Divagazioni di uno zainista
Divagazioni di uno zainista, testo e foto by
Juza. Pubblicato il 21 Giugno 2024; 32 risposte, 69711 visite.
Quando ero bambino, mi capitò tra le mani un vecchio libro, appartenuto a mio padre, che si intitolava "Divagazioni di un naturalista", di Enrico Tortonese. L'autore aveva raccolto una serie di brevi racconti dei suoi viaggi in giro per il mondo, perlopiù osservandone gli aspetti naturalistici. Da qui ho preso spunto per il titolo del mio racconto: non si tratta di un unico viaggio, ma di appunti scritti nell'arco di vari anni in giro per l'Europa, con lo zaino in spalla, pochi soldi e un biglietto interrail in tasca, quasi sempre in solitaria. Dato l'ampio arco temporale racchiuso in queste pagine, gli episodi sono molto variegati: alcuni sono riflessioni prettamente introspettive; altri descrizioni o brevi racconti di viaggio.
Ho voluto includere tanto foto artistiche che foto ricordo, senza alcuna pretesa: queste sono frammenti di ricordi che ogni tanto andranno a materializzare le immagini dei racconti.

Slovacchia. Lo spirito di Lenin
Ottobre 2019. Ero di passaggio in una piccola stazione in Slovacchia ed entrai in un minuscolo bar-minimarket dall'aspetto trasandato. Stando all'unico cartello sull'uscio che riuscivo a comprendere, lì si vendevano hot dog al proletario prezzo di 70 cent. Il locale era composto da tre minuscoli tavolini, un bancone da cui l'anziana proprietaria mi osservava con sguardo severo, e un numero imprecisato di piccoli scaffali strapieni di mercanzia, perlopiù alimentari, bibite, oggettini misti venduti a pochi euro.
I muri, per qualche oscuro motivo dipinti di verde, erano tappezzati di vecchie foto incorniciate. Riconobbi Lenin, l'unico dietro al bancone assieme alla signora (ma quasi nascosto tra le mercanzie); Stalin, Marx. Gli altri erano a me sconosciuti, così mi studiai le didascalie: Antonín Novotný, segretario del Partito Comunista di Cecoslovacchia dal 1952 e presidente della Cecoslovacchia dal 1957 al 1968; Ludvik Svoboda, Klement Gottwald, e tanti altri. Intere generazioni del partito comunista erano lì a osservare i rari avventori del locale.

Passato e presente di una nazione: il ritratto di Stalin di fianco allo scaffale della Coca Cola. Un po' come alcuni palazzoni in sovietico cemento che avevo osservato a Bratislava, ora coperti da cartelloni alti trenta metri che invitavano a comprare l'ultimo smartphone Huawei: l'impressione è quella di un paese che si è lasciato alle spalle il comunismo, per tuffarsi nel capitalismo più sfrenato. "Ama il consumo come te stesso", il nuovo credo della società moderna; non che mi faccia impazzire.
Misi di nuovo lo zaino in spalla, salutai in inglese (ma anche se avessi parlato in italiano non sarebbe cambiato nulla) e mi avviai mentre in lontananza sentivo arrivare il mio treno.

Da Budapest alla Romania
Mi svegliai prima del sorgere del sole per attraversare una Budapest ancora addormentata. Percorsi a passo veloce le strade deserte e raggiunsi la stazione di Keleti quando i primi bagliori dell'alba ne illuminavano il tetto; avevo un treno alle 6:20 del mattino che mi avrebbe portato da Budapest a Cluj Napoca, in Romania. Trattandosi di una lunga percorrenza (oltre nove ore) su una tratta internazionale mi aspettavo un treno di grandi dimensioni e relativamente moderno; con mia grande sorpresa mi trovai di fronte a un mezzo composto da soli tre vagoni, uno di quei vecchissimi treni che ancora circolano sulle ferrovie dell'Est, totalmente privo di qualsiasi tipo di presa elettrica. Mi attendeva un lungo viaggio tra città e campagne, senza la possibilità di caricare computer e cellulare: così, trovandomi privo delle moderne tecnologie, presi carta e penna per scrivere il racconto del viaggio, alternando ore di scrittura a momenti in cui la vista si perdeva nel guardare l'interminabile paesaggio dal finestrino.

Il villaggio su palafitte di Bokodi, uno degli affascinanti posti semi-sconosciuti che avevo visitato durante la permanenza in Ungheria.
Svegliandomi presto, avevo anche saltato la colazione, con l'idea di trovare qualcosa da mangiare su treno che mi immaginavo enorme: inutile dire che anch'io rimasi a digiuno, così come il computer. Fu già tanto trovare un posto: molti erano prenotati, pur non avendo nessun cartellino o indicazioni. Mi dovetti alzare un paio di volte per far spazio ad altri viaggiatori carichi di bagagli, e alla fine trovai un posto libero, perlomeno apparentemente libero, vicino a un finestrino. Anche questi imprevisti fanno parte del viaggiare in interrail, e tutto sommato contribuiscono al fascino di questo stile di viaggio totalmente libero, ogni giorno in un posto diverso, salendo e scendendo da qualsiasi treno senza un programma, decidendo dove andare di giorno in giorno.
Sferragliante partì il treno, carico di una variegata umanità. Man mano che ci allontanavamo da Budapest, attraversavamo città sempre più piccole, talvolta paesini di poche case con la loro minuscola stazione. Stazioni dai muri ingialliti, coperti di muffa e ragnatele, col tetto arrugginito e il pavimento di un cemento screpolato, dove l'erba si riprendeva i suoi spazi. Eppure, queste sono alcune delle visioni che mi piacciono di più dell'Est; in questo romantico abbandono ci sono una miriade di storie, i muri antichi sembrano parlare, mentre le moderne stazioni Europee, efficienti e tirate a lucido, sono solo strumenti vuoti, luoghi di passaggio senza storia. Nell'Est, ogni muro screpolato è un'immagine del passato in cui ancora adesso posso immergermi.

Ricordo una finestra in una di queste stazioni, forse la casa del custode o un alloggio per chi lavorava lì. C'erano tanti vasi di fiori, ben curati: chi li aveva messi lì, che storie si celavano tra quei muri? E i fiori erano il manifestarsi di un'anima gioiosa, o la consolazione di uno spirito stanco? Mi son perso mille volte a fantasticare guardando gli scorci di vita intravisti dalle finestre; ciascuna racchiude infinite storie di vite, persone, scelte.
Il treno arrivò alla frontiera con la Romania, pressappoco verso mezzogiorno. Due paeselli sul confine, uno da un lato e uno dall'altro, che ci avrebbero richiesto quasi due ore per essere attraversati. In entrambe le stazioni, il treno restò fermo per un tempo interminabile, mentre la polizia di frontiera controllava i documenti di tutti i passeggeri. Ne sarebbe seguito un altro, interminabile lento trasferimento fino a giungere al cuore della Romania, una decadente stazione dopo l'altra.

Via da Amsterdam
Passai qualche ora a Francoforte, trovandola piuttosto brutta - palazzoni, cemento e ancora cemento. La zona della stazione era appestata di tipi loschi; un po' meglio il lungo fiume, ben curato, ma nel complesso questo breve assaggio della città non mi fece venir voglia di approfondire la visita, così nel tardo pomeriggio presi il treno per Amsterdam.
Arrivai a tarda sera ad Amsterdam, in una giornata di cielo coperto e con una leggera pioggia. In una decina di minuti raggiungi l'ostello dove avrei soggiornato, dormendo in un'enorme camerata comune da 20 posti, in pieno centro città, nel bel mezzo della vita notturna e del caos della zona a luci rosse e dei coffee shop dove si vende non caffé, ma marijuana. Amsterdam mi piace, e sapevo bene cosa vi avrei trovato; non ero andato lì per cercare pace e quiete. Tuttavia, quando ripartii la lasciai senza troppi rimpianti; posso sopportare il caos a piccole dosi, ma finisco sempre per desiderare l'aria aperta della natura, lontano dai muri delle città.

Lasciai Amsterdam all'alba, a piedi. Non avevo un programma: volevo semplicemente camminare finchè le gambe avrebbero retto. È una cosa che ho sempre sognato di fare, mettermi in cammino e andare... camminare non per fare una passeggiata sotto casa o un giro in montagna, ma camminare per viaggiare, per centinaia di chilometri, attraversando città e campagne.
Attraversai il centro della città: bei canaletti spesso separavano i quartieri; Amsterdam è quasi paragonabile alla nostra Venezia per come l'acqua faccia da padrona ovunque nella città. Man mano che procedevo, i negozi, le librerie e le mille attività del centro lasciavano posto ai quartieri residenziali, più ariosi e ricchi di verde. Infine anche questi si trasformarono in pura periferia, cantieri e fabbriche.

Abbandonata definitivamente la città, mi trovai in aperta campagna, camminando su una delle infinite piste ciclabili dei Paesi Bassi. L'olanda è il paese delle biciclette. Se da noi muoversi in bici in città significa sfidare la morte tra traffico, smog, buche e rarissime piste ciclabili, in Olanda è il contrario: i ciclisti sono i veri padroni delle strade, e le auto sembrano quasi ospiti secondari. Le piste ciclabili sono estese e onnipresenti e la quantità di bici in giro è qualcosa di impressionante.
A completare l'immagine "green" di questo bel paese, le città sono ricche di aiuole e aree verdi, e abbondano le auto elettriche - ho visto così tante Tesla solo in Norvegia. Ma la bicicletta rimane il mezzo di trasporto che regna incontrastato... giustamente, direi: se bisogna fare pochi chilometri, muoversi in bici è il modo più semplice, salutare, economico e ecologico, a patto di poterlo fare in sicurezza come qui in Olanda. In molte città olandesi sono fioriti servizi che noleggiano bici a prezzi irrisori (15 euro/mese), ideali per chi è qui in trasferta per qualche tempo; uno di questi è Swapfiets, le cui bici si riconoscono per l'iconica ruota anteriore azzurra.
In tarda mattinata avevo percorso circa 20 chilometri tra campi meravigliosi; in settembre l'Olanda è uno splendore di smeraldo, quanto verde! Mi fermai per una piccola pausa e per cercare una sistemazione per la notte; trovai il "Puur Lage Vuursche", albergo posto in mezzo a una bella zona di verde, a circa altri 20 chilometri di distanza. Vi arrivai alle sei di sera, dopo aver attraversato innumerevoli, e incantevoli, paesini, praterie e boschi.
Avevo percorso oltre 40 chilometri in un giorno - non ero abituato a tali camminate, e avevo le gambe totalmente a pezzi. La sera mi feci coraggio e affrontai un'altra passeggiata, ma stavolta di poche centinaia di metri, per raggiungere il vicino paesino sulla Vuurse Steg e sedermi finalmente al tavolo di un piccolo ristorante. Ricordo che presi un posto vicino al caminetto e che quello che mangiai mi parve buonissimo - avevo digiunato tutto il giorno, e già trovare un posto dove mangiare, lì sperduto nelle campagne, era stato un dono; ero incredibilmente stanco, stremato, eppur felice di essere lì a quel tavolo, da qualche parte perso in Olanda.
Sedlec, Repubblica Ceca
Potremmo dire che a Praga c'era troppa vita per i miei gusti, così sono andato in un cimitero. Praga è una delle mie città preferite - bella e pittoresca - e sono arrivato in una fresca sera d'ottobre, ma il sabato sera la folla che invade le strade la rende esageratamente caotica. Il treno è arrivato in ritardo, così ho attraversato mezza città di corsa per arrivare al punto che volevo fotografare al tramonto, ho sgomitato con i turisti per salire alla zona panoramica, e una volta arrivato sù il tramonto ci aveva ormai salutato.

...ma ho comunque portato a casa qualche foto interessante.
Mi mescolo nuovamente al flusso di gente per arrivare al mio ostello, in pieno centro ma costruito in un edificio vecchio. "Dormo" in una camerata comune da 12 persone, stretta e senza finestre. Dormo tra virgolette perchè il sabato sera con dodici compagni di stanza non c'è modo di avere pace, c'è gente che entra ed esce di continuo fino alle quattro di notte, con tanto di personaggio che torna dopo una serata alcolica, non riesce ad aprire la porta e armeggia per dieci minuti tentando di infilare la chiave nella serratura.
Mi alzo alle sei, passeggio un po' nella città ormai deserta, e un'ora dopo prendo il treno per andare a Kutna Hora, un paesino disperso nella campagna. La meta è la chiesa, o ossario, di Sedlec. Un posto che mi ha colpito così tanto da meritare la sua parte in questa storia.

La fama del cimitero risale a oltre otto secoli fa, quando l'abate di Sedlec, di ritorno dalla Terrasanta, sparse nel cimitero un pugno di terra raccolta sul Golgota. La voce di questo gesto si diffuse in tutta l'Europa centrale, e negli anni migliaia e migliaia di persone chiesero di essere seppellite lì. Ora a Sedlec ci sono le ossa di oltre 40000 persone, alcune ammucchiate, altre disposte "artisticamente" nel diciottesimo secolo da Frantisek Rint, a cui la famiglia Schwarzenberg diede il compito di mettere ordine nell'ossario.
Alcune di queste macabre sculture formano un grande lampadario, altre dei candelieri, altre ancora stemmi, angeli, forme intricate. Una che mi ha colpito particolarmente raffigura un corvo - ovviamente fatto anche lui di ossa - che becca l'occhio di un soldato. Questo è il regno dei morti e l'atmosfera è strana e inquietante.

Perchè visitare un posto del genere, vi chiederete. Per me, Sedlec è un promemoria sulla fugacità della vita. Ossa ovunque. Teschi. Li puoi guardare negli occhi, fissare le loro orbite vuote e chiedergli cosa hanno fatto quando erano vivi, quali sono state le loro speranze, le loro esperienze, quante persone hanno amato. Eppure, comunque sia andata, ora sono solo bianche ossa. Non è rimasto più niente di loro, non avranno una seconda possibilità, nè potranno tornare indietro a rivivere quei momenti.
Quello che vorrei dire al teschio che mi guarda, povero resto ridotto a decorazione, è questo: compagno di viaggio, io ho adesso quello che tu non hai più, la vita. La più grande cosa che mi puoi insegnare, tu che stai lì muto e morto stecchito, è di non sprecarla. La vita è breve, è fugace, non sprechiamone neppure un secondo.

Polonia. L'enorme e asettica stanza di un motel
Questa sera mi sono fermato in un posto d'una bruttezza che definirei quasi surreale e, non fraintendete, non rimpiango di essere qui: lo scopo dei miei viaggi è vedere il più possibile il mondo, comprese le creazioni dell'uomo, dallo splendore dell'arte e delle opere architettoniche alla desolazione delle zone industriali, deserti di disarmonia e cemento.
Sono in Polonia, vicino al confine tedesco, e ho trovato un enorme motel lungo l'autostrada - una struttura titanica, pensata per i camionisti che si fermano qui a dormire nelle lunghe tratte internazionali.
All'ingresso, al piano terra, un minimarket aperto 24 ore su 24 (e, devo dire, ben fornito) funge anche da reception. Mi rivolgo alla cassiera, che non parla una parola d'inglese: così lei mi spiega in polacco, io non capisco niente e le rispondo allegramente in inglese, e in questa incomprensione reciproca andiamo d'accordo. Per 70 zloty (15 euro) ho le chiavi della stanza, e dopo aver capito vagamente la direzione, mi sono avviato alla ricerca. Gli alloggi sono al primo piano: salgo le scale buie e mi trovo in un lunghissimo, smisuratamente largo corridoio bianco, dove si susseguono decine di porte uguali. Cammino, dò un'occhiata ai bagni (in comune) e infine arrivo alla 222.
La mia stanza - una singola, o doppia all'occasione - potrebbe ospitare dieci persone, e a stupire non è solo l'ampiezza ma anche, e soprattutto, l'altezza: le pareti beige sono alte quattro metri. Un posto fuori misura, bizzarro, artificiale, così come il mobilio, tutto di plastica bianca e compensato, salvo una minuscola piantina posta di fronte al termosifone - verde, ma anch'essa di plastica. Mi fa pensare a un incrocio tra una struttura ospedaliera e le camere di tortura immaginate da Orwell in "1984".
Le enormi pareti sono del tutto spoglie, salvo l'immancabile televisore e un piccolo cartello che avvisa di non fumare e rispettare il silenzio dalle 22 alle 6. Il silenzio è totale, incrinato solo dal ronzio di una stufetta elettrica dimenticata in un angolo, sul pavimento coperto di moquette grigia. Due grandi neon rischiarano l'ambiente, completando l'immagine di questo posto artificiale, una desolata e asettica isola fuori dal mondo.

Krzywy Las
Nel nord ovest della Polonia, vicino al fiume Odra, c'è una foresta che ha attratto la mia curiosità. Nel bel mezzo di una normale pineta, c'è una zona dove tutti gli alberi hanno una stranissima forma incurvata, ad arco. E' un posto poco conosciuto e il suo fascino è dovuto anche al mistero sull'origine di questa peculiare forma. Gli alberi risalgono a circa il 1930; si è pensato che siano stati incurvati artificialmente per avere legname già sagomato per la costruzione di barche... ma chi avesse avuto questa idea sapeva che non ne avrebbe raccolto i frutti, dato che gli alberi hanno impiegato oltre 70 anni per raggiungere le dimensioni attuali.
E' improbabile anche l'ipotesi che gli alberi si siano incurvati naturalmente per direzionarsi verso la luce, dato che la "curvatura" non è graduale come avviene per fenomeni naturali, ma ha una forma geometrica, a oltre 90 gradi, per poi proseguire nella direzione opposta con un arco più ampio... senza contare che non c'è un ambiente che possa creare forti differenze nella direzione della luce, e gli alberi circostanti sono del tutto normali. Si è pensato anche a forti nevicate o al passaggio di carri armati che potrebbero aver schiacciato a terra i tronchi ancora giovani, cambiandone per sempre la forma, ma anche questa ipotesi lascia molti dubbi.
Infine, è possibile che gli alberi siano stati tagliati lasciando solo un singolo ramo vicino alla base, che poi col tempo ha assunto la funzione di tronco principale. Ma nessuno saprà mai con certezza la vera storia di questo posto.

Bucharest, Costanza e Buzau
Amo la Romania, ma non Bucharest. La prima volta che arrivai in questa città, mi colpì per la bruttura e il grigiore dei suoi palazzoni. Avevo prenotato due notti in un ostello del centro, ma dopo poche ore decisi di disdire e andare da qualche altra parte, ma dove? Guardando la mappa, l'occhio mi cadde su Costanza, una città sulla costa del Mar Nero: non avevo idea di come potesse essere, ma mal che vada avrei fatto un po' di passeggiate sulla spiaggia.
Dopo solo mezza giornata a Bucharest, presi il treno per proseguire ancora a Est. Costanza fu una piacevole sorpresa. Decisamente più piccola, gradevole e vivibile; c'era un bel lungomare su cui passeggiare e un pittoresco casinò abbandonato sulla costa, al quale dedicai alcune foto all'alba. L'ostello in cui alloggiavo era sostanzialmente una casa privata che aveva adibito una stanza a dormitorio, montando tre letti a castello. Tra i miei compagni di stanza, c'era un ingegnere rumeno che assomigliava incredibilmente al Jean Reno degli anni 90, e parlava un po' di inglese: mi raccontò di essere a Costanza per lavoro, ma avendo un budget ridotto aveva scelto l'ostello come sistemazione. Si appassionò ai miei racconti di viaggio e, non ricordandosi il mio nome, mi ribattezzò "the globetrotter". Passai con lui tutto il periodo in questa città; il giorno lui lavorava e io andavo in giro a fotografare ed esplorare la zona, e la sera chiacchieravamo della nostra giornata, di viaggi e di tutto quello che ci passava per la testa.
Quando arrivò il momento di rimettermi in viaggio verso l'Italia, evitai il diretto Costanza-Bucharest per prendere alcuni treni secondari che si fermavano in varie piccole città lungo il percorso. Una di queste era Buzau, dove avevo parecchie ore da aspettare tra un treno e l'altro, così colsi l'occasione per passeggiare in questa città, decisamente sconosciuta al turismo. Pur non essendoci nulla di particolare da vedere, ne apprezzai l'atmosfera genuina, i mille negozietti e mercatini dove nessuno parlava inglese ma tra gesti e tentativi di rumeno riuscii a procurarmi il pranzo.

Attraversare Bamberg
Se camminate fino alla fine di Bamberg vedrete la statua della nuotatrice, seduta a osservare la confluenza dei rami del Regnitz. A volte mi piace esplorare le città attraversandole da un lato all'altro, osservando come cambiano edifici, colori, atmosfere, dalla periferia fino al centro e di nuovo in periferia.
A Bamberg, in Germania, sono partito da una zona industriale e ho camminato tra i grigi capannoni per poi costeggiare un po' la ferrovia, fino ad addentrarmi nelle prime zone residenziali, via via più colorate e affollate man mano che mi avvicinavo al centro. La parte storica è un intreccio di viuzze, ponti e acqua; una deliziosa bomboniera dove tutto sembra fatto per allietare gli occhi.

Proseguendo lungo Am Leinritt, una fila di vecchie case costruite sul fiume mi ricorda certe vedute dell'Olanda; ogni casa ha un piccolo terrazzo sull'acqua, pieno di vegetazione, e alcune hanno addirittura una piccola barca ormeggiata di fronte. Continuando a costeggiare il lungofiume, l'architettura si fa moderna: supero le ampie vetrate del Konzerthalle, per poi camminare tra i recenti quartieri residenziali. Edifici moderni, non sgradevoli ma molto anonimi, un susseguirsi di palazzoni.
Infine, mi son ritrovato nel Kleingartenverein, l'orto comunitario: chi abita in città e non ha spazio per un orto o un giardino, qui può avere un piccolo appezzamento di terreno da coltivare, un orto "a distanza". E così arriviamo alla fine della città, costruita su una grande isola in mezzo al fiume: qui troveremo un'ampia scalinata dove sedersi assieme alla nuotatrice a guardare il lento scorrere dell'acqua.

Rathen e il castello di Hohnstein
L'altro ieri, in una bagnata giornata d'ottobre, un treno mi ha portato da Dresda alla minuscola stazione di Rathen; qui, dopo aver attraversato il fiume Elba su un piccolo traghetto che viaggia tra le due sponde, ho dedicato due giornate ad esplorare la zona della "Svizzera Sassone", un alternarsi di boschi e formazioni rocciose. Alcune di queste sono state congiunte da ponti; il più famoso, quello di Bastei, offre uno spettacolo impareggiabile all'alba.

Lascio Rathen per raggiungere, a piedi, il borgo di Hohnstein, dove ho trovato un alloggio d'eccezione: il castello che domina il paese e si affaccia su rocce a strapiombo. Risalente al 1200, è ora stato riconvertito in una sorta di albergo/ostello dai prezzi sorprendentemente modici: per 45 euro, ho avuto una minuscola stanza singola, colazione e cena. I lunghi corridoi vuoti assomigliano più a quelli di un monastero che di un castello; la stanza ha una piccola finestra, da cui si può ammirare la quiete serale. Dedico la giornata all'esplorazione del borgo e dei dintorni; rientro dopo il tramonto, curioso di scoprire che cena poteva essere inclusa nei pochi euro pagati per la stanza. Quest'ultima si rivelerà essere un buffet con vari tipi di carne, tra cui cotolette di pollo e gli immancabili wurstel, un po' di salumi, formaggi, verdure e qualche altro piatto; nulla di eccezionale qualità, ma comunque piacevole, e abbondante quanto si vuole.

Il mattino dopo, mi incammino verso il Polenztal. Non è ancora l'alba, e la strada è così silenziosa che si sente solo il rumore dei miei passi. La strada diventa un sentiero, e arriva infine a costeggiare il torrente Polenz, avvolto nelle nebbie mattutine. L'aria è freschissima e la piccola valle creata dal torrente è di un verde smagliante; tronchi caduti sono coperti da muschio e piccoli funghi, mentre le rive sono circondate da vegetazione rigogliosa e da felci. I primi raggi di sole filtrano tra gli abeti, disegnando striature nella nebbia leggera.

Una casa in ogni città. Belgio
"Viva, viva Santa Sara, Madre di chi terra non ha
Una casa in ogni città, viva, viva Santa Sara..."
Mi è rimasto impresso questo ritornello dei Mercanti di Liquore, gruppo folk ispirato a De Andrè. Santa Sara è la protettrice dei viaggiatori, di coloro che non hanno una patria e non amano confini e divisioni, ma al contrario, hanno "una casa in ogni città". Casa che può essere una stanza in ostello, un buco da un amico, o più in generale la metafora di sentire ogni posto come se fosse casa propria. Mi piace l'idea di svegliarmi ogni giorno in una città diversa, oppure fermarmi in un posto qualche giorno in più e impararne i vicoli e le strade. Ma della casa in Belgio non vi racconterò, così come di tanti altri ricordi.

Mille case, mille strade, e altrettanti ricordi. Queste divagazioni, scritte nel corso degli anni, non possono che rimanere incompiute: raccontano di un viaggio lungo una vita; per ogni ricordo descritto qui ce ne sono infiniti altri, e presto seguiranno nuove partenze su strade che ora non posso neppure immaginare. Ma tra qualche anno, guardandomi indietro vi potrò raccontare un'altra parte di questo viaggio.

Risposte e commenti
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| inviato il 22 Giugno 2024 ore 0:17
Non ho questo spirito di anima nomade, ammiro molto il tuo, la tua determinazione, la tua voglia di conoscenza. Leggo e immagino quante cose puoi aver visto e vissuto..e quante ancora ti aspettano. Alla fine della lettura mi fermo e penso a quanti riescono, in fondo, a scegliere di fare la vita che sentono e a farlo poi realmente. Questo puro senso di "libertà" credo sia la più bella sensazione che provi nel tuo cammino. |
| inviato il 22 Giugno 2024 ore 6:53
Letto tutte le note di viaggio, mi complimento per i racconti, i posti visitati e le immagini postate. Mi ritrovo in pieno nelle tue considerazioni sul significato del viaggio anche se preferisco altri mezzi per muovermi: da giovane moto e tenda, adesso camper. |
| inviato il 22 Giugno 2024 ore 7:08
Mi sento anch'io uno spirito nomade e sono fermamente convinto che spesso, diciamo a volte, sentirsi a casa non corrisponde necessariamente al luogo dove si è nati o dove si vive da una vita, lo so per esperienza personale. Non ho letto ancora tutto l'articolo, lo farò a spezzoni qua e là e senza un filo logico per gustarmelo meglio e farlo durare un po' di più. Ci sono comunque delle foto a parere mio davvero notevoli. Complimenti per come scrivi, in maniera partecipata e coinvolgente, per lo spirito avventuriero in cui mi ritrovo appieno e ovviamente anche per come fotografi, anche se non ci conosciamo personalmente, nei tuoi scatti si vede molto di te. |
| inviato il 22 Giugno 2024 ore 7:44
Grazie per questo buongiorno sul mondo. Non solo foto, ma emozioni personali e condivise. |
| inviato il 22 Giugno 2024 ore 8:45
Bravo, bella carrellata di foto, idee e esperienze. A presto e buona giornata, Roberto. |
| inviato il 22 Giugno 2024 ore 8:52
Bellissimo e coinvolgente racconto di esperienze vissute corredato da splendide foto. Complimenti |
| inviato il 22 Giugno 2024 ore 9:19
Immagino tu non sia sposato! Che bei racconti mi fai rimpiangere i miei vagabondaggi in giro per il mondo per fare surf, peccato ai tempi non praticassi la fotografia |
| inviato il 22 Giugno 2024 ore 9:38
Un bellissimo racconto che ho letto tutto d'un fiato; non ho uno spirito nomade come il tuo, ma mi piace comunque tantissimo viaggiare e immergermi nelle diverse culture locali. Il tuo racconto è vivace, sentito, coinvolgente, lo stile molto accattivante; ho avuto molti alunni, ma pochi con capacità di analisi e di sintesi così efficaci; quindi complimenti, naturalmente anche per le belle foto a corredo! Elisabetta |
| inviato il 22 Giugno 2024 ore 9:47
Bravo! Ben fatto! |
| inviato il 22 Giugno 2024 ore 10:05
Gran viaggio e anima mundi colta |
| inviato il 22 Giugno 2024 ore 10:21
Bello. Condivido e mi ritrovo molto in questo desiderio di scoperta e avventura. Davvero complimenti. |
| inviato il 22 Giugno 2024 ore 11:16
Semplice e bello..sembra di sentir parlare un amico seduti al bar....a raccontare i suoi viaggi....molto bello il tuo spirito avventuriero...ma oserei dire quasi da asceta...solitudine riempita dalla bellezza del mondo che ti circonda....non provo invidia perché se non dormo la notte in tranquillità e massima pulizia non fa x me..ma x tutto il resto un pochino Saluti |
| inviato il 22 Giugno 2024 ore 11:28
Bravissimo e bellissimo reportage "scatto e scritto"! Complimenti, mi piacerebbe avere il tuo spirito "solitario", ma io non ho mai avuto lo spirito/coraggio di partire da solo... Grazie per la tua testimonianza! |
| inviato il 22 Giugno 2024 ore 12:46
Lo sto leggendo con una grandissima curiosità Juza, grazie per la condivisione! Anche io adoro i viaggi in solitaria! |
| inviato il 22 Giugno 2024 ore 12:46
Il viaggio è una metafora della vita, il viaggiatore è un appassionato che forse cerca il senso e la direzione di tutto ciò che esiste. Conobbi da giovane il Servas, una straordinaria associazione di viaggiatori, che troverai interessante e molto stimolante, visto che si viene ospitati in casa e si cambia casa ogni due giorni: chi ospita fa entrare il viaggiatore nel suo mondo ottenendone in cambio l'esperienza del viaggio. Trovo molto affascinanti questi tuoi appunti di viaggio, è stato rilassante leggerli. |