti rimarrebbe sottotraccia a far danni. La comunicazione trans-specie è un affare pericoloso. Deve essere affrontata in modo da evitare, da un lato, la completa trasmutazione del sé umano – nessuno vuole diventare per sempre "Altro" – e, dall'altro, l'isolamento monadico rappresentato da quello che abbiamo definito come "cecità dell'anima", che è il rovescio solipsistico di questa trasmutazione. La crisi non può, ne deve, essere evitata - ciò è illusorio - ma anzi deve essere da stimolo per adottare strategie che, da un lato non "dissolvano" l'umano, e dall'altro "disvelino" i tanti punti di vista che umani non sono.

avatarjunior
inviato il 27 Maggio 2024 ore 12:09

TROPPO UMANO

Dovremmo essere rimasti sufficientemente in pochi a seguire questa discussione da poter alzare l'asticella senza remore ed anche se mi rivolgo ad un pubblico eterogeneo non dispero di rendermi ugualmente comprensibile. Qui useremo questa espressione nietzschiana per riferirci ai "modi" in cui le nostre vite e quelle degli altri rimangono "prese" nelle "trame morali" tessute da noi umani. Vorrei anche segnalare che un sistema di cose che vuole giungere ad una comprensione piú ampia dell'umano, prestando attenzione alle nostre "relazioni" con coloro che stanno al di là di noi, deve anche comprendere tali relazioni in virtú di come possono "subire l'effettualità" di ciò che è distintivamente umano. Guardate che è la stessa osservazione - paro paro - che hanno fatto gli scienziati quando indagarono l'universo dei quanti e la meccanica quantistica in generale. Se il simbolico è esclusivo degli umani anche la morale è specificamente umana, perché pensare moralmente e agire eticamente presuppongono - sempre - la referenza simbolica. In pratica: è la referenza simbolica stessa a rendere possibile la capacità di distanziarsi momentaneamente dal mondo e dalle nostre azioni al suo interno, per riflettere sulle possibili modalità di una condotta futura – una condotta che possiamo ritenere potenzialmente "buona" anche per gli altri al di fuori di noi. Sbagliaremmo di brutto se pensassimo che lo strumento di misurazione non inficia la misurazione stessa.

avatarjunior
inviato il 27 Maggio 2024 ore 15:21

OLTRE MORALE

Naturalmente non è di nostra competenza arrivare ad una comprensione universale di quello che potrebbe essere un sistema morale appropriato. Ma per immaginare uno stato di cose oltre l'umano che non si limiti a proiettare le qualità umane ovunque, un poco a casaccio, dobbiamo comunque situare ontologicamente la morale. Non possiamo ignorarla solo perché essa non ci interessa ma, anzi, dobbiamo individuare con più esattezza possibile dove e quando essa “emerge” nel mondo. Per tutto quanto abbiamo detto fino a qui valutare moralmente le azioni che noi umani intraprendiamo è potenzialmente appropriato, non c'è nulla di sbagliato in questo, ma questo approccio etico non può essere applicato a ciò che umano non è e non ha “connessioni” dirette con il simbolismo che genera la morale stessa. Tuttavia, anche al di fuori della referenza simbolica, noi possiamo figurarci un “qualcosa” di valoriale e che sia “intrinseco” all'ampio mondo vivente dei sé-viventi non-umani. Ci sono cose che per un sé vivente e per il suo potenziale di crescita possono essere considerate buone o cattive? E poi: visto che i sé-viventi non-umani possono crescere, è appropriato pensare alle implicazioni morali che le nostre azioni hanno sul loro potenziale di crescere “bene” e di prosperare? Provocazione: siamo in grado di cogliere l'enormità della questione non solo filosofica [vedi voce ALTER-POLITICA] dinnanzi all'emergere del “pensiero” computazionale?

avatarjunior
inviato il 27 Maggio 2024 ore 16:40

VALORE

Come avviene per la referenza simbolica, dire che la morale sia “distintiva” dell'essere umano non significa che sia separata da ciò da cui emerge. La morale è in relazione di continuità emergente con “il valore”, proprio come la referenza simbolica è in relazione di continuità emergente con la referenza indicale. C'è la ricordiamo - nevvero - questa matrice [escalation matrix] comune a tutta la semiotica? Allora, ponendo i nostri termini in equazione, avremmo che: il segno indicale sta alla referenza simbolica come il valore sta alla morale. E da questo evinciamo che il concetto valoriale, il valore in sé, è “qualcosa” che viene prima del simbolo, prima della morale e prima dell'uomo [mente] : il “valore” si estende, insomma, al di là dell'umano. E quindi? E quindi è una caratteristica costitutiva generale dei sé-viventi. I nostri mondi [modi] morali possono esercitare la loro effettualità sugli esseri non umani proprio perché ci sono cose che per loro sono buone o cattive. Alcune di queste cose – buone o cattive per loro – sono anche buone o cattive per noi.

avatarjunior
inviato il 27 Maggio 2024 ore 17:18

Un qualunque sistema (strumento) di misurazione, per quanto sofisticato possa essere, inficia la misura stessa.
Il risultato della misura, se confrontato con ciò che riteniamo attendibile, può destare la crisi.
Questa "crisi" dunque, è lo stimolo benvenuto per nuove riflessioni e/o strategie per ricercare la "verità".

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