RCE Foto

(i) Per navigare su JuzaPhoto, è consigliato disabilitare gli adblocker (perchè?)






Login LogoutIscriviti a JuzaPhoto!
JuzaPhoto utilizza cookies tecnici e cookies di terze parti per ottimizzare la navigazione e per rendere possibile il funzionamento della maggior parte delle pagine; ad esempio, è necessario l'utilizzo dei cookie per registarsi e fare il login (maggiori informazioni).

Proseguendo nella navigazione confermi di aver letto e accettato i Termini di utilizzo e Privacy e preso visione delle opzioni per la gestione dei cookie.

OK, confermo


Puoi gestire in qualsiasi momento le tue preferenze cookie dalla pagina Preferenze Cookie, raggiugibile da qualsiasi pagina del sito tramite il link a fondo pagina, o direttamente tramite da qui:

Accetta CookiePersonalizzaRifiuta Cookie

Sara: la voce spezzata del silenzio


  1. Forum
  2. »
  3. Blog
  4. » Sara: la voce spezzata del silenzio





avatarsupporter
inviato il 06 Dicembre 2024 ore 18:19

Ci sono storie che si infilano nelle pieghe dell'anima, che graffiano e non se ne vanno. La storia di Sara è una di quelle.

Sara è morta sola, nella notte gelida tra il 25 e il 26 novembre . All'aperto, con 8 gradi che le congelavano il respiro. Non c'era nessuno a stringerle la mano, nessuno a riscaldarla con una coperta o con un gesto. Nella giornata delle scarpe rosse, simbolo contro la violenza sulle donne, Sara è morta scalza, su un letto fatto di asfalto e indifferenza.

Era giovane, troppo giovane per essere già dimenticata dal mondo. Il suo corpo, fragile e segnato dalla dipendenza, racconta una guerra silenziosa che troppe persone combattono da sole. Una guerra fatta di solitudine, rifiuto, e quella sensazione schiacciante di non appartenere a nessun luogo, di non essere ascoltati.

Sara non è un numero, anche se la sua vita si aggiunge a quelli che ogni anno fanno rabbrividire. Nel 2023, in Italia, 822 persone sono morte a causa della droga , un aumento del 5,4% rispetto al 2022. Di queste, 312 sono cadute per intossicazione acuta , vittime di sostanze che non perdonano. E mentre noi leggiamo queste righe, mentre pensiamo che forse sia un problema lontano, 8.596 persone sono finite in pronto soccorso per cause legate alla droga , alcune senza mai tornare a casa.

Sara è il volto di chi non ce l'ha fatta. È il grido di chi è rimasto inascoltato. È la realtà di Castel Volturno, di quei luoghi dimenticati dove la droga striscia nei vicoli, si insinua nelle vite e non lascia scampo.

Ci piace credere che queste storie siano eccezioni, ma non lo sono. Ogni grammo di cocaina sequestrato – e nel 2023 sono stati 19.827 chilogrammi , con episodi drammatici come le 5 tonnellate intercettate a Porto Empedocle – rappresenta una vita in bilico, una possibilità che qualcun altro segua il destino di Sara.

Non possiamo continuare a ignorare. Non possiamo chiudere gli occhi. Sara merita di essere ricordata non per come è morta, ma per ciò che la sua storia ci insegna. Merita che ci fermiamo, che ci facciamo domande scomode, che troviamo la forza di guardare nel buio e di accendere una luce.

Se raccontare la sua storia può fare anche solo un minimo di differenza, allora non smetterò di parlarne. Per Sara, e per tutte le vite spezzate che non hanno mai avuto una seconda possibilità.

Link all'episodio:
www.rawfacts.it


avatarsupporter
inviato il 06 Dicembre 2024 ore 21:05

@ Gerry.
Caro, ho capito che per lavoro ed anche per tua sensibilità,
racconti delle belle " Storie " ma, visto il periodo cui ci troviamo e,
tutti i santi giorni siamo bombardati da guerre e storie di femminicidi,
almeno " Tu " , raccontaci qualche bella storia, appunto visto il periodo " Natalizio " e
quindi di " Feste ".
Penso che rallegrarci un pochino ne vada anche della salute mentale di noi tutti poi,
all'anno nuovo ricominciamo.
Buona Domenica.

avatarsupporter
inviato il 06 Dicembre 2024 ore 22:24

@Fonte Edmondo

Capisco... ti ringrazio per il virgolettato... capisco ma proprio a maggior ragione il periodo in cui ci troviamo che certe storie non possono restare sempre inascoltate. Non è facile parlare, scrivere o raccontare determinati racconti, vite al limite, luoghi oramai annientati così come migliaia di anime nel mondo... Purtroppo forse non sono la persona più adatta nello scrivere qualcosa di allegro! Magari, forse troverò qualche spunto ma non assicuro niente...
Buona domenica a te.

avatarsenior
inviato il 06 Dicembre 2024 ore 23:55

Io capisco che queste tragedie ti colpiscano nell'animo.
Ma,diamine,in concreto,tu che fai.?Assisti a questi drammi con la tua fotocamera?
Se raccontare la sua storia può fare anche solo un minimo di differenza

No.Non farà nessuna differenza.Sono storie quotidiane e un pò stancanti nel loro ripetersi.
Sono drammi questi che se non ti toccano da vicino,vuoi perché un tuo familiare ne è preda,o vuoi perché tu stesso ti sei fatto ingoiare dal gorgo,non smuovono più di tanto.Si chiama abitudine e,duole dirlo,anche a questo ci si abitua.
E la tv trasmette una insulsa evanescenza di un dolore che diviene dolorismo.Spettacolo.Audience.
Nulla a che spartire con il farsi carico.
Spiace.Ma è così.
In quanto alla solitudine con le quali si combattono queste battaglie,credimi,il primo passo spetta a loro.
Ne ho avuto diretta esperienza con un familiare.Finché si odiano non si lasciano irretire da nessun invito a curarsi.
Ed anche quando riemergono dal gorgo la loro esistenza resta segnata.Irrimediabilmente.
Merita che ci fermiamo, che ci facciamo domande scomode, che troviamo la forza di guardare nel buio e di accendere una luce.

Non carichiamo sempre la società di ogni colpa.E le domande sono esaurite.Riperitive.
Cosa dovremmo fare per eliminare questo flagello?
Tu cosa faresti?
Ciao.Cool





avatarsenior
inviato il 07 Dicembre 2024 ore 4:20

Bravo Gerardo, fra le poche storie che meritano di essere narrate ci sono quelle che raccontano dei diseredati del mondo, degli esclusi e reietti, la disperazione sopra la quale viviamo e prosperiamo come "tiranni satolli" quando accendiamo lo smartphone o facciamo acquisti online, ma anche quando ci voltiamo dall'altra parte se vediamo un essere umano, un animale, un fragile in difficoltà e ignoriamo il loro grido di dolore. Ascoltiamo cosa canta Roger Waters:

"Sat in the corner watching TV
Deaf to the cries of children in pain
Dead to the world
Just watching the game
Watching endless repeats out of sight, out of mind
Silence, indifference
The ultimate crime".


I problemi sono molteplici e le istanze, le domande tante ma le risposte, specie da parte delle istituzioni, talora poche o nulle in un clima surreale in cui si parla di massimi sistemi ma si abbandonano intere parti della società a loro stesse, in certe aree geografiche ma anche in maniera trasversale perché "È sempre stato così", un gattopardismo piuttosto comune che indica i migranti come persone che non vogliono far nulla e vengono a rubarci il lavoro e delinquere, i tossici come spurgo di una società pulita, opulenta, linda, i malati specie psichiatrici come persone che, tutto sommato se la sono meritata e comunque mors tua vita mea. Non c'è collocazione nel paradiso terrestre del migliore dei mondi possibili per i "diversi", ma attenzione perché secondo un vecchio film dell'orrore che virava presto sul sociale, "Quando non ci sarà più posto all'inferno i morti cammineranno sulla terra".

Complimenti.

P.S.: Alle velate critiche che hai ricevuto nei tuoi post si può forse rispondere con l'Ali Shariati del "Se non potete eliminare l'ingiustizia, almeno raccontatela a tutti"?

avatarsupporter
inviato il 07 Dicembre 2024 ore 9:44

Caro @taralluccievino,

capisco che a volte il cinismo sia un riflesso della frustrazione o dell'impotenza che tutti, in un modo o nell'altro, proviamo di fronte a tragedie che sembrano senza fine. La tua domanda – “Ma diamine, tu che fai?” – è legittima, ma tradisce una mancanza di conoscenza su ciò che significa davvero documentare la realtà, viverla, e trasformarla in qualcosa che possa, anche solo minimamente, fare la differenza.

Negli anni, il mio lavoro non si è limitato a scattare fotografie o a raccontare storie. Attraverso le mie esposizioni e i miei progetti, sono riuscito a raccogliere fondi che hanno cambiato il corso della vita di molte persone: borse di studio per ragazzi che oggi, grazie a quell'istruzione, hanno un futuro, o interventi diretti per sostenere comunità in difficoltà. Non si tratta solo di "raccontare" per il gusto di farlo, ma di dare voce a chi altrimenti resterebbe nel silenzio.

Non voglio sembrare idealista, ma credo profondamente che il primo passo verso il cambiamento sia guardare la realtà con occhi aperti, anche quando fa male. No, una fotografia non cambia il mondo da sola. Ma una fotografia, una storia, una testimonianza possono sensibilizzare, ispirare azioni, spingere qualcuno a fare qualcosa – anche piccola – che può avere un impatto concreto.

Capisco la tua stanchezza verso il ripetersi dei drammi. Ma questa “abitudine” al dolore, che citi, è un nemico insidioso. Quando smettiamo di indignarci, di provare empatia, di farci domande, allora sì, il mondo si ferma, e con esso qualsiasi speranza di cambiamento. Non carico la società di ogni colpa, ma so che le battaglie più difficili si combattono insieme. Nessuno si salva da solo, e spesso chi vive nel buio non ha nemmeno la forza di chiedere aiuto. Ecco perché raccontare è così importante: per accendere una luce, anche se fioca, anche se lontana.

Hai ragione, ognuno nella vita decide cosa vedere. Io ho scelto di guardare il dolore del mondo, di non distogliere lo sguardo, e di raccontarlo. Non è spettacolo, non è audience: è il mio modo di contribuire, di prendere una posizione, di fare la mia parte. Non perché penso che risolverò tutto, ma perché credo che rimanere in silenzio, come molti fanno, equivalga a tradire la nostra umanità.

Alla fine, non c'è una risposta giusta, ma una scelta: quella di vedere e agire, o quella di chiudere gli occhi e restare fermi. Io ho scelto la prima strada, e continuerò a percorrerla, nonostante il cinismo o l'indifferenza che incontro lungo il cammino.

Grazie per il tuo commento, perché anche nel disfattismo c'è uno stimolo a continuare a fare di più.

Un caro saluto.

avatarsupporter
inviato il 07 Dicembre 2024 ore 9:46

@Andrea Festa

Grazie per il tuo commento, così lucido e profondo. La tua riflessione tocca corde che spesso la nostra società cerca di smorzare o, peggio, ignorare. Viviamo immersi in un meccanismo che ci spinge a voltare la testa dall'altra parte, ad anestetizzarci davanti alla sofferenza altrui, quasi fosse il prezzo inevitabile di un benessere costruito sulle macerie di vite invisibili. Eppure, come dici citando Roger Waters , l'indifferenza è il crimine supremo.

Quello che tento di fare con il mio lavoro è proprio combattere quella silenziosa apatia. Raccontare non è solo un atto di testimonianza: è un tentativo di scuotere le coscienze, di mettere in discussione i dogmi che giustificano un sistema in cui chi è fragile viene abbandonato o stigmatizzato. Che siano i migranti, i malati psichiatrici, i "diversi" in ogni forma, il paradigma è sempre lo stesso: marginalizzare per deresponsabilizzarsi, etichettare per non dover comprendere.

Tu hai colto un punto cruciale: non c'è collocazione nel paradiso terrestre per chi non rientra nei canoni del “ migliore dei mondi possibili ”. E qui entra in gioco il mio lavoro. Non posso eliminare l'ingiustizia da solo – nessuno può –, ma posso raccontarla, accenderle un riflettore, spingere le persone a fermarsi, a guardare, a sentire. Come diceva Shariati, se non possiamo cambiare tutto, almeno non restiamo in silenzio.

A chi critica, velatamente o meno, il mio impegno, risponderei con una domanda semplice: “ Cosa scegliete di fare voi? ” Perché il silenzio, l'indifferenza, non sono neutralità. Sono una scelta. Io ho deciso di non restare muto davanti alle tragedie umane, per quanto ripetitive o apparentemente irrisolvibili possano sembrare. Credo che ogni storia conti, che ogni voce meriti di essere ascoltata.

Non si tratta di eroismo, ma di una consapevolezza che nasce dal guardare negli occhi chi soffre, dal vivere le loro realtà, e dall'essere toccato nel profondo. Raccontare non cambierà il mondo, forse, ma può fare breccia in una persona, e da lì partire un'onda.

Grazie ancora per il tuo contributo, così prezioso. Continuiamo a raccontare, a discutere, a resistere all'indifferenza. Solo così possiamo sperare di fare la differenza.

Un caro saluto,
Gerardo

avatarsupporter
inviato il 07 Dicembre 2024 ore 14:17

Gerry "fa" qualcosa : denuncia che , forse , è più di quanto facciamo noi , io di sicuro .
Nella fattispecie , pur comprendendo lo strazio di chi vive certi drammi , forse più i familiari che i diretti interessati , ho un atteggiamento abbastanza draconiano al riguardo e , lo ammetto , non riesco ad empatizzare con chi perde il rispetto e la cura di sé stesso cedendo ad una dipendenza, di qualsiasi tipo , non riesco a trovarne o a comprenderne la ragione .
Anche perché in molti casi , questo non si riduce a far male a sé stessi ma può portare a danneggiare il prossimo per procurarsi i mezzi per "finanziare" questa dipendenza .
Poi , le scuse , le giustificazioni possono essere le più svariate ma anch'io reputo fuori luogo incolpare genericamente "la società " : la "società " a parer mio ha la sola colpa di essere divenuta troppo permissiva e
i p o c ritamente buonista .

avatarsupporter
inviato il 07 Dicembre 2024 ore 14:28

@L'Olandese Volante

Grazie per aver condiviso la tua opinione, che apprezzo per la sua franchezza, anche se mi sento di offrire un punto di vista differente. Capisco il tuo atteggiamento draconiano e il disagio che provi di fronte a chi cade in una dipendenza e, in alcuni casi, danneggia il prossimo. È una posizione comprensibile, ma forse un po' troppo rigida per cogliere la complessità di ciò che sta dietro queste situazioni.

La dipendenza, in qualsiasi forma, non è mai una scelta consapevole o lucida. È il risultato di un crollo, di un vuoto che la persona non riesce a colmare, che spesso affonda le sue radici in traumi, solitudine, mancanza di supporto, o anche solo nell'incapacità di reggere il peso di una realtà troppo dura. Non tutti hanno gli stessi strumenti per affrontare la vita, e a volte chi cade in queste spirali è semplicemente una persona che non ha trovato un'altra via per sopravvivere.

Non sto dicendo che le azioni che ne derivano siano giustificabili – fare del male agli altri non lo è mai. Ma credo che per capire davvero queste situazioni, per affrontarle e magari prevenirle, sia necessario andare oltre la superficie e guardare alla persona nella sua interezza. Dietro ogni dipendenza c'è una storia, e ogni storia merita di essere ascoltata, non per giustificare, ma per comprendere e, dove possibile, intervenire.

Incolpare la società in modo generico non risolve nulla, sono d'accordo. Ma ignorare il ruolo che il contesto ha nella formazione di queste situazioni significa semplificare un problema complesso. La “società permissiva” di cui parli non è la causa delle dipendenze, ma forse il sintomo di un malessere più profondo, un'incapacità collettiva di offrire alternative valide o di costruire reti di supporto reali.

Il mio lavoro non si limita alla denuncia fine a sé stessa. Raccontare queste storie serve proprio a rompere il muro dell'indifferenza, a mettere in discussione i pregiudizi, e a ricordare che dietro ogni “tossico,” “reietto” o “fallito” c'è una persona, con il suo dolore, le sue colpe, ma anche il suo potenziale. Non è buonismo, né ipocrisia. È un invito a guardare oltre e a cercare soluzioni che vadano alla radice del problema.

Capisco che empatizzare possa essere difficile, soprattutto quando si è stati danneggiati direttamente o indirettamente da queste situazioni. Ma forse la chiave è proprio questa: non smettere di provare a comprendere, anche quando sembra impossibile.

Grazie ancora per il tuo commento, che arricchisce questa discussione e ci spinge a riflettere su un tema tanto complesso quanto urgente.

Un caro saluto,
Gerardo

avatarsenior
inviato il 07 Dicembre 2024 ore 18:40

[QUOTEGerry "fa" qualcosa : denuncia che , forse , è più di quanto facciamo noi , io di sicuro . ]
Quando chiedo a Gerry cosa fa era solo una semplice domanda.Non intendo mettere in discussione o fare le pulci al suo impegno.
Io continuo con piccole donazioni destinate a chi sul campo aiuta.Ho la coscienza in pace?

Assolutamente no.

La dipendenza, in qualsiasi forma, non è mai una scelta consapevole o lucida. È il risultato di un crollo,

Spiegazione palesemente riduttiva.Non sempre si crolla.Il crollo ne è il divenire ultimo.Direi che è un veleno che lentamente si insinua.
Gli alcolizzati,molti di di loro,lo divengono senza accorgersene.Questa supposta costrizione scatenante che individua in
traumi o sofferenze,lascia il tempo che trova.E' una sempliciotta descrizione di una perdita di sé che ha origini non sempre individuabili e circostanziate.
È un invito a guardare oltre e a cercare soluzioni che vadano alla radice del problema.

Non si danno soluzioni.Ogni vittima è una storia a sé.E non è pensabile ridurre il dramma evidenziatosi per un eccesso ad una somma di cadute,ove trasuda un minimo comune denominatore.Anni '80.Ho impresso nella memoria i vólti di chie si è perso.Giovani ed entusiasti.Ed arroganti.Come arroganti si è tutti in gioventù.
Cosa li ha persi?
La presunzione?La società?I modelli perniciosi?L'incoscienza?
Francamente non lo so.
Tuttavia sono portato a pensare che vi sia un'ineluttabilità che astringe la vita di tanti, e possiamo solo strappare qualcuno di questi dal gorgo che li ha avvinti.Ma è,e resterà,una fatica di Sisifo.
Ovviamente lodevole.
perché anche nel disfattismo c'è uno stimolo a continuare a fare di più.

No.Realismo.
Nella mia vita è sempre prevalso la logica del et-et.
L'aut-aut è una tirannia che ha prodotto solo catastrofi.
Un'ultima considerazione:
non rivela la tua analisi un particolare significante:
quelli che sembrano assistere impassibili,hanno una loro vita che non sempre li dispensa da preoccupazioni e permette di dedicarsi al prossimo.
Ciao







avatarsupporter
inviato il 07 Dicembre 2024 ore 18:48

Sono io che ringrazio te per la tua risposta garbata ed esaustiva che ho letto con attenzione .
Non posso che ribadire il mio apprezzamento per il tuo lavoro , comunque utile per portare a maggior conoscenza simili drammi .

avatarsupporter
inviato il 07 Dicembre 2024 ore 20:14

@Taralluccievino
Apprezzo il tuo intervento perché mette in luce la complessità del tema, ma lascia spazio a ulteriori riflessioni. La dipendenza non è mai una questione lineare, e ridurla a un'unica causa - sia essa un trauma, un modello sociale o una presunta ineluttabilità - significa inevitabilmente trascurare la molteplicità di fattori che interagiscono nel determinare questo percorso. Hai ragione nel dire che non sempre c'è un crollo visibile: spesso, è un veleno silenzioso, un abbandono progressivo e subdolo a qualcosa che, inizialmente, sembra inoffensivo o persino allettante.

Questa gradualità, però, non elimina il fatto che dietro ogni dipendenza ci sia una vulnerabilità, magari non dichiarata, spesso inconscia. Dire che la dipendenza è “ ineluttabile ” rischia di toglierci la possibilità di comprenderla meglio e, di conseguenza, di intervenire. Non è questione di ridurre tutto a una formula semplice o di attribuire un'etichetta definitiva, ma di riconoscere che ogni storia è unica, come giustamente sottolinei, e che la complessità non deve mai scoraggiare chi cerca di aiutare.

La " fatica di Sisifo " che descrivi è reale, ed è una lotta che può sembrare senza fine. Tuttavia, credo che non sia necessariamente destinata all'inutilità. Ogni vita salvata, ogni persona strappata dal vortice della dipendenza, è una vittoria, anche se temporanea, anche se non definitiva. La logica dell'et-et, come giustamente dici, dovrebbe prevalere: possiamo accettare che non sempre riusciremo a " risolvere " il problema in modo totale e definitivo, ma possiamo anche scegliere di continuare a combattere, perché ogni passo avanti conta.

Quanto agli " spettatori impassibili " che citi, non credo siano realmente tali. Anche chi sembra indifferente spesso è sopraffatto dalle proprie difficoltà, dal proprio dolore. Forse è una forma di difesa, forse è incapacità di agire. Ma questo ci porta a un punto fondamentale: il cambiamento deve essere collettivo. Non possiamo chiedere a pochi di portare il peso di una battaglia che riguarda tutti. Serve una responsabilità condivisa , una comprensione più profonda delle dinamiche che portano alla dipendenza, non solo come individui ma come società.

E forse il vero “ realismo ” non sta nel rassegnarsi alla fatica di Sisifo, ma nel trovare valore nella lotta stessa. Non c'è arroganza in chi cerca di combattere la dipendenza, ma un senso di dignità e umanità che, per quanto difficile, merita di essere preservato. Perché alla fine, ciò che ci definisce come esseri umani non è il risultato finale, ma la volontà di continuare, nonostante tutto.

Ciao.

avatarsupporter
inviato il 07 Dicembre 2024 ore 20:15

@L'Olandese Volante

Grazie a te!

Saluti
Gerardo

avatarsenior
inviato il 07 Dicembre 2024 ore 21:39

dietro ogni dipendenza ci sia una vulnerabilità

Lo siamo tutti vulnerabili.
Sfugge,o perlomeno è assente nella tue considerazioni le responsabilità del"condannato".
Non condivido questa linearità,questa latente assoluzione di ogni comportamento.
La tua analisi lascia affiorare una dissoluzione della responsabilità personale nella responsabilità collettiva.
No.Non ci sto.
Non tutti sono poveri cristi costretti in una condizione di dipendenza perché la vita li ha perseguitati.
Questo non comporta un'abbandono ed un disinteresse della loro condizione.

Faber est suae quisque fortunae.Con le dovute eccezioni.Che sono facilmente rilevabili nei dannati della terra.
non sta nel rassegnarsi alla fatica di Sisifo

Sisifo non è un rassegnato.Forse che si rassegna alla sua condizione?
Latente nel suo dramma e nelle sue fatiche fà capolineo un accenno di speranza.
il cambiamento deve essere collettivo

Riaffiora qui la solita retorica fine a se stessa.
Il modello quale sarebbe?E chi lo impone?
Mai sentito parlare di homeless?Tu pensi che sia possibile un cangiamento nelle politiche assistenziali?
Tu pensi sia possibile azzerare la consumazione di droghe ed alcool dal pianeta?
E con quali mezzi?
Ripeto,et-et.Non aut-aut.Questo intendo per realismo.Non smettere di aiutare chi è nel bisogno,evitando propositi folli ed utopie dannose ed inconcludenti.Qui sta il mito di Sisifo.Nel non arrendersi alla condizione parsa indefettibile.E ricominciare.Non per cambiare il mondo.Per non aspettarsi che siano altri a farlo.
Non c'è arroganza in chi cerca di combattere la dipendenza,

Arroganza?Io non ne ho fatto cenno.
Quanto agli " spettatori impassibili " che citi, non credo siano realmente tali.

Lo sono.Tutti?Ovviamente no.Ed avranno le loro ragioni che non sta né a me né ad altri sindacare e stigmatizzare.
Né si può costringere altri alla bontà ed all'altruismo.Sarebbe una forma di violenza.
Ed il nostro sistema già si fa carico di recuperare tanti dalle dipendenze.Anche di emeriti fannulloni che hanno sperperato e gozzovigliato per tutta la loro esistenza,facendosi beffe di ogni minimo senso di responsabilità sociale.Parlo per conoscenza diretta.Sono volontario ed a volte mi chiedo:se lo merita?
Ne conosco il comportamento sprezzante e l'arroganza che ne ha contraddistinto la vita passata.Dimmi tu,uno prende la pensione di invalidità ed il giorno seguente già ha sperperato tutto nel gioco.Invalidità presunta.E via ad elesimonare al parroco ed a farsi assistere da comune.Che si fa?Si aiuta anche questi?Si,rispondo.E' un obbligo.Per me si.Sono cattolico.E da cattolico rifuggo le soluzioni sempliciotte ed un pò ingenue.

I poveri li avrete sempre con voi.



Siamo capaci di slanci di bontà e di altruismo ma,accidenti,questa è la nostra condizione.Dare,a volte,il meglio di noi stessi nelle cose peggiori.
E da questa schiavitù non ci libereremo mai.
Ciao







avatarsupporter
inviato il 07 Dicembre 2024 ore 22:14

@Taralluccievino
Apprezzo il tono diretto e le riflessioni che emergono dalla tua risposta. Si avverte un coinvolgimento profondo, frutto dell'esperienza diretta e di una visione disillusa, ma non priva di passione. Provo quindi a rispondere con la stessa attenzione e con rispetto per la complessità dei temi che sollevi.

Parto da un punto fondamentale: la responsabilità personale. Concordo con te che non tutti sono “poveri cristi” perseguitati dalle circostanze. Esistono situazioni in cui la dipendenza nasce dall'arroganza, dall'incoscienza, o persino da una scelta deliberata, anche se discutibile. Ma questa constatazione non può essere separata dal riconoscimento che il libero arbitrio di cui parliamo è spesso condizionato, talvolta in modi che nemmeno l'individuo coinvolto riesce a comprendere appieno. Non si tratta di dissolvere la responsabilità individuale nella collettività, ma di riconoscere che nessuno esiste in un vuoto. Ogni scelta – anche la più personale – si sviluppa in un contesto fatto di influenze sociali, modelli culturali e opportunità (o mancanza di esse).

Faber est suae quisque fortunae. ” ( Ognuno è artefice della propria fortuna ) - È vero, ma non tutti partono dallo stesso punto di partenza né con gli stessi strumenti. Le “ dovute eccezioni ” che citi includono chi nasce in condizioni disperate, chi cresce in famiglie disfunzionali, o chi vive in contesti dove le opportunità sono minime e la tentazione di trovare rifugio in una dipendenza è enorme. Tuttavia, è altrettanto vero che esistono coloro che, pur avendo avuto ogni possibilità, si sono persi per scelta o per disinteresse. E qui emerge il punto cruciale: la responsabilità personale non deve mai essere cancellata, ma neppure può essere giudicata con superficialità. Aiutare non significa assolvere; significa, semmai, creare le condizioni per il recupero.

Sisifo e la speranza. Mi piace molto la tua interpretazione del mito. Sisifo non è un rassegnato, ma un simbolo di perseveranza. La fatica di spingere il masso è, come dici, accompagnata da un barlume di speranza: il senso di fare ciò che è giusto nonostante tutto. Tuttavia, non credo che Sisifo incarni solo l'individualità. La sua lotta, se vista in una prospettiva collettiva, ci insegna che, anche se non possiamo eliminare tutti i problemi del mondo, possiamo continuare a combatterli. Non si tratta di “ retorica fine a se stessa ,” ma di un invito a riconoscere che i problemi sistemici richiedono approcci sistemici, pur restando ancorati al realismo che sottolinei.

Quanto al modello assistenziale, hai ragione: non esiste una soluzione definitiva. Non possiamo azzerare del tutto la dipendenza da droghe o alcol, né sradicare completamente la povertà. Ma possiamo – e dobbiamo – cercare di mitigare i danni e offrire supporto a chi è disposto a riceverlo. Il tuo esempio degli " emeriti fannulloni " che approfittano del sistema non è un caso isolato, ed è comprensibile che susciti frustrazione, specialmente per chi, come te, è coinvolto nel volontariato e si scontra con questa realtà ogni giorno. Tuttavia, il fatto che aiutare sia un obbligo – morale, umano o religioso – non significa che dobbiamo accettare tutto passivamente. Il sistema va migliorato, non azzerato. E questo miglioramento parte proprio da una valutazione critica come la tua.

Gli spettatori impassibili. È vero, molti restano indifferenti, e spesso per ragioni che non abbiamo il diritto di giudicare. Ma qui c'è una sfumatura importante: riconoscere questa indifferenza non deve portarci a giustificarla o accettarla come inevitabile. Anche se non possiamo costringere nessuno a essere altruista, possiamo creare una società in cui il valore dell'aiuto reciproco sia più forte delle ragioni che spingono a restare spettatori. Questo non significa violenza o imposizione, ma educazione e sensibilizzazione . Non cambieremo tutti, ma possiamo ispirare alcuni, e talvolta è sufficiente.

Infine, una riflessione sulla condizione umana. Hai ragione: siamo schiavi delle nostre debolezze e delle nostre contraddizioni. Siamo capaci di gesti incredibili, tanto nel bene quanto nel male. Ma credo che la nostra forza stia proprio qui: nel continuare a scegliere, ogni giorno, di fare il meglio che possiamo, anche se sappiamo che non sarà mai abbastanza. Questo non è utopia, né ingenuità. È la realtà di chi si rifiuta di accettare il cinismo come unica lente attraverso cui guardare il mondo.

In buona sostanza, non ho risposte definitive , perché non esistono. Ma credo che ogni gesto di aiuto, anche quando rivolto a chi non sembra meritarlo, sia un modo per riaffermare la nostra umanità e ricordare che, nel caos e nelle contraddizioni, possiamo ancora trovare un senso.

Ciao

Che cosa ne pensi di questo argomento?


Vuoi dire la tua? Per partecipare alla discussione iscriviti a JuzaPhoto, è semplice e gratuito!

Non solo: iscrivendoti potrai creare una tua pagina personale, pubblicare foto, ricevere commenti e sfruttare tutte le funzionalità di JuzaPhoto. Con oltre 251000 iscritti, c'è spazio per tutti, dal principiante al professionista.






Metti la tua pubblicità su JuzaPhoto (info)


 ^

JuzaPhoto contiene link affiliati Amazon ed Ebay e riceve una commissione in caso di acquisto attraverso link affiliati.

Versione per smartphone - juza.ea@gmail.com - Termini di utilizzo e Privacy - Preferenze Cookie - P. IVA 01501900334 - REA 167997- PEC juzaphoto@pec.it

www.juzaphoto.com - www.autoelettrica101.it

Possa la Bellezza Essere Ovunque Attorno a Me