| inviato il 23 Marzo 2019 ore 19:16
Che dire pensa quanti scemi che li hanno seguiti e studiati, mettiamoci anche Shore, Todd Hido e i coniugi Becher tra i raccomandati |
| inviato il 23 Marzo 2019 ore 19:35
Lo penso proprio e poi per taluni è anche uniformarsi agli altri |
user39791 | inviato il 23 Marzo 2019 ore 20:20
Bergat sono il nipote di una delle più grandi artiste di tutti i tempi, mia nonna faceva all'asilo gli stessi quadri che dipingeva Picasso. Lei ne era certissima. |
| inviato il 23 Marzo 2019 ore 20:42
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| inviato il 23 Marzo 2019 ore 20:54
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| inviato il 23 Marzo 2019 ore 20:56
Insomma: una foto come questa ( l'auto posteggiata ) www.google.com/url?sa=i&rct=j&q=&esrc=s&source=images&cd=&ved=2ahUKEwi cosa mi dice, cosa ci dice? Sgomberato il campo dai dubbi se E. sia o no un fotografo importante e indiscusso ( al netto del gradimento personale di ognuo di noi ), guardando le foto meno 'facili' o meno accattivanti, come la nuda realtà oggettiva di un' auto protagonista di un 'ritratto', cosa possiamo dire ? Sono andato a cercare un esempio di foto piuttosto 'banale' ( volutamente banale, ovviamente ), per capire. Anch'io, egoisticamente, vorrei capire perchè E. mi affascina tanto e qualcuno di voi amici potrebbe aiutarmi dicendo la sua. In altri termini: 'ce lo facciamo piacere' perché è famoso e accreditato, oppure è davvero un Autore grande? p.s. poco fa ho visto qualche foto di McCurry e ho registrato in me stesso, una volta per tutte, la noia che mi prende guardandole. Naturalmente, con tanto di cappello a un fotografo che non mi permetto di liquidare con becera faciloneria. |
user39791 | inviato il 23 Marzo 2019 ore 21:15
Ti riporto un articolo apparso su Repubblica perché non sono capace di spiegarlo così bene. Nelle fotografie di Eggleston sembra che non accada mai nulla di particolare, tanto meno di determinante o di indimenticabile. A prima vista i soggetti delle sue fotografie paiono molto comuni, simili ad album di famiglia con amici, parenti, cani, case dei suburbi, garage, auto, marciapiedi, strade, pali della luce: quello che definiremmo le immediate vicinanze di qualcosa, o ciò che esiste quando guardiamo fuori dal finestrino. Ma se osserviamo attentamente, se facciamo quel passo per vedere davvero e condividere la visione di Eggleston, allora apprezziamo il mistero e la bellezza, e possiamo comprendere - e disapprovare - lo smarrimento astioso di coloro che hanno guardato superficialmente per la prima volta, senza capire. Per Eggleston qualsiasi soggetto fotograficoè degno di attenzione e ha pari dignità, concetto evidenziato in uno dei suoi libri più belli, The Democratic Forest. Eggleston lavora proprio su questo sguardo democratico, per sottrarre le cose quotidiane dalla banalità dello sguardo e dalla loro stessa essenza: trasforma il familiare in anomalo, attraverso un' angolatura sbieca rispetto alla visione usuale, dominante. Il punto di vista è sghembo, una prospettiva straniante. Sembra che il fotografo usi l' accetta: oggetti, animali, persone sono spesso tagliate ai bordi, così da rivelare un movimento interno alla composizione, il dinamismo di infiniti angoli possibili. Nelle immagini coesistono tensione e calma, ma lo stato di quiete è sempre qualcosa di provvisorio. Non a caso Eggleston ha influenzato registi come Lynch, Cronenberg, e anche l' ex fotografo Stanley Kubrick credo gli debba qualcosa, almeno in una scena di Shining, quando il bambino sfreccia con il triciclo attraverso i corridoi dell' albergo disabitato. Quel triciclo è il triciclo di Eggleston, poi diventato la copertina del libro William Eggleston' s Guide: il triciclo ritratto a Memphis alla fine degli anni ' 60, fermo, sul marciapiede di una casa. Eggleston ha scattato quell' immagine quasi da sdraiato, dal punto di vista di un insetto, così il triciclo del bambino - come molti altri oggetti del nostro quotidiano - è diventato qualcosa di spaventoso, inquietante, per nulla innocente, e il cielo grigio è parso assorbire meglio il manubrio arrugginito, mentre sullo sfondo un' auto parcheggiata sotto il patio osservava muta la scena, e lateralmente, la parte posteriore di un' altra auto sembrava volesse aggiungere qualcosa. E poi c' è l' uso del colore. Il colore è diventato linguaggio, elemento dinamico. L' utilizzo del rosso, del blu, del giallo, perfino della ruggine: un boiler arrugginito in un campo è la cosa più simile a un gigantesco frutto. In precedenza il colore sembrava quasi un problema separato dal soggetto. Prima di Eggleston i fotografi vedevano il cielo e l' azzurro. Dopo di Eggleston il cielo e l' azzurro sono una cosa sola, il cielo azzurro. Quattordici taniche bianche, di plastica, rovesciate su una strada sterrata, e sopra di esse il cielo azzurro, carico di nuvole bianche, quasi che le taniche fossero frammenti di nuvole, precipitati da quel cielo, o viceversa, come se il cielo fosse un' estensione della terra. Eggleston assalta l' inerzia degli sguardi per restituire un mondo provvisorio, frammentato, e da lì ripartire. Nella fotografia di un salotto, ci sono la gamba accavallata di un uomo, tre poltrone, la moquette, una pianta, una lampada, un posacenere, tutto è dello stesso colore tenue, sabbia uniforme, la quiete di una stanza. Sul tavolino ci sono la scatola rotonda di un puzzle e i frammenti sparsi, da comporre, e su di essi, la luce che entra dalla finestra. Il mondo di Eggleston - il Tennesse, il Mississipi - è questo, è anche il nostro mondo, un puzzle in frantumi, decadente eppure ancora vitale. Sta a noi vederlo. William Eggleston ha attraversato l' esistenza cercando un varco nel caos del quotidiano, ha lottato alla ricerca dell' equilibrio preciso tra tensione e calma, e ha trovato il mondo reale - come lui stesso definisce la sua opera - trasformando immagini qualsiasi in qualcosa di molto diverso: un' unica, certa, fotografia. Per raggiungere - usando le parole di Robert Adams - un silenzio adeguato. |
| inviato il 23 Marzo 2019 ore 21:37
Tutte parole che se ci sforziamo possiamo descrivere per qualsiasi cosa. Intendiamoci cambierebbe il contenuto, ma potremmo trovare qualsiasi giustificazione d'arte anche per quella volgarità di Manzù o per i concetti spaziali di Luciano Fontana. Ben più difficile sarebbe descrivere le opere d'arte partendo dall'entanglement quantistico |
user39791 | inviato il 23 Marzo 2019 ore 21:45
Ben più difficile sarebbe descrivere le opere d'arte partendo dall'entanglement quantistico. Spiega perché non so cosa è. |
| inviato il 23 Marzo 2019 ore 22:12
Anche io ignoro il significato del fenomeno dell' E. Q., anche se Wikipedia come al solito aiuta; in compenso conosco bene il brano Entangled dei Genesis, arte pura o almeno di grandi autori. |
| inviato il 23 Marzo 2019 ore 22:36
Ben più difficile sarebbe parlare con un minimo di umiltà. |
| inviato il 23 Marzo 2019 ore 22:44
Ma infatti l'osservazione era per lo più priva di entanglement. |
| inviato il 24 Marzo 2019 ore 0:53
Ma stiamo divagando? Qualcuno ha buttato lì due discorsi a brecchio? Felix ha avuto modo di fare l'ennesimo profilo falso? Scusate, frequento una discussione ogni tanto, vengo da Facebook che per evitare troll, profili finti e discorsi della minchia ho fatto un profilo totalmente fotografico,indi per cui dico subito che se, anche sbagliandomi, avverto dei profili di troll o simili, blocco. Torniamo in topic, filiberto ha pubblicato un × papiro per questa discussione, fate in modo da non gettare tutto nel cesso. |
| inviato il 24 Marzo 2019 ore 0:54
P. S. The democratic forest, se avessi una badilata di soldi, lo prenderei subito. 500 euro se non ricordo male. |
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